Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: LadyPalma    08/11/2019    7 recensioni
[Questa storia partecipa al contest "Sitting in my room, with a needle in my hand" indetto da Soul_Shine sul forum di EFP e alla challenge "Infinity Prompt Challenge" indetta da HarrietStrimell]
Simone ha una vita insoddisfacente e una serie di coincidenze lo portano a finire senza neanche accorgersene nel baratro dell'alcolismo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Un soffio di disperazione e gin


 



 
Ho un bicchierino pieno di gin davanti, ma tutto quello a cui riesco a pensare è Jess.
 
Se n'è andata meno di mezz'ora fa, dalla mia auto e dalla mia vita. Mi ha fatto una scenata su quanto io sia un bamboccio perché non ho prospettive di carriera e, dopo un anno di relazione, non ho intenzione di andare a convivere con lei. Ha concluso con un "Sei proprio uno stronzo, Simone!", sbattendo la portiera con forza. Poi ci ha ripensato, si è girata sui tacchi vertiginosi facendo svolazzare i suoi voluminosi capelli rossi, e ha enfatizzato il concetto spiaccicando un dito contro il vetro. Quello medio. Ha ragione, lo so, ma non tanto da spingermi a rincorrerla e a chiederle scusa.
Sono sceso dall'auto alla fine e sono entrato nel pub dove saremmo dovuti andare insieme. Mi sono seduto al bancone e lanciando casuali occhiate alla partita sul maxi schermo, ho ordinato un mojito.
Il barista, un colosso con i capelli lunghi e una faccia da duro, non ha trattenuto un ghigno mentre preparava il drink e ha mormorato un distinto: "che frocetto!". Io me ne sono fregato, l'ho bevuto tutto e poi ne ho ordinato pure un altro.
"Okay, quanto ti devo?" ho chiesto alla fine, in tono seccato.
Volevo calmarmi ma non ci sono riuscito, e davanti allo sguardo di quel tipo mi sono sentito davvero patetico. Forse avrei dovuto chiamare Jess o almeno lasciarle un messaggio. Stavo per farlo, sul serio, avevo già aperto WhatsApp e cliccato sul suo nome. Solo che, invece di dirmi il conto, il barista mi ha messo davanti un bicchierino pieno di un liquido chiaro.
"No, basta così, grazie. Ho già bevuto abbastanza" ho provato a declinare, forse senza troppa convinzione.
"Ehi, senti, ragazzo. Hai chiaramente un problema, si vede, e ti ci vuole qualcosa di forte. Offre la casa, d'accordo?"
Mi ha lanciato uno sguardo di empatia - forse compassione - e mi è stato un pochino più simpatico, nonostante mi avesse chiamato 'ragazzo' avendo chiaramente solo cinque o sei anni più di me.
E così, eccomi qui, a fissare questo dannato bicchierino. Con la mente piena di Jessica, decido di afferrarlo e scolarlo in un sol sorso. Tossisco, più volte, e il barista ridacchia apertamente.
"È orrendo" dichiaro, e lo penso davvero.
Non sa di niente, solo di alcol. Brucia la gola e fa dannatamente schifo. Però forse è proprio per questo che mi piace.
Ne chiedo un altro e stavolta lo pago anche.
"Si chiama gin, ragazzo".
Ancora non lo so, ma lo sento: ho scoperto il mio veleno.



 
**



Spingo il carrello con aria annoiata nel supermarket vicino casa. È pieno di verdure varie e prodotti detox con cui mia sorella è fissata, oltre che assorbenti e strisce depilatorie. Sarà una mia impressione ma mi sento osservato. Devo apparire proprio come un frocetto, peggio che con il mojito. Lancio un'occhiata alla stupida app che Deborah mi ha fatto scaricare con una lista della spesa che si può aggiornare simultaneamente da entrambi, e leggo la nuova voce: biscotti di avena con uvetta. Reprimo una smorfia.
Cosa cazzo ti mangi, Deb?
Mi immetto nella corsia della colazione e, chissà per quale strano disegno organizzativo, corrisponde anche al settore delle bevande alcoliche. Vorrei mettermi a cercare i maledetti biscotti, ma lo sguardo mi cade sul cartellino super colorato con la scritta 40% proprio davanti a una fila di bottiglie trasparenti con etichetta gialla. Gin Gordon. È quasi con inerzia che ne prendo una e la sistemo nel carrello. Vado avanti e ignoro la fugace domanda nella mia testa.
Cosa cazzo ti bevi, Simò?



 
**



Sono passati due giorni. La bottiglia è già a metà quando decido di concedermi qualche altro sorso per portare avanti l'articolo per il Centro da consegnare tassativamente entro domani. È proprio un lavoro di merda quello di giornalista freelance. Di nuovo mi tornano in mente Jessica e le sue lamentele circa la mia mancanza di ambizioni. Scuoto la testa e soffoco la sua voce nella mia testa con il primo bicchierino di gin.
"... La tossicodipendenza è una piaga sempre più presente nella nostra vita e dovrebbe essere combattuta, non nascondendo la testa sotto la sabbia ma aiutando chi ne è vittima con paletta e secchiello. È questo lo spirito di questo nuovo progetto che da Pescara potrebbe estendersi in tutto Abruzzo e poi magari in tutta ItalikjhkhgfnJJJJJJJJJJJJJJ"
Apro gli occhi di scatto. Merda, mi sono addormentato sulla tastiera... E la bottiglia si è incantata, spargendo gin sulla scrivania.
"Porca puttana!" sbraito ad alta voce, senza fregarmene se Deb dorme oppure no.
Impreco per lo spreco, mica per lo sporco.



 
**



Ho ricomprato il Gordon il giorno dopo e poi ancora un'altra bottiglia nel fine settimana. Poi quando il periodo di promozione è finito, sono passato alla versione scadente dell'Eurospin, di cui ormai sono consumatore fisso da due mesi. Fa più schifo, la preferisco. È una di quelle bottiglie che sto finendo di scolare un sabato pomeriggio mentre seguo in TV la partita.
"Vaffanculo, che frocetti!" strillo contro lo schermo.
L'Atalanta è riuscita a battere la mia Pazza Inter, e quello stronzo di Zapata che ha segnato il goal non ce l'ho nemmeno nel Fantacalcio! Eppure, tra me e me, non posso fare a meno di ridacchiare. C'è qualcosa di liberatorio nel fatto che io - timido, serio, con tutti i romanzi di Jane Austen esposti in libreria e qualche camicia rosa nell'armadio - mi ritrovi a chiamare "frocetto" qualcun altro.
Deb entra nella stanza proprio in questo momento e mi trova con la risata ancora sulle labbra.
"Un'altra bottiglia. Fai sul serio, Simò?"
Serro i denti e le lancio uno sguardo. Con la tuta pronta per la lezione di yoga e l'immancabile tappetino rosa sotto il braccio, chissà perché mi sembra sempre l'emblema della perfezione. Solo perché fa l'insegnante di liceo e ha due anni più di me, si crede migliore e più responsabile. E lo è in realtà, è davvero in gamba, ma vederla vivere la sua appagante e precisa routine mi fa sentire ancora di più il fallimento della mia vita.
"Tutti bevono qualcosa guardando una partita di calcio" dico, alzando le spalle e continuando a guardarla con aria di sfida.
Lei non cede e il suo cipiglio si fa più severo. "Una birra. Non una bottiglia di gin" ribatte con durezza. "Ieri sera sono scesa a buttare il vetro, sai quante bottiglie c'erano, eh? Tre. E il vetro passano a ritirarlo una volta alla settimana, non una al mese".
Alzo gli occhi al cielo. Ci risiamo. Si è messa in testa che ora ho un problema con l'alcol. Io, proprio io, che venivo invitato alle feste universitarie solo per riaccompagnare poi tutti a casa con l'auto.
"Ma piantala, Deb. Non è che mi hai trovato seduto nella mia stanza con un ago nella mano!" esclamo con un breve sorriso, complimentandomi con me stesso per la citazione dei System of A Down.
Deb non sembra colpita però.
"Quindi secondo te l'alcol non crea problemi?" insiste. Posa il tappeto a terra, si sfila lo zainetto e vi fruga dentro per un po' prima di prendere un volantino stropicciato. "Senti, nella palestra dove vado il venerdì sera tengono una riunione per parlare di alcol e problemi. Giusto una chiacchierata... In gruppo e...."
Stringo gli occhi e ogni traccia di cordialità sparisce dal mio viso. La sua descrizione edulcorata non ha mascherato a sufficienza lo squallore della realtà della sua proposta: un incontro di alcolisti anonimi.
Mi alzo in piedi, impreco e scaglio la bottiglia vuota a terra in uno scatto di rabbia.
"Non ho nessun cazzo di problema. Sei tu forse che ci li hai... Da quando mamma è morta pensi di doverti prendere cura di me anche quando non ce n'è bisogno... Non sono tuo figlio, perché non ti trovi un tipo e fai un vero figlio, eh? Così la smetti proprio di rompermi le palle con i tuoi film mentali!"
Deb ha gli occhi pieni di lacrime ma non indietreggia e non smette di fissarmi. È uno sguardo che fa male, perché non è arrabbiata e nemmeno spaventata, ma delusa e addolorata. Il rumore dei vetri infranti non è niente in confronto alla ferita che le hanno procurato le mie parole. Sono stato proprio uno stronzo, non ci metto molto a capirlo. Ho sputato veleno gratuito contro l'unica persona che mi è mai stata accanto durante ogni mia fase no. Perché la verità è che di problemi ne ho avuti tanti, lo so bene anche io.
Sono io ad abbassare lo sguardo alla fine. Mi vergogno. Un po'. Tanto. Così tanto che le prendo il volantino dalle mani e prometto di andare. E poi prendo la paletta e la scopa per eliminare ogni frammento di vetro.



 
**



Se sono entrato in questa stupida palestra è solo per Deb, ma dato che lei non c'è ho ripreso tutta l'aria insolente e baldanzosa che ho scoperto in questi ultimi mesi. Con sorpresa, mi accorgo che un incontro per alcolisti anonimi è esattamente lo stereotipo che immaginavo: siamo seduti tutti in cerchio e qualcuno prende la parola, dice il suo nome e vomita i suoi problemi. Mentre una studentessa universitaria spiega tra le lacrime che ha iniziato a bere per i troppi esami falliti, io perdo il filo e penso solamente a quanto demente è tutta la storia degli alcolisti anonimi, a partire dal nome. Perché diamine sono anonimi se la prima cosa che fanno tutti quanti è presentarsi? Quando la tizia smette di parlare c'è un momento di silenzio e io ne approfitto per fare il piccolo numero che avevo preparato. Sì, la scopa, insieme ai vetri sul pavimento, ha spazzato via pure la mia momentanea vergogna.
"Ciao a tutti, sono Simone e non bevo da…" Mi interrompo per sfilare dal taschino interno della mia giacca una fiaschetta comprata appositamente da Tiger. È di colore blu elettrico e ha le perline (proprio una cosa da frocetti). Prendo un lungo sorso di gin e poi sorrido soddisfatto. “…Da un secondo".
Li guardo uno ad uno in faccia questi miei compagni di avventura. C'è chi spalanca gli occhi, chi mi guarda inferocito e chi invece si morde un labbro in preda a un innegabile desiderio. L'unico impassibile è il tizio che si trova direttamente di fronte a me, il sobrio che gestisce la riunione. Nel vociare improvviso, lui passa semplicemente il timone alla donna alla sua destra e si alza in piedi, facendomi cenno di seguirlo. Non mi riempie di insulti come mi aspettavo e nemmeno di calci come forse meriterei. Mi posa invece una mano sulla spalla e mi fissa con aria tranquilla.
"Non sei ancora pronto" mi dice. "Devi toccare il fondo prima di risalire e tu il fondo non lo hai ancora toccato".
"Cosa dovrei fare allora?" La domanda mi esce ancor prima di rendermene conto.
Lui mi guarda e non riesce a nascondere un guizzo di compassione.
"Tocca il fondo e poi torna".
Mi lascia andare e fa ritorno nella sala insieme agli altri. Resto imbambolato per qualche secondo. Cos'era, un'autorizzazione speciale per bere? Toccare il fondo, certo. Spingo la porta ed esco nell'aria fredda di dicembre. Mi torna in mente In fondo al mare, la canzoncina del film della Sirenetta che da bambina Deb guardava almeno una volta alla settimana. Metto il pilota automatico e i miei piedi mi conducono davanti al pub dove sono entrato la sera in cui Jessica mi ha mollato. Sono pronto a sguazzare nel mare di gin.



 
**



Dov'è il barista dell'altra volta? Quello che mi serve stasera è mingherlino, ha i capelli biondi tirati indietro con il gel e porta un'oscena camicia hawaiana. Sorride troppo e sembra confondersi tra le tante bottiglie che ha a disposizione. Non mi piace proprio questo tipo, sembra quello che ero io fino a poco tempo fa: un frocetto.
"Un altro" gli dico, muovendogli davanti al viso il bicchierino vuoto.
Lui spalanca gli occhi. "Ma... Sei già al quarto drink..." prova a dire.
Alzo un sopracciglio e impreco sottovoce. Oh sì, proprio un frocetto. Gli shot li chiama drink e ha tentato di propinarmi due volte il whisky invece del gin. Forse è perfino astemio.
"Ho detto: un altro" ripeto e la voce mi esce in una specie di ringhio.
Il ragazzo non prova più a fermarmi, annuisce con vigore e mi versa il liquido giusto. Faccio per scolarlo, ma lo sguardo mi cade sullo smartphone che si illumina. Non è Antonio con la richiesta di un nuovo articolo, né Deb che mi chiede dove diavolo sono finito dopo la “riunione” in palestra. Sono già brillo ma leggo chiaramente il messaggio sullo schermo.
È Jessica e scrive un semplice e inaspettato Mi manchi.
In un impeto giro il telefono, spiaccicando lo schermo sul bancone. Bevo e rido.
 
Jessica mi ha scritto, ma tutto quello a cui riesco a pensare è il gin.













NDA: C'è qualcosa di assolutamente paradossale in questa storia: mentre la pubblico, sto sorseggiando un calice di vino bianco. Ho un certo gusto per gli alcolici, lo confesso, e proprio per questo motivo questa storia mi è particolarmente cara. Credo che ci sia una profonda differenza tra chi beve per il gusto della bevanda in sè (come nel mio caso, dato che il vino è per me una ricompensa serale moderata e dal valore quasi estetico) e chi beve per gli effetti. Ho scelto appositamente il gin come "veleno" di Simone: è forse l'alcolico che ha meno sapore di tutti e che associo di più all'alcolismo. Non ho esplicitato i motivi che lo portano alla dipendenza, ma spero che la vita amorosa fallimentare e quel "frocetto" ripetuto (un accenno a un passato non dichiarato di bullismo) siano stati sufficientemente intuibili. Ringrazio Soul_Shine per avere indetto questo contest e HarrietStrimell, il cui prompt è riuscito a sbloccare la parte finale di questa storia (a proposito, il prompt era lo scambio di battute tra Simone e il barista). Vorrei spendere due parole anche sul "gestore della riunione": mi rendo conto che possa apparire folle che qualcuno possa dire a un alcolizzato di andare a bere di più, ma credo anche che se non si capisce da soli di stare sbagliato non ci può essere nessun aiuto da fuori. Voglio credere che nel momento in cui il gin arriva a soppiantare perfino l'amore per Jess, Simone abbia capito di aver davvero toccato il fondo.
Un'ultima nota è per il titolo: è preso da Once Upon a Time ed è una frase che il personaggio di Tremotino utilizza per descrivere Crudelia (che nella serie è chiaramente dipendente dal gin).
Spero la storia vi sia piaciuta e soprattutto di aver reso bene questo tema che per me è molto importante! grazie per aver letto e, se vi va, lasciatemi un commento.
   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: LadyPalma