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Autore: Soul of Paper    10/11/2019    9 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi

 

Capitolo 1 - Bloccati

 

Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

 

“Me la sta mettendo contro, capisci? Contro! Per carità, è sempre stata una cocca di papà -  e ci credo! Comodo quando tocca sempre a te fare la stronza, mentre lui le concede tutto quello che vuole! - ma ora l’ha convinta che se ci separiamo è per colpa mia, che io l’ho tradito, anche se non ha prove in mano. E io scema che quando ho scoperto il suo di tradimento l’ho coperto e non ho detto niente per non farla soffrire. E mo che faccio, eh?”

 

Te lo direi pure che fare, magari, se mi lasciassi parlare - pensò Imma con un sospiro, mentre passava l’ennesimo fazzoletto a Diana, che ci si soffiò il naso rumorosamente, allungando la mano per depositarglielo sulla scrivania e bloccandosi all’ultimo secondo, dopo essere stata fulminata da un’occhiataccia tra le migliori del suo repertorio.

 

Ultimamente Diana sembrava averla scambiata per la sua psicologa personale e approfittava di ogni momento morto per sfogarsi. E, visto che Imma nella sua vita era sempre stata un po’ sfigata, di momenti morti ce n’erano stati parecchi, essendo ormai l’ultima settimana di luglio: la procura si stava inesorabilmente svuotando per le vacanze estive e tutta Matera sembrava aver preso quel ritmo molle e sonnolento tipico del periodo.

 

Il rintocco di nocche sulla porta le suonò come una benedizione.

 

“Avanti!”

 

“Dottoressa!”

 

La voce concitata di Calogiuri la riscosse immediatamente dal torpore e, quasi automaticamente, si ritrovò in piedi accanto alla scrivania, mentre lui la raggiungeva con rapide falcate ed uno sguardo negli occhi talmente intenso, quasi febbrile, da provocarle un brivido lungo la schiena ed una scossa elettrica - meglio non specificare dove.

 

Per un attimo si dimenticò di tutto - la procura, Diana e le sue mille beghe, la logica e il buon senso - e sentì, come se fosse successo il giorno prima, il sapore di due labbra sulle sue, il peso di braccia forti che la stringevano a sé, spalle vigorose, giovani, che si flettevano sotto le sue dita.

 

Ma Calogiuri si bloccò repentinamente a un passo da lei e allungando il collo, quasi in un sussurro, come se dovesse farle un’altra confessione d’amore, sganciò la bomba.

 

“Hanno trovato dei resti umani. In uno dei cantieri di Scaglione. Erano cementati nelle fondamenta. E indovinate chi è l’architetto che ha firmato il progetto...”

 

Ogni fantasia volò fuori dalla finestra, mentre un altro tipo di scarica elettrica la colpì dritta in petto e benedisse il suo puntiglio, che Vitali aveva definito come eccesso di zelo, con un tono che le faceva intuire la ritenesse paranoica. Puntiglio che l’aveva portata a richiedere di scavare in tutti i cantieri ancora aperti facenti capo all’impresa di Scaglione, dando priorità a quelli dove il progetto era dello studio di Bruno.

 

“Il cantiere è aperto da un paio d’anni, ma hanno dovuto bloccare tutto poco prima dello scorso natale, per accuse di violazione paesaggistica. Di recente hanno avuto i permessi dalla regione e hanno ripreso i lavori.”

 

“Dopo l’elezione di Lombardi, scommetto.”

 

“Ma non vi ho ancora detto il meglio,” le sussurrò con un sorrisetto, facendo una pausa quasi a voler incrementare la suspense.

 

Se lo avesse fatto chiunque altro, Imma si sarebbe innervosita, gli avrebbe intimato di tagliare corto e darsi una mossa, che non avevano tempo da perdere, pagato dalle tasche dei contribuenti, peraltro.

 

Invece si ritrovò a sorridergli in modo praticamente speculare, godendosi quel gioco del gatto e del topo che andava avanti ormai da mesi, anche se non avrebbe più saputo dire chi fosse il cacciatore e chi la preda.

 

“Il cantiere si trova a Marina di Ginosa.”

 

Non le avrebbe potuto fare regalo più bello, nemmeno se si fosse presentato con due dozzine di rose rosse a stelo lungo, e dovette trattenere a fatica l’impulso di abbracciarlo.

 

“Pensate anche voi a quello che penso io?” le domandò con gli occhi che brillavano e un sorriso da denuncia per detenzione di arma impropria.

 

“Vaccaro,” pronunciò, secca, esplicitando l’unico di quei pensieri comuni che fosse lecito esplicitare, soprattutto davanti a Diana.

 

Tanto a loro era sempre bastato uno sguardo per capirsi, e questo non era mai cambiato, neppure ora che...

 

“Diana, cancellami tutti gli appuntamenti per oggi pomeriggio,” esclamò perentoria, scacciando dalla mente i pensieri pericolosi, per poi puntargli un dito a due centimetri dal petto, prima di avviarsi verso la porta, “prepara la macchina, tra cinque minuti ti voglio pronto al volante. Veloce, Calogiuri!”

 

Non le serviva vederlo per percepire il sorriso dietro quel “Agli ordini, dottoressa!” che la raggiunse fino al corridoio.

 

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“Si tratta sicuramente di un maschio, parrebbe caucasico ma ci vorrà il DNA per stabilirlo con certezza. Difficile risalire alla data precisa di morte, sia perché alcune parti sono state conservate nel cemento, sia perché il corpo presenta diverse lesioni corrosive. Per il tipo di acido usato, di nuovo bisognerà attendere le analisi.”

 

“Quindi hanno provato a scioglierlo nell’acido?” chiese Calogiuri, che faceva luce con una torcia nella cavità aperta dalla gru nelle fondamenta, dove si trovava un insieme di membra umane che era difficile pensare fossero state un tempo una persona.

 

“Presumibilmente, ma devono aver rinunciato, perché solo alcune parti del corpo mancano all’appello. La testa, le mani, i piedi e vi saprò dire meglio che altro una volta effettuata la ricostruzione.”

 

“Forse qualcosa li ha portati a doverlo seppellire in fretta e furia. Qualcosa tipo l’arresto di Romaniello, magari,” pronunciò Imma, quasi tra sé e sé, pur sapendo che non c’era alcuna certezza che si trattasse davvero di Vaccaro, che fare congetture era pericoloso. Ma il suo istinto le diceva che aveva ragione, che avevano finalmente trovato la benedetta pistola fumante.

 

“Voglio un’analisi del DNA e un confronto con quello di Vaccaro prima di subito, Taccardi. E non mi può proprio azzardare alcuna ipotesi sulla data del decesso? Anche con un ordine di grandezza molto indicativo.”

 

“Dottoressa, le ho già detto che c’è da aspettare l’autopsia. Ma, visto che altrimenti non mi lascerà in pace, le posso dire che probabilmente il cadavere potrebbe essere qui da un periodo che va tra sei mesi e un anno, a giudicare sia dallo stato delle ossa, sia dall’avanzamento della decomposizione delle parti non cementate. Ma in casi come questo azzardare ipotesi è come cercare di azzeccare un terno al lotto.”

 

Rassegnata a non ottenere altro, almeno per il momento, Imma si congedò da Taccardi e si avviò con Calogiuri verso la vettura di servizio.

 

“Hai ancora un po’ di tempo, Calogiuri? Lo so che si sta facendo tardi ma vorrei interrogare i vicini, capire se hanno notato qualche movimento strano nel cantiere in quest’ultimo anno...”

 

Calogiuri si bloccò, incrociando il suo sguardo, e Imma sentì l’ennesimo brivido percorrerle la spina dorsale, che non fece che acuirsi quando lui si avvicinò quasi impercettibilmente e le rispose, con un altro sorriso, dritto negli occhi.

 

“Non vi preoccupate, dottoressa, lo sapete che non ho fretta.”

 

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“Ah, e quando torniamo a Matera voglio che rintracci tutti i responsabili del cantiere e ti fai dare l’elenco completo di chi ci ha lavorato fino alla chiusura, anche se difficilmente questo bel lavoretto l’avrà fatto qualcuno che è a libro paga. E ti fai dare i tabulati telefonici di tutti e ricontrolli le telefonate intercorse tra Bruno, Scaglione e Romaniello nel periodo tra l’omicidio di Aida e l’arresto di Romaniello.”

 

“Va bene. C’è altro?”

 

Il tono di Calogiuri le pareva uno strano ibrido tra il divertito e il nervoso. Imma fece segno di no col capo e nella vettura calò un silenzio quasi assordante, mentre una corrente densa e spessa di qualcosa di pericoloso si insinuava, riempiendo ogni spazio.

 

I silenzi tra loro non erano mai stati un problema, anzi. Da quando si conoscevano avevano passato interminabili minuti, per non dire ore, in silenzio, l’uno accanto all’altra, su quella macchina e in procura. Una delle cose che inizialmente l’aveva colpita di più dell’appuntato, ora maresciallo, era proprio la sua timidezza, il suo essere così schivo, di poche parole - almeno fino a qualche tempo fa - il suo non tentare di riempire i silenzi con dialoghi senza senso, tanto per fare conversazione, il suo non sgomitare o cercare di farsi notare.

 

In un mondo fatto di rumore, di gente che parla tanto senza dire in realtà niente, rifugiarsi per qualche ora in auto con Calogiuri era stato per lungo tempo una specie di oasi di pace, lambita da quel silenzio che era stranamente confortante, carico di una familiarità e di un’intesa in gran parte inspiegabili, ma proprio per questo preziose.

 

Eppure ora quello stesso silenzio le pareva quasi opprimente, tanto da aver cercato in ogni modo di riempirlo parlando di qualsiasi cosa le passasse per la testa, dal meteo ai casi ancora aperti, fino ad aver esaurito gli argomenti che non fossero in qualche modo pericolosi.

 

Dopo quella… quella confessione impossibile da definire con qualsiasi aggettivo che le rendesse giustizia, per non parlare di quello che era successo subito dopo, coronamento di mesi di sogni e desideri repressi a fatica, tra loro era tornata una strana serenità, uno strano senso di pace, d’intesa.

 

Era come se entrambi custodissero un segreto, come se fossero finalmente di nuovo complici, come li aveva definiti una volta la Matarazzo, solo che ora erano veramente complici, ma di un delitto. Un delitto per il quale però, almeno lei, non riusciva stranamente a provare alcun senso di colpa, pur sapendo che fosse sbagliato e che non potevano e dovevano permettersi di andare oltre.

 

Per settimane erano andati avanti così, senza bisogno di dire nient’altro, tra sguardi e sorrisi e piccoli gesti, sembrando quasi essere tornati, almeno in apparenza, a com’erano prima della grotta dei pipistrelli, anzi, forse addirittura prima di Lolita.

 

Ma era solo una calma apparente, questo Imma lo sapeva. C’era dentro di lei la netta sensazione di trovarsi su una spiaggia poco prima che venisse travolta dalla tempesta, quando il vento si ferma, i rumori si annullano e tutto tace, in un momento di silenzio perfetto prima che si scateni il finimondo e-

 

I suoi pensieri vennero interrotti bruscamente dallo stridio dei freni e si trovò proiettata contro le cinture di sicurezza.

 

“State bene, dottoressa?” le chiese con tono preoccupato Calogiuri, incrociando il suo sguardo, “scusatemi per la frenata brusca, ma la vettura davanti ha inchiodato.”

 

Imma si limitò ad annuire, massaggiandosi una spalla ed osservando la fila di macchine davanti alla loro che, se già prima procedevano con lentezza, ora erano proprio completamente ferme.

 

Minuti interminabili trascorsero senza che la fila si muovesse di un solo millimetro. Troppi anche per il traffico di rientro dal mare di venerdì sera.

 

“Ma che succede?”

 

“Provo a chiamare i colleghi, magari hanno notizie, deve esserci stato un incidente,” propose Calogiuri, afferrando il cellulare.

 

Imma riuscì solo a cogliere parole come camion ribaltato, corsie bloccate e almeno cinque chilometri di coda, prima che uno strano senso di agitazione si impossessasse di lei, accompagnato dalla sensazione di avere dell’ovatta nella gola.

 

“A quanto pare è tutto bloccato su entrambe le corsie di marcia, temo che ne avremo per un po’,” proclamò Calogiuri terminata la telefonata, confermando i suoi sospetti, prima di fissarla con preoccupazione, “dottoressa, che avete? Tutto bene?”

 

“Ho… credo di avere bisogno di un po’ d’acqua, Calogiuri,” riuscì a pronunciare con voce ancora più roca del solito.

 

“Dovrei avere una bottiglietta per le emergenze, aspettate,” la rassicurò, sganciandosi la cintura di sicurezza e sporgendosi verso il sedile posteriore. Nel farlo, le loro braccia nude si sfiorarono e Imma sentì un formicolio salirle dal polso sinistro fino alla scapola, talmente forte da farle dubitare di stare avendo un infarto.

 

Se Calogiuri avesse sentito qualcosa o meno, non disse niente e si limitò a passarle una bottiglietta d’acqua, ancora fresca, grazie alla borsa termica nella quale era stata conservata. Sempre previdente e premuroso, Calogiuri, fin troppo.

 

“Grazie,” sospirò, aprendo la bottiglia e bevendone avidamente un paio di sorsate, incrociando lo sguardo di Calogiuri che deglutì visibilmente, “ne vuoi un po’?”

 

Calogiuri deglutì nuovamente e non disse niente, ma afferrò la bottiglietta che lei gli stava porgendo, sfiorandole le dita e scatenando l’ennesima scossa elettrica, per poi portarsela alle labbra in un gesto che le sembrò improvvisamente terribilmente intimo.

 

Una specie di gorgoglio interruppe il momento e il silenzio della vettura, gorgoglio che Imma realizzò con imbarazzo provenire dal suo stomaco.

 

“Avete fame? In effetti si sta facendo tardi,” commentò Calogiuri con un sorriso, prima di sporgersi nuovamente verso il sedile posteriore, “dovrei avere anche dei cracker, non è molto ma meglio di niente.”

 

Glieli porse, incurante delle proteste, e le ci volle parecchia insistenza e un “non farmi arrabbiare, Calogiuri”, per convincerlo a dividerli e non lasciarli tutti a lei.

 

Per qualche attimo mangiarono in perfetto silenzio ma i cracker, pur calmando momentaneamente il senso di fame, non facevano che peggiorarle l’arsura in gola. Con un sincronismo perfetto e quasi spaventoso, due mani si sporsero per afferrare la bottiglietta d’acqua, riposta nell’apposito vano vicino al cambio.

 

Si ritrovò con la sua mano intrappolata tra il fresco della bottiglia e il calore del palmo di Calogiuri. Deglutì saliva che non aveva più, mentre sentiva dita grandi e forti intrecciarsi nelle sue, come se fosse la cosa più naturale del mondo. E forse, in fondo, lo era davvero.

 

I loro sguardi si incrociarono nuovamente e sorrisero, fissandosi per un tempo che le parve infinito, mentre le loro mani intrecciate si stringevano, e le dita si accarezzavano in una specie di tacita promessa di un qualcosa di più.

 

Il suono di un clacson ruppe il momento: le dita di Calogiuri mollarono bruscamente la presa sulle sue e afferrarono il cambio, per ingranare la prima e percorrere il breve tratto di strada che si era finalmente liberato davanti a loro.

 

Pochi metri e poi la vettura dovette di nuovo fermarsi.

 

Attimi di silenzio e sguardi che si incrociavano imbarazzati.

 

“Allora… allora che farai per le vacanze?” le chiese, abbassando lo sguardo quasi quanto il tono di voce, tanto che per un secondo Imma dubitò di aver colto correttamente la coniugazione verbale. Non che l’avrebbe corretto in ogni caso.

 

“Vado a Metaponto, come al solito, anche se mi sa che potrebbe essere l’ultimo anno. Ormai mia figlia Valentina sgomita per andarci da sola in vacanza e mi-” si bloccò appena in tempo prima di pronunciare le parole mio marito che, per qualche strana ragione, le sembravano improvvisamente tabù, correggendosi in corsa, “e mi annoio al mare dopo un po’. E tu che pensi di fare, invece?”

 

“Beh, visto che praticamente tutta la procura sarà in trasferta a Metaponto, ci stavo quasi quasi facendo un pensiero pure io…”

 

Il tono e lo sguardo di Calogiuri erano palesemente ironici, ma la visione di lui in costume da bagno, anzi, di loro due insieme, magari su una bella spiaggetta nascosta, le invase la mente e le provocò un improvviso senso di calore. Almeno finché si ricordò che a Metaponto non ci sarebbe certo stata da sola.

 

“In realtà credo che me ne resterò a Matera.”

 

“Ma come? Ma dai, Calogiuri, già le scorse vacanze estive te le sei fatte lavorando, alla tua età dovresti svagarti, divertirti, viaggiare! Non fare come me che fino ai trent’anni il massimo che ho visto sono state Matera e provincia.”

 

“Non è che io abbia tutti questi soldi da spendere in viaggi e poi-”

 

“Ma non torni nemmeno a Grottaminarda?” lo interruppe, stupita, notando lo sguardo di lui farsi improvvisamente cupo, “che c’è?”

 

“Diciamo che i miei genitori non hanno preso molto bene la fine della mia storia con Maria Luisa...” chiarì Calogiuri e Imma si sorprese a pensare che quasi si era dimenticata dello scampato matrimonio, visto che pareva ormai appartenere ad un’altra vita, sebbene fosse trascorso meno di un anno, “e non voglio passare le mie vacanze ad evitare i loro tentativi di convincermi a rimettermi con lei, lasciare l’arma e tornare a vivere a Grottaminarda.”

 

“E allora che pensi di fare? E non dirmi lavorare tutto il tempo, se no è la volta buona che ti faccio rapporto, Calogiuri,” scherzò, forse nel tentativo di scacciare le immagini mentali che tale scenario le provocava e di nascondere cosa ne pensasse esattamente delle brillanti idee dei genitori di Calogiuri.

 

“In realtà… in realtà sto pensando di traslocare.”


“Traslocare?” squittì Imma, a causa di un nodo che sembrava serrarle definitivamente la gola al solo pensiero di un trasferimento di Calogiuri - ma perché non le aveva detto niente?!

 

Forse perché magari è per colpa tua se si vuole allontanare? Stupida che non sei altro! - le ricordò la vocina della coscienza e Imma odiò dover ammettere che non riusciva a darle torto.

 

“Sì, ho appena preso in affitto un appartamento e voglio usare le vacanze per sistemarlo. In caserma mi trovo bene, per carità, ma cominciava a starmi un po’... stretta.”

 

Imma non avrebbe saputo dire se fosse stato il sollievo nell’apprendere che Calogiuri, almeno ancora per un po’, non se ne sarebbe andato da nessuna parte - e non solo per le vacanze -  o il modo in cui aveva pronunciato quella parola, “stretta”, abbassando la voce fino a un sussurro e guardandola dritta negli occhi, ma, improvvisamente, cominciò a sentire un gran caldo.

 

Proprio in quel momento, il telefono prese a squillare. Imma si affrettò ad afferrarlo, il cuore che le finiva nello stomaco nel vedere la scritta “Amò” sul display.

 

L’innominabile.

 

“Pronto?” pronunciò, con una voce talmente roca da farsi spavento.

 

“Amò, tutto bene? Ma dove sei?!”

 

Fu solo in quel momento che Imma guardò l’orologio e realizzò che erano quasi le 21 e si era completamente scordata di avvisare a casa. Calogiuri era davvero pericoloso, troppo.

 

“Sono… sono in macchina con un… collega. Stiamo tornando dalla zona di Metaponto, ma c’è un incidente sulla provinciale ed è tutto bloccato. Non so quanto ci vorrà ancora, ma temo ne avremo per un po’. Tu e Valentina cenate pure, se non lo avete già fatto.”

 

“In realtà.. in realtà ti chiamavo per avvertirti che mi tocca andare a calcetto.”

 

“A calcetto? Ma non avevi smesso?!” gli chiese Imma, ricacciando a fatica quel senso di sospetto che ormai albergava in lei dopo la famosa cena con Ridolfi, alias Cinzia Sax. Anche perché, dopo quello che aveva combinato lei in questo ultimo periodo, chi è senza peccato…

 

“Sì, ma mi ha chiamato il Prefetto in persona per chiedermi di giocare. Uno dei difensori si è infortunato stamattina al lavoro e ora manca uno per fare numero.”

 

“Ma sarà proprio il caso che fai uno sforzo del genere, dopo tutto quello che ti è successo? Hai appena finito il mese di convalescenza! E, per quanto mi riguarda, il prefetto può pure arrangiarsi, o chiamare la moglie che tanto, per come non lavora, sarà bella che riposata.”

 

“E dai, amò, non ti preoccupare, vedrai che starò attento e starò benissimo.”

 

“Lo spero! Altrimenti ti arrangi: io mi rifiuto di farti di nuovo da crocerossina, intesi?”

 

“Sì, amò,” le sussurrò con un tono esasperato ma carico di affetto.

 

“E a che ora penseresti di tornare, tanto per capirci?”

 

“Mah… dopo la partita di solito ci mangiamo qualcosa - starò leggero, non ti preoccupare - immagino dopo mezzanotte.”

 

“Mezzanotte? Ah, però, complimenti! E Valentina dove la metti? Ha già cenato?”

 

“In realtà sta da Bea per la notte.”

 

“Da Bea?! E quando è che me l’avresti detto?”

 

“Ma no, è che.. quando ha saputo che avevo la partita ha tanto insistito e non mi sono sentito di dirle di no.”

 

“Che novità!” sospirò Imma, pensando che, fosse stato per Pietro, sua figlia sarebbe stata la ragazza più viziata sulla faccia della Terra. Felice sicuramente, per carità, ma viziata da far schifo. Le tornò improvvisamente in mente lo sfogo di Diana di quella mattina, su quanto fosse facile farsi benvolere, dicendo sempre di sì.

 

“Se non riesci a cenare prima, ti ho lasciato l’arrosto con le patate in frigo. A dopo, amò, fammi sapere se hai problemi a rientrare.”

 

“A dopo! E riguardati, mi raccomando!”

 

“Ti amo!” le sussurrò dall’altra parte della cornetta e Imma non poté fare a meno di lanciare una rapida occhiata in direzione di Calogiuri, che pareva fissare la strada con una concentrazione assolutamente encomiabile, non fosse stato per il piccolo particolare che erano completamente fermi.

 

Un istinto improvviso la spinse a chiudere di netto la chiamata, confidando che Pietro pensasse che lei avesse già riattaccato da prima che lui pronunciasse quelle due paroline che, in presenza di Calogiuri, la sua lingua si rifiutava categoricamente di ripetere. Non dopo quella confessione nel suo ufficio.

 

Il maledetto silenzio calò di nuovo come una cappa su di loro, per qualche istante che le parve interminabile. Poi, d’improvviso, si voltarono con quel sincronismo perfetto che ormai non la sorprendeva nemmeno più.

 

Gli occhi di Imma incrociarono quelli di Calogiuri e quello che ci vide le provocò una specie di dolore dolce al petto, che ultimamente associava solo a lui, misto ad un nodo in gola, che non voleva andare né su, né giù.

 

Non avrebbe saputo definirlo esattamente quello sguardo… un mix letale di affetto, dolore e rassegnazione che era peggio di una pugnalata.

 

Calogiuri era innegabilmente bello. Fin troppo bello per una come lei, già a vent’anni, figuriamoci adesso che ne aveva più di quaranta. Ma la cosa che l’aveva colpita e conquistata di più in assoluto erano proprio i suoi occhi. Occhi buoni, puliti, limpidi ed incredibilmente senza filtri. Almeno non con lei.

 

E, ogni volta che la fissava in quel modo, cosa che sembrava accadere sempre più spesso nell’ultimo periodo, si era sempre dovuta trattenere a stento dall’abbracciarlo o dal-

 

Una sensazione di calore sotto le dita la ridestò dai suoi pensieri e si accorse che, senza rendersene nemmeno conto, la sua mano destra, spinta da un impulso incontrollabile, si era sollevata fino ad appoggiarsi alla guancia di Calogiuri. Come ipnotizzata, tracciò quella pelle morbida, priva di rughe, dallo zigomo fino alla linea della mandibola, dove un lieve accenno di barba, vista l’ora tarda, cominciava a pizzicarle i polpastrelli.

 

Calogiuri chiuse gli occhi e lo sentì reclinare il viso verso la sua mano.

 

E poi, d’improvviso, li riaprì e si ritrovarono di nuovo occhi negli occhi, per attimi che parvero interminabili.

 

Non avrebbe saputo dire chi si fosse mosso per primo ma, nel giro di qualche istante, si ritrovò schiacciata tra il sedile e la portiera, le mani di Calogiuri tra i capelli, le labbra incollate in quello che definire bacio sarebbe stato come definire la Gioconda un quadretto.

 

Non si era mai sentita così come la faceva sentire lui, mai: il cuore a mille, la testa leggera, il sangue che le rimbombava nel petto e nelle orecchie, ogni singola terminazione nervosa che pareva in fiamme, ogni sensazione che sembrava centuplicata, fino a farle perdere completamente il senno e-

 

Lo strombazzare di un clacson la fece sobbalzare e la riportò bruscamente alla realtà. Calogiuri, paonazzo, si staccò da lei e, con l’aria di chi stava compiendo uno sforzo sovrumano, sciolse le dita dai suoi ricci e poggiò nuovamente le mani sul cambio e sul volante, guidando la vettura per i pochi metri di strada che si era liberata davanti a loro.

 

Annaspando per riprendere fiato, lanciò un’occhiata di sottecchi verso di lui, che ricambiò con uno sguardo altrettanto fugace, quasi imbarazzato.

 

Imma lo sapeva benissimo che secondo l’etica, la morale, ma anche solo secondo il buon senso, ci sarebbe stata un’unica cosa giusta da fare: dirgli che quello che era successo tra loro nell’ultimo periodo era stato uno sbaglio, un momento di follia, di debolezza, che non poteva più accadere, che non doveva più succedere. Che lei amava suo marito e non voleva tradirlo. Che, anche se era terribilmente attratta da lui e gli voleva un bene dell’anima, tra loro non c’era futuro ed era meglio per tutti troncarla ora, sul nascere.

 

Prese fiato più volte, sforzandosi di aprire la bocca, ma le parole semplicemente non ne vollero sapere di uscire.

 

Perché la verità era che non ci credeva nemmeno lei. Era inutile giurare che non sarebbe mai più capitato, quando ogni fibra del suo corpo non desiderava altro che succedesse ancora e ancora, e ancora. Quando, a costo di sembrare una stronza senza cuore, non poteva fingere un pentimento che, almeno al momento, si rendeva conto di non riuscire a provare.

 

Il vaso di Pandora ormai era stato aperto e…

 

“E i cocci, saranno i suoi, Tataranni,” le ricordò all’improvviso la voce di Vitali, presa temporaneamente in prestito da quel che restava della sua coscienza.

 

Imma aveva tanti difetti, tantissimi difetti, ma di una cosa era sempre andata fiera: della sua incapacità di raccontarsi stronzate e di raccontarle al prossimo.

 

E, sebbene la via su cui si stava incamminando fosse lastricata non solo di buone intenzioni, ma anche di inevitabili bugie e di omissioni, almeno con se stessa aveva il dovere di essere il più possibile sincera.

 

Intercettò lo sguardo di lui, vivido e quasi febbrile, pure nella penombra di quel residuo di luce lasciata dal sole ormai tramontato. Uno sguardo a lei ben familiare: quello dell’imputato che attende di conoscere la sentenza.

 

E, nonostante non sapesse se quella che stava per infliggergli ed infliggersi fosse una condanna o una benedizione, con un clic metallico sganciò la cintura di sicurezza, poco prima di afferrargli il viso con ambo le mani e ricambiargli la cortesia, mentre un’esclamazione di sorpresa gli morì sulle labbra.

 

Imma sentì due mani afferrarla con forza per la vita e trascinarla fino a ritrovarsi in equilibrio precario tra il bracciolo e le gambe di Calogiuri, praticamente spalmata su di lui, a baciarsi come due adolescenti.

 

O meglio, come si immaginava si baciassero due adolescenti, visto che lei quel periodo l’aveva trascorso tra i libri e l’isolamento sociale. Niente fidanzati, niente grilli per la testa, e non sempre per sua scelta, anzi. Non aveva mai provato l’ebbrezza delle serate passate a pomiciare, come si diceva allora, sui divanetti alle feste.

 

Si accorgeva solo ora di aver sempre sottovalutato quanto potesse essere bello anche solo baciarsi, così, senza un altro fine, e aveva la sensazione che lei Calogiuri se lo sarebbe potuta limonare - come avrebbe detto Valentina - pure per ore, ore ed ore, fino a consumarsi le labbra.

 

Il suono di un clacson per poco non le provocò un mezzo infarto e si ritrovarono a ridere, labbra su labbra, mentre lei lanciava epiteti irripetibili al cretino che riteneva fosse il caso di strombazzare in questo modo per guadagnare dieci metri di strada, a dire tanto.

 

Almeno finché Calogiuri, non appena raggiunta la vettura che li precedeva, non la zittì con un altro bacio. Ma questo era uno di quei casi eccezionali in cui poteva pure accettare di non avere l’ultima parola.

 

Andarono avanti così per non avrebbe saputo definire quanto tempo, in una specie di strano rituale tra baci, clacson, baci, clacson, baci, clacson, mentre ormai intorno a loro e dentro l’abitacolo c’era buio pesto.

 

E, mano a mano che calavano le tenebre, anche le loro mani iniziavano a muoversi e a vagare con sempre minore controllo, a spingersi sempre più in basso, fino a insinuarsi sotto i vestiti.

 

Percorreva con le dita quei muscoli che aveva sempre potuto solo immaginare sotto le magliette e i pullover, mentre Calogiuri le tracciava scie di fuoco sulla pelle, costringendola ad ammettere che i sogni, pure quelli più spinti, impallidivano di fronte alla realtà.

 

Si sentiva come in una bolla, travolta da un delirio di sensazioni che non riusciva a riordinare, a controllare, a gestire, a-

 

La sensazione inconfondibile del reggiseno che si sganciava la riportò bruscamente alla realtà, giusto il tempo di sfilare le mani dalla t-shirt di Calogiuri e bloccargli le sue prima che fosse troppo tardi.

 

“Forse è il caso che ci diamo una calmata, mo,” esalò a fatica, il fiato corto, incrociando due occhi azzurri in mezzo ad un viso color pomodoro maturo, che precipitarono a terra, imbarazzati, “prima che ci arrestino per atti osceni in luogo pubblico.”

 

“Scusami... non so che mi è preso,” sussurrò, guardandola giusto un secondo ed arrossendo, se possibile, ancora di più.

 

“Non serve che ti scusi, Calogiuri… diciamo che pure io ci ho messo del mio,” ammise, staccandosi da lui a forza e quasi accasciandosi sul posto del passeggero, affrettandosi a riagganciare reggiseno e cintura di sicurezza, nemmeno fosse una cintura di castità.

 

Il silenzio riempì nuovamente gli spazi tra loro, insieme a quella corrente elettrica che ormai si poteva tagliare con un coltello, tanto era densa. L’unico rumore era quello dei loro respiri affannosi, accelerati. La verità è che stare così, l’uno accanto all’altra, senza potersi nemmeno sfiorare, era una tortura che avrebbe fatto confessare perfino il criminale più incallito. E per chissà ancora quanto tempo sarebbero rimasti bloccati lì.

 

Forse era il karma, si disse Imma, il karma e la dimostrazione di come quello che sembra il paradiso possa trasformarsi rapidamente nel peggiore dei purgatori possibili.

 

E se il buongiorno si vede dal mattino…

 

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Era quasi mezzanotte quando finalmente arrivarono a Matera.

 

Calogiuri guidava in silenzio, concentrato sulla strada, le mani che stringevano il volante con fin troppa forza.

 

Ma Imma lo capiva, eccome se lo capiva, perché aveva la netta sensazione che sarebbe bastato un contatto anche minimo per perdere completamente il controllo e condurli al disastro definitivo.

 

Fu con immenso sollievo che riconobbe la via di casa, sollievo che venne però prontamente sostituito da un senso di malinconia all’idea che quella serata, forse irripetibile, stava giungendo ormai al termine.

 

Non poté trattenere un’esclamazione di sorpresa quando Calogiuri arrestò bruscamente la macchina di fronte ad un’abitazione a lei sconosciuta.

 

“Guarda che questa non è mica casa mia,” gli ricordò, sorpresa, pensando che magari gli eventi della serata lo avessero confuso del tutto - e come non capirlo!

 

“Lo so,” le sussurrò, incontrando i suoi occhi per la prima volta da quando erano riusciti finalmente a imboccare la deviazione e uscire dalla provinciale, “è che-”

 

Per un attimo Imma si aspettò che le parole “questa è casa mia” gli uscissero dalla bocca. Davanti ai suoi occhi scorsero, come in un film, una sfilza di scenari vietati ai minori. E pure ai maggiori deboli di cuore.

 

Persa nelle sue fantasie non si accorse, fino all’ultimo istante, delle dita che le afferrarono con dolcezza il viso, trascinandola in un bacio delicato, tenero, quasi evanescente, che finì prima ancora che se ne potesse rendere conto.

 

Si sentì sfiorare le guance ancora per qualche istante, prima che Calogiuri si staccasse del tutto e si rimettesse alla guida.

 

“Davanti a casa tua non avrei potuto salutarti così,” le sorrise, riavviando la macchina, con quello sguardo timido e imbarazzato che lo faceva sembrare di nuovo il ragazzo ingenuo di Grottaminarda.

 

E forse era proprio questo che rendeva così pericoloso Calogiuri. Questo cocktail imprevedibile di ingenuità ed intelligenza, passione e tenerezza, timidezza e carattere, gioventù e maturità. Questo essere contemporaneamente ragazzo ed uomo, questo saperla sempre prendere alla sprovvista e sorprenderla, cosa che ormai non riusciva più praticamente a nessuno.

 

“Allora… buonanotte…”

 

Si ritrovò di fronte a casa, chiedendosi come ci fossero arrivati.

 

“Buonanotte, Calogiuri. Ci vediamo domani in procura.”

 

“Veramente domani è sabato, dottoressa,” le ricordò con un sorriso ed un tono che avevano una nota sorniona e compiaciuta che era meglio non esplorare o rischiava di combinare un macello proprio davanti casa.

 

“Lo so,” mentì spudoratamente, visto che era talmente scombussolata da non essere certa di ricordare nemmeno data e anno, “ma se quello che abbiamo trovato è davvero Vaccaro, io domani in procura ci vengo, sabato o non sabato.”

 

“E allora a domani. Dormite bene, dottoressa,” le sussurrò, ritornando al voi come se fosse la cosa più naturale del mondo ed Imma si chiese per un secondo se non la stesse prendendo per il culo, perché dormire bene, per come si sentiva ora, le pareva assolutamente impossibile.

 

Chiuse la portiera dell’auto con fin troppa forza, prima di fare qualche gesto inconsulto di cui si sarebbe sicuramente pentita - o forse no, il pentimento non era il suo forte ultimamente - e si avviò a rapide falcate verso l’ingresso.

 

Constatò con sollievo che Pietro non era ancora rientrato. Sollievo che divenne un ringraziamento a qualsiasi divinità fosse in ascolto quando, accendendo la luce, si vide nello specchio della camera da letto.

 

Aveva i capelli che parevano un rovo, talmente erano spettinati e arruffati. Il trucco mezzo cancellato e mezzo colato, i vestiti completamente spiegazzati.

 

Se Pietro l’avesse intercettata così, sarebbe stato impossibile nascondergli quanto era successo.

 

Si strappò quasi via i vestiti che avevano ancora addosso il profumo di Calogiuri e, dopo un attimo di esitazione, li buttò in lavatrice e la avviò, nonostante l’ora tarda.

 

Si infilò in doccia e si lavò il più accuratamente possibile, ma la verità è che sentiva ancora quei baci, quelle dita sulla pelle, come marchiati a fuoco, e non c’era sapone che potesse cancellarli.

 

Si era appena infilata l’accappatoio, i capelli raccolti in un turbante, quando Pietro rientrò in casa, annunciandole con orgoglio che avevano miracolosamente vinto e salutandola con un bacio. Un bacio dolce, delicato, appena uno sfiorarsi le labbra, ma che fu come gettare ulteriore benzina sull’incendio che le ribolliva dentro.

 

“Amò, mi sa che mi butto pure io in doccia, che ho sudato da far schifo,” proclamò, gettando il borsone in corridoio ed avviandosi verso il bagno.

 

Imma esitò per qualche secondo, poi decise che, in fondo, ciò che stava per fare sarebbe stato il minore dei reati commessi quella sera.

 

Con passo deciso, nonostante fosse scalza, raggiunse il marito, che si stava ancora spogliando, e lo spinse a forza nella doccia, vestiti e tutto.

 

“Amò, ma che fai?!” le domandò sorpreso Pietro, giusto nel tempo che le ci volle a levarsi turbante ed accappatoio e raggiungerlo sotto il getto d’acqua, zittendolo con un bacio da mozzare il fiato.

 

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“Ma che c’hai stasera? A sapere che il calcetto ti faceva questo effetto, mi sarei allenato più spesso di un giocatore di serie A.”

 

Imma si limitò a sorridere alla battuta del marito, esalata tra un’espirazione e l’altra, il fiato di entrambi ancora troppo corto: per certe evoluzioni non avevano più l’età.

 

In effetti avevano fatto non solo il bis, ma pure il tris. Imma per un attimo era stata tentata di ricordargli che non c’è tre senza quattro, ma poi il buon senso aveva prevalso, suggerendole che non era il caso che Pietro facesse ulteriori sforzi fisici. A parte il fatto che pure lei si sentiva stremata.

 

La verità era che ci aveva provato in ogni modo a spegnerlo l’incendio ma, ogni volta che sembrava essersi attenuato, dopo qualche istante di appagamento ritornava prepotentemente. La prima, la seconda e perfino la terza volta.

 

Tuttora, che sentiva dolere muscoli che non aveva nemmeno mai saputo di avere, quella fiamma era ancora lì che bruciava, appena appena nascosta sotto una lieve coltre di cenere, endorfine ed acido lattico.

 

Si chiedeva se le sarebbe mai riuscito di spegnerla o se avrebbe dovuto imparare a conviverci d’ora in poi, quasi fosse un tacito e segreto presagio dell’inferno nel quale, secondo la maggior parte delle religioni monoteiste, sarebbe stata ormai condannata a bruciare.

 

Il problema principale, in realtà, era che, in cuor suo, Imma lo sapeva benissimo qual era, con ogni probabilità, l’unico sistema antincendio che avrebbe potuto funzionare in questo caso.

 

E non avrebbe saputo dire se questa consapevolezza la eccitasse o la terrorizzasse di più.

 

Forse entrambe le cose in egual misura.

 

Nota dell’autrice: 

In questa storia cercherò di raccontare come, almeno secondo me, il rapporto tra Imma Tataranni e Calogiuri si potrebbe evolvere a partire dal finale della prima stagione.

Cercherò di essere il più realistica possibile e, per questo motivo, questa fanfiction parlerà necessariamente di una relazione extraconiugale. Non voglio dare giudizi di nessun genere su questo tipo di relazioni che accadono spessissimo nella realtà, ma vorrei semplicemente cercare di tratteggiare nel modo più onesto possibile quali siano le conseguenze, negative e positive, per tutte le persone coinvolte.

Trattandosi di una fanfiction, in cui è lecito che possa accadere pure l’impossibile o quasi, vi prometto che alla fine del viaggio ci sarà un happy ending, ma il viaggio sarà abbastanza lungo e con un bel po’ di alti e bassi.

Nei limiti del possibile, compatibilmente con gli impegni di lavoro, cercherò di postare un capitolo a settimana, sempre nel weekend.

Prometto infine che cercherò di rispettare sempre le personalità dei personaggi, pur facendoli gradualmente evolvere. Non ci saranno personaggi solo buoni o solo cattivi ed, in particolare, nessun marito subirà un trapianto di personalità in negativo per giustificare un eventuale tradimento della moglie ;).

Se avete dedicato qualche minuto a leggere questo capitolo vi ringrazio fin da ora ed ogni commento, positivo o negativo, è sempre ben accetto ed utilissimo per spronarmi a migliorare.

Grazie ancora!

   
 
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