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Autore: JohnHWatsonxx    08/11/2019    1 recensioni
Raccolta di one-shots Johnlock in cui ogni capitolo è ispirato da una canzone dell'album 'Plus' di Ed Sheeran
1. The A Team -Post!Reichenbach
2. Drunk -Uni!lock
3. U.N.I. -Uni!lock
4. Grade 8 -post quarta stagione, What If?
5. Wake Me Up -Soulmate!AU
6. Small Bump -What If 3x3 pre-slash (Tw: aborto)
7. This -post quarta stagione
8. The City -Post!Reichenbach
9. Lego House -kid!lock AU
10. You Need Me, I don't Need You -Retirement!lock
11. Kiss Me -post quarta stagione
12. Give Me Love -Post!Reichenbach
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note: Sherlock può sembrare OOC, ma solo perché, essendo ancora al college, l’ho pensato meno rigido sui sentimenti rispetto all’età adulta
 
 
Drunk.
 
 
Il giovane John Watson, aspirante medico, odiava ubriacarsi. Non odiava l’alcol, anzi, se avesse potuto avrebbe sostituito l’acqua con la birra ventiquattro ore al giorno (facendo un’eccezione per il tè). Odiava il mal di testa della mattina dopo, quel lieve senso di appiccicume che era causato dal dormire con i vestiti che puzzano di sudore, e soprattutto odiava rimettere tutto quanto in casa d’altri, cosa che stava succedendo in quella calda mattina estiva.
 
Della sera precedente non ricordava niente, solo stralci di urla, movimenti scoordinati sulla pista del pub e un ottimo orgasmo, forse uno dei migliori che avesse mai provato nei suoi ventidue anni di vita (per questo si trovava nudo in un bagno sconosciuto). Cristo, non per niente lo chiamavano Tre Continenti, era riuscito ad ammaliare tutta la popolazione femminile (e anche qualche ragazzo) nel giro del suo primo semestre in università. Greg e Mike quasi lo invidiavano, era un single scapestrato che faceva strage di cuori alle feste e sapeva come divertirsi, mentre loro due avevano già trovato la loro altra metà.
 
Il ragazzo sollevò la testa dal water, giusto il tempo di prendere fiato e continuare ad espellere tutto l’alcol che aveva in corpo. Di certo non si era soffermato ad ammirare le foto che si trovavano nella stanza in cui si era svegliato, tantomeno non aveva volto lo sguardo verso la persona che gli aveva fatto compagnia in quell’orgasmo e per tutta la notte. Quando riuscì ad alzarsi in piedi si avvicinò al lavandino e si diede una ripulita: odiava la sua faccia da dopo sbronza, diventava di dieci anni più vecchio. O almeno così gli diceva sempre Sherlock.
 
Sherlock.
 
Ecco dove si trovava, ecco l’identità della persona con cui aveva passato la notte: aveva fatto sesso col suo migliore amico. Si accovacciò di nuovo sul water e ricominciò a vomitare.
 
**
 
Sherlock odiava i pub, la gente e la musica alta, eppure ogni volta John lo convinceva ad andare con lui a quelle stupide feste universitarie piene di imbecilli. Quella sera stavano festeggiando l’inizio dell’ultimo anno di università e –davvero- il moro non riusciva a capirne l’utilità. Aveva sempre affermato che l’alcol, per quanto divertente, non solo rallentava i suoi ragionamenti, ma lo spingeva a compiere azioni stupide.
 
Col senno di poi adorava vedere John privo di vergogna e orgoglio ballare al ritmo di quelle canzoni orrende. Era bellissimo, tutto sudato, con la camicia semiaperta che lasciava intravedere il petto liscio del ragazzo. E, solo in quella circostanza, decise di bere qualche bicchierino di troppo, per liberare la sua mente da quell’uomo che stava occupando ogni stanza del suo palazzo. Ingoiò due shots di vodka liscia e si immischiò nella folla col tentativo di raggiungere il suo migliore amico.
 
Di solito lui non era così: amava il silenzio al casino, la solitudine alla gente e la musica classica a quel –qualsiasi cosa fosse. Eppure c’era John Watson: lui, che lo trascinava a mangiare, che gli faceva compagnia anche quando non parlava per ore, che lo accompagnava a lezione con il rischio che facesse tardi alla sua, che apprezzava le sue deduzioni, la sua melodia, i suoi esperimenti nel laboratorio dell’università. Quell’uomo, si era detto Sherlock, era unico, era diverso da tutti gli altri e sapeva –ne era assolutamente certo- che non avrebbe dovuto lasciarlo andare per niente al mondo.
 
Era un attaccamento morboso, ne era consapevole, come era consapevole che nessuno al mondo sarebbe riuscito a sopportarlo, nessun uomo, tantomeno nessuna donna.
 
John era in mezzo alla pista, che attirava le attenzioni del gentil sesso come un fiore fa con le api, ma sembrava non accorgersene: aveva gli occhi chiusi e le braccia all’aria, concentrato solo ad agitarsi e a divertirsi. Aprì gli occhi solo quando Sherlock gli si affiancò poggiandogli una mano sulla spalla: John gli sorrise radioso, facendo creare delle piccole rughe di espressione attorno agli occhi che il moro trovava a dir poco adorabili.
 
“Sei ubriaco” gli urlò nell’orecchio.
 
“E tu sei bellissimo” gli rispose facendo l’occhiolino.
 
**
 
Da quel momento in poi John aveva solo dei flashback confusi di loro due che barcollavano in mezzo alle vie di Cambridge, Sherlock che gli prendeva la mano, che lo portava a casa, Sherlock che si sdraiava sul letto, e che lo baciava con timida passione.
 
E poi… poi furono baci, furono sorrisi, furono strette di mano che somigliavano a promesse sussurrate e furono loro due in una stanza illuminati solo dalla luna, e il profumo dei fiordalisi a inondargli i sensi. *
 
John si stava sentendo male: aveva rovinato tutto, aveva perso il suo migliore amico per sempre, aveva distrutto un rapporto che era bellissimo senza l’intromissione dell’amore. Era stata colpa sua, solo sua e della sua passione per l’alcol. Avrebbe dovuto solo vergognarsi.
 
Velocemente raccattò i vestiti sparsi per la stanza e, con velocità fulminea, dopo cinque minuti stava già lasciando l’abitazione: si girò un’ultima volta verso il letto dove avevano consumato quella notte di passione, dove Sherlock stava ancora dormendo beatamente ignaro della sua nudità. Aveva la schiena scoperta e le coperte arrotolate tra le lunghe gambe. John pensò che fosse bellissimo, con quella luce mattutina che si rifletteva sulla sagoma, stagliando sul muro una lunga ombra messa lì a giudicare l’atto codardo del biondo. Se ne stava andando come un viscido serpente, ma non aveva altra scelta: se avesse guardato Sherlock negli occhi quella mattina era sicuro che avrebbe solo provato sensi di colpa per avergli tolto quello che nessuno aveva mai avuto in un modo così deplorevole.
 
Si vergognava di sé stesso il giovane John Watson, mentre con passo svelto si allontanava dall’abitazione degli Holmes.
 
Passò il pomeriggio sulle rive del fiume, nascosto sotto a un ponte con la paura che chiunque potesse leggere sul suo volto ciò che aveva fatto. Non sapeva ancora come agire dopo ciò che aveva fatto e di certo non era evitando Sherlock che avrebbe risolto la situazione.
 
Ovviamente non c’entrava niente col fatto di aver fatto sesso con un uomo: in tre continenti ci sono entrambi i sessi e nessuno dei due dispiaceva al biondo. Il problema era che tra tutte le persone con cui avrebbe potuto passare la notte proprio Sherlock doveva capitare: il suo migliore amico, il genio con la smania del violino, incapace a provare sentimenti –o quantomeno a esprimerli- e incline a nessun tipo di attaccamento sentimentale per qualcosa di umano che non fosse già morto.
 
Era l’unica persona –l’unica in tutto il campus- con cui avrebbe voluto fare una cena romantica, magari in quel ristorantino all’angolo che faceva dell’ottima pasta, con una candela a illuminargli il volto bellissimo. Aveva fantasticato molte volte su piccoli gesti come un semplice sfiorarsi di dita, o baci dolci e leggeri, o fare l’amore per la prima volta insieme sotto un cielo ricoperto di stelle. John era un tipo romantico, almeno. Non con tutti, solo con chi e per chi valesse davvero la pena. E Sherlock Holmes era uno di questi.
 
**
 
Si era innamorato di Sherlock subito, lo aveva percepito dai brividi sulla pelle quando si strinsero la mano.
Era il primo anno a Cambridge e a John servivano assolutamente alcuni materiali per una ricerca di anatomia e sapeva di poterli trovare solo nel laboratorio di chimica. Lì c’era un ragazzo alto molto più di lui che era chinato sul microscopio e stava mettendo a fuoco un vetrino con sopra una macchia rossa –che fosse sangue?- e la analizzava come se fosse stata la cosa più importante del mondo.
 
“Puoi entrare, non mordo” aveva detto ad un certo punto quel ragazzo, senza distogliere lo sguardo da ciò che stava facendo. John a quel punto era entrato lentamente, con timore, e aveva preso i materiali che gli servivano.
 
“Non sono quelli giusti” aveva poi parlato di nuovo lo sconosciuto, facendo bloccare John all’istante.
 
“C-cosa?” aveva risposto timidamente.
 
“A uno studente di medicina non penso serva dello zolfo per studiare… qualsiasi cosa di anatomia tu stia facendo”
 
“Cos- come?! Come fai a saperlo?” aveva esclamato incredulo il povero John, messo alle strette.
 
“Hai sbagliato barattolo, è quello accanto” aveva risposto seccamente ignorando la sua domanda.
 
John, ancora con gli occhi spalancati, era tornato a prendere il barattolo giusto, posando quello che conteneva lo zolfo.
 
“Mi chiamo John, John Watson” aveva detto ad un certo punto, facendo voltare per la prima volta il ragazzo in sua direzione. Quello era il ragazzo più bello che avesse mai visto, non aveva nessun dubbio al riguardo. Di tutte le parti del viso per cui John avesse un complimento da fare, il biondo si era soffermato sugli occhi: grigi all’apparenza, sembravano nascondere qualche sfumatura verde e blu al loro interno. Erano bellissimi.
 
“Si ecco, se volessi spiegarmi come hai fatto a capire… quello che hai capito” continuò grattandosi il retro della nuca con fare impacciato.
 
“Sherlock Holmes” aveva risposto l’uomo, allungando la mano che John si affrettò a stringere: in quel momento, ne era certo, si era già innamorato.
 
**
 
Il sole lasciò spazio alle stelle, nonostante a ovest rimaneva ostinata da mezz’ora una sfumatura più rosea, residuo della luce del giorno. John stava tornando a casa in quel momento, aveva voluto aspettare il crepuscolo per decidersi a tornare nel mondo dei vivi, dopo essersi schiarito le idee per tutto il giorno riguardo quello che era successo tra lui e il suo migliore amico la sera prima. Si era ripromesso di cercarlo il giorno dopo e implorarlo di perdonare ciò che aveva fatto.
 
Purtroppo per lui Sherlock non era dello stesso avviso, dato che lo stava aspettando sotto al portico, seduto sull’ultimo dei tre scalini.
 
Non era cambiato molto in quegli anni, solo il taglio di capelli, che aveva reso più elegante e meno sbarazzino, ma sempre abbastanza lunghi da permettergli di avere un ammasso di boccoli in testa. Il resto del volto era rimasto uguale, forse aveva maturato l’espressione del viso, molto più austera di quella di tre anni prima, ma non i tratti fondamentali, come il cipiglio costante e le labbra sempre strette tra di loro, come se si stesse trattenendo costantemente dal dire qualcosa di probabilmente molto inappropriato.
 
Eppure Sherlock in quel momento sembrava tutt’altro che riflessivo: aveva gli occhi stanchi e la postura molle, chiusa in sé stessa mentre con lo sguardo seguiva i movimenti di John. Sembrava stesse aspettando una brutta notizia.
 
“Ciao, John” sussurrò cauto, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe.
 
 John sospirò pesantemente, sedendosi poi accanto a lui. Si guardarono per qualche secondo, prima che il più basso interrompesse il silenzio.
 
“Sherlock io…”
 
“Te ne sei andato, stamattina. Mi sono svegliato dopo… quello e tu non c’eri più”
 
“Lo so, lasciami spiegare…”
 
“Non ti sei fatto sentire per tutto il giorno e sono stato costretto ad aspettarti qua per tre ore al sole prima che ti facessi vivo” il tono di voce del moro stava cominciando a diventare sempre più intenso, al contrario di quello di John, che andava affievolendosi sempre di più.
 
“Hai idea di come mi sia sentito? Come quei materiali che uso in laboratorio, buoni solo per un paio di ore e poi buttati nel cestito!”
 
“Sher…”
 
“Abbiamo fatto sesso ieri sera. Ti ho dato qualcosa che non pensavo avrei mai dato a qualcuno, e tu lo sapevi. Sapevi che mi avresti ferito. Perché l’hai fatto?”
 
“Mi vergognavo. Ho avuto paura, sono stato codardo” rispose John prima che l’altro l’interrompesse. Forse aveva alzato un po’ la voce perché ora Sherlock lo stava guardando senza proferire parola.
 
“Abbiamo fatto sesso, è questo il problema. Non avremmo dovuto farlo! Non avrei dovuto fare quello che ti ho fatto, non avrei dovuto…” John si passò le mani sul viso, visibilmente frustrato.
 
“Ti sei pentito perché non ti piaccio. Ecco perché sei scappato”
 
“Dio, Sherlock, no. Non avrei voluto fare sesso con te, avrei voluto fare l’amore con te” rispose più dolcemente.
 
“Non importa il modo in cui lo chiami, John, è sempre lo stesso tipo di attività fisica. È come dire basket e pallacanestro” disse Sherlock serio, provocando l’ilarità del più basso.
 
“Hai ragione, ma tu sei più importante di una semplice notte di sesso che ricordo a malapena, tu sei… di più”
 
Sherlock si voltò di scatto vero John, guardandolo incredulo. Quante volte aveva immaginato il biondo dire quello che in quel momento stava insinuando? Quante volte aveva dovuto reprimere quelle emozioni attraverso le parole di suo fratello maggiore? Quante volte aveva dovuto sopportare le conquiste di John invadere la loro vita come se avessero tutto il diritto di stravolgerla?
 
John sospirò. “A volte vorrei essere sempre ubriaco”
Sherlock non rispose.
 
“Vorrei ricordare di più di un orgasmo, Sherl. Vorrei ricordarmi di averti tolto la camicia con lussuria e avertela lanciata da qualche parte in giro della stanza, vorrei ricordare le nostre pelli a contatto e il modo in cui i tuoi occhi cambiavano colore mentre ti stringevo a me. Questo è fare l’amore, Sherlock, ed è quello che mi sono perso”
 
“Non è la fine del mondo, John, possiamo rimediare” suggerì Sherlock. “Se tu sei d’accordo, possiamo… si possiamo dimenticare e ricominciare da zero”.
“Un appuntamento?” chiese John, con un pizzico di speranza nella voce.
“Si, e poi magari potremmo fare una passeggiata in riva al fiume” continuò.
“Ti prenderei la mano –disse John, incrociando le loro mani insieme- e ti bacerei sotto mille stelle”.
 
“Potresti- potresti farlo anche adesso” sussurrò il più alto.
 
E, Dio, John non se lo fece ripetere due volte.
 
 
 
*citazione di "La canzone di Marinella" di De André
NdA: seconda one-shot della raccolta e mia prima Johnlock in cui John e Sherlock sono all’università. Molto probabilmente ci sarà un’altra storia a tema uni (o che comunque ha a che fare con quell’ambiente) dato che una delle prossime canzoni dell’album si intitola U.N.I.
Spero intanto che questo primo tentativo vi piaccia!
-A
 
 
 
   
 
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