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Autore: hikaru83    08/11/2019    5 recensioni
La storia di Sherlock e John, il modo in cui si sono incontrati, tutto ciò che hanno vissuto, la conosciamo bene. Molti di noi avranno rivisto la serie abbastanza volte da citare le frasi senza che le altre persone riescano a capire, ma neanche ci importa, noi sappiamo (e se il nostro interlocutore abbassa la media di intelligenza dell'intero quartiere non è nemmeno colpa sua). E molti di noi hanno avuto problemi con il modo con cui l'hanno conclusa (per ora). E allora che fare? Allora ho deciso che la storia provo a scriverla come vorrei fosse andata, magari grazie a qualcuno che ha sempre osservato ma non abbiamo mai visto. Qualcuno che come noi era sempre con loro, ma al contrario nostro ha potuto cambiare le carte in tavola.
Rivivremo la storia, e basterà cambiare una cosa, per cambiare un sacco di cose.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Credevate che mi fossi scordata?  E invece no, eccomi qui! Sono ancora in tempo, siamo ancora a venerdì XD
Un po' di nodi si sciolgono, un po' di passato viene spiegato, buona lettura.





Dalla tua parte




2 gennaio 2015
Londra
Ospedale militare


 
Hariett osserva nervosa il fratello. È pomeriggio inoltrato, le brevi ore di luce sono sparite da un pezzo e John non sembra abbia ancora intenzione di svegliarsi. L’ha visto agitarsi nel sonno e ha osservato come solo la stretta della mano di Sherlock sia riuscita a fermare l’incubo in cui è caduto.

Sherlock, dal canto suo, è stanco e spaventato come non lo è mai stato. Avendolo seguito per anni, ne è certa. Essere catturato e torturato non è stato nulla in confronto al dolore che sta provando in quel momento. Si sarebbe consegnato spontaneamente a qualsiasi aguzzino per vedere anche solo per un istante gli occhi di John aprirsi e sapere con certezza che è fuori pericolo e che starà bene.

Sherlock si è addormentato durante il primo pomeriggio e ha sognato un John imbestialito con lui, che lo picchiava e lo guardava con odio. Si è svegliato con il cuore ferito e dolorante. L’odio negli occhi di John è una cosa che non vorrebbe mai vedere rivolto verso di lui.

Fino a quel momento, nonostante gliene avesse fatte passare tante, non è mai successo che l’odio si sia presentato in quegli occhi.

Lo ha deluso – quello lo ha fatto alla grande –, e la rabbia era del tutto visibile quando è tornato dalla tomba. Ma l’odio? No. L’odio non è mai stato per lui. Lo sguardo d’odio l’ha riservato a Moriarty e a Magnussen, ma mai, mai verso di lui.

Eppure, Sherlock sente che se lo merita, si merita molto di peggio che un naso tumefatto e qualche battuta acida.

Quello è stato senza dubbio l’incubo peggiore che abbia mai fatto.

Hariett osserva la scena dal corridoio, grazie al vetro che permette di monitorare la stanza, senza però avere il coraggio di avvicinarsi. Si sente di troppo, e nonostante Mycroft continui a spingerla verso il letto del fratello, lei trova ogni scusa per non dover entrare in quella stanza.

Il senso di colpa è una cosa tremenda con cui avrebbe dovuto convivere. Qualsiasi scelta avrebbe fatto John saputa la verità.

Certo, questo è un problema che dovrà affrontare quando e se John si decide a tornare da loro.

«Ragazzina, andrà tutto bene.» Come al solito, il suo angelo custode si fa sentire nel momento in cui lo sconforto e la paura rischiano di farla impazzire.

«Se non si svegliasse? Dio, Mycroft! Se non avessi mai l’occasione di dirgli la verità?»

«Stammi a sentire: tuo fratello è la persona con il carattere più forte, la persona più testarda e pazza che io conosca. E credo che non debba ricordarti chi è il mio, di fratello. Lo hai detto anche tu: John ha scelto di stare con Sherlock anche se ha visto cosa comportava. Gli tiene testa, Dio! Tiene testa anche a me. Credi davvero che si lascerà sopraffare da un incubo?»

«Vorrei solo che aprisse gli occhi.»

«Lo so, ragazzina.»

Hanno dovuto aspettare ancora qualche ora prima che ciò avvenisse.
 

Sherlock percepisce la sua mano venire stretta. Non è uno spasmo involontario. Quelli si erano susseguiti più o meno dalla mattina. No, John sta tornando in sé, e i suoi sensi si stanno risvegliando poco a poco.

Le sue ciglia vibrano prima che, lentamente, quei pozzi blu che si ritrova John al posto degli occhi, tornano ad aprirsi. Dopo un tempo che è sembrato eterno.

«Sherlock?» La voce debole e roca di John rimette in moto il cuore del consulente investigativo.

«John, stai tranquillo, sei al sicuro. Stiamo tutti bene.»

«Cos’è successo?»

«Mi hai salvato la vita.»

«Ma, tu... Tu mi ha salvato. Sei stato tu a salvarmi.» John sembra molto confuso, come se ancora non sia del tutto sveglio dal suo incubo. Poi, come colpito da uno sprazzo di lucidità, spalanca gli occhi e con il braccio destro si aggrappa a quello di Holmes, come se si aspettasse di vederlo sparire davanti a sé. «Oddio, Sherlock! Stai bene?»

«In un letto d’ospedale ci sono io o tu?» gli chiede Sherlock, ironico come solo lui sa essere, con il sopracciglio alzato e quel sorrisino da schiaffi.

«Ero in un pozzo...» continua John, come cercando di ricollegare tutto quello che crede di aver vissuto, di dividere il vero dall’irreale.

«No, John, nessun pozzo,» gli dice Sherlock, attento a ogni sua espressione.

«Ma c’era tua sorella...» continua sempre convinto John.

«Io non ho sorelle.» Sherlock risponde con un tono calmo, anche se in realtà si sta preoccupando. John gli sembra piuttosto confuso. «A meno che non ti stai riferendo a Mycroft... In effetti, nei panni di Lady Bracknell nello spettacolo teatrale “L’importanza di chiamarsi Ernesto” al college, non era male; ma non credo tu possa averlo visto.»

«Era una sorella segreta...» insiste il dottore.

«John, quante volte te lo devo dire? Se uno ha o no un fratello o una sorella lo sa, e se non lo sa difficilmente lo sa l’altro. Non siamo in un libro o in una scadente serie televisiva. Questa è la realtà, e nella realtà le sorelle segrete non esistono.» A Sherlock quel modo di insistere sui fratelli segreti ha sempre fatto sorridere. John è fissato con la possibilità che esistano gemelli segreti o comunque fratelli. Ciclicamente li tirava fuori nelle sue teorie. Evidentemente, visto che la realtà aveva dimostrato ampiamente quanto fosse una teoria impossibile, il suo subconscio l’ha utilizzata nei suoi sogni, dove nessuno può impedirgli di credere quello che vuole.

«Ma sembrava così vera... Sembrava tutto così vero...»

«Anche io ho fatto un incubo, John, ma era solo quello; un incubo,» dice, più per convincere sé stesso che l’altro.

«Cosa hai sognato?» vuole sapere John.

«Non lo ricordo,» si mantiene sul vago l’investigatore.

«Non dire bugie. Lo ricordi bene. Su, non mentire a un povero uomo ferito.»

«Stai cercando di farti compatire?»

«Solo se serve per sapere la verità.»

«Va bene, va bene. Eri arrabbiato con me – tanto arrabbiato! Mi odiavi e mi colpivi.»

«Sherlock, quante volte te lo devo dire? Io non potrei mai odiarti! Mi fai saltare i nervi più di chiunque, ma mai, mai ti ho odiato. Se vedi odio nei miei occhi, se ti dico che ti sto odiando, è ovvio che è solo un sogno. Suvvia, credevo fossi tu quello intelligente,» risponde il dottore facendogli il verso.

«Forse non lo sono così tanto.»

«Sono felice di vedere che stai bene, Sherlock.»

«Sono felice che tu sia tornato, John.»

«Che cosa mi è successo?» chiede, guardandosi finalmente intorno e osservando il braccio fasciato e la spalla bloccata.

«Frattura alla clavicola. Dovrai stare a riposo per una ventina di giorni. Sei stato fortunato.»

«Quando posso tornare a casa?» Quelle pareti bianche lo stanno già soffocando.

«Devi stare qui un paio di settimane. Ti hanno operato, John.»

«Ma io sto bene! Non posso stare a riposo a casa? Sono un medico. So cosa devo fare.» Ha troppe cose da fare per rimanere imprigionato là dentro. In due settimane chissà in che guai si poteva cacciare Sherlock, se non lo teneva sott’occhio costantemente.

«Lo aveva detto che avresti dato di matto.»

«Chi?» chiede Watson, curioso.

«Cosa?» cerca di eludere la domanda Holmes.

«Hai detto che qualcuno ha affermato che avrei dato di matto... Di chi stai parlando?» Questo è un esempio della capacità di John di sembrare distratto ma in realtà notare sempre più di quanto da a vedere.

«...»

«Sherlock?»

«Nessuno. Forse è meglio che chiamo il medico. Dovranno controll...»

«William Sherlock Scott Holmes! Non cercare di svicolare! Chi mi stai tenendo nascosto?»

Hariett, dal corridoio, sorride ricordandosi come la loro madre usasse sempre questo metodo quando doveva zittirli e sapere la verità su qualche loro marachella.

«Oddio... Mary è qui? Rosie? Dov’è Rosie?» Sembra terrorizzato. Come un fulmine a ciel sereno il ricordo della moglie e della figlia lo mettono in guardia.

«Calma, calma... Mary purtroppo non sappiamo dove si trovi. L’hai ferita, ma è riuscita a fuggire. Rosie è con Mrs. Hudson. Mycroft le ha portate in un luogo sicuro e ci rimarranno finché questa storia non sarà finita e sarete tutti al sicuro.» Lo vede rilassarsi un poco a quelle risposte.

«Allora chi mi nascondi, Sherlock?» Tenace John, tenace o testardo? Hariett fa un bel respiro prima di uscire allo scoperto.

«Me.»

John si volta finalmente verso la porta, lasciando per la prima volta gli occhi di Sherlock e per un istante pensa di essere ancora nel suo sogno. Non può essere lei. Cosa ci fa qui sua sorella? Non la vede da quando è tornato dalla guerra e lei gli ha dato il cellulare. Come fa a sapere cosa gli è successo?

Hariett rimane ferma sulla porta finché la mano di Mycroft non le dà una leggera spinta. Lei borbotta, ma fa un passo all’interno della stanza.

Nulla, nulla è mai stato tanto spaventoso per lei come dover affrontare John. Le ci vuole tutto il coraggio che ha in corpo per continuare ad avanzare fino al letto dove il fratello la osserva stranito.

«Sei vera?»

«Sì, vera quanto lo erano le ciabatte di mamma quando combinavamo qualche guaio.»

Lo vede sorridere, a quel ricordo.

«Come hai fatto a sapere che sono stato ferito? Chi ti ha portato qui?» Strizza gli occhi, come a cercare di ricordare qualcosa. L’ha chiamata, forse? Ha chiesto di lei?

«Myc mi ha chiamata. Dovevo esserci. Sei mio fratello.»

«Myc?»

«Già.»

«Myc... Intendi Mycroft Holmes? Il fratello di Sherlock? Da quanto lo conosci? Come vi siete incontrati?»

«Forse sono un po’ troppe informazione, ora. Dovresti riposare.»

«Ho riposato anche troppo.» Negli occhi di John, Hariett può leggere tutta la sua testardaggine. Non accetterà un “No” come risposta.

«È che non so da dove iniziare,» ammette. La mole di bugie è enorme. Come può fare a dirgli tutto?

«Okay. Io domando tu rispondi. Da quanto conosci Mycroft?» È sempre così pragmatico, John, quando ci si mette. Affronta le cose con metodo scientifico. Peccato che sia anche molto emotivo, e appena saprà anche solo questa risposta darà di matto, e questo Hariett lo sa bene. Conosce perfettamente suo fratello.

«Da quasi cinque anni.» Hariett vede lo sguardo di John sgranarsi e non osa immaginare cosa succederà appena confesserà il resto. Però è stanca delle bugie e delle cose non dette. John si merita la verità, anche se dirla la terrorizza. «Ma lavoro per lui da molto più tempo. »

«TU COSA

Il battito del cuore di John diventa furioso, così tanto che lei teme gli stia per venire un infarto. Gli strumenti accanto al letto iniziano a mandare allarmi, a causa del picco improvviso.

«John Hamish Watson, cerca di controllarti o i medici ci sbattono tutti fuori e non saprai la verità almeno fino a domani.» La sua voce è calma mentre riprende John, facendo come lui aveva fatto poco prima con Sherlock, usando esattamente lo stesso tono con cui la madre riusciva ogni volta a zittirli quando da bambini gridavano troppo, litigavano o semplicemente avevano bisogno di essere messi in riga.

Poco alla volta, il battito di John ritorna regolare, e così gli strumenti che lo monitorano. La cosa, tuttavia, ha comunque messo in guardia un’infermiera, la quale è entrata nella stanza constatando il risveglio del paziente. «Oh, ben risvegliato, signor Watson! Come si sente? Dovrei chiamare immediatamente il dottore. I suoi amici dovranno aspettare fuori e deciderà se è il caso che lei abbia o meno altre visite, per oggi.» Hariett la osserva mentre si volta verso Mycroft. Immagina che tutti qui sappiano quanto sia in alto nella scala del comando. «Siccome conosco il dottore, vi consiglierei di sbrigarvi a dire quello che volete dire. Credo di potervi dare cinque, dieci minuti.»

«Dieci minuti ce li faremo bastare, grazie.» La voce di Mycroft è calma ma autoritaria. Inutile fingere che non le abbia appena ordinato di mantenere il dottore lontano dalla stanza ancora un po’.

L’infermiera annuisce, sistema i macchinari, controlla qualche parametro, poi sorride a John raccomandandogli di non agitarsi e lascia la stanza.

«Precisamente cosa vuol dire che lavori per Mycroft da molto più tempo?» chiede John con tono calmo, non appena la porta della stanza si chiude alle spalle della donna.

«Sono stata reclutata nei servizi segreti durante l’ultimo anno di liceo. Quindi direi che lavoro per lui da parecchio tempo. Solo che all’epoca non avevo idea di chi fosse il mio capo, cioè non il capo di tutti i capi che avrei avuto, almeno. Mycroft l’ho conosciuto quando tu hai conosciuto Sherlock. Ero a Londra perché auspicavo mi volessi intorno; speravo mi chiamassi. Sapevo che avevo rovinato troppo il nostro rapporto per sperare che tu potessi volermi accanto ma, sai, la speranza è sempre l’ultima a morire.» Hariett sente lo sguardo del fratello su di sé, oltre quello di tutti gli altri. Ma non ha tempo per preoccuparsi di chiunque non sia suo fratello. «Poi tu hai incontrato lui,» dice, indicando Sherlock, «e io sapevo – me lo sentivo nelle ossa – che vi sareste messi in guai enormi. Fu a quel punto che conobbi Mycroft. Mi diede la possibilità di proteggerti e starti vicino, e all’epoca pensavo fosse l’unica cosa che potessi fare per te.»

«Reclutata l’ultimo anno del liceo... Cosa? Come? Perché...?» John è chiaramente confuso da tutto quel marasma di informazioni.

«Non sono mai andata bene a scuola, lo sai. Ero brava solo in lingue e informatica. Fondamentalmente, mi annoiavo a morte e odiavo tutti là dentro. Ero arrabbiata e stupida, come una qualsiasi adolescente che sta diventando adulta ma che non capisce che deve fare della sua vita. Mamma era morta, papà non sapeva da che parte girarsi e tu eri partito per studiare qui a Londra. Ero arrabbiata, come detto, ma anche stupida, e mi sentivo abbandonata.»

«Io...»

«Non è colpa tua, John. Tutto quello che ho fatto l’ho fatto perché io ho deciso di farlo. Nessuno mi ha costretta. Forse ero troppo giovane per capire davvero in cosa mi sarei imbattuta, ma con il computer ero una forza e per una volta mi pareva di essere nel posto giusto, che stavo facendo qualcosa di buono, che non ero una fallita.»

«Perché non hai mai detto niente?»

«Non si chiamano “servizi segreti” senza motivo. All’inizio, poi, mi occupavo solo di lavoro al computer. Minacce informatiche, ricerca di informazioni, cose terribilmente noiose. Iniziai successivamente a occuparmi anche di questioni estere. Il mio talento nell’imparare le lingue non è rimasto inosservato. Alla fine facevo lavoro d’ufficio, solo più segreto di quello che fanno gli altri. Poi, però, c’è stato l’11 settembre. Tu hai deciso di continuare a lavorare per l’esercito, e io ho volevo fare qualcosa di più che tradurre e decriptare messaggi. Come agente avevo iniziato un addestramento anche sul campo, non importava che il mio lavoro fosse prettamente d’ufficio. Avevo tra le mani migliaia di informazioni e dovevo essere in grado di mantenere il segreto se fosse stato necessario. E guarda un po’, scoprii che io e te avevamo un talento in comune: entrambi cecchini.»

«Dopo pochi anni papà è morto.»

Lei annuisce. «La cosa, invece che unirci, ci ha diviso, perché entrambi non abbiamo preso da mamma. Non siamo in grado di parlare di sentimenti e cose simili. Siamo tutti e due come papà: incapaci di parlare di certe cose. Inoltre, io avevo troppi segreti. Come potevi volermi stare accanto visto che non potevo essere sincera con te? So bene quanto la non sincerità sia la cosa che ti fa davvero uscire di testa.»

«Ma hai trovato Clara.»

«Lei non ha mai saputo la verità. Non potevo metterla in pericolo e alla fine ho fatto di tutto per farla allontanare da me. »

«Non ho mai capito cosa c’era di...»

«... sbagliato in me per far scappare via una donna come lei?»

«Mi spiace, è che tu...»

«Avevo troppi segreti e troppi incubi che mi impedivano di essere felice.»

«Perché non hai smesso?»

«Smettere? Credi davvero che si possa smettere di essere un agente attivo? Dopo tutti i soldi che avevano usato per addestrarmi? Dopo tutti i segreti che conoscevo? Non si può semplicemente dire: “Beh ragazzi mi sono sbagliata, non è il lavoro adatto a me, do le dimissioni, da domani mi metto a fare la fioraia perché amo i fiori”.»

«E quindi? Devi continuare con questa vita per sempre? Anche se non vuoi?» Si gira verso il più grande degli Holmes. «È questo che deve fare mia sorella?»

«Non la tengo legata a me con il guinzaglio, John, ma sappi che io posso almeno proteggerla. Se smettesse di essere un agente, allora non avrei alcun modo di farlo,» risponde Mycroft.

«Tu bevevi un sacco...» riprende John, osservandola e tentando di recuperare tutti i pezzi di questo puzzle ingarbugliato.

«Bevi anche tu quando sei arrabbiato, nervoso, deluso o triste. Altro punto in comune con papà, suppongo.»

«Credevo che fosse una dipendenza. Io ho sempre pensato che tu... Cristo! Non ho capito nulla di te.»

«Non te l’ho mai fatto capire. Non te l’avrei mai permesso. E poi, quando non ero in missione, ci davo giù pesante con l’alcool. È l’unica cosa che fa fermare i pensieri.»

«Quando mi hanno ferito, la prima volta in Afghanistan, ero convito che tu fossi lì.»

«Lo ero. Ti ho trascinato al riparo e sono stata con te fino a quando non sono venuti a prenderti i tuoi commilitoni. Li ho aiutati a portarti al sicuro fino all’accampamento. C’era troppo trambusto per far sì che loro si facessero domande su chi fossi. Indossavo una mimetica, credevano fossi americana.»

«Eri lì?»

«Sono sempre stata dove potevo proteggerti.»

«Sono io il fratello maggiore[1], dovevo essere io a proteggerti.»

«In un certo senso lo hai fatto. Sono qui, no?»

«Quindi quando sono tornato in Inghilterra mi hai seguito.»

«Ho fatto in modo di esserci, al tuo arrivo.»

«E poi hai conosciuto Mycroft.»

«Esattamente.»

«Che lavoro hai fatto per lui? Perché hai detto che ti diede la possibilità di proteggermi e starmi vicino? Io non ti ho mai vista in questi anni, non sei venuta neanche al matrimonio...» La osserva e capisce. «Tu eri al matrimonio? Oddio, tu... Ma come? Perché al matrimonio non ti sei avvicinata?»

«Perché la donna che hai sposato mi conosceva, e non come tua sorella. Se avesse saputo la verità, saresti stato in pericolo.»

«Tu sapevi di Mary? Sapevi che era quello che era e non me l’hai detto? E non hai impedito di farmi fare quell’errore?»

«Come potevo? Io non ero qui quando lei ha iniziato a girarti intorno. Seguivo lui e gli impedivo di farsi uccidere.» Fa un cenno verso Sherlock, prima di continuare. «Ti assicuro che tenerti in vita è stato il lavoro più faticoso di tutta la mia carriera. Non riesco a capacitarmi che sei arrivato a quest’età.»

«Tu... Eri...» John cerca di capire, ma forse sono davvero troppe informazioni tutte in una volta. Hariett si domanda se sarebbe in grado di rimanere razionale e tranquilla se le parti fossero invertite.

«Signor Watson, che meraviglia vedere che finalmente si è unito a noi. Sarà ancora un po’ stordito, immagino, ma non si preoccupi, nulla che una bella notte di sonno non può guarire.» L’entrata improvvisa del medico li spiazza.

John ha ancora tante domande da fare anche se ha parecchie cose a cui pensare. Hariett si sente esausta, come se raccontare una parte di ciò che ha taciuto fino a quel momento la stia consumando. Mycroft e Sherlock, dal canto loro, sono solo spettatori, ma molto incuriositi dal rapporto che i due fratelli sembrano avere, nonostante gli anni di lontananza e le bugie raccontate.

«Ora però i suoi ospiti devono lasciare la stanza,» continua il nuovo arrivato.

«Io non me ne vado.» Sherlock, che ha sempre dimostrato di non essere propenso a eseguire gli ordini, dimostra che l’impressione di tutti era giusta.

«Signor Holmes, capisco che sia preoccupato per il suo amico, ma quello che non capisce lei è che qui siamo tutti specializzati. Il suo amico non corre alcun pericolo finché è qui con noi. Nessuno può avvicinarsi senza che venga controllato e analizzato. I nostri uomini sono addestrati per ogni situazione. Lavoriamo per suo fratello, crede seriamente che questo sia un ospedale come gli altri? Mi avevano detto che lei era straordinariamente intelligente... Se è così, non può non aver notato che siamo tutti militari e che persino la simpatica infermiera che ha fatto in modo di farmi perdere sufficientemente minuti per permettervi di stare più tempo del dovuto, potrebbe uccidere a mani nude tre aggressori prima che questi possano capire cosa sia successo. Adesso lei andrà a casa, si farà una bella doccia, mangerà qualcosa di decente e si farà una bella dormita. Domattina mi aspetto di vederla all’orario delle visite. Sempre se lei voglia che il suo amico si riprenda in fretta.» Mentre parlava, aveva sospinto un attonito Sherlock fuori dalla porta della stanza.

Mycroft lo seguì lanciando a John un cenno di saluto.

Lei sorrise alla scena e si avvicinò al letto del fratello, stringendogli la mano tra le sue. «So che anche se non lo dai a vedere sei arrabbiato con me, e con te stesso per non aver capito cosa stava succedendo.

Lo so perché ti conosco bene. Sappi però che non scherzavo, prima. Niente di quello che hai fatto mi ha portato a prendere le scelte che ho preso. Mi sarei messa comunque in qualche guaio. E sì, ho corso dei pericoli, ma... John, tu cosa hai fatto finora? Inoltre, c’è un’altra cosa su cui non scherzavo. Non voglio raccontarti più bugie; su quello che ho fatto, chi ho incontrato, cosa sono dovuta diventare. Ti racconterò tutto quello che posso raccontarti perché non è più top secret. Mycroft mi ha dato carta bianca. Non ti nasconderò nulla di questa storia.»

«Vale anche per il futuro?» chiede John, soppesando le parole.

«Non ho idea di cosa mi porterà il futuro. Cominciamo a finire questo gioco, okay?»

«Coraggio, signorina, il mio paziente deve riposare. Vi vedrete domani.»

«Sì, certo. A domani, John?» chiede dubbiosa.

«A domani!» risponde lui, dandole una speranza che non sia tutto finito. Che hanno almeno un domani.





Continua...



Note: finalmente anche John sa la verità, o meglio, inizia a conoscere la verità. E questo ci ha permesso di conoscere il passato di Hariett, come è arrivata a fare le scelte che l'hanno portata a diventare quella che è. John ha ancora altre verità da conoscere, come reagirà? Come nelle migliori tradizioni, lo scoprirete nei prossimi capitoli.
Grazie come sempre a tutti per seguire e dare tanto amore a questa storia.
 
[1] So che Hariett le volte che è stata nominata è sempre maggiore a John, perché nel canone John ha un fratello maggiore, ma visto che i Moffis hanno trasformato il fratello in sorella io mi sono sentita libera di poterla rendere più giovane.
  
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