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Autore: Diletta_86    10/11/2019    5 recensioni
[Imma Tataranni Sostituto Procuratore ]
Si può resistere a tutto, tranne alle tentazioni.
E se le tentazioni esistono c'è sempre un motivo, forse è l'amore ?!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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La primissima avvisaglia di tempesta la aveva ricevuta durante la trasferta a Roma e, come al solito, aveva deliberatamente scelto di ignorarla. Perché? Perché scorrazzare avvinghiata a lui su un vecchio motorino verde bottiglia, a saltare su tutte le buche della capitale, era decisamente meglio.

Imma Tataranni era conosciuta, a Matera, come una ragazza tutta casa, studio e famiglia. Non aveva avuto quella che si definisce un’adolescenza, era semplicemente fiorita: dall’infanzia alle responsabilità da adulta. Le vie di mezzo non le piacevano nemmeno allora, evidentemente.

La più giovane del suo corso a prendere l’abilitazione: la prima ad entrare in magistratura; una sfilza di record professionali ai quali non si abbinavano quelli sentimentali: aveva sposato Pietro che erano ancora giovanissimi e Valentina era nata quasi subito: dopo pochi anni la passione si era gelata, trasformandosi in una routine affettuosa intervallata da sempre più rari scoppi di fiamma.  Poi in procura era arrivato lui: Ippazio Calogiuri, la sua disgrazia, o forse benedizione.  

Ventun anni appena compiuti, fresco di nomina come sottufficiale nell’arma dei carabinieri, quando Calogiuri era arrivato a Matera le era apparso un cucciolo smarrito e desideroso di protezione; l’aveva preso sotto la sua ala bonaria con le migliori intenzioni, ma queste ultime erano andate a farsi benedire quasi subito, colpa di quello sguardo negli occhi del ragazzo: un fuoco che ardeva sotto la cenere chiara, colore del cielo.
Le avevano parlato dietro per anni, quelle pettegole delle colleghe e le loro cancelliere, dicendo oscenità a riguardo del suo affetto sincero per Calogiuri e lei le aveva ostinatamente ignorate, buttando ogni pensiero nel calderone dell’inconscio.  Tutte puttanate.

-Chi la fa l’aspetti cara mia-, le ripeteva nella testa una coscienza birbante, un fastidiosissimo grillo parlante dalle sembianze mutevoli. Il dannato insetto aveva ragione.

Quella trasferta a Roma, con la scusa delle indagini, era stata la manna dal cielo per lei.  Calogiuri seguiva il corso da ufficiale: le mancava ed a Matera era circondata da un branco di idioti coi quali nessun feeling la accomunava.  “Come si fa a lavorare così”, si era ripetuta almeno un milione di volte, ed alla fine era partita. 

Lui l’aveva aspettata alla fermata della corriera, bello come forse nemmeno si rendeva conto di essere, con addosso un Bomber che faceva troppo Dean Martin ed il suo sorriso migliore.

“Calogiù! Ti trovo bene! “

“Anche voi dottoressa! Anche voi!”, aveva replicato il maresciallo abbracciandola un po’ troppo stretta per dei semplici colleghi, facendo fare al suo stomaco una carambola anticipatoria.
 Era venuto su un due ruote scaciato, che a vederlo con quelle sue spunte quadrate ai lati le ricordava il mostro di Frankenstein, con l’itterizia verde però.

“E’ per via del traffico dottoressa, sennò non ne usciamo mai!”

“Calogiù, io su un motorino non ci sono mai salita in vita mia!”

“Adesso non lo dite più” - bollò il ragazzo mentre le assicurava il casco sotto il mento, professionale ed affettuoso il suo Calogiuri, come nessuno era mai stato con lei. 

Quel disgraziato era partito a gas aperto e senza preavviso, causando un brusco strattone del mezzo e lei che non era per niente ferrata sull’argomento per poco non cadeva all’indietro.

“Vi dovete reggere dottoressa però!” - gridò da sopra il frastuono del motore, afferrandole una mano per portarsela all’altezza dei fianchi – “E stringete, mi raccomando!”

Se era una tentazione quella che le porgeva davanti Imma fu ben felice di coglierla, stringendo ambedue le mani sui fianchi di Calogiuri, gustandosi, perché no, la sensazione degli addominali scolpiti sotto le dita, aggiungendo anzi il carico da undici, poggiandogli la testa su una spalla con aria da adolescente sognante.  Tutti hanno diritto a godersi la vita no? Se avesse potuto vederlo in viso forse non l’avrebbe fatto. Calogiuri sorrideva sornione, non sembrava quasi lui.

Il resto della missione si dipanava in una serie di ricordi confusi di rose, serenate col sax e giganteschi buchi investigativi nell’acqua. Due giorni dopo Imma aveva fatto ritorno a Matera con uno strano senso di vuoto allo stomaco e poco o punto da portare al dottor Vitali che ormai era convinto del suo stato di allucinata paranoide.

Alla fine, quel caso lo avevano risolto, sempre assieme lei ed Ippazio, ma il loro rapporto ne era rimasto turbato, lui si era sentito colpevole della sbandata presa per l’indagata, umiliato dal doversi mostrare vulnerabile agli occhi di lei; che dal proprio canto si era sentita una stupida per non essere riuscita a proteggerlo come aveva sempre fatto.  

Eppure, ne erano usciti, forse più forti di prima, sicuramente cambiati nei modi. Adesso non c’era ingenuità nelle movenze del maresciallo, tutte deliberate ed in piena scienza e coscienza. Calogiuri aveva intuito di provocarle qualcosa e non perdeva occasione per giocare sul filo di lana con lei.

Imma dal canto suo si era scoperta attratta da quel ragazzo come non credeva fosse possibile per una donna sposata con prole. Desiderava i suoi baci, e non solo quelli, sforzarsi di negarlo le costava ogni giorno di più. Quegli occhi azzurri erano diventati la sua croce e delizia ed alla fine era successo: l’inevitabile crisi.

Stavano seguendo un caso particolarmente toccante, in cui erano implicati minori e situazioni familiari al limite.  Un ragazzino mancava da casa e loro stavano seguendo una segnalazione d’avvistamento dentro una delle tante grotte che cos’ bene rappresentavano il territorio di Matera  e provincia.

“Voi state dietro di me...”  - le aveva sussurrato prima di addentrarsi nella penombra ed Imma aveva obbedito, conscia dei suoi tacchi a spillo e del soprabito rosa confetto che faceva di lei un bersaglio mobile. Per fortuna l’interno sembrava tranquillo e disabitato, così si erano rilassati un poco, mettendosi separatamente alla ricerca di indizi della presenza del bambino. 

Come in un film le loro mosse li avevano condotti ad una danza speculare e convergente, finendo con il farli riunire al centro esatto del tunnel, nell’assoluta oscurità. Sovrappensiero Imma aveva fatto luce innanzi a sé per vedere, scatenando lo stormo di pipistrelli che evidentemente abitava quel luogo.  Imma aveva gridato, terrorizzata dall’idea che le si impigliassero tra i ricci rossi sciolti ed arruffati dal vento. In un goffo tentativo di fuga era inciampata, probabilmente rompendosi un tacco. Già si vedeva spacciata: a letto 40 giorni col gesso di una caviglia rotta; si era dimenticata di Ippazio.

Il maresciallo era scattato su al suo gridolino, veloce come una pantera nella notte, tre passi e l’aveva raggiunta, protendendosi fulmineo per sorreggerla nella caduta, portando entrambi al sicuro, accucciati per terra, ma fin troppo avvinghiati perché non vi fossero conseguenze.

Quando Imma aveva riaperto gli occhi si era trovata a mezzo centimetro dal naso di Calogiuri, sin troppo cosciente del respiro affannato di lui. Per attimi che le erano parsi eterni erano rimasti così, in assoluto silenzio e contemplazione. Alla fine, avevano dovuto rialzarsi, sicuri che i colleghi di lui stessero sopraggiungendo spaventati dal grido. 
Calogiuri l’aveva aiutata a rimettersi in piedi, disgraziato, tirandola su di peso, praticamente appicciandosela addosso nel farlo, senza scostare il viso dal suo di un millesimo. Imma era sicura che se ci fosse stata abbastanza luce l’avrebbe visto ridere soddisfatto.

Da lì il tracollo era diventato un’escalation di eventi e sogni bollenti da parte di entrambi, che si riversavano in una tensione sempre maggiore durante il lavoro.  Alla fine, erano esplosi, gridandosi addosso come la peggiore coppia in crisi. C’era voluta la morte del povero ragazzino che stavano cercando per farli trovare ancora vicini, seduti nel silenzio dei corridoi della procura: in lacrime lei, palesemente colpevole lui che gli si era seduto a fianco in silenzio mentre lei voltava il capo ad occhi chiusi, forse rimembrando quel calore affettuoso che avevano condiviso alla grotta.

Calogiuri non aveva resistito, commosso dal vederla per la prima volta vulnerabile dinnanzi a lui. Lentamente, quasi tremando, aveva posato una mano sopra la sua, in un gesto di vicinanza e solidarietà, ma non gli era bastato, aveva osato di più, allungando la mano fin su, sulla guancia umida di pianto della donna, fermandosi un istante ad infondere calore al viso, sempre senza smettere di fissarla negli occhi, adesso aperti e  pienamente coscienti di chi avevano davanti, Nemmeno quello era stato sufficiente, i non detto erano ancora troppi; doveva farle capire che sapeva che non era sua madre, o sua sorella, o semplicemente il suo capo; così aveva lasciato che un dito si staccasse dal resto della mano, andando a sfiorarle le labbra perfettamente dipinte, socchiuse nell’affanno di chi ha smesso da poco di piangere.
Era lì che la sua Imma lo aveva sorpreso, non solo lasciandolo fare senza interromperlo, ma prendendo parte a modo suo all’azione, lasciando un minuscolo, così piccolo da fargli quasi pensare di esserselo sognato, morso sul polpastrello ormai in procinto di allontanarsi da lei. 

Fare finta di nulla non era proprio possibile. Un sentimento nuovo e sconosciuto si era palesato nel cuore del maresciallo, perseguitandolo con crisi di gelosia, irritabilità e desiderio di ricreare condizioni favorevoli per averla vicino; perché lei lo evitava... deliberatamente e coscienziosamente, anche se poi la coglieva nell’atto di fissarlo, convinta di non essere vista, con lo sguardo perso nel vuoto.

Un mese più tardi Calogiuri si era infilato nell’ufficio di Imma con una pila di fascicoli da esaminare, tutto nella regola, era abitudine vederlo lì in attesa d’udienza e nessuno vi dava un peso particolare. Se ne stava pacato a fianco alla finestra quando gli cadde l’occhio su una foto ribaltata sulla mensola alle spalle della scrivania.  Curioso la prese, notando che era del marito della Tataranni, Pietro.  Per poco non scoppiò in una fragorosa risata di vittoria rischiando di farsi scoprire da tutti.

Lentamente rimise giù la cornice, tornando alla finestra giusto prima che lei aprisse la porta.

“Oh! Calogiuri buongiorno.”

 Dal tono della voce era chiaramente stupita di trovarlo lì, ma quando lui si voltò si era già ricomposta. Indossava un vestito a pois colorati su fondo blu e degli stivali al ginocchio col tacco, i capelli rossi sciolti in boccoli disordinati. Era bella da mancare il fiato, e lui non sapeva più come fare.

Entrambi si gettarono a capofitto nelle loro mansioni, redigendo atti, riassunti e riordinando prove e fascicoli, in silenzio, con un affiatamento che era difficile vedere. Finirono che ormai era pomeriggio inoltrato.

“E’ per momenti come questi che lavoriamo vera dottoressa?” - disse interrompendo il silenzio ovattato del loro lavoro, costringendola a voltarsi con un’espressione stupita e felice.  Annuì, lasciandolo proseguire.

“ E’ come una droga sapete ? E per la prima volta da un po’ mi sento finalmente rilassato... in pace “
 
Che cosa aveva detto dopo, adesso nemmeno se lo ricordava più, i flash che la mente mandava erano per lo più degli occhi di lei: prima dubbiosi, poi emozionati ed infine ardenti mentre gli si avvicinava, ordinandogli di dimenticare quel che stava accadendo proprio l’istante prima di afferrarlo per il volto e baciarlo, tacitando un suo verso sorpreso.

Un bacio a stampo, piccolissimo, come un premio per quella sua dichiarazione, quello era ciò che Imma aveva pensato di donargli, ma Calogiuri non ci era stato, rilanciando la posta quasi istantaneamente dopo che lei si era staccata, riafferrandola, infilandole le mani a pieni palmi tra i capelli per baciarla ancora, di schianto, facendole perdere l’equilibrio ed il senno. Era caduta indietro, finendo contro il mobiletto a parete, senza che lui accennasse ad un tentennamento, anzi, approfondendo ulteriormente quel bacio che ormai segnava il confine dell’abisso.

Di nuovo le mani di lui a sfiorarle le labbra già socchiuse in un intreccio bollente di lingue.

“Tu sei pericoloso Calogiù” - aveva soffiato, dimentica dei suoi intenti casti, godendosi a pieno le mani di lui che scivolavano in basso, sollevandola di peso, sbattendola sul piano della scrivania senza troppi riguardi.
La ragione ha ragioni che il cuore non conosce.
 
E se non fosse stato per il brusco suono del cellulare arrivato a distrarla Imma avrebbe lasciato che le cose andassero come dovevano andare, perché anche lei era stufa di fingere.  Invece era il telefono del maresciallo a squillare, quindi furono costretti a dividersi, ansanti e tremanti come due giovincelli ai primi bollori. Ippazio andò a rispondere senza staccare un attimo gli occhi da lei, che doveva sembrare un leone in gabbia coi capelli al vento e il vestito sgualcito. 

Lo sentì ricevere il rapporto di qualche nuovo evento delittuoso e rispondere a monosillabi al suo sottoposto.  Infine, riattaccare.

“C’è stato un omicidio dottoressa…dobbiamo andare. “

Imma annuì in silenzio, raccogliendo le sue cose e avviandosi verso la porta. Era quasi arrivata alla maniglia quando lui la strattonò da dietro per un braccio, attirandola a sé possessivo

“Ma non crederti che io ti lasci andare…”

Imma deglutì, imbambolata, mentre un sorriso spuntava da solo sul suo viso.
   
 
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