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Autore: moira78    12/11/2019    3 recensioni
Questa storia è il sequel di "Dove volano i miei desideri".
Le coppie sono formate ormai, gli anni passano e le cose cambiano per tutti, nel bene e nel male. La nuova generazione di artisti marziali di Nerima si è appena affacciata al mondo e già dovrà affrontare nuove sfide.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.'
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CAP. 18: SEGRETI E ADDII


Akio sospirò tristemente mentre osservava Daiki appendersi con le braccia su quell'attrezzo che usava sempre il papà e cominciare a tirarsi su con un verso di fatica.

Perché si affannava tanto a fare quell'esercizio se era così difficile? Non era meglio disegnare con i colori nuovi come faceva lui? Voleva fare un disegno bellissimo per Misaki, per quando fosse tornata: gli mancava tantissimo.

Un rumore di passi lo fece voltare e girò il capo per guardare chi fosse, sistemandosi gli occhiali sul naso. La zia Akane sembrava più triste di lui. No, non triste... come si diceva? Preoccupata. Non sapeva bene la differenza, ma era la stessa faccia che avevano gli adulti quando c'era qualche problema da risolvere e la medesima che aveva avuto suo fratello quando erano stati rapiti e si trovavano soli, al freddo, in quel magazzino.

"Ciao, zia Akane", la salutò posando il pastello.

"Ciao, tesoro, cosa stai disegnando di bello?". La sua voce era strana, come quando si sta per piangere.

"Sto facendo un disegno per Misaki. Tu sai quando torna?", chiese, speranzoso che lei avesse qualche notizia in più rispetto ai suoi genitori che non facevano altro che rispondergli: "Presto, non ti preoccupare".

"Non lo so, Akio, ma sono sicura che un giorno tornerà insieme a Shampoo e Mousse".

Il bambino abbassò il capo, deluso: almeno era stata sincera e non aveva detto un generico "presto".

"Cos'hai, zia Akane? Perché piangi?", domandò, curioso.

"Non sto piangendo, sono solo... pensierosa".

Akio inclinò la testa da un lato, riflettendo: "Vuoi dire che sei preoccupata?".

"Voglio dire che...". Sua zia non finì la frase e si morse il labbro.

"Hai un problema?", cercò d'indagare. "Hai la stessa faccia di quando gli adulti hanno un problema e non sanno che fare".

La zia ridacchiò, ma era una risata strana, smozzicata: "Sai, un problema è una cosa fastidiosa, che richiede una soluzione. Quello che ho io... non richiede una soluzione. Ma non so come affrontarlo".

Akio si sentì più confuso di prima. Se non era un problema da risolvere cosa mai poteva essere? "Che significa 'affondarlo'?".

Lei rise di nuovo e gli sembrò fosse davvero divertita stavolta: "Non 'affondarlo', tesoro, quello si dice di una nave o una barca. Ho detto 'affrontarlo'. Si affrontano i problemi, ma anche le situazioni impreviste. E io non credevo di avere... quello che ho. Non so come dirlo a tuo zio e come fare da ora in avanti".

Il bambino cercò di dare un senso alle parole di sua zia, ma gli sembrò che parlasse un'altra lingua o semplicemente che non volesse dirgli le cose come stavano. La guardò e il suo viso, ora, gli sembrava uguale a quello di alcuni pazienti del papà, che arrivavano allo studio con la febbre o altre malattie: "Sei malata?".

A quella domanda, la zia Akane fece una cosa strana: lo abbracciò improvvisamente e cominciò a piangere. A piangere davvero.

***

"Sono venuto a sapere come stai, ma vedo che te la cavi alla grande. Sei riuscita di nuovo ad alzarti in piedi, vero?".

Akari annuì: "Sì, il nonno mi ha vista mentre mi allenavo e mi ha suggerito di fare fisioterapia per rinforzare i muscoli. Oggi sono riuscita a stare dritta per un minuto intero!".

Ukyo ascoltava la conversazione tra Ryoga e Akari sentendosi un'estranea. Stava cercando di metabolizzare la scenata di gelosia del suo ex fidanzato e il fatto che fosse andato lì apposta per vedere come stesse Akari, e si chiese se sarebbe riuscita a scusarsi. Sì perché, per quanto si odiasse per il gesto compiuto, non aveva assolutamente accettato il tentativo di Akari di approfittare della situazione in sua assenza.

I due continuavano a parlare ma lei si estraniò dalle frasi fatte, dai convenevoli e dal chiacchiericcio, che le risultava insopportabile, sugli allenamenti e la fisioterapia di Akari. Forse era una cattiva persona, perché avrebbe pur dovuto sentire pietà e interesse verso di lei, specie ora che la speranza di tornare a camminare era più concreta che mai. La verità era che questa prospettiva la terrorizzava: se Akari avesse ripreso a camminare sarebbe stata sua pari e Ryoga avrebbe potuto sceglierla.

Quel ragionamento le fece venire la pelle d'oca: lui non era certo il tipo da preferire una ragazza a un'altra per le prestazioni fisiche, eppure il fatto che Akari potesse offrirgli le stesse cose che gli aveva dato lei per anni la terrorizzava. Era una contraddizione assurda, ma era così.

"Mi dispiace". Quelle due semplici parole ebbero l'effetto improvviso di destarla dalle sue elucubrazioni, riportandola alla realtà. Ukyo sbatté le palpebre e vide Akari, pur seduta su una sedia, inchinarsi leggermente. Era sicura che quelle scuse non fossero rivolte a lei, ma dovette ricredersi subito. "Voglio fare le mie scuse ad entrambi, visto che ho la fortuna di avervi qui tutti e due".

"Akari...", cominciò Ryoga e Ukyo avvertì una punta di rabbia al solo pensiero che lui potesse contraddirla. Fu Akari stessa, però, a interromperlo.

"No, lasciami parlare, per favore. Ho agito come una persona meschina, approfittando della lontananza della tua fidanzata per avvicinarmi a te. Ho abusato della tua bontà e della tua disponibilità per impormi e questo non è da me". Abbassò lo sguardo, in evidente imbarazzo. Ukyo si chiese se avesse letto nei suoi pensieri di poco prima.

Ancora una volta, quando Ryoga parlò, Ukyo fu fermamente convinta di sentire frasi che non le sarebbero piaciute, incluso il fatidico "non preoccuparti, non è successo niente" o, peggio "non è stata colpa tua". Invece fu sorpresa dalla sua risposta sincera.

"Ero molto frustrato, Akari, non lo nego". Si voltò verso di lei per la prima volta dall'inizio della conversazione, facendola sussultare. "La lontananza di Ukyo mi pesava molto, ma non avevo il coraggio di dirglielo, visto che era così entusiasta del suo viaggio". Alla ragazza parve di cogliere una nota di disprezzo nel suo tono, ma poteva essere benissimo la propria immaginazione a giocarle brutti scherzi, assieme alla visione distorta della realtà. "Ho cercato di ignorare il tuo atteggiamento e quei baci che mi hai rubato quando meno me lo aspettavo, ma non è servito a niente".

Ukyo inghiottì il boccone amaro di sapere che i baci erano stati più di uno e cercò di dominare le proprie emozioni.

"Non volevo illuderti in alcun modo, Akari", continuò Ryoga, "e nello stesso tempo non volevo ferirti. Non è stato facile, per me, e alla fine sono semplicemente esploso". Doveva riferirsi a una lite che era avvenuta tra loro.

"Avevi ragione ad essere arrabbiato. Quelle cose che mi hai rimproverato... erano vere. Non ho mai accettato veramente la mia condizione e volevo disperatamente fare una vita normale accanto a colui che...", le scoccò un'occhiata imbarazzata e Ukyo distolse lo sguardo, a disagio, "...insomma, lo sai. Non credevo che sarei mai diventata quel genere di persona, mi vergogno di me stessa".

Ryoga le prese le mani e Ukyo tese i muscoli per alzarsi e andarsene, ma rimase congelata sulla sedia, impotente e con il cuore sempre più a pezzi.

"Io ti voglio bene, Akari, sei una delle mie amiche più care e i Kami solo sanno cosa darei perché tu torni ad essere quella di prima. Ma stai già affrontando le cose nel migliore dei modi, quindi ritrova il rispetto per te stessa e perdonati per questo errore. Io l'ho già fatto".

Fissò il ragazzo che amava così disperatamente e si rese conto che non stava dicendo tutta la verità. Forse, le ferite che Akari gli aveva inferto gli bruciavano ancora, ma voleva che lei fosse tranquilla e continuasse per la sua strada. Oppure, semplicemente, si stava innamorando di nuovo di lei e non voleva che le rimanessero sensi di colpa.

"Grazie, Ryoga", rispose accorata, stringendo a sua volta le mani di lui.

Ukyo scattò in piedi: non poteva sopportare oltre, il suo corpo fremeva dal desiderio di fuggire, allontanarsi da quei due il prima possibile. "Bene, io accetto le tue scuse e ti faccio di cuore le mie. Nessuna persona al mondo, e in particolare un'artista marziale, dovrebbe mai abbassarsi a compiere gesti come quello che ti ho rivolto io. Ti chiedo umilmente perdono, non sapevo quello che facevo". S'inchinò, sperando che Akari non notasse la sua urgenza di andarsene.

Con sua sorpresa, la ragazza le sorrise e disse: "Lo avrei fatto anche io se si fosse trattato del mio fidanzato. Ne avevi tutto il diritto".

Ukyo scosse la testa con vigore: "No, invece! Io, tu...".

"Hai colpito l'inerme paralitica con una spinta facendola rovinare al suolo. Questo è il gesto disdicevole che ti rimproveri, vero? Convengo con te che non sia proprio il massimo, ma vista la situazione me lo meritavo e mi ha aiutata a scuotermi, a farmi capire che dovevo concentrarmi sugli allenamenti per rimanere in piedi e affrontare chiunque senza più cadere. Quando sarò pronta, potremmo scontrarci in una sfida amichevole, che ne dici?". Le tese la mano e Ukyo la guardò, come inebetita.

Mentre gliela stringeva, suggellando il patto, si rese conto che aveva davanti una ragazza straordinaria, nonostante tutto, e che forse era stata persino peggiore di lei, in alcuni momenti.

"Bene, visto che tutto è chiarito e ci siamo riappacificati, io me ne andrei", disse Ryoga alzandosi a sua volta. Lo fissò, ancora una volta. Era tutto lì? Non doveva dire altro ad Akari? O a lei?

"Buona fortuna, ragazzi, sono felice che siate venuti qui. Vi prometto che la prossima volta vi accompagnerò alla porta!". Quella frase le strappò un sorriso sincero. In fondo al suo cuore, Ukyo glielo augurò e si disse che, forse, non era diventata cattiva come temeva.

***

Ranma si deterse il sudore con un asciugamano e si chiese ancora una volta dove diavolo fosse finita sua moglie. Quando si stava per decidere a telefonare a casa Tendo la vide in lontananza. Gli apparve subito stanca e sembrava parlasse tra sé e sé. Si accigliò, man mano che si avvicinava e scorgeva i tratti del suo viso aggrottati in una smorfia che poteva essere egualmente di preoccupazione o di dolore.

"Ehi, che ti è successo?", le chiese correndole incontro.

Akane alzò il viso per guardarlo e a Ranma parve che si risvegliasse da un sogno: "Io... ho dimenticato la spesa da Kasumi", disse.

Ranma scosse la testa, più che certo che quello fosse il problema minore: "Non importa, la recupererò io più tardi. Ma tu cos'hai? Sembri malata".

"Io... io... rientriamo in casa, per favore, ho un po' freddo". Ranma aprì la bocca per risponderle ma lei era già entrata. Lui era in canotta e pantaloni e non sentiva affatto freddo, ma poteva darsi che l'allenamento avesse contribuito a scaldarlo. Tuttavia, la temperatura era abbastanza mite e Akane non era mai stata particolarmente freddolosa.

Quando la raggiunse, come prima cosa le mise una mano sulla fronte e lo colpì il fatto che fosse gelata. La voltò gentilmente e la guardò in viso: "Che ti ha detto il dottor Tofu? Non tenermi nascoste le cose, Akane, si vede che non stai bene".

Lei schiuse le labbra, inspirando ed espirando più volte come se cercasse le parole giuste, poi esordì: "Kodachi è in partenza, non è ancora passata a salutarti?".

Ranma sgranò gli occhi, convinto di aver sentito male: cosa c'entrava adesso quella pazza della Rosa Nera? E perché Akane non rispondeva alle sue domande? Ebbe l'impulso irrefrenabile di scuoterla per le spalle e per poco non lo fece. Gliele strinse leggermente, però, fissandola intensamente negli occhi: "Akane, perché cambi discorso? Cosa ti è successo?".

Improvvisamente, gli parve che lei smettesse di respirare e annegasse e il cuore gli balzò nel petto, mentre l'adrenalina gli scorreva nelle vene preparandolo all'emergenza. Poi i suoi occhi riacquistarono lucidità e sua moglie fece una specie di risatina forzata, sciogliendosi dalla sua stretta: "Nulla di grave, Ranma, davvero, non devi preoccuparti! Ho... ho avuto un calo di zuccheri perché stamattina ho saltato la colazione e a pranzo abbiamo mangiato di corsa. Il dottor Tofu mi ha raccomandato solo di alimentarmi più regolarmente".

Ranma si accigliò: non era mai stato molto empatico di natura, ma qualcosa gli suonava falso ed era più che determinato ad avere spiegazioni. Se Akane non gliele avesse volute dare, le avrebbe chieste direttamente a Tofu.

"Bene, vado a recuperare la spesa. Te la senti di rimanere da sola?", le chiese infilandosi la casacca rossa.

"Certo che sì, non ti preoccupare! Te l'ho detto, non è nulla. Intanto io metto a bollire l'acqua per...".

"Scusate, è permesso?". La voce di Kasumi interruppe Akane e il pensiero che gli si stava formando in testa. Ovvero, che sembrava persino felice che lui uscisse.

"Oh, Kasumi, grazie, non dovevi! Stava per venire Ranma". Si affrettò ad andarle incontro per prenderle le buste, ma lui fu più veloce.

"Grazie, Kasumi. Akane mi ha detto che non è stata bene ed è passata allo studio. Ma non mi ha voluto dire granché...". Il sorriso dolce di Kasumi le si congelò sul volto e colse il suo sguardo serpeggiare velocemente verso la sorella minore.

"Oh, come si è fatto tardi! Devo preparare la cena anche io. Vi auguro buona serata, ci vediamo presto". Si accomiatò con una velocità degna di suo padre quando voleva evitare qualche problema, ma di certo non poteva afferrare Kasumi per la collottola e obbligarla a rimanere.

Così, si voltò per l'ennesima volta verso Akane, che stava facendo un cenno di saluto con la mano ed esclamò spazientito: "Insomma, vuoi spiegarmi cosa diavolo succede?!".

***

La luna apparve pallida nel cielo che si andava oscurando pian piano e Ukyo la fissò pensando che somigliava un po' a lei. Sentiva i passi di Ryoga a poca distanza e, nonostante camminassero nella stessa direzione, sembravano lontani anni luce. Anche lei era diventata un pallido ricordo per il suo fidanzato, probabilmente.

Per un attimo, valutò l'idea di lasciarsi trascinare dalla tristezza, di piangere, di gridare o persino di pregarlo ma non fece nulla di tutto ciò. Un moto di ribellione la costrinse a fermarsi. Con sommo disappunto, notò che Ryoga proseguiva per la sua strada, come se non gli importasse nulla che lei non fosse più al suo fianco.

"Non ho intenzione di prendermi tutta la responsabilità!", disse in tono perentorio e a testa alta.

Ryoga si voltò per guardarla e per un attimo le parve che non capisse. Poi la comprensione calò sul suo volto e lui fece un piccolo sorriso che le sembrò tagliente come una lama. Le diede di nuovo le spalle e riprese a camminare come se nulla fosse.

Ukyo si sentì intrappolata in un bivio, o sull'orlo di un precipizio, o in qualunque altro orribile cliché rappresentasse un momento decisivo della propria vita. Se non avesse parlato, probabilmente lo avrebbe perso per sempre, ma d'altro canto l'orgoglio le impediva di fare il primo passo. Tuttavia...

"Insomma, mi molli così?! Come se fossi un sacco della spazzatura che non ti serve più e che ti getti alle spalle?". Non solo lo aveva detto, anzi, gridato, ma aveva anche battuto un piede a terra come una bambina frustrata. Evviva le vie di mezzo.

Non si era aspettata la reazione di Ryoga: pensava che, dopo essersi umiliata così, lui sarebbe come minimo scoppiato a ridere o l'avrebbe addirittura presa tra le braccia. Invece si girò verso di lei, furioso: "Che cosa vuoi che faccia?!", urlò.

Sbatté le palpebre, quasi spaventata, e fece un passo indietro. Sconvolta, scosse leggermente la testa, incapace di parlare.

"Vuoi che ti abbracci e ti baci, o ti prenda su questo dannato prato per dimostrarti quanto mi sei mancata e pace fatta?! Hai idea di cosa ho dovuto soffrire io, mentre tu non c'eri?".

La bocca le si spalancò da sola ma non provò neanche a parlare. Quello non era il suo dolce, tenero e timido Ryoga, ma un clone sostituito da una banda di alieni particolarmente cattiva.

"Ho cercato di capirti, di comprendere le tue ragioni, assecondandoti e sperando a ogni telefonata che ti decidessi a tornare. Poi è arrivata Akari e l'ho sperato ancora di più, perché sapevo cosa stava accadendo e mi auguravo che col tuo ritorno si mettesse finalmente il cuore in pace. Ma tu rimandavi, e rimandavi e poi rimandavi ancora, tutta contenta per le cose che scoprivi e io non avevo cuore di contraddirti...". S'interruppe improvvisamente, come se si fosse ricordato di qualcosa. "Abbiamo già avuto questa conversazione, mi pare", concluse come svuotato.

Ukyo deglutì più volte, cercando di dominarsi per riuscire a parlare prima che lui accennasse ad andarsene di nuovo: "Quindi... è finita?".

Ryoga piantò gli occhi nocciola nei suoi e lei credette di morire.

***

Rimase a guardarla per quasi un minuto intero, cercando di fare ordine nel suo cuore e nella sua mente. Sarebbe stato così facile prenderla fra le braccia, baciarla e non lasciarla più andare. Poteva lasciare che la rabbia smaltisse col tempo, mentre tornavano alla loro routine quotidiana, nel calore del locale e della loro stanza al piano di sopra.

Ma Ryoga sapeva che quella rabbia, se l'avesse lasciata decantare, avrebbe pian piano avvelenato le loro giornate. Ne sarebbero conseguite altre liti, discussioni, o persino silenzi inquietanti. Il loro rapporto era sempre stato spensierato e sincero e lui non voleva che ci fossero punti oscuri. Mai più.

Non poteva permettere che il sentimento che li univa fosse inquinato da un dissapore simile.

"Ho bisogno di tempo, sono ancora troppo ferito. Mi dispiace", disse semplicemente.

Nell'oscurità incipiente, poté vedere gli occhi di Ukyo brillare come due stelle e ricordò un altro dei motivi per cui si era innamorato di lei.

"Tornerai?", gli chiese con voce più ferma di quanto si aspettasse.

Fu la domanda che lo fece capitolare. Perché, nonostante tutto, Ryoga aveva bisogno del suo contatto, della sua vicinanza, di sentire ancora la vibrazione tra loro. Le si accostò e ci volle tutta la sua forza di volontà per porre le mani sul suo viso, asciugandole le lacrime senza attirarla a sé e stringerla.

"Non lo so". Essere sincero gli costò molto di più che dirle una bugia. Non sapeva se avrebbe prevalso l'amore o sarebbe rimasta l'amarezza e non voleva procurarle false illusioni, tantomeno darle a se stesso. Solo quando le ferite fossero guarite, anzi, se fossero guarite, solo allora avrebbe concesso a quell'amore di tornare a unirli.

Avvertì distintamente la risolutezza di Ukyo andare in frantumi e la ragazza crollare sotto la potenza dei singhiozzi. Allontanò le mani e le diede le spalle, sussultando come colpito da una scossa elettrica quando udì il suo flebile: "Ma io ti amo".

"Fai attenzione, sulla strada del ritorno", fu l'unica sciocchezza che gli uscì di bocca e che ebbe il potere di farla piangere più forte.

Il vento si portò via la risposta della donna che amava e sulla quale ora nutriva tanti dubbi. E si portò via anche il suo flebile: "Perdonami" che, fu certo, se anche le fosse arrivato non sarebbe affatto servito a consolarla.

***

Akane aprì gli occhi di soprassalto, giusto qualche minuto prima che suonasse la sveglia. La disattivò e si mosse con movimenti lenti e studiati, con il senso di colpa che le opprimeva lo stomaco in una morsa.

No, non ora...

Si alzò con cautela, scoccando un'occhiata alla figura di Ranma ancora arrotolata nelle coperte. Russava leggermente e lei accelerò un po' il passo fino ad arrivare in bagno. Chiuse la porta con cautela, aprì l'acqua al massimo e s'inginocchiò davanti al water, in attesa che succedesse l'inevitabile.

Difficile essere silenziosi, in questi casi.

Attese che i puntini neri smettessero di danzarle davanti agli occhi e si lavò il viso. Si vestì e riaprì la porta, con cautela. Ranma dormiva ancora e quella mattina i suoi allievi sarebbero arrivati circa due ore dopo, quindi voleva lasciarlo riposare mentre lei faceva quello che andava fatto.

Sarebbe stato triste accomiatarsi dai bambini e avrebbe anche dovuto parlare con suo padre perché trovasse un sostituto. E ancora non aveva parlato della questione a suo marito.

Odiava mentire a Ranma: le uniche bugie che gli aveva mai detto in vita sua erano che non era affatto gelosa, anni prima, quando Shampoo o qualche altra fidanzata gli si attaccava come una cozza allo scoglio. Ma stavolta era diverso. Stavolta gli stava tacendo una verità troppo grande e la sera prima aveva dovuto faticare non poco per convincerlo che andasse tutto bene. Lui aveva mangiato la foglia, era evidente, ma a un certo punto si era arreso e forse rassegnato ad aspettare che lei fosse pronta a dirgli tutto.

Stava quasi per uscire dalla stanza quando si scatenò il finimondo e tutti i suoi piani di fuggire alla sua lezione mattutina senza svegliare il marito andarono in fumo.

***

Konatsu guardò il telefono come se fosse un apparecchio che non aveva mai visto in vita sua. Da quando si era trasferito in quella minuscola casa, grazie ai risparmi accumulati, non aveva più avuto contatti con la sua famiglia d'origine e gli unici che lo chiamavano erano i suoi creditori, che non riusciva più a pagare con i lavoretti occasionali.

Oppure la signorina Ukyo, che gli chiedeva come stesse e gli faceva gli auguri durante i compleanni o altre festività. Da quando si era fidanzata e lui aveva deciso di eclissarsi discretamente, non lo aveva certo dimenticato ma le telefonate si erano fatte via via più rade e lui si era rassegnato ad andare avanti con la sua vita senza quel sorriso che amava tanto.

A quell'ora del mattino, potevano essere accadute solo due cose: una disgrazia o una richiesta d'aiuto. Quando rispose, Konatsu scoprì che si trattava di entrambe.

***

Akane stava correndo. Che i Kami la proteggessero, stava letteralmente scappando.

Era riuscita a esclamare in un'unica parola la frase: "Iovadoagliallenamenticivediamodopociao!", mentre Kodachi s'incollava a suo marito in un turbinio di petali neri.

La sera prima, la scusa dei saluti della Rosa Nera era stata la prima stupidaggine che le era venuta in mente, nonostante sapesse che sarebbe accaduto. Quella mattina, Kodachi l'aveva salvata da una spiegazione che ancora non riusciva a dare a Ranma e, per la prima volta in vita sua, fu ben lieta di lasciarlo con una delle sue ex pretendenti. Mise a tacere la punta di gelosia crescente, dicendosi che lui era suo marito e se la sarebbe scrollata di dosso in pochi secondi e approfittò del momento.

Non voleva pensare allo sguardo stupefatto di Ranma, che aveva colto di sfuggita, invece dovette concentrarsi per rallentare. Non aveva fatto colazione e l'aspettava l'ultimo allenamento. Sperava solo di farcela senza vedere di nuovo i puntini neri.

***

"Ho bisogno di tempo, sono ancora troppo ferito. Mi dispiace".

"Tornerai?". Ukyo non aveva potuto fare a meno di chiederlo, con voce tremante e nuove lacrime che si aggiungevano alle prime.

Ryoga l'aveva guardata per un lungo istante, pensieroso, poi aveva fatto un gesto che le aveva riacceso la speranza nel petto come una fiamma bruciante: le sue mani le si erano posate sulle guance, asciugandole le lacrime, carezzandola leggermente. Era rimasta immobile, godendosi quel tocco tanto desiderato e sperando che non finisse mai. La sua risposta, invece, fu come un pugnale: "Non lo so".

Ukyo riviveva quel momento da ore e, anche adesso che il sole era alto, la notte sembrava non avere mai fine. Sentiva l'oscurità avvolgerla come un manto e desiderava solo dormire. Dormire finché lui non fosse tornato. E se Ryoga avesse deciso di non farlo, tanto valeva dormire per sempre.

Guardò il suo locale, non riconoscendolo, cercando la presenza di colui che l'aveva riempito con le sue risate, i suoi scherzi e i suoi baci rubati vicino alla piastra degli okonomiyaki e capì che stava sprofondando in un baratro di depressione e disillusione che poteva esserle fatale.

Così, fece la prima cosa che le venne in mente. Alzò il telefono e cercò aiuto da un vecchio amico, qualcuno che non l'avrebbe mai abbandonata.

Non avrebbe sopportato di rimanere ancora da sola.

***

Akane si limitò a mostrare i kata ai piccoli, che già li conoscevano bene, senza proseguire negli esercizi. Il dottor Tofu le aveva proibito di fare attività fisica intensa, consentendole brevi passeggiate all'aria aperta ma raccomandandole di riposare quando ne avesse sentito il bisogno.

In quel momento, Akane avrebbe voluto stendersi e riposare, magari dopo aver mandato giù una ciotola di riso fumante.

Non solo aveva saltato di nuovo la colazione, ma si era persino messa a correre e ora stava tenendo una lezione di arti marziali. Cercò di tranquillizzarsi dicendosi che presto avrebbe riposato, anche prima di quanto avesse voluto, in realtà.

Devo parlare con papà. Ma ancora devo dirlo a Ranma, e lui dovrebbe saperlo per primo.

Lo immaginò tra le braccia di Kodachi, dove lei stessa lo aveva lasciato, e la testa cominciò a girarle.

Forse avrei dovuto dirglielo, ieri sera. Ma ero troppo sconvolta. Non ero pronta.

"Sensei?". La voce allarmata di uno dei suoi piccoli allievi la riscosse e lei gli disse di continuare con il kata, sentendo la sua stessa voce provenire da molto lontano.

Non avrei dovuto mettermi a correre così. Sono stata una stupida, sto rischiando...

Stavolta, le voci allarmate erano più di una e Akane si rese conto, confusamente, che stava perdendo i sensi.

No, non adesso...

Fu il suo ultimo pensiero coerente prima dell'oscurità.
   
 
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