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Autore: Enchalott    12/11/2019    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il cuore del Nord
 
Anthos aprì gli occhi nel buio verdastro della sommità di Leu-Mòr, destandosi da quello status tra il sonno e la veglia che era il suo modo di dormire. Non si assopiva mai e neppure poteva restare costantemente sveglio; le rare volte in cui scivolava verso una condizione più profonda del riposo i sogni tornavano ad affacciarsi alla sua coscienza sensibile, rimanendogli indelebilmente impressi nella mente.
Quell’incubo. Quello che non lo abbandonava mai, che accendeva in lui una rabbia inespressa si ripeteva sempre più frequente, come un minaccioso giuramento.
Staccò le spalle dalla parete contro cui si era appoggiato, avendo optato per appisolarsi contro la scabra ruvidità della Torre piuttosto che tra le soffici coltri di un qualsiasi letto del suo palazzo, e si avvicinò alla trifora a tutto sesto che occupava la parete sud della guglia. La luce filtrava attraverso la satinatura dei vetri, annunciando muta un mattino ovattato, incolore, identico a tutti gli altri.
O forse no.
Aveva la principessa. Aveva il suo sì, seppur strappato con l’intimidazione. Aveva dato il definitivo via alla partita. Presto avrebbe avuto la sua sposa, il suo erede e la sua vendetta. Avrebbe smesso di essere tormentato da quella visione?
Premonizione, anzi, come aveva rivelato la veggente di Odhran.
Qualunque cosa fosse, quella notte il messaggio onirico si era modificato. Si era svegliato con le nuove immagini ancora scolpite nella memoria.
Il sangue che lo imbrattava e sgorgava a fiotti dallo squarcio spalancato nel petto, non era soltanto il suo. La persona che impugnava la spada ora stringeva tenacemente la lama, non l’elsa: l’essenza vermiglia scaturiva anche dalla sua ferita profonda, mescolandosi a quella di lui morente. E quelle labbra non pronunciavano più il loro soave mi dispiace, ma recitavano un deciso muoio con te.
Un’affermazione assurda, perché nessuno al mondo avrebbe mai compiuto un’azione tanto stolta, neppure nei vaneggiamenti chiamati sogni. In quel chiaroscuro scarlatto, Anthos riusciva a scagliare lontano l’arma e afferrava le dita tese verso di lui, usando l’ultima stilla del proprio potere per sigillare quella ferita aperta. Trapassare gli costava. Non sanciva più il suo a me non dispiace affatto. Si lasciava avvolgere dal silenzio, consapevole di un prezzo che non avrebbe voluto pagare, ma che avrebbe tuttavia saldato poiché era giusto.
Né nel mondo fantastico né in quello reale si sarebbe mai comportato così. Il sogno era un diversivo che avrebbe gradito eliminare, ma evidentemente esisteva ancora qualcosa che non riusciva a controllare.
Si alzò, stirandosi le membra leggermente intorpidite, e i suoi vestiti cambiarono foggia e colore in un semplice battito di ciglia.
Non aveva tempo da perdere con sciocche congetture. Il tempo era esiguo.
Per esempio, avrebbe dovuto smascherare l’identità del suo avversario, quello che per qualche recondito motivo aveva cercato di eliminare Adara, ma che assolutamente non poteva essere al corrente del suo fine ultimo. A rigor di logica, desiderava vedere morta la principessa per un motivo a lui ignoto. Si trattava quindi di individuarlo.
Oppure avrebbe dovuto scoprire come la regina di Elestorya e sua figlia Dionissa erano arrivate a raggiungerlo attraverso l’acqua. Dalle espressioni stupite che era riuscito a intravedere, avrebbe giurato che sicuramente non stavano mirando a un contatto con lui, perciò qualcuno aveva creato un canale con Erinna a sua insaputa, nel quale le due donne erano incappate per caso. La dialettica gli suggeriva che si trattasse dello stesso individuo.
La sua promessa sposa gli aveva involontariamente fornito qualche indizio durante la loro cavalcata verso Jarlath. Gli sarebbe piaciuto domandarle altri particolari che l’avrebbero portato sulla via giusta e avvicinato ulteriormente alla verità. Adara aveva ragione: non esistevano molte persone in grado di realizzare un tale sortilegio, inoltre Anthos un sospetto l’aveva già da tempo. Era di prove che necessitava.
Fissò il bacile di pietra nera, lucido e tetro, pronto a rispondere ai suoi voleri. Il liquido perlaceo stagnava nel catino levigato, inerte, esalando la sua bruma gelata.
Passò la mano sulla superficie senza entrarne in contatto e l’acqua rispose obbediente alla sua determinazione con un ribollire cupo e sibilante.
La luminescenza smeraldina si rifletté sulle stalattiti ghiacciate pendenti dalla volta di pietra, in un caleidoscopico fluttuare di verdi, oltrepassando l’opacità dei vetri.
Anthos socchiuse le palpebre e rallentò la respirazione, assorbendo intimamente le sensazioni che provenivano dal palmo aperto della sua destra.
Quando i colori dell’esistente smisero di vorticare come una tempesta acquatica, le mura amaranto di Erinna si delinearono come in una visione dall’alto.
Discese lungo le tegole decorate del palazzo reale, serpeggiando lungo le pareti delle torri, guarnite di tinte calde e rosseggianti. Colse lo sventolio leggero dei drappi agganciati ai veroni della reggia, liberi nel vento carico di odori. S’inoltrò nel cuore dell’edificio, attraversando con la mente i passaggi illuminati e spaziosi, attirato dalla traccia di magia residua, che era una fluorescenza argentata e maligna, levata a mezz’aria come una scia di profumo esageratamente penetrante.
Attraversò una porta, spingendosi oltre la studiata apparenza di un dipinto che rappresentava la geografia del mondo e individuò nel suo abile inganno la fonte.
Non cadde nella trappola. Se avesse sfiorato anche solo tramite la visione il bacile verosimilmente gemello a quello di Leu-Mòr, il suo misterioso rivale avrebbe compreso di essere stato identificato da un’energia estranea.
“Sei bravo a giocare in difesa…” disse tra i denti, ripensando alla fine miseranda del soldato che aveva trascinato sulla Torre per captarne le reminiscenze “Mi domando se continuerai a strisciare nel fango o ti risolverai a sfidarmi apertamente…”.
Si ritrasse, percorrendo alla rovescia la strada appena compiuta, indietreggiando come un’ombra notturna all’alba.
Scorse la sacerdotessa Kalah, leggiadra e bellissima nel lungo abito verde menta, provata ma viva; constatò che la schermatura al suo dono persisteva, posta così come aveva ordinato a Urien, e fu tentato di liberarla. Non lo fece, perché non era da lui lasciarsi dominare dall’irrefrenabile desiderio di comprendere un semplice sogno e poteva fare a meno della sua interpretazione. Di quella di chiunque, invero.
Arretrò nel suo mondo gelido e stinto, percependo il male con cui una mano priva di scrupoli aveva contaminato l’essenza di Dionissa, riconoscendo la medesima impronta che lo aveva guidato laggiù. Ambedue le sorelle. Il misterioso nemico ambiva carpire la vita di entrambe le principesse, seppur in modi differenti.
Anthos collegò gli elementi, aggiungendo ad essi anche ciò che conosceva di Shion, senza trascurare alcun particolare.
Si staccò dalla proiezione, stringendo le dita in un pugno serrato, imponendo al liquido latteo di tornare alla quiete. Sogghignò sottile e consapevole: Adara andava controllata a vista, persino a Leu-Mòr.
Scostò con un gesto spazientito il lungo mantello ricamato d’argento e abbandonò la sommità del suo rifugio.
 
Màrsali terminò di abbottonare il dorso del lungo vestito della principessa e congiunse le mani, gioiosa, ammirando l’insieme che aveva ottenuto.
“Alle volte bastano un buon sonno, un bel bagno caldo e un abito adatto per creare un po’ di felicità, non vi pare?” disse, nel tentativo di sollevarle lo spirito.
“Senza dimenticare la compagnia” rispose Adara, grata per la presenza confortante e amica della giovane bionda “Anche se agghindata così non mi ci vedo proprio…”.
“Ma vi dona tanto!” protestò gentilmente Màrsali “E poi sarebbe impensabile portare la moda elestoryana in questo luogo perennemente sotto zero!”.
La principessa sorrise all’effettiva rappresentazione. La stanza aveva raggiunto una temperatura accettabile, ma all’esterno della finestra si erano formati contorti ricami di brina, che neppure il mattino inoltrato era riuscito a disfare. Chissà se Narsas e Dare Yoon avevano freddo, invece. Avrebbe preteso di vederli e di capire se erano trattati con cortesia, come era stato garantito dal reggente.
“Due giorni” sospirò, osservando il cielo plumbeo e uniforme “Non dovrei lamentarmi proprio davanti a te…”.
“Non vi preoccupate” si affrettò ad affermare Màrsali, che aveva deciso di mantenere un rispettoso “voi” nonostante le insistenze di Adara “So che vi parrà incredibile, ma talvolta i demoni che dipingiamo sono più raccapriccianti di quelli che incontriamo”.
“Oppure” ribatté tristemente la principessa “Sono terribilmente attraenti, ma nascondono un abissale malvagità. Chissà quale delle due versioni spetterà a me”.
“Siate voi la variabile, per quanto potete” suggerì la veggente, incoraggiante.
“Io…?” esitò Adara, prima di porle una questione tanto personale “Tu ci sei riuscita?”.
Màrsali spalancò gli occhi, indecisa e guardinga, ma la principessa continuò.
“Rimarrà fra noi, hai la mia parola. È che non vorrei essere così terrorizzata, vorrei parlare con qualcuno che possa capire…”.
“Sì” rispose Màrsali, rassicurante “Ci sono riuscita. Non perdete mai la fiducia. Non esiste coercizione che vi possa imporre di non essere più voi stessa”.
Adara ascoltò quella verità che già immaginava e raccolse a quattro mani il coraggio per vincere l’imbarazzo che la frenava e per porre alla ex veggente la parte più spinosa della questione. Non riuscì.
La porta si spalancò davanti al principe di Iomhar.
Màrsali si inchinò profondamente, trattenendo il fiato. L’espressione solitamente indecifrabile del giovane era velata di inquietudine. La sua pur controllata tensione non le sfuggì. Era accaduto qualcosa. Supplicò gli dei di non ricevere una visione proprio in quel momento e arretrò lentamente.
“Incantato” mormorò Anthos, osservando la sua promessa sposa avvolta nella lunga veste color pesca, che ne faceva risaltare l’incarnato abbronzato e la lunga chioma castana, sciolta lungo la schiena e intrecciata di nastri rosa.
“Apprezzo il vostro parere spassionato” restituì Adara, sentendosi trafiggere dal suo sguardo magnetico “Ma non sono a mio agio in abiti tanto sfarzosi. Sarebbero sufficienti quelli comodi che ho portato sino a ieri”.
“Non vi renderebbero giustizia” sogghignò lui, avvicinandosi “Tanto più che sono venuto a prendervi per condurvi in città”.
“Volete esibirmi come un trofeo?”.
“Sì” sussurrò semplicemente il sovrano, esaminandola “Màrsali, lasciaci. Riferisci alle scuderie di preparare immediatamente Illtyd”.
“Un’altra cavalcata condivisa?” fece la principessa, rassegnata, osservando la dama di compagnia che usciva in tutta fretta e con un certo sollievo.
Le mani di Anthos serrarono quelle di lei, fagocitando su di lui la sua attenzione e forse il suo intero mondo.
“Potrei rispondervi che esistono ragioni di sicurezza. Hanno tentato di strapparvi la vita reiterate volte, se rammentate” mormorò persuasivo “Oppure che desidero semplicemente la vostra compagnia. Scegliete quella che più vi aggrada”.
“E’ per questo che ieri avete assaggiato il mio vino con tanta premura?”.
“Esattamente” ammise il principe stringendo le palpebre sugli occhi dorati, senza lasciarla andare “Invece si trattava del Crescente, vero?”.
Adara tentò di sottrarsi al suo tocco persistente, ma fu come lottare contro la natura stessa. Certamente l’Imis’eli non manifestò l’intento di contribuire ad allontanarlo.
“Il mio tatuaggio non è un segreto” minimizzò.
“Vi ha avvertito di un pericolo, se non m’inganno”.
“No!” saettò lei, irata, osservando le sue iridi d’ambra scintillare di disappunto alla negazione “Altrimenti adesso, qui con voi, sarei piegata in due dal dolore!”.
Anthos sorrise, divertito, abbandonando la presa.
“Oppure vi sta chiarendo che non sono pericoloso” congetturò “Per ora…”.
 
Illtyd percorreva disinvoltamente al passo le strade lastricate della capitale, trasportando senza sforzo i due cavalieri, sferzando nervosamente l’aria gelida con la lunga coda.
Gli abitanti di Jarlath, quei pochi che avevano l’ardire di sfidare il clima e di indugiare all’aperto, fissarono imbambolati il loro principe cavalcare con la giovane straniera in arcione. Si inginocchiarono frettolosamente, per non attirare il suo interesse e per non incorrere nella sua ira, occhieggiando con riserbo la scena inconsueta da sotto le cappe spesse e logore.
Il reggente non scendeva quasi mai dalla fortezza e, quando si presentava in uno dei quartieri della città, non era mai un buon segnale. Non l’avevano scorto spesso con il cappuccio abbassato sulle spalle, meno che mai con una donna.
Qualcuno iniziò a riferire che quella era la principessa di Elestorya, giunta al Nord per convincere il sovrano ad unire le forze dei Due Regni per esorcizzare l’apocalisse. La voce aleggiò di bocca in bocca, di porta in porta, rendendo speranzosi e ammirati gli sguardi posati sulla fanciulla dai capelli bruni; poi tornò indietro, come la risacca, portando la notizia che Anthos l’avrebbe tenuta prigioniera a Leu-Mòr e i visi degli abitanti di Iomhar si fecero tristi e abbattuti. Qualcuno riportò che lui l’avrebbe sposata e chi udì tali parole mormorò, affranto, una preghiera agli dei.
Anthos ignorò i sussurri, limitandosi a lanciare qualche occhiata in giro e ottenendo in cambio degli inchini ancora più profondi e intimoriti.
“Avete imposto il silenzio?” domandò Adara, osservando stupita la scena surreale, come scolpita nella neve candida “Quando mio padre visita Erinna, non riesce quasi a procedere lungo la via e c’è una confusione incredibile ovunque!”.
“Chiamatela paura” rispose lui, distaccato “Sono incuriositi dalla vostra presenza e atterriti dalla mia. La seconda vince sulla prima”.
“Non fatene un vanto!” esclamò lei “Mi piacerebbe parlare con qualcuno di loro”.
“A che pro?”.
“Ma che domande! Per sapere cosa stanno passando, se l’approssimarsi della Profezia li preoccupa come sembra, se hanno bisogno di me…Sarebbe compito mio. Cioè… vostro, come reggente del Medaglione!”.
Anthos sogghignò, continuando a tenere il destriero al passo tra due ali di terrore.
“Odhran” disse poi, indicando una voragine annerita, che neppure la coltre candida caduta dal cielo era riuscita pietosamente a celare nel suo abbraccio.
Una ferita inferta in spregio a chi aveva solo osato chiedere pace e serenità.
Adara osservò la devastazione che nessun resoconto era riuscito a dipingere con realistica accuratezza: macerie abbrunate, riverse su un baratro dai contorni perfetti, rovine di legno bruciacchiate e tese verso l’alto, in uno spasimo d’agonia. Frammenti di esistenze spezzate, interrotte senza mercede e senza giustizia.
“Mi chiedo come riusciate a dormire con questo peso addosso!” enfatizzò.
Il principe si irrigidì. L’incubo volteggiò nuovamente nella sua mente. Lo scacciò con fastidio e non rispose, proseguendo lungo la strada.
“Ho fatto un sogno, stanotte” disse la principessa, distogliendo lo sguardo dai poveri resti dell’antico quartiere.
Anthos tirò leggermente le redini, improvvisamente sul chi vive, e Illtyd si arrestò, docile, davanti alla foresta che segnava la fine delle mura difensive di Jarlath in quel tratto del perimetro.
Una folata di vento li investì di taglio, ululando e scostando il mantello argenteo dalle spalle del reggente, perseguendo l’intento di far rabbrividire persino lui.
Fu solo un millesimo. Il tessuto gli ricadde addosso come un’ala lieve.
“Il mare” continuò lei, mentre il principe sistemava su entrambi stoffa calda e lucente che gli pendeva inerte dalla schiena “Mi ha riempita d’angoscia. Era come un muro verticale colmo di furia incontenibile, che trascinava tutto via con sé”.
“Non ne avete ancora abbastanza di acqua salata?” commentò Anthos, senza scomporsi “Avete sfiorato l’annegamento, è chiaro che vi sia rimasto impresso”.
“Sapete interpretare i sogni?” domandò Adara, voltandosi sulla sella.
“No” dichiarò lui secco “Ma il vostro non è così complicato”.
“Perché vi siete fermato? Sembrate inquieto”.
“E’ ora di rientrare. Non siete abituata al rigore del Nord”.
“Sono invece avvezza ai vostri repentini cambi d’argomento quando non vi va di rispondere. Ditemi, Anthos, chi mi ha salvata dal Pelopi?”.
Hah, Illtyd” spronò lui, facendo girare lo stallone.
Adara infilò le mani tra le sue, accorciando i finimenti del cavallo e l’animale si arrestò nuovamente. Il principe inarcò un sopracciglio, contrariato. Il suo sguardo si inchiodò su di lei, intenso e feroce.
Il vento soffiò nuovamente, scostando un velo di nubi sopra di loro, e il mattino schiarì in un biancore che aveva la lucentezza di un raggio di sole. Le iridi auree di Anthos brillarono come topazi tra le ciglia scure, irreali e straordinarie. Il suo ostinato silenzio lo rese ancora più misterioso e attraente. La ragazza rimase rapita a fissarlo, in attesa di un suo responso. Invece, lui non parlò, le sue dita le scivolarono lungo il polso e Adara sentì di non poter opporre resistenza a quel movimento che le sollevava il braccio e la faceva voltare indietro sulla sella. Era forza fisica, non magica.
“Avete visto un fantasma?” sogghignò lui, a una spanna dal suo viso.
Il tono volutamente sferzante ebbe l’effetto di farla riavere. Cercò di sottrarsi al contatto, indispettita, con scarsi risultati.
“Il braccialetto che vi ho donato” proseguì lui come se nulla fosse “E’ quello che vi ha sottratta alla morte. Possiedo il pregio della prudenza estrema e ne faccio uso”.
La principessa spostò lo sguardo sul polso vuoto, protetto dal guanto aderente.
“Delusa che non mi sia tuffato tra i flutti come i paladini delle leggende?” affermò Anthos, sarcastico “Lascio volentieri la parte dell’eroe al vostro amico Aethalas”.
“Dispiaciuta per aver perso il gioiello. Ora non posso più tirarvelo addosso”.
“Non è perso. È tornato al Mare” mormorò il giovane, enigmatico.
Un rumore attirò la sua attenzione e la sua espressione divertita mutò. Il principe corrugò la fronte e andò sulla difensiva, scrutando nella profondità abbacinante del riverbero algido della neve. Strinse i talloni e il cavallo si avviò verso il portale che avevano superato poco prima.
“Che… che succede?” sussurrò Adara, intimorita.
“Non muovetevi” ordinò lui.
Dalla nebbia lattea emersero delle figure robuste: una decina di persone, avvolte in pesanti mantelli blu scuro e armate di tutto punto con metallo e cuoio. L’uomo in testa al gruppo montava un roano dal manto lucido come lacca e portava al fianco una spada dalla tinta bronzea, cui era legato un nastro azzurro. La sua mano balzò sull’impugnatura non appena scorse la presenza estranea sulla sua strada.
“Tarlach” pronunciò Anthos, atono.
“Mio signore!” rispose questi, sorpreso “Non vi avevo riconosciuto! Abbiamo individuato uno sconosciuto, che si aggirava in questa zona, ho pensato che si trattasse di lui. Stavamo seguendo le sue tracce”.
Si affrettò a smontare e a inginocchiarsi, imitato dal resto della compagnia, in un leggero sventolare dei tre colori di Iomhar.
“Trovatelo!” ordinò il principe, rivolgendo un cenno imperioso a un paio di soldati, che scattarono sull’attenti e sparirono nella nebbia.
Tarlach abbassò il copricapo, rispettoso.
“Nuove?” domandò il reggente, impassibile, senza concedere il riposo ai presenti.
“Pessime, altezza” sospirò l’interpellato “Quanto vi hanno riportato è vero. Il ghiaccio del Sirideain si sta sciogliendo e alcuni dei fiumi congelati da secoli nelle viscere delle montagne stanno filtrando a valle in piene improvvise, che reputo corrispondenti agli ultimi capricci climatici cui abbiamo assistito. Fa troppo caldo per Iomhar”.
“C’è altro?” chiese Anthos, senza fornire il minimo segno di preoccupazione.
“Sì, signore. Sono sceso fino all’oceano e ho percorso la costa da Neirstrin fino alla pianura di Tiernhan, al confine estremo del Regno e la situazione è ancora più drammatica. Le acque hanno invaso la zona e nessuno può più pensare di vivere lì. Il livello del mare arriva quasi alle ginocchia del mio cavallo, per darvi un’idea. Gli abitanti dei villaggi stanno risalendo i monti, verso Jarlath. Non sono molti, ma se questa contingenza continuerà a verificarsi, diventerà un problema sistemarli qui e trovare il cibo per tutti. Come sapete, le nostre scorte scarseggiano”.
Il principe si accigliò, volgendo lo sguardo sulle mura millenarie della città, granitiche e indifferenti al trascorrere del tempo.
“Ottimo lavoro, Tarlach” disse, spronando Illtyd verso il varco tra i blocchi di pietra.
Il soldato attese che il sovrano attraversasse l’ingresso e poi si rialzò, passandosi una mano tra i capelli biondo cenere, per liberarli dai cristalli di neve che vi si erano incastonati quando aveva scoperto il capo in presenza del suo signore e della donna dagli occhi scuri e dolcissimi, che lui teneva tra le redini del suo purosangue.
“Che cos’ha detto il reggente?” domandò uno degli uomini rimasti a distanza, avvicinandosi al compagno “Cosa dobbiamo fare con quella gente?”.
“Nulla” mormorò Tarlach, abbattuto “Non ha detto nulla…”.
 
“Non ve ne importa niente, vero?!” esclamò Adara, retorica.
“Al contrario. Mi interessa che Jarlath non rimanga coinvolta in questi accadimenti”.
“I vostri sudditi non sanno dove andare e voi pensate solo a voi stesso! Al vostro piano di privata resistenza alla Profezia! Sapete una cosa? Sono partita da Erinna pensando che il Testo Sacro fosse un’esagerazione! Non ho dato credito né a mia madre né a Dionissa, mi sono messa in viaggio esclusivamente per incontrare voi e domandarvi il motivo per cui non avete mai risposto alla mia missiva! Desideravo che curaste mia sorella in primis, poi avrei anche svolto il mio ruolo di Campionessa del Sud. Ma lungo il tragitto ho avuto modo di cambiare idea e l’ho fatto attraverso la perdita e la sofferenza! Io ho bisogno del vostro aiuto, Anthos! Si tratta di noi tutti, chiamatela come volete… fine del mondo, Profezia, oscurità insorgente… ma non lasciatemi sola ad affrontarla, perché non posso farcela!”.
Il principe strinse le palpebre, soppesando lo sfogo appassionato della ragazza, e si sporse in arcione, portando le labbra al suo orecchio.
“Non ho mai ricevuto alcun messaggio da voi, credetemi” rivelò “E questo non fa che confermare la necessità di non perdervi di vista, perché qualcuno, che ha costantemente interferito per impedire il nostro incontro, brama la vostra giovane vita. Non temete, dunque, non vi lascerò sola né di giorno né di notte”.
“Non è questo ciò che intendevo!” gridò lei, esasperata.
“Inoltre” proseguì lui, implacabile “Se siamo destinati a perire per risoluzione divina, è inutile affannarsi. Dentro le mura di Jarlath o tra le sue nevi perenni, a Elestorya, nel deserto… non è importante dove. La morte ci raggiungerà comunque”.
“Da quando siete divenuto disfattista? Siete talmente arrogante da pensare di non avere rivali neppure tra i Superiori e volete farmi credere che non avete escogitato nulla di alternativo? La vostra sfiducia mi offende, la vostra assenza di umanità mi fa compassione!”.
Anthos tirò le redini con una veemenza tale che Illtyd si impennò e scartò, adombrato.
Adara perse l’equilibrio e la lunga veste le impedì di stringere le ginocchia per tenersi in sella. Si sentì scivolare e si preparò all’impatto con il suolo ghiacciato.
Non accadde.
Il principe si alzò sulle staffe e saltò, reggendola tra le braccia e appoggiandola al suolo. I suoi occhi erano un crogiolo ardente di furia incontenibile, di odio straripante, di inesorabile vendetta. Insieme con quelle terrificanti emozioni dall’intensità incalcolabile, nel suo sguardo esplose una tristezza straziante e indelebile.
“Sì…” pronunciò in un sibilo basso e furibondo “Sì. Il piano c’è e lo conoscete. Sposarvi. Farvi partorire mio figlio. Governare i Due Regni. Dominare il mondo creato. Non avere rivali”.
La principessa si concentrò sul Crescente, interrogandosi con terrore sul motivo per cui il segno bruno non dava prova alcuna di sé. Perché? Perché non interveniva a placare la pericolosa, agghiacciante contiguità di quell’uomo?
“Ma se oserete ancora rivolgervi a me affermando che suscito la vostra commiserazione, io vi ucciderò. All’istante” ultimò Anthos “Ricordatevelo!”.
Orgoglio puro. Fierezza che non accettava compromessi. Questo era lui. Intaccare incoscientemente la scorza di ciò che considerava onore individuale avrebbe avuto come risultato quello di renderlo nemico, di allontanarlo. Non era ciò cui Adara mirava. Non era lo scopo della sua missione. Non era quanto… desiderava.
Sostenne il suo sguardo e non respinse nessuna delle parole cariche di spietatezza che lui aveva pronunciato, afferrandola per il collo e costringendola a guardarlo.
Implacabile e gelido come la terra su cui poggiavano i piedi.
“Lo ricorderò” rispose lieve, priva dell’irata enfasi che l’aveva animata poco prima.
Sollevò una mano e gli scostò con delicatezza dal viso una ciocca bionda e ribelle.
“Ma in tal caso, se mi ucciderete, rimarrete solo…”.
Anthos sgranò gli occhi. Cosa diavolo stava…? Perché non mostrava paura di lui!? Perché lo aveva toccato come si fa con un altro essere umano?!
“Tutti siamo soli” ringhiò in risposta, sopprimendo la cascata di interrogativi piovutagli addosso “I sentimenti, le interrelazioni sono una pia illusione”.
“E’ una nostra scelta” affermò lei.
“La vostra è pura retorica. La realtà è differente”.
“Portatemi a casa, Anthos, siate gentile. Ho visto abbastanza per stamattina”.
 
Casa. Aveva davvero detto così e non si riferiva a Erinna. Il termine non indicava certo rassegnazione, non era così stupido da cascarci. Adara avrebbe assolto il compito per cui era lì, anche se lui ce l’aveva trascinata a forza e l’aveva costretta ad accettare di diventare sua. Non sarebbe stata una semplice ospite a Iomhar e neppure una prigioniera, ma la regina. Anche se, prima di incontrarlo, non avrebbe mai potuto immaginare una simile eventualità, non si era data per vinta. Avrebbe cambiato strada, non obiettivo. Non sarebbe stata sua avversaria, lui lo aveva ben compreso. Impensabile che divenisse sua alleata. Assurdo credere che sarebbe stata semplicemente, immotivatamente al suo fianco senza alcun fine precipuo. Non gli aveva tenuto nascosti i suoi intenti, li aveva elencati nelle condizioni poste alle loro nozze. Davvero Adara non era intenzionata a fermarlo, a impedirgli di realizzare i suoi piani, a ucciderlo? Casa… ridicolo chiamare a quel modo Jarlath! Eppure, c’era così tanto in quel semplice termine. C’era il rifiuto per la solitudine, quella che lei gli aveva raccomandato di rifuggire. C’era accettazione del proprio destino, quello che lui invece odiava con tutte le proprie forze. C’era speranza. C’era amore.
Di lei il Crescente era davvero l’ultimo connotato da paventare.
 
“Mio signore…! Mio signore, perdonate l’incomodo…”.
Anthos sussultò leggermente, strappato alle riflessioni da quel richiamo dimesso e impaurito. Fermò Illtyd e posò gli occhi spietati sull’uomo che lo aveva interpellato.
Era genuflesso al bordo della strada e in lui emergeva prepotente il terrore che stava provando in sua presenza. Poco discosta c’era una donna, che doveva essere la consorte: più che inginocchiata era ripiegata su di sé e le sue spalle sottili erano scosse da un tremito. Stava piangendo e si tamponava le palpebre arrossate con il bordo consunto dello scialle, impegnata nello sforzo di non rendere palese la sua immensa disperazione.
In mezzo a loro c’era una ragazza sulla ventina, che sarebbe anche apparsa graziosa, se il suo volto non fosse stato pallido e tirato per l’angoscia e i suoi occhi pervinca non fossero stati pieni di lacrime trattenute a stento. Rispetto ai genitori era vestita in modo studiatamente più raffinato, i capelli color ruggine erano acconciati con cura e portava un trucco leggero, forse per sembrare più adulta di quanto in realtà non fosse.
Il reggente comprese immediatamente.
“Mia figlia implora la vostra benevolenza, altezza reale…” balbettò l’uomo, incespicando nelle parole, accompagnato dai singhiozzi soffocati della moglie.
Adara osservò la scena, senza comprendere.
“Non posso aiutarla” rispose duramente il principe, dopo un breve silenzio.
Il disgraziato si accasciò, ansimando come se fosse stato privato di ogni risorsa.
“Ha compiuto diciotto anni il mese scorso” continuò, tuttavia, imperterrito “La carestia ha sciupato la sua bellezza. Ma non desidera altro che compiacervi e servirvi”.
La consapevolezza piombò sulla principessa come un maglio. Inorridì.
“Non posso aiutarla” ripeté Anthos, dando di tallone al destriero.
“Lo farò io” intervenne Adara, terribilmente turbata “Come vi chiamate?”.
“Narena…” esalò la ragazzina, appena udibile, senza osare alzare la testa.
“In qualità di futura sovrana di Iomhar avrò certamente bisogno di una dama di compagnia in più: al momento le risorse a me dedicate sono eccessivamente scarne. Pertanto, piccola Narena, vi attendo a palazzo tra una settimana. Non mancate”.
L’uomo posò sulla principessa un paio d’occhi enormi, colmi di stupita gratitudine e di incredulità, ma li abbassò immediatamente, fulminato dallo sguardo spaventoso del reggente. La donna si trascinò verso la figlia, abbracciandola come se non la vedesse da mesi ed entrambe scoppiarono in un silenzioso pianto liberatorio e irrefrenabile. Poi si inchinarono, fronte a terra, tremando per il contatto con la neve.
“Grazie… grazie per la vostra misericordia, mia signora…” singhiozzò la madre “Grazie…”.
 
Le loro manifestazioni accorate di riconoscenza la seguirono finché furono a portata d’orecchio. Poi le restò solo un terribile, pesante silenzio nell’anima.
“Vi state calando nella parte…” commentò Anthos, sarcastico.
“Quel poveretto…” mormorò Adara, con l’affanno nella voce “Ha cercato di vendervi sua figlia! Era talmente disperato che… è orribile!”.
“Sì. E non è certo il primo. Sanno che talvolta accetto lo scambio”.
“C-cosa?! Che cosa avete detto!?” gridò lei, sconvolta.
“Tsk! Toglietevi quell’espressione scandalizzata dal viso, vi prego…” disse il principe, gelido “Le cose stanno così. Giungere a palazzo significa non morire di fame. Chi ha un figlio maschio spera che possa entrare a far parte della mia guardia e in questo modo gli garantisce la sopravvivenza. Parimenti, chi ha una figlia femmina per la medesima ragione implora che possa mettersi al mio servizio”.
“Servizio!?” esclamò Adara, sentendo montare un turbamento insopportabile “Un eufemismo per indicare che ve le portate a letto! È così!?”.
“Solo se e quando mi va” ribatté il reggente, infastidito “Ma non angustiatevi, da dopodomani non accadrà più. Conserverò le mie energie per voi”.
“Avete affermato di essere un gentiluomo! Invece siete inqualificabile!!”.
“E non ho mentito. Pensate forse che le abbia dovute tenere ferme? Sono loro che vengono a cercarmi! Le cameriere e le serve che vedete lavorare alla fortezza sono quelle che ho accolto! Non significa che io sia saltato addosso a tutte le fanciulle del Regno! Piuttosto, succede il contrario!”.
“Questa… questa è la disperazione che voi avete creato! Voi… voi non capite cosa significa! Accettare un uomo da cui sono terrorizzate solo perché è il male minore… l’umiliazione insita in tutto ciò. Morire di stenti sarebbe meglio!”.
“Addirittura! C’è chi la pensa diversamente da voi. Il mondo è questo, Adara, non l’ideale irragionevole che vi siete costruita”.
“Scuse puerili a giustificazione del vostro ignobile comportamento! Accade qui! Perché voi non date possibilità alcuna! A Erinna non succederebbe mai!”.
“Oh, Erinna…” ripeté il principe, ironico “Quale perfezione. Vorrei davvero visitare questo elisio in terra!”.
“Sareste il benvenuto, Anthos. Persino voi!”.
Il giovane osservò le lacrime scendere lungo le guance della sua futura sposa con una sensazione di pesante sconfitta. Quasi di vergogna. Di inadeguatezza. Di macchia indelebile. Come se gli interessasse ciò che lei pensava e asseriva. Come se gli importasse che lei lo guardasse per ciò che era.
“Maledizione…” imprecò silenziosamente.
   
 
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