Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: LionConway    11/11/2019    2 recensioni
Alfredo è figlio di ricchi proprietari terrieri.
Olmo proviene da una famiglia di contadini.
E negli anni tra la Grande Guerra e il Fascismo si dipana la loro amicizia tormentata. Ma forse è molto di più di un'amicizia. Forse è qualcosa di inspiegabile, qualcosa che li lega insieme e li distrugge. Perché sono da sempre su fronti opposti, Olmo e Alfredo. D'altronde, come può il padrone amare il servo?
No, non poteva essere morto. Non se l'era mai bevuta quella voce secondo la quale era stato ucciso in un'imboscata dei tedeschi, mentre combatteva sulle montagne. Non Olmo, no. Alfredo lo avrebbe saputo. Alfredo lo avrebbe sentito, esattamente come aveva sentito ogni singola ferita inflitta sul corpo di Olmo nel corso della vita. Ogni colpo, ogni taglio, ogni bruciatura.
Avevano condiviso il primo, traumatico respiro.
Forse avrebbero condiviso anche l'ultimo.

Questa storia partecipa alla Soulmate Challenge indetta sul gruppo facebook Il Giardino di Efp.
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

5.

Che roba, Contessa, all'industria di Aldo 
Han fatto uno sciopero, quei quattro ignoranti 
Volevano avere i salari aumentati, 
Dicevano, pensi, di essere sfruttati. 
E quando è arrivata la polizia 
Quei quattro straccioni han gridato più forte 
Di sangue han sporcato i cortili e le porte 
Chissà quanto tempo ci vorrà per pulire

Modena City Ramblers - "Contessa*" 
 

11 Novembre 1919 
 

 

I passi di Alfredo riecheggiavano tra le mura e gli alti soffitti di Villa Berlinghieri. Il mantello che indossava in occasione della caccia alle anitre di San Martino frusciava contro le sue cosce bardate dalle brache, e i tacchi dei suoi stivali schioccavano contro le piastrelle di marmo mentre, con passo risoluto, percorreva i corridoi del piano terra. 
"È vero che vuoi licenziare Oreste?" esclamò, piombando nello studio di suo padre. 
In piedi tra la scrivania e Attila Melanchini, Giovanni Berlinghieri era intento a caricare due fucili, prelevati da una teca in un angolo della stanza. 
Il fattore si era voltato in direzione di Alfredo, torcendo subito la bocca nel suo famigliare ghigno che ne metteva in mostra i larghi incisivi. Somigliavano a vere e proprie fauci, sposate con un paio d'occhi a palla dal colore gelido dei ghiacci. Alfredo alzò il mento, sostenendo quell'occhiata: Attila poteva fare lo sbruffone quanto voleva, ma prima o poi avrebbe potuto disporre di lui come più desiderava. Anzi, già stava pensando a come sbarazzarsi di lui. Non gli conveniva inimicarsi il figlio del padrone prima che ereditasse la proprietà. In quanto a Giovanni, si limitò a sollevare gli occhi sul figlio per mezzo secondo, prima di scuotere la testa e tornare a degnare d'attenzione la micidiale arma che avrebbe terrorizzato stormi d'anitre, riducendole a un pasto succulento da consumare in casa. 
"Vedo che ancora ti delizi con la compagnia dei villani" ridacchiò. "Dovresti stare attento a ciò che senti uscire dalle loro bocche. Ogni anno vogliono sempre di più, pretendono sempre di più e a quel punto verrano a chiedere la tua, di pellaccia. Smettila di prestare favori a chi lavora per te. Non sei loro amico." 
"È vero o no, allora?" s'impuntò Alfredo, come se non avesse udito neanche una parola pronunciata dal padre. Quando sarebbe arrivato il momento, ci avrebbe pensato lui a come gestire le cose. 
Finalmente, Giovanni sollevò il mento. Padre e figlio si scambiarono uno sguardo penetrante, ma nei loro occhi così simili si poteva leggere un'aria di sfida. 
"Sì, le tue orecchie da cane pastore hanno udito bene" ammise Giovanni. Si chinò leggermente in avanti, posando i palmi delle mani sul ripiano della lunga scrivania in legno di quercia. "È stato un anno disgraziato, questo. Bisogna andare sul risparmio. Grosse macchine che lavorano al doppio della velocità, braccia giovani e vigorose che inseriscono l'olio nei stantuffi." 
"Braccia come il tuo amico Dalcò" sogghignò Attila. "Scommetto i miei testicoli che è stato lui a metterti questa pulce nell'orecchio. Magari proprio per farti venire a piagnucolare da tuo padre." 
Gli occhi di Alfredo si mossero truci a incontrare quelli freddi del Melanchini. Doveva prenderla come una provocazione? 
"Olmo non è uno che manda gli altri a farsela dire" ringhiò. "Qualcuno non ha avuto il suo osso da rosicchiare stamane, Attila?" 
Le labbra del fattore si serrarono come se avesse inghiottito un limone. 
Dentro di sé, Alfredo gongolò, tornando a rivolgersi a suo padre. Giovanni si sistemò la fascia con le cartucce sul petto e indossò la sua lunga e pesante pelliccia, ricavata da una volpe che aveva abbattuto lui stesso. La pelliccia del padrone, così la chiamava austeramente lui. 
"Non puoi farlo!" protestò il giovane. "Il suo contratto scade tra un anno! Gli stai rubando un anno di lavoro!" 
"E tu da quando ti interessi di come funzionano i contratti?" 
Adesso Giovanni lo fissava in cagnesco, stringendo saldamente uno dei fucili da caccia tra le mani. Alfredo digrignò i denti, mentre suo padre si piazzava a pochi centimetri dal suo viso. Da quella distanza ravvicinata, Alfredo era in grado di contare ogni ruga che solcava la fronte e gli zigomi dell'uomo: cominciava ad invecchiare. 
"Non ficcarti in mezzo a questa faccenda" sibilò Giovanni. "Guarda come si fa il padrone, una volta tanto. Impara a liberarti dei pesi morti. Pugno saldo e testa alta. È così che si comanda." 
Alfredo abbassò gli occhi quando sentì la lunga canna del fucile premere contro il suo petto. L'afferrò, avvertendo tra le dita l'adrenalina nello stringere un tale strumento di morte. Non era mai stato un grande amante della caccia. Suo zio Ottavio gli aveva insegnato ad avere rispetto per chiunque e per tutto ciò che lo circondava, animali compresi. Baggianate, così lo aveva liquidato Giovanni, prima di trascinarsi appresso il figlio nei boschi dietro i campi e insegnargli a sparare alle quaglie. La prima volta che ne aveva uccisa una, Alfredo aveva pianto. 
Avvertì la mano di Giovanni riservargli un buffetto sul bicipite e, per un attimo, il giovane Berlinghieri si illuse di aver appena assistito a una dimostrazione d'affetto da parte di suo padre. 
Illusione che svanì rapidamente quando lui afferrò la propri doppietta e si diresse alla porta. 
"Fatti trovare al molo sul fiume tra un quarto d'ora. Abbiamo ospiti, quest'oggi." 
Così dicendo, si dileguò nel corridoio, con Attila che gli zampettava alle calcagna. 
Alfredo avvertiva uno sgradevole tremare dei propri arti, lo stomaco contratto. Istintivamente, volse la testa alla parete dietro la scrivania, incontrando gli occhi di suo nonno che indugiavano senza vita su di lui dal ritratto lì appeso. Il vecchio Alfredo si sarebbe rigirato nella tomba se avesse visto con quale pugno di ferro suo figlio portava avanti l'attività di famiglia. Il ragazzo rimembrò una sera di quando era piccolo, quando era rimasto chiuso dentro gli appartamenti dei Dalcò perché Giovanni si premurava, ogni notte, di serrare a doppia mandata le porte delle loro abitazioni, alla stregua di tanti animali in gabbia. 
Dentro di sé, Alfredo avvertiva crescere quel familiare bisogno di fuggire a gambe levate dalla villa e trovare conforto tra le braccia di Olmo. Di arrampicarsi con lui fino alla soffitta della cascina, sdraiarsi nel loro angolino e parlare con gli occhi rivolti alle travi adornate di ragnatele. E poi quel desiderio più maturo, più adolescenziale di sfiorarsi le dita, di incrociare le gambe, di rubarsi baci proibiti. 
Scosse la testa, riscuotendosi dai propri pensieri: Olmo avrebbe avuto una bella gatta da pelare, quel giorno. Oreste Dalcò era stato come un padre, per lui, quasi quanto nonno Leo. E se conosceva Olmo almeno la metà di quanto credesse, era certo che si sarebbe opposto con tutte le sue forze alla cacciata di quel buon uomo. 
Alfredo uscì dallo studio, attraverso la porta che si affacciava sull'atrio. Una folata di vento novembrino gli giunse dal portone spalancato, spingendo foglie rinsecchite contro le punte dei propri stivali e facendo svolazzare il suo mantello intorno ai suoi polpacci. Sostò per qualche attimo sull'uscio, cercando i guanti nella bisaccia che portava al collo e contemplando il grigiore in cui era immerso il vialetto d'accesso. Di fronte a lui, si ergevano alberi quasi ormai del tutto spogli, esausti e pronti al lungo sonno prima del risveglio di primavera. Non vi sarebbe stata alcuna estate di San Martino, quell'anno: ormai l'inverno pareva sempre più deciso ad avanzare tra le steppe della Pianura Padana. 
Ad Alfredo tornò in mente quella poesia che gli aveva insegnato il suo tutore quando era ragazzino. La nebbia a gl'irti colli -non diceva qualcosa anche a proposito di un cacciatore? 
Regina sbucò da dietro un angolo dell'abitazione, indossando stivali poco consoni a una signora, che calpestavano il manto di foglie rossastre sotto i suoi piedi. Anche lei portava un mantello, di color verdognolo, un ridicolo copricapo in pelliccia ed era a sua volta armata di fucile. "Che guardi, cugino?" 
"Lo spiedo scoppiettando!" esclamò Alfredo, colto alla sprovvista. 
"Ma cosa blateri?" 
"La poesia, ricordi? Quella su San Martino. Ce l'avevano insegnata da piccoli." 
Indossati i guanti, Alfredo riprese in mano il fucile che aveva appoggiato contro il muro e scese gli scalini d'ingresso. Regina gli trotterellò a fianco. 
"Gira su' ceppi accesi lo spiedo scoppiettando" recitò "sta il cacciator fischiando, su l'uscio a rimirar..." 
A rimirar cosa? Alfredo non riusciva a ricordarsi cosa venisse dopo. 
Sbuffò, infastidito, quando Regina si attaccò al suo braccio mentre camminavano. 
Procedendo sul sentiero in mezzo ai campi, sui quali era stata da poco completata la semina, i due cugini si ritrovarono presto a camminare dietro i carri di mezzadri costretti a trasferirsi presso nuove cascine. 
Regina trovava la cosa apparentemente esilarante. 
"Ah! Guardali!" esclamò, puntando il dito in direzione di un carro. "Fèr Sàn Martèin! Fèr Sàn Martèin!
"Chiudi la bocca, disgraziata!" la rimproverò Alfredo. 
Si tolse dal sentiero sterrato, trascinandosi dietro Regina giù per il pendio. Si mossero parallelamente alla strada, incespicando tra gli arbusti del fossato. Alfredo udiva le proteste e gli sbuffi di sua cugina alle proprie spalle. Ignorandola, continuò a procedere senza perdere d'occhio i carri quando, più in lontananza, scorse una diramazione della strada che scendeva verso il fiume. Al bivio, dove sorgeva un'abitazione in pietra, vide Olmo che cercava di far calmare Oreste. Il contadino stava urlando qualcosa in lingua emiliana, spogliandosi dei propri vestiti e gettandoli a terra, un capo per volta. Dietro di lui, Olmo li raccoglieva e gli strattonava il braccio nel tentativo di tirarlo indietro. 
Alfredo volse lo sguardo in direzione del fiume, scorgendo una fila di imbarcazioni. I padroni, che quella mattina avevano completato il rinnovo dei contratti, avevano ufficialmente dato inizio alla battuta di caccia all'anitra. Su una delle barche, Alfredo vide suo padre insieme ad Attila e al signor Pioppi, il proprietario dell'azienda vinicola vicino ai Berlinghieri. Su un'altra imbarcazione, scorse il signor Campanini che agitava le braccia, brandendo il proprio fucile. Giovanni ghignava, come a sfidare le imprecazioni di Oreste. 
Alfredo si fermò al limitare del fosso, dove il pendio risaliva verso il selciato, e si sistemò la bisaccia al collo. Insieme a Olmo e alla famiglia di Oreste, scorse Anita, una mondina dai boccoli biondi, rifugiata di guerra, la cui compagnia aveva allietato fin troppo spesso il suo amico, nell'ultimo anno. Alfredo sentì crescere in lui una vampata di gelosia sciocca e travolgente: odiava come si sentisse trascurato da Olmo da quando lui aveva conosciuto la ragazza. La detestava in quel momento che si appiccicava al suo braccio robusto, così come l'aveva detestata tutte le volte in cui Olmo aveva cominciato a parlargli di lei con lo sguardo sognante, smarrito in chissà quali fantasie. 
"È intelligente" continuava a ripetere la settimana prima, "una maestra. È la prima volta che c'ho una morosa istruita." 
"E io che cosa sono, un tonno ignorante?" avrebbe voluto commentare Alfredo, invece si era limitato a grugnire e ficcarsi in bocca l'ennesima caldarrosta, procurandosi, oltre al malumore, pure una spiacevole dissenteria. 
Dietro di lui, Regina prese a scuoterlo per le spalle, facendolo sussultare: si era quasi dimenticato della sua presenza. 
"Che c'è?" sbottò, voltandosi verso di lei. 
Sua cugina indicò la strada principale. "Alfredo, guarda!" 
Allungando il collo oltre Regina, Alfredo scorse uno squadrone di uomini in divisa che avanzava a cavallo verso l'abitazione. 
Alle sue spalle, in lontananza, udì suo padre gridare: "Adesso ci pensano le Guardie Regie a fargli fare un bel San Martino! Vedrai come corrono!" 
Il ragazzo trattenne il respiro, mentre osservava il Capitano e un'altra Guardia distaccarsi dallo squadrone e trotterellare fino al bivio. 
"In nome della legge" esclamò, fronteggiando Olmo, Anita, Oreste e tutti gli altri suoi famigliari, donne e alcuni bambini. "Via dalla casa!" 
Oreste, che si era rivestito, non si lasciò intimidire. 
"Dove li faccio dormire i miei figli, sotto i ponti?" protestò, avanzando di qualche passo. 
"Dormiranno in galera, se non fai fagotto." 
"Buttaci i padroni, in galera, che non rispettano i contratti!" 
Alfredo avvertì un brivido corrergli lungo la spina dorsale nell'udire Olmo così virile e risoluto di fronte alle autorità. 
Udì il Capitano delle Guardie ripetere "In nome della legge..." 
"Legge, legge, quale legge?!" urlò Olmo, infuriato, prima che anche Anita prendesse la parola. 
"La legge è con noi! Il contratto di Oreste scade tra un anno! I padroni vogliono rubargli un anno di lavoro!" 
Ecco, finita la magia pensò Alfredo, sbuffando dalle narici. Non aveva idea di quanto si sbagliasse. 
Il Capitano e il suo compagno fecero dietrofront, tornando in direzione dello squadrone per prepararsi all'attacco. Olmo e Anita non se ne rimasero con le mani in mano e, approfittando del viavai di carri, cominciarono a correre avanti e indietro, rivolgendosi ai contadini, invitandoli a resistere e aiutare il loro compagno. 
Alfredo non staccò gli occhi da Olmo nemmeno per un attimo. Lo guardò correre lungo il sentiero, gridando a squarciagola: "Questa legge vigliacca che protegge sempre i padroni! Sempre loro, protegge! Avanti, compagni, scendete! Basta con San Martino, questo è l'ultimo che facciamo!" 
Alfredo sobbalzò quando avvertì il dorso della mano di Regina sull'angolo della bocca. 
"Scusa" ghignò lei "Stavi un po' sbavando! Ti piace quel bolscevico, eh?" 
"Ah, va' al diavolo!" 
Alfredo si rimise in spalla il fucile e si arrampicò su per il pendio. Attraversò velocemente il sentiero, cercando di non farsi notare dai Dalcò, e scivolò in fretta in direzione del fiume. A metà strada, si voltò e continuò a guardare lo spettacolo che gli si presentava davanti. 
Olmo e Anita avevano fatto scendere più persone possibili dai carri. La ragazza stava raggruppando le donne, incitandole a resistere ed essere coraggiose. Olmo guidò gli uomini dietro la casa ad afferrare dei lunghi pali di legno. 
Nel frattempo, le Guardie Regie, con le spade già sguainate, erano sempre più vicine, sempre più imponenti. 
Fu allora che accadde. Le mondine, serrando i ranghi, presero a cantare. 
"Sebben che siamo donne, paura non abbiamo! Per amor dei nostri figli, in lega ci mettiamo!
Cantavano a più non posso, le loro voci concitate che si facevano sempre più alte fino a soffocare il rumore degli zoccoli di tutti quei cavalli. 
"A oilì oilì oilà, e la lega crescerà! E noialtri socialisti vogliam la libertà! 
La libertà non viene perché non c'è l'unione! 
Crumiri col padrone 
Son tutti da ammazzar!
Alfredo batté le palpebre più volte, incredulo. Non aveva mai assistito a uno spettacolo del genere. Per un attimo, un brevissimo istante, provò addirittura ammirazione per quella gallinaccia di Anita. La vide inspirare profondamente, portarsi le mani ai lati della bocca e sbraitare: "Dovrete ammazzarci tutte! Di qui non passerete!" 
Le Guardie a cavallo tentennarono. 
Le mondine si sedettero. Si sdraiarono per terra. 
Dietro di loro, gli uomini, con Olmo in prima linea, cominciarono a fischiettare lo stesso motivetto popolare, colpendo il selciato con i lunghi bastoni di cui erano armati. 
Le donne ripresero a cantare. 
Allorché il Capitano, con il proprio cavallo che impennava, riposò la la propria spada nel fodero e diede l'ordine di ritirarsi. 
Ancora, Alfredo non riusciva a credere ai propri occhi. Eppure, era tutto davanti a lui. I rappresentanti di una legge dura e a volte ingiusta che se la davano a gambe e i contadini morti di fame che esultavano per quella battaglia appena vinta. Si portò una mano al cuore, avvertendo un eccesso di felicità ghermirgli il petto e si domandò se fosse una sensazione sua o di Olmo. Gli piaceva pensare che potesse provare anche la sua allegria, non solamente il suo dolore. 
Gli altri padroni, evidentemente, non erano dello stesso avviso. 
Alfredo si ritrovò malamente spintonato di lato. Era stato Campanini che, ringhiando, si arrampicava su per il sentiero con passo goffo e infuriato. Giovanni lo seguiva. Mentre passava accanto ad Alfredo, suo padre gli riservò un'occhiata colma di astio. 
"Codardi!" si sgolò Campanini, rivolto alle Guardie Regie che trottavano via. "È così che ci difendete? Ma adesso gli faccio vedere io, gli faccio vedere!" 
Brandì il fucile e la canna della doppietta si puntò in direzione dei contadini. In direzione di Olmo. 
"No! NO!" 
Alfredo si mosse in avanti, correndo, ma perse l'equilibrio e cadde lungo disteso sul terreno. Chiuse gli occhi e si preparò ad avvertire il dolore lancinante di un proiettile che lo trapassava da parte a parte.  
Il colpo sordo partì ma il male non venne. La pallottola era andata a vuoto, troppo in alto, spaventando solamente uno stormo di uccelli. 
Uccelli neri
Alfredo ricordò improvvisamente la fine della poesia. 
Prima che Campanini potesse fare ulteriori danni, Giovanni gli afferrò il fucile e lo strattonò. 
"Ti ha dato di volta il cervello?" sbottò. "Vieni via. Vieni via, non fare lo stolto! E tu! Alzati, per Dio!" 
Per una volta, Alfredo ubbidì al padre. Se ne pentì quando lui lo costrinse verso il fiume insieme a Campanini. 
"Ti avevo detto di farti trovare alle barche" ringhiò Giovanni, mentre camminavano con passo quasi militare. "Perché non mi stai mai a sentire?" 
Alfredo girò la testa all'indietro, verso i contadini che ancora cantavano e sbeffeggiavano i padroni. Incontrò per qualche attimo lo sguardo di Olmo, prima che lui si voltasse verso Anita per sorriderle. 
Anche Alfredo distolse gli occhi. 
"Stormi d'uccelli neri" recitò a bassa voce, mentre lui, Giovanni e Campanini, che ancora bestemmiava sottovoce, raggiungevano le barche. "Com'esuli pensieri, nel vespero migrar."

Anche il cielo l'hanno chiuso, è riservato 
L'ingresso è per i soci, è un circolo privato 



🌹 ANGOLO AUTRICE 🌹 
 

* si ringrazia Shilyss per avermi ricordato l'esistenza di questa meravigliosa canzone. 

Ma salve, salvino! Questo capitolo sta su Wattpad già da parecchio, ma qui su EFP ho voluto aspettare di pubblicarlo esattamente il giorno di San Martino, come se oggi fosse una specie di centenario di quanto accaduto in questa parte, eheheh. 
Dunque, come avete visto ci sono state delle piccole modifiche. Anzitutto, la prima parte dell'Atto I è stata quasi del tutto riscritta. Inoltre, ho deciso di dare suddividere in due parti gli atti che mi vengono più lunghi (come questo), in modo da non appesantire troppo la lettura. Tra l'altro, se avessi aspettato di completare anche la seconda parte, saremmo ancora in alto mare. Lo so, mi faccio odiare per tutte le store che inizio e poi mi incasino! Comunque, sono praticamente a metà della seconda parte... che sarà
moooolto romantica *-*

PRECISAZIONI, come sempre:

- sì, c'è stato un salto temporale di esattamente un anno. Non è né il primo né l'ultimo, perciò tra le varie modifiche ho voluto inserire anche le date in cui si svolge ogni parte. 
- inizialmente, il personaggio di Anita non avrebbe dovuto esserci, ma mi sono detta che, alla fine, le donne di Olmo e Alfredo fossero comunque importanti nella storia (oddio, Anita un po' meno...) e pure funzionali al loro rapporto. Per questo, nelle modifiche al primo capitolo, ho voluto specificare che Alfredo avesse una moglie (che incontreremo più avanti). 
- avrei voluto inserire un'altra scena, in cui i padroni si riuniscono in una chiesa e mettono fondi per finanziare un corpo di sicurezza (che sarebbero poi diventate camicie nere), nella speranza di ristabilire l'ordine. Ma sono pigra e volevo aggiornare. Perciò, la scena verrà citata nella seconda parte. Inoltre, adoravo l'idea di concludere con la poesia di Carducci 💓 
- a proposito di San Martino! La scelta della festività non è casuale. San Martino è il periodo in cui un tempo, dopo alla semina, venivano rinnovati i contratti ai contadini. Se il padrone non assumeva i braccianti per un altro anno di lavoro, questi erano costretti ad andarsene e cercare occupazione in un'altra cascina. Da qui deriva appunto l'espressione Fare San Martino (che avete letto più volte in queste righe) ovvero traslocare. 
- la canzone che cantano le donne è "La Lega", un inno popolare delle mondine 
- La Regia guardia per la pubblica sicurezza (detta anche Guardie Regie) è stato il corpo di pubblica sicurezza che aveva sostituito il Corpo delle Guardie di Città. È stato poi smantellato nel 1922 quando Mussolini lo ha sostituito con la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e l'Arma dei Carabinieri reali

Spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo, io ne sono stranamente entusiasta anche proprio a livello stilistico. 
Continuo, ovviamente, a incoraggiare chiunque legga a darmi un parere e volevo ringraziare sentitamente tutte le persone che seguono gli aggiornamenti di questa storia con gli scambi del Giardino <3 So che c'è qualcuno che apprezza particolarmente questa mia storia e la cosa non può che riempirmi di gioia, grazie per tutte le meravigliose parole che avete sempre da darle, grazie!! 
Vi mando un baciones grande grande e ci vediamo presto (spero) con qualche aggiornamento ❣

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: LionConway