Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: AlsoSprachVelociraptor    12/11/2019    0 recensioni
Arya Stark non si separa mai dalla sua preziosa copia dell’Apocalisse di San Giovanni, libro che ha letto e riletto all’infinito e uno dei suoi unici alleati dopo essersi trasferita assieme ai suoi fratelli ad Harrenhal, nello Yorkshire, per seguire il nuovo misteriosissimo lavoro della loro madre Catelyn alla ChXSt srl.
Nè Arya né il suo migliore amico Gendry sono convinti di cosa nasconda quella impresa, perchè strani uomini vestiti di bianco li minaccino continuamente e cosa c’entri l’Anticristo con un grattacielo in un paese sperduto dell’Inghilterra settentrionale.
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[AU particolare con l’Apocalisse di Giovanni, può forse sembrare forse blasfemo in alcuni punti, spero di non offendere nessuno!]
Genere: Avventura, Commedia, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Arya Stark, Catelyn Tully, Gendry Waters, Sansa Stark, Thoros di Myr
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un grosso pezzo di cemento finì dritto dentro al fiume Aire, sollevando acqua sporca che però non arrivò a schizzare i due ragazzi sulla riva del fiume.

-L’Inghilterra fa schifo, amico.- borbottò la ragazza, facendo per calciare un altro sasso dentro al fiume. Gendry la guardò male, in risposta. -Nah, non è un problema dell’Inghilterra. Non fa tutta schifo. Però Harrenhal sì, lo fa e parecchio.-

La ragazzetta, Arya, sbuffò e lanciò un altro sasso nel fiume. Sapeva che Gendry veniva da Londra e si era trasferito lì con sua mamma per lavoro. Gendry aveva diciotto anni, ma ancora non lavorava. Era lì per trovarlo, così diceva, ma non sembrava mai andare bene niente.

Gendry era alto, grosso, forte ma incredibilmente stupido e credulone e qualsiasi proposta di lavoro si trasformava in sfruttarlo per un paio di giorni senza pagarlo e poi mandarlo a casa a mani vuote. Così era nellEast-End in cui aveva vissuto fino a qualche settimana prima, e così era tutt’oggi ad Harrenhal. 

Arya non riusciva proprio a starselo simpatico, ma non aveva nessun altro con cui passare le giornate… e anche se era stupido e grosso e antipatico, i pomeriggi a girovagare per quello stupido paesino non andavano persi, al suo fianco.

Anche lei era lì da poco, anche lei con solo sua madre. In realtà si era trasferita lì anche con sua sorella maggiore Sansa e i suoi due fratelli minori, Brandon e Rickon, ma era… diverso. Loro non c’erano mai. Sansa e Rickon andavano a scuola a Leeds e stavano lontani giornate intere, e Bran aveva avuto un brutto incidente qualche mese prima del trasferimento e non poteva uscire di casa. Mamma lavorava alla ChXST.srl, la più grossa azienda del territorio. Arya non sapeva di cosa si occupasse. Partivano spesso dei furgoncini dal retro del grosso edificio che svettava su tutti gli altri, forse erano qualcosa tipo Amazon…

Nemmeno Gendry lo sapeva. Arya però sospettava qualcosa.

-Secondo me, è il covo di Satana- insistette Arya, alzando una zolla di terra mentre camminava assieme all’amico. Il sole stava ormai calando, ed era tempo di tornare a casa. In realtà Gendry poteva stare fuori tutta la notte, quanto tempo gli pareva, ma non sembrava farlo mai e aveva l'impressione che tornasse a casa subito dopo aver riaccompagnato l’amica all’uscio della sua casa vicino alle colline.

Il ragazzo sbuffò sonoramente, senza guardarla. Era molto alto, ma raramente abbassava lo sguardo su di lei. Arya aveva quattordici anni, stava ancora crescendo, ma anche se stava diventando una ragazza alta non sarebbe mai arrivata nemmeno vicina ai forse quasi due metri di Gendry.

-Hai finito con l’apocalisse e satana? Sono invenzioni. L’hanno anche detto in televisione.-

-La televisione è infarcita di fake news. Sai quante cose vogliono farci credere, che invece sono false? Tipo l’Area 51 e gli alieni. Loro sanno.-

Arya si fermò di parlare solo per guardarsi attorno. Era sicura che se solo l’avessero sentita, chissà cosa sarebbe successo… Aveva sempre in tasca un coltellino svizzero che le aveva regalato suo cugino Jon prima di partire da Edimburgo, ma chissà…

Lo sapevano tutti che i Men in Black avevano le armi ipertecnologiche aliene.

Gendry fece un gesto con la mano di chi parlava troppo per i suoi gusti, e lei gli tirò un calcio e scappò dentro casa, chiudendosi la porta alle spalle.

Fanculo Gendry, fanculo Sansa che rideva sempre delle sue teorie e fanculo pure Harrenhal.

Corse le scale di corsa e si fiondò in camera sua, buttandosi a faccia in giù sul letto senza nemmeno togliersi le scarpe o i jeans, entrambi sporchi di fango.

-Arya!- gridò infatti sua sorella Sansa, con cui condivideva la camera. La loro casa di Harrenhal non era grossa e accogliente come la loro villa di Edimburgo.

-Il fango! Puoi pulirti prima di entrare in camera mia?-

Sansa, idiota prepotente a cui apparteneva sempre tutto. Si alzò dal letto solo per tirarle un cuscino dritto sulla nuca, a cui seguì un ovvio grido di rabbia della sorella dai capelli rossi seduta alla scrivania.

Spense la lampada da scrivania, prese i libri di scuola e, Arya ci poteva giurare, dicendo qualche parolaccia sottovoce uscì dalla camera. -Vado in soggiorno a studiare, dato che una neanderthal con cui sono obbligata a condividere la camera non è capace nemmeno di pulirsi!-

Sansa usava sempre troppe parole, era così stupida…

Sotto al cuscino che aveva tirato c’era un libro, vecchio e usurato, che sfogliava sempre. L’apocalisse di Giovanni, citava il titolo.

Greco, trascrizione letterale inglese e traduzione con spiegazione. L’aveva letto tutto, più volte, continuamente e ormai lo sapeva quasi a memoria. Gliel’aveva regalato sua zia Lyanna chissà quanti anni prima, per qualche motivo che non aveva ben chiaro. Forse solo per dispetto verso papà, che non accettava quel tipo di religione.

L’aveva vista poche volte, sua zia Lyanna, e quasi tutte le volte lei e suo fratello Eddard, il padre di Arya, avevano litigato. C’entrava il marito di Lyanna, il padre di Jon, quell’uomo cattivo che spesso lasciava lividi su lei e Jon ma che Lyanna si ostinava a difendere strenuamente. Credulona, l’aveva chiamata papà Ned.

E quel libro è per creduloni, diceva sempre papà. Le teorie del complotto sono da creduloni, e così si finisce a essere ingenui e creduloni e troppo buoni di cuore.

Sapeva che papà era preoccupato per lei, Arya ne era sicura. Anche mamma le aveva fatto un discorso del genere, quanto papà fosse terrorizzato all’idea che Arya potesse soffrire quanto Lyanna.

Ma Arya era diversa, Arya aveva la verità in pugno.

L’azienda per cui lavorava mamma c’entrava con l’Apocalisse di Giovanni, perchè ChXST.srl in greco antico significava seicento, sessanta e sei, 666, e il simbolo della società era una stella.

La stella aveva sette punte e non cinque come in un pentacolo, ma… era un simil-pentacolo, no? Qualcosa del genere…

Doveva salvare la mamma, perchè quella società apparteneva a Satana, ma come? Aveva provato a dirglielo, ma mamma l’aveva terrorizzata con uno sguardo ancora prima che potesse finire la prima frase per convincerla.

Arya si decise a togliere le scarpe e i pantaloni fradici, e a raccogliere il cuscino che aveva lanciato alla sorella.

Domani, domani avrebbe investigato. La notte apparteneva ai demoni, ma il giorno era suo.

 

☆☆☆☆☆☆☆

 

Sansa la stava accompagnando, come ogni giorno, alle scuole medie di Harrenhal. La cittadina non era abbastanza grande anche per le scuole superiori, e Sansa, dalla scuola di Arya, prendeva il bus che la portava a Leeds. Per cui le due sorelle erano obbligate a passare il tragitto da casa a scuola assieme, e nessuna delle due era particolarmente felice della situazione.

-Cos’è quella roba che hai tra i capelli?- 

Sansa si voltò stupita verso la sorella, come se Arya non avesse gli occhi e che notasse qualcosa fosse incredibile. -Una molletta, me l’hanno regalata a… scuola.- sviò Sansa, arrossendo lievemente e tirandosi i capelli rossi dietro l’orecchio. Si riaggiustò la molletta, olografica e con qualche perlina di tutti i colori tra i capelli, tirandoli indietro dal bel viso.

Arya non era convinta.

-Qualcuno che ti sta dietro?- borbottò Arya, e Sansa quasi saltò al suo fianco, ancora più a disagio. Non rispose. Lo faceva spesso.

-Ti sta bene, comunque.- 

-Grazie, Arya.-

Sul viso di Sansa c’era un vago sorriso sincero e Arya si sentiva appena più felice. Non andavano spesso d’accordo, ma Arya avrebbe fatto qualsiasi cosa per Sansa, e sapeva che il sentimento era ampiamente ricambiato.

-Aspetta!- esclamò la sorella più grande, afferrando Arya per il polso e tirandola indietro, sul marciapiede al suo fianco. Stava per passare la strada, come sempre, e non aveva notato la schiera di auto che stava per arrivare a una velocità fin troppo alta per una cittadina del genere.

Come aprifila c’era una Lamborghini bianca e splendente, seguita da un’enorme suv rosso come il fuoco, una velocissima e ultracostosa Bugatti nera e, in fondo, una grossa auto che Arya non riuscì a riconoscere, dalla vernice opaca dai vaghi riflessi verdastri.

-Cos’è quello schifo?-

-Una Rolls Royce. Tu devi essere Arya, perchè sei idiota tanto quanto ti descrive tua sorella.-

Una voce che non conosceva. Arya saltò dal terrore e si voltò a guardare l’uomo che le aveva parlato. Era enorme, anche più grosso dell’auto di cui stava parlando, era completamente vestito di bianco, e aveva un ciuffo di capelli castani scuro a coprire metà del suo viso. L’altra metà non era così bella, a essere sinceri.

-E tu chi cazzo sei?-

-Arya, le parole!- gridò Sansa, mettendosi tra lei e l’uomo. -Lui è Sandor, abita qui ad Harrenhal e lavora alla mia scuola.-

Parlava di lui come se fosse una qualche pietra preziosa e non solo un uomo grosso e che puzzava. No, non puzzava davvero, ma Arya avrebbe preferito di sì, così avrebbe potuto odiarlo meglio.

-Ti ha regalato lui la spilla? Te la fai con i vecchi, ora?- chiese Arya a buciapelo. Il viso di Sansa si incrinò con la rabbia. -È una molletta.- sibilò lei. -E non me la faccio con nessuno. E ha ventinove anni! Ma cosa ne vuoi sapere tu, stupida?-

-Fanculo entrambi, allora.-

Non mi piace, vattene, scappa da lui, cosa aspetti?

Avrebbe voluto dirglielo, prenderla per un polso e scappare via con lei, ma non lo fece. Sansa poteva essere molto cattiva, se si impegnava, e si stava decisamente impegnando.

Si mise lo zaino in spalla e corse via, passò la strada e raggiunse di corsa la scuola. Nel correre, notò che le auto stavano entrando nel parcheggio sotterraneo della Fabbrica della Bestia. Sì, l’avrebbe chiamata così d’ora in poi, dato che non si ricordava la sigla effettiva.

E fanculo anche la scuola, a essere sinceri. Quel giorno la sua classe era impegnata in un noioso laboratorio sul cucito o altre fesserie che ad Arya ovviamente non interessavano, e si era rifiutata di partecipare. Sarebbe dovuta rimanere buona buona nella biblioteca della scuola ad aspettare che finisse e tornare a casa assieme a tutti i suoi stupidi compagni di classe, ma perchè perdere tempo in quel modo quando poteva, invece, andare a scoprire la vera verità dietro la Fabbrica della Bestia?

Entrò dal cancello, per non farsi notare, ma si arrampicò per il cancello deserto della entrata secondaria della scuola, lo zaino leggero contenente solo una torcia, il suo cellulare e il suo amato libro dell’Apocalisse.

E il coltellino di Jon, ovviamente. Non avrebbe lasciato a casa Ago per nessun motivo al mondo.

Cosa importava se saltava il corso di cucito? Lei sapeva già usare l’Ago.

La Fabbrica non era distante dalla scuola, e di soppiatto riuscì ad arrivarvici senza attirare attenzioni. Soprattutto per il fatto che non c’era nessuno in giro a quell’ora della mattina.

Non sapeva dove mamma lavorasse, a che settore o a che piano, ma se agiva abbastanza furtivamente non si sarebbe di certo fatta trovare.

Decise di entrare dalla porta d’ingresso. Se avesse provato subito a infilarsi di nascosto all’interno l’avrebbero presa, mai più permesso di entrarvici, e le indagini sarebbero finite sul nascere.

Hm. Sembrava una hall normale, di una qualsiasi agenzia. Almeno, così era nei film.

C’erano degli ascensori alla fine della hall, dove un grande numero di persone saliva e scendeva, ogni istante, e Arya decise di puntare a quelli. Sarebbe salita.

Cercando di sembrare più tranquilla e controllata possibile, si nascose dietro un tizio parecchio grosso vestito di una tuta stupida gialla e, senza farsi notare, riuscì a intrufolarsi completamente nascosta nell’ascensore.

Il tizio l’aveva notata, ma non sembrava interessato al fatto, perchè continuava a parlare indifferente al ragazzetto basso e dalla faccia da stupido con un cespuglio arancione sulla testa.

Appena le porte si aprirono, seguì la massa che si riversò fuori dall’ascensore, ma uscì dal gruppo prima che entrasse nell’enorme porta che si trovava alla fine del corridoio.

E ora?

C’era una porta semiaperta e nessuno all’interno dell’ufficio, così ci si fiondò dentro, sperando di non essere stata vista da nessuno.

Era un ufficio… bruttino, ecco. C’era una grossa scrivania nel mezzo, una vetrata coperta da brutte tende rosse, un armadio di latta mezzo aperto e un grosso divano di pelle sempre rossa, palesemente usato fino al consumarlo. Qualcuno dormiva sul lavoro…

Arya si mise alla scrivania e appoggiò lo zaino ai suoi piedi, controllando il computer.  Numeri, numeri di spedizioni, indirizzi, prezzi… nulla di particolare.

I prezzi erano in una valuta, però, di cui non aveva mai nemmeno sentito parlare. Talenti, sesterzi, dracme, scicli. Le spedizioni arrivavano fino a posti come nelle americhe, sud Europa, Africa. Non potevano essere una ditta così grossa a spedire in quantità così elevate in tutto il mondo. La loro sede era in un paesino, e non c’era nessuna informazione su di loro su internet!

-Thoros? Posso entrare? Hai almeno i pantaloni, stupida bestiaccia?-

Arya entrò nel panico. Era la voce di sua madre.

Cosa doveva fare? Mamma l’avrebbe castigata a vita, se l’avesse trovata lì a spiare…

Si guardò intorno, nel panico. L’armadietto di latta.

Prima che la porta si aprisse, si buttò dentro l’armadio e si chiuse lo sportello addosso nello spazio troppo stretta in cui si era incastrata, chiudendola con un suono metallico.

-Thoros?-

Sentì i passi della madre, sempre più forti, e poi si fermò di colpo nel sentire una voce di uomo da un vago accento straniero. -Cat! Ero da Bebe, ma sono arrivati tutti gli altri, e non…-

-Non voglio i dettagli.- fece mamma Catelyn e l’uomo, che doveva essere Thoros, si mise a ridere a voce alta. Sentì la pelle della poltrona soffiare, doveva essersi seduto alla scrivania, dove poco prima era seduta lei.

-Com’è andata coi Power Rangers?-

-I Cavalieri, intendi?- chiese Catelyn. -Sì, loro, però fa più ridere chiamarli Power Rangers. Sai, sono colorati, sono stupidi…-

Sua madre non rispose subito, forse sorrise, Arya non ne era sicura. -Sei un cretino. È andata… male, suppongo. Non si è risolto nulla. Vogliono il dominio completo sulla questione miracoli e preghiere, è inutile discutere con loro.-

-È inutile perchè hanno torto ma sono troppo stupidi e pieni di sé per ammetterlo?-

-Esatto.-

-E Bebe cosa dice?-

-Ha detto di chiedere a te.-

Sentì l’uomo sospirare. -Dovremmo decidere tutti assieme e non scaricare il barile a destra e a manca.-

Arya non sentì sua madre rispondere, ma sentì rumore di passi, e il chiudersi della porta.

Se n’era andata, ma lei era ancora chiusa lì, e chissà quando sarebbe potuta uscire. L’uomo non sembrava particolarmente professionale, magari sarebbe tornato presto da quella persona di nome “Bebe” e lei avrebbe avuto via libera.

Avrebbe potuto leggere un po’, nel frattempo, usando la luce del cellulare o della torcia…….

….che però aveva entrambi lasciato sotto alla scrivania dell’uomo.

Arya si tirò un forte pugno sulla fronte, facendosi male sia alla testa che alle nocche e soprattutto facendo un non così lieve rumore metallico, sbattendo col gomito alle strette pareti attorno a lei.

Si irrigidì completamente.

Silenzio.

L’uomo se n’era già andato?

-Puoi uscire dall’armadio, Catelyn se n’è andata.- disse, invece, l’uomo di cui aveva già dimenticato il nome.

Arya stette ancora immobile, trattenendo il fiato. Cosa avrebbe dovuto fare? Uscire allo scoperto così? Forse stava solo bluffando….

Invece l’uomo non bluffava affatto e aprì lo sportello dell’armadietto e Arya si ritrovò davanti al viso un sorrisaccio storto e pieno d’oro e un paio di tremendi occhi azzurri a sezionarla pezzo per pezzo.

-Hai dimenticato lo zainetto sotto la mia scrivania, ma non ho detto niente a tua mamma. Prego.- disse l’uomo, che dalla voce credeva decisamente più giovane. Doveva avere oltre la quarantina d’anni, forse quasi cinquanta, e i capelli ramati stretti in una lunga treccia, era alto e vestito fin troppo sportivo per un ufficio. A lavoro in una impresa di successo coi jeans strappati e gli stivaletti da moto e la t-shirt dei Clash?

-Come fai a…-

-Credi di non somigliarle?- disse lui, lasciandola uscire dall’armadio. -Avete lo stesso sguardo da lupo che ha voglia di sbranarti. E poi ti avevo vista scorrazzare in giro, prima.-

-E perchè non mi hai fermata?-

-L’hai sentito, ero impegnato.-

L’uomo le fece l’occhiolino e rise, ma anche se sembrava espansivo e a suo agio, sapeva che quella non era altro che una maschera che stava mettendo su per fare bella figura con lei.

-Tu sei..?- chiese Arya, strappandogli di mano lo zainetto che le stava porgendo e sedendosi sul divano consunto. Lui non l’aveva cacciata, dunque voleva dire che lei poteva rimanere. Il tizio dai capelli rossi non sembrò importarsene troppo della sua decisione. -Dovrei chiedertelo io, perchè sei tu quella che si è intrufolata nel mio ufficio, ma già lo so… Thoros Myriakidis, vicedirettore della ChiCsiStigma.srl. Sei nell’ufficio del quasi-capo, se volevi qualche informazione sei nel posto giusto.-

Oh, il ChXS si pronunciava così dunque. 

-E come hai fatto a diventare il vice della cr..che… E cosa fate qui? Perchè qui? Cosa c’entra la mamma?-

Arya a malapena riusciva a ricordare il nome del tizio strano, figurarsi il suo cognome impronunciabile e quella sigla orribile. Thoros rise, alzandosi in piedi. -L’ho fondata io, sono l’unico che sa pronunciarla… troppe domande per oggi. Se tua madre ti trova qui, finiamo nei guai entrambi.-

-Ma tu sei più in su della scala lavorativa rispetto a mia madre?- continuò a chiedere la ragazzina, anche se l’uomo la stava ormai spintonando gentilmente verso la porta. -Cosa sarebbe “Bebe”? Il direttore c’entra qualcosa con Satana?-

-Satana?- ripeté Thoros, sporgendosi appena dalla porta semi-aperta, scrutando oltre l’uscio per assicurarsi che la via fosse libera. -Satana non esiste, bambina. Se lo sono inventati a Roma tanti secoli fa. Ora ritorna a casa, o a scuola o da ovunque tu sia scappata per intrufolarti qui.-

La prese per un polso con una presa gentile e la accompagnò velocemente fuori dal suo ufficio e verso l’ascensore. Arya però non desistette. 

-Se l’hai fondata tu questa chi..cs.. perchè non sei il direttore?-

-Perchè non sono la pedina più importante qui dentro, sono solo il più vecchio.-

-Perchè qui? Perchè non da.. da dove vieni tu?-

-Salonicco. Sono greco, l’ho fondata qui perchè dovevo fondarla qui.-

Non stava ricevendo abbastanza risposte, sembrava tutto inutile. Era gergo da lavoratori o stava semplicemente facendo il vago? Non sapeva se gli stava simpatico o antipatico.

Cercò di chiedere altro, ma Thoros si bloccò sul posto. Arretrò di un paio di passi, sempre tenendola stretta per il polso. -Qui. Entra.-

Aprì una porta. Era uno stanzino, con delle scope e senza luce, come in ogni film che si rispetti.

Non voleva entrarci. Cosa voleva farle? Le avrebbe fatto qualcosa? Arya aveva il suo Ago e poteva gridare e chiamare la mamma e…

L’uomo la prese per le spalle e con una forza che le sembrò disumana la spinse dentro, chiudendole la porta alle spalle. -Non fiatare e non muoverti per nessuna ragione, ti prego.- disse solo Thoros.

Arya non lo fece. 

-Puzzi di cagna, Bestia.- 

Era una voce che conosceva, ma non sapeva dire dove l’avesse sentita. Arya era nell’ombra completa, mezza piegata e appoggiata ai mobili da poco dello stanzino, e le sembrava di essere una statua di pietra, rigida dal terrore. Sentiva solo le voci della discussione. Era per quell’uomo che era appena arrivato che Thoros l’aveva nascosta nel ripostiglio?

-Che intendi dire?- rispose Thoros col suo solito tono calmo. Non lo era, perchè anche quello era un tono totalmente finto e creato ad arte per la situazione.

-Ti ho detto che puzzi come la Grande Puttana.-

-Beh, lavoro con lei, e sai anche che quel nome non le…-

-Non me ne frega un cazzo di cosa piace a una Puttana!- gridò l’altro uomo, dal tono basso, rauco e pesante. -Chiudete questo posto, o faccio fuori le figlie della Grande Puttana.-

-Non lo farai, Sandor.-

Arya quasi crollò a terra, ma si mise accucciata a terra, in una posizione scomoda e incastrata tra una vecchia scopa e uno scaffale pieno di roba, ma i suoi muscoli erano talmente tesi che non riuscì a muoversi più di così. 

Sandor. Era l’amico speciale di Sansa, la puttana doveva essere sua madre, e le sue figlie…

La porta si aprì, e Arya credette di morire. Era proprio lui, quel Sandor della scuola di Leeds, ma la parte del viso che aveva visto coperta dai capelli sembrava ora lucida e luminosa, quasi olografica come la molletta di Sansa, e sulle sue spalle scintillava qualcosa che non capiva. Dietro di lui, Thoros le fece un vago segno di rimanere immobile. La porta si richiuse quasi subito, accompagnata da una frase di quel Sandor.

-Anche se ci fosse, non la vedrei. Vero, Bestia magica del cazzo?-

Per un istante solo le sembrò che Thoros avesse un paio di grosse corna proprio sulla rasatura che aveva sulla nuca, tra i lunghi capelli rossi.

-È l’ultima volta che vi avverto, maledetti infami. Chiudete questo posto, o la prossima volta non saranno solo parole.-

-Va bene, Sandor. Buona giornata, salutami i tuoi capi!-

-Crepa.-

Quando i rumori cessarono, Thoros riaprì la porta, si piegò sulla ragazzina acquattata a terra dal terrore e la avvolse in un veloce abbraccio. -Non succederà niente di male a nessuno, ma dimentica tutto, se puoi.-

 

☆☆☆☆☆☆☆

 

-Quel Sandor ci ucciderà, forse… forse lui è Satana e vuole ucciderci tutti. Non lo so.-

-Hai paura?-

Che domanda stupida le aveva fatto Gendry, come al solito. Tutte le sue domande erano stupide ma questa più di tutte, perchè Arya non aveva paura, mai. Arya era una tosta, Arya superava tutte le difficoltà, sempre e comunque. Ovviamente negò, perchè lei non aveva paura.

-Io avrei paura, se fosse in te. Un tizio che minaccia la mia famiglia…- 

-Io non ne ho! Basta!- gridò la ragazza castana, alzandosi in piedi. Erano, come al solito, a girovagare nel parco della cittadina tra una pozzanghera e l’altra, seduti sotto a un gazebo di legno al centro del parchetto.

Mamma, la sera prima, era tornata a casa con grosse occhiaie nere e un’espressione sconvolta, e aveva annunciato che il giorno dopo ci sarebbe stato un tremendo acquazzone e una tempesta che avrebbe chiuso tutte le scuole, e che Arya e Sansa sarebbero dovute rimanere a casa da scuola, assieme a Bran e al piccolo Rickon.

Nessuna previsione del meteo aveva dato cattivo tempo il giorno dopo, ma invece era proprio successo quello che mamma aveva preannunciato: un temporale con acqua a catinelle. Sansa era rimasta chiusa in casa, mentre Arya era uscita. Aveva tentato di convincere Sansa a odiare quel Sandor, ad allontanarsi da lui, ma ovviamente non aveva ceduto.

Perchè avrebbe dovuto, d’altronde? Arya non aveva prove che lui fosse Satana. Le rubò comunque la molletta, e appena fuori casa la gettò nel tombino. Arya aveva solo le proprie parole, ma non contavano nulla, per questo lei e Gendry avevano un piano.

-Andrai da loro fingendoti un nuovo impiegato, e…-

-Come faccio a fingermi un nuovo impiegato?- chiese quello stupido di Gendry. Arya sospirò pesantemente, perchè Gendry aveva il testone duro e non la lasciava mai, mai finire. I suoi piani erano geniali, ovviamente, e lui era un idiota, ovviamente.

-Ci arrivo! Ecco.-

Arya sbattè addosso al ragazzo il borsone bagnato che lei si era portata da casa. Gendry si lamentò all’inizio per il fatto che fosse fradicio di pioggia, ma poi decise di fare il serio e lo aprì, ci frugò all’interno e i suoi occhi si sgranarono con sorpresa. -Una tuta? Dove l’hai..?-

-Non è ufficiale, ma mi ricordo bene com’erano le tute dei lavoratori, per cui le ho prese su internet simili e poi le ho un po’ modificate. Ah, la garza. Devi mettertela attorno alle mani. E non devi mai toglierti il cappello, mai.-

Tutti gli impiegati, notò Arya due giorni prima, avevano un segno strano e non meglio identificabile su fronte e dorso della mano, ma non riusciva a ricordarlo bene, per qualche strano motivo. La sua memoria era buonissima, di solito…

Non ricordandolo, avrebbe fasciato Gendry. Facile. Avrebbe detto che i tatuaggi erano freschi e gli facevano ancora male.

-E tu?-

-Nel borsone.-

Arya era bassa, mingherlina e atletica, e nel borsone ci stava,e Gendry era quasi due metri e un quintale, tutto muscoli e poco cervello. L’aveva già provato, anche se si era incastrata la prima volta che aveva tentato di entrarci. -Tu mi porterai all’interno, mi lascerai lì e io esplorerò la zona. Se troverò qualcosa, ti manderò un messaggio sul cellulare.-

-E se ti ficcherai nei guai?- chiese il ragazzo, con una nota di sincera preoccupazione nella voce. Gendry era di quattro anni più grande di lei, e spesso la trattava come una bambina incapace. Era carino da parte sua, quasi dolce, ma Arya non voleva essere trattata come una giovane fanciulla in difficoltà. Arya era una guerriera, una conquistatrice, non una principessa nella torre.

No, Gendry non ne era convinto, ma ad Arya non importava. 

-Dobbiamo farlo. Hai visto anche tu i traffici strani che stanno facendo. Hai visto anche tu quel Sandor.-

Gendry l’avrebbe aiutata. Sospirò, aprendo lo zaino e dicendole che sì, avrebbe acconsentito a essere una pedina nel grande piano di Arya.

 

☆☆☆☆☆☆☆

 

Gendry si appoggiò con i gomiti alla grossa scrivania a ferro di cavallo al centro del salone centrale, aspettando qualcuno che forse non sarebbe mai arrivato e con qualcun’altro che invece era, purtroppo, ben presente sulle spalle. Quanto pesava, quaranta chili? Credeva che Arya sarebbe stata più facile da trasportare, ma quaranta chili erano sempre chili in più sulle sue spalle e Gendry era fradicio per l’acquazzone fuori, di cattivo umore, preoccupato e spaventato. 

-Sei uno nuovo?- chiese un ragazzo alle sue spalle, e Gendry trasalì. Si voltò. Era un ragazzotto di circa la sua età, dai capelli arancioni e la faccia lentigginosa e scherzosa. Era vestito esattamente come lui, era anche lui fradicio di pioggia e aveva uno zainetto sulle spalle, molto più piccolo del suo.

E un pentacolo tatuato sul dorso della mano.

-Il mio primo giorno. Non so bene come… orientarmi.- rispose Gendry. Sapeva mentire abbastanza bene, aveva imparato nell’East End quando i bulli lo circondavano e nessuno era lì per proteggerlo o nasconderlo. Era un ragazzo difficile da nascondere, in tutti i casi.

-Ti aiuto! Sai, anche io sono qui da poco. Però io avevo trovato solo quello stronzo di Lem, che è il tizio della manutenzione. Lo riconoscerai, è più grosso di te e vestito di giallo. Lo chiamiamo Lem per quello!-

Anguy era simpatico, ma sotto la visiera del suo cappellino c’era il segno di un pentacolo sulla pelle della sua fronte.

Lo accompagnò fino all’ascensore, e Anguy parlò per tutto il tempo, evidentemente emozionato di avere qualcuno al fianco della sua età a lavoro, finalmente.

-Allora, il vice è Thoros, è quel vecchio punk coi capelli lunghi e rossi che sembra un barbone ditto dagli anni settanta, se hai bisogno di qualcosa devi beccarlo e chiedere a lui, anche se è sempre nell’ufficio del boss perchè sai… loro due…-

Anguy infilò l’indice della mano destra nel cerchio che aveva creato con pollice e indice della mano sinistra. -capito?-

Gendry annuì. Non gli interessava il gossip, e si sentiva anche un po’ a disagio in quel momento. -Il boss è una persona… misteriosa? Non esce mai dal suo ufficio. Sinceramente non l’ho mai visto.. o vista, non so se sia maschio o femmina. Forse femmina? Insomma, lo spero per Thoros, sai com’è.-

Annuì. Non sapeva “com’era” per davvero, ma doveva fare il gioco sporco con Anguy, che parlava troppo velocemente e con quell’accento marcato gallese o forse irlandese e Gendry faceva davvero fatica a stargli dietro. A Londra passava gente di ogni tipo e per il porto a est della metropoli dove era nato e cresciuto anche di più, ma raramente gallesi, ancora meno irlandesi.

-Invece la signora Stark invece è alla direzione delle spedizioni. Tu hai capito cosa spediamo, qui? Io no. Ah, ecco, qui si deposita la roba.-

Erano usciti dall’ascensore e avevano camminato per qualche corridoio, prima di raggiungere una porta blindata con un ometto vestito da guardia giurata a controllare. Lo salutò e lui ricambiò il saluto, e anche il suo cappello da guardia nascondeva un tatuaggio sulla fronte.

Anguy lanciò il suo zainetto a terra, ai piedi di uno scaffale pieno di borse. Gendry appoggiò a terra il proprio con più delicatezza, ma non troppa. Non voleva sembrare strano.

-Vieni, ti faccio vedere la mappa interattiva che c’è sui furgoni. Ah, come hai detto di chiamarti?-

-Gendry- rispose, seguì Anguy, salutò la guardia e pregò mentalmente per Arya.

 

☆☆☆☆☆☆☆

 

Dopo un paio di snack che aveva rubato dal cassetto "segreto" dei dolci di suo fratello minore Bran, che corrispondevano più o meno a una decina di minuti, Arya di divincolò dallo zaino in cui si era volontariamente rinchiusa.

Era in un grosso ripostiglio, dove tutti i dipendenti lasciavano i loro averi personali quando erano a lavoro, come aveva detto quell'Anguy. Aveva dedotto dai saluti che all'entrata di fosse una qualche sorta di guardia.

Era un bel posto in cui lavorare, forse Gendry avrebbe davvero dovuto trovare un posto lì…

No, non doveva, ripensò Arya in un momento di lucidità, o forse in un momento di mancanza di essa. Quella era la fabbrica di… come l'aveva chiamata?

Era allo stesso piano dell'altro giorno? Forse, ma forse no.

Come sarebbe uscita da lì? Con la classica fuga da film di spionaggio: il condotto dell'aria.

Era nel suo destino passare per di lì, pensò Arya mentre si arrampicava per raggiungere lo sbocco del condotto. Era pure nel suo nome.

Cercò di fare attenzione a non sbattere il prezioso marsupio che conteneva cellulare, torcia e qualche fotocopia specifica dal suo libro preferito. Aveva stampato le parti in cui parlava delle due Bestie, quella della Terra e quella del Mare, e i Cavalieri e la Donna di Luce, la caduta di Satana e la vendetta degli angeli con quel nome strano.

Sandor, ripensandoci, aveva chiamato Catelyn grande puttana. Babilonia era chiamata in un modo simile nell'Apocalisse di Giovanni. Probabilmente erano solo coincidenze, e quel Sandor era davvero uno stronzo.

Svitó la grata del condotto e vi si infilò dentro, pregando chinque ci fosse in cielo perché non decidessero di avere troppo caldo o freddo nell'edificio.

Gattonare sulla latta faceva un rumore infernale, ma strisciare le faceva male alle ginocchia oltre ogni limite e soprattutto quando incontrava la fusione in rilievo tra due pezzi di lamiera.

Strisciò a caso, cercando di sentire le voci che uscivano da ogni condotto. Quando ne sentiva una che non conosceva, passava oltre. A un certo punto le sembrò di sentire anche la risata di Gendry.

Ogni metro che faceva si sentiva più 007 ma anche più stanca, e l'idea che quella missione fosse stupida e senza motivo le stava aleggiando nella mente con grande gravità, sempre più rumorosa e insistente…

-Guarda che macello. Dovremmo chiamare una ditta di pulizie, ora. Vetri ovunque, che disastro...-

Era una voce sicura, ferma e irremovibile, con una dolce cadenza delle parti di Liverpool che Arya avrebbe riconosciuto ovunque.

Mamma!

Gattonó disperatamente verso la fonte della voce della madre, continuando a tendere un orecchio verso quella direzione.

-Ti preoccupi dei vetri, Puttana?!- gridò quello che doveva essere Sandor. -Ho portato qui un esercito, e tu pensi ai vetri? State per morire e pensate alle ditte di pulizie? Questo è il motivo per cui dovete perire!-

-Perchè ti fa schifo l'igiene personale?- rispose Thoros ridacchiando. Sentì anche un'altra mezza risata, di una voce sconosciuta che ben presto però parlò a sua volta.

-Un esercito un po' scarno, stavolta… avete finito i fondi nelle Cerchie del Paradiso? Capita, quando andate in bancarotta perchè una ditta migliore della vostra vi frega clienti.-

La voce era bassa, gutturale e cavernosa, imponente e che suonava come un eco dalla tomba. Arya di sentì gelare dentro. Quella voce la terrorizzava. Era la voce che si sarebbe aspettata da un fantasma in un film horror, o uno sciamano voodoo dagli occhi vitrei.

-Fottiti, Anticristo. In questo tuo nuovo corpo sembri un pollo crudo spolpato da discount.- gli rispose Sandor.

-Tu sei brutto sempre- contrattaccò Thoros. Stava difendendo l'Anticristo? 

-E poi… Anticristo, che brutto termine. Non sono l'anti di nessuno. Non predichiamo odio, e il mio profeta non è falso. È solo mio.-

L'Anticristo era l'uomo dal vocione, ed era in combutta con Thoros e, potenzialmente, mamma Cat.

Mamma era dalla parte dei cattivi..?

-State zitti!- gridò di nuovo Sandor, e stavolta la sua voce fu tanto forte da far traballare il condotto dell'aria in cui era in bilico la ragazzina. -Babilonia, io ho entrambe le tue figlie in pugno. I miei angeli le hanno prese e basterà un mio schiocco di dita e faranno la fine che voi avete fatto fare all'Agnello.-

Calò il silenzio. Solo la voce sicura dell'Anticristo parlò, bassa e convinta. -Cat, è un bluff.-

Arya si irrigidì e si perse nei suoi pensieri. Cosa stava dicendo Sandor? Sansa era rimasta a casa a studiare con la sua migliore amica Jeyne, e Arya era lì nel condotto a origliare…

-Le ho rapite da casa tua, quella adorabile villetta vicino alla collina. La moretta ha scalciato un po', ma alla fine le abbiamo catturate entrambe. Sta a voi decidere, chiudete questa azienda di preghiere blasfeme e avrete salva la vita delle…-

Le parole di Sandor si offuscarono mentre si facevano più forti quelle degli uomini sotto di lei. 

Non si era accorta di essersi fermata prima della porta del Direttore, esattamente sopra il corridoio che dall'ascensore portava all'ufficio.

Vide, attraverso le grate dell’areazione poco avanti a lei, l'uomo vestito di giallo che teneva per la collottola Gendry, senza cappellino e dalla fronte intonsa. 

-Il capo ti ammazzerá, stronzo blasfemo… sei uno di loro, vero?- 

Lem era furibondo e Gendry terrorizzato. -Non so di chi stai parlando!- tentò lui.

-Gli angeli! Gli stronzi dal Paradiso! Stanno cercando di fare fallite questa azienda da quando l'abbiamo aperta!-

Torse un braccio di Gendry dietro la sua schiena appena il ragazzo tentò di divincolarsi. L'uomo vestito di giallo lo buttó a terra e si mise sopra di lui, facendo gridare dal dolore Gendry sotto la stretta micidiale di Lem. -Magari ti ammazzo subito e ricevo un aumento dal capo per buona condotta…-

No!

Rumori metallici di spade e scudi e passi di marcia guerrigliera oltre la porta del capo.

No! NO!

Arya fece per agire ma il destino fu più veloce di lei.

Un forte CRACK metallico sotto di lei e il condotto di areazione di aprí sotto le sue ginocchia.

Arya cadde a corpo morto sulla schiena di Lem, che si buttò a terra e liberò Gendry dalla sua stretta.

Arya si rialzò più in fretta che poteva, tirando un calcio sul viso all'uomo vestito di giallo per assicurarsi non si rialzasse subito, e corse contro Gendry che rimaneva inginocchiato a terra come lo stupido che era.

Lo scosse per una spalla, sentendosi male a vedere l'occhio nero che gli avevano provocato.

Era tutta colpa sua.

-Alzati, dobbiamo scappare!- gli urlò Arya nell'orecchio. Gendry annuì, e Arya, tenendolo per un polso, corse più forte che poteva verso la grossa porta a maniglia che li avrebbe condotto verso l'ufficio del capo, dall'Anticristo e dagli angeli e dalla mamma che era in pericolo.

 

☆☆☆☆☆☆☆

 

Sandor non era Satana, e tutto quello in cui credeva era sbagliato.

Arya credeva in un'allucinazione data dalla botta alla testa che aveva subito, credeva che fosse un film quello che aveva davanti agli occhi, ma non era così. Stava tutto succedendo davvero, davanti a lei.

Arya e Gendry avevano corso quanto più veloce avevano potuto verso la porta del direttore. Col suo corpo da toro, Gendry l'aveva sfondata facilmente, ma appena prima di mettere piede nell'ufficio Lem e Anguy furono loro addosso.

Arya sentì la mano di Anguy tra i capelli, stringerseli tra le dita e buttarla a terra.

Il mento le doleva da impazzire perché Anguy nel farla rovinare a terra per bloccarla le aveva fatto sbattere il viso a terra, e dai lamenti di Gendry poteva supporre fosse nella stessa situazione sua.

-Mamma!- gridò Arya, ancora a terra. Mamma, sono qui per salvarti…

-Arya! Gendry!- questa era la voce di sua mamma. Arya sentì i muscoli sciogliersi e rilassarsi alla sua voce, anche se il suo tono era così spaventato. Sentì le lacrime agli occhi e il pizzicore al naso di quando stava per mettersi a piangere.

-Lascateli subito.- fece la voce dell'Anticristo.

Anguy e Lem retrocedettero e lasciarono andare i due ragazzi, e finalmente i polmoni di Arya ripresero ossigeno.

Nell'alzarsi da terra, una scheggia di vetro le si era conficcato nel palmo della mano, ma con tutta l'adrenalina che le circolava in corpo non se n'era accorta.

Quando alzò il viso e guardò dritto nell'occhio la persona che aveva davanti, era sicura di trovarsi di fronte a qualcosa di divino.

Non sapeva se l'avrebbe descritto come bello. Il suo viso era armonioso e i suoi capelli, anche alla fredda luce di un giorno temporalesco brillavano comunque d'oro e di fuoco, ma la sua pelle era diafana come quella di un cadavere e sul suo petto scoperto sotto la camicia mezza aperta c'era il segno palese di una cucitura da autopsia. Era magro, troppo magro, ma dalla figura elegante e aggraziata. In lui nulla andava e tutto era perfetto.

Sulla sua fronte stagliavano sette sottili corna e su di esse c'erano dieci anelli dorati, e il suo unico occhio buono la stava guardando con un'espressione gentile ma misteriosa.

-Dammi la mano, Arya.- disse col suo tono basso e autorevole che non si addiceva a lui e allo stesso tempo non cozzava affatto con la sua aria divina. Non doveva avere che pochi anni più di Gendry.

Prese la sua mano tra le proprie, fredde e dure, e il taglio sulla mano di Arya fu curato in un istante.

Arya si sentiva in un sogno ma lui era il protagonista e non Arya stessa. Era strano stargli vicino, l'aria sembrava più pesante attorno a lui.

-Voi andate, e dimenticate tutto.- intimò loro Thoros, avvicinandosi a sua volta si due ragazzi fuggitivi. Al contrario di giorni prima aveva i lunghi capelli rossi sciolti sulle spalle e due grosse corna da ariete sulle tempie, come quelle che aveva visto quel giorno. Le sorrise mentre Anguy e Lem scomparivano dietro la porta. 

-Alla fine hai scoperto il segreto dell'azienda, no? Non sei felice?-

Arya era ancora intontita, ma cercò di ragionare.

Si guardò attorno, e più che un ufficio quella le sembrava una gigantesca sala riunioni, ma la vetrata che si affacciava su Harrenhal era distrutta e su quel lato della stanza c'era Sandor dalle ali da angelo che brillavano di tutti i colori e metà viso che risplendeva e l'altra metà brutta come al solito. Dietro di lui, una schiera di angeli brutti e grossi quanto lui, dai colori brillanti come i suoi e armati di tutto punto.

Mamma portava la sua solita giacca rosso brillante, e ora anche il suo viso era rosso di rabbia come i suoi capelli e il suo completo elegante. -Con te parliamo dopo- ringhiò ad Arya, prima di voltarsi verso Sandor, con puro odio nella voce e nello sguardo. -Non avevi detto che avevi in ostaggio le mie figlie? Arya è qui!-

Sandor indietreggiò, stringendo la spada luminosa che teneva in mano. -L’altra! Posso ucciderla quando voglio, la rossa! Ha un mio simbolo, posso farle quello che…-

-L’ho buttato nelle fogne.- rispose Arya, aiutata a rimettersi in piedi dal giovane che definivano come l’Anticristo. Si voltò verso Thoros, che ridacchiò tutto fiero. -Te l’avevo detto, Bebe.-

-Sei tu “Bebe”!?- gracchiò Gendry, quasi senza voce. Aveva urlato? O forse era talmente scosso da non avere più voce? Arya gli stette vicino, solo nel caso potesse ancora succedere qualcosa.

-In realtà il mio nome è Beric, ma tutti mi chiamano in modo diverso, anche se qualche nome è meglio di altri. Bebe mi piace di più di “Anticristo” o “Bestia del Mare”, ecco.-

Beric, finalmente, si voltò verso la schiera di angeli che ora sembrava decisamente meno convinta. Sandor stava parlottando con un altro angelo, anch’esso vestito di bianco, che continuava a fare segno di andarsene. Quando però Sandor ebbe Beric abbastanza vicino, si destò dai suoi discorsi e abbassò lo sguardo sul ragazzo, che doveva arrivargli più o meno alla spalla e non era più spesso della sua spada.

-Se non hai altre minacce da esibirmi, sei libero di andartene, tu e le tue gallinacce.-

-Con questo tempaccio?- tentò Sandor. Beric fu irremovibile. In un istante la pioggia sparì e le nuvole si aprirono su un cielo azzurrissimo. -Prego- disse, accompagnando la parola con un gesto quasi stizzito.

Sandor fece retrofront, aprì le sue grandi ali arcobaleno e, assieme a tutti gli altri angeli e arcangeli che facevano parte del bianco Esercito del Paradiso, volarono via.

-Intendi lasciarli andare via così?- alzò la voce Catelyn. Thoros, al suo fianco, ridacchiò consapevole, stringendo tra i denti una sigaretta smangiucchiata dall’ansia. -Nah, sta a vedere.-

Quando furono abbastanza lontani da non tornare indietro, la tempesta riprese, anche più violenta di prima. Beric si voltò e tornò al gruppo con un sorrisetto.

-É il tempo delle spiegazioni ora, vero?-

 

☆☆☆☆☆☆☆

 

-Per cui, alla fine, questa è davvero la Fabbrica di Satana.- esclamò soddisfatta Arya, dando un altro morso alla pastina greca che Thoros le aveva dato. 

Erano seduti al tavolo delle riunioni nell’ufficio di Beric, mentre dietro di loro qualche impiegato spazzava via i vetri rimasti sul terreno. Beric sospirò, voltandosi a guardare Thoros a cui stava stringendo la mano. -Non è una fabbrica, è una ditta di spedizioni di preghiere e miracoli, e non sono “Satana”. Cat ci aveva detto che eri fissata con il Libro dell’Apocalisse e non ci hai nemmeno riconosciuti?-

Arya finì la pastina che teneva tra le mani. Thoros aveva solo un paio di grosse corna arrotondate sulla testa e i denti appuntiti, e aveva sentito Sandor parlare di un “falso profeta”. Beric, al contrario, era decisamente più caratteristico: aveva sette corna e dieci anellini su esse, una cucitura da autopsia sul petto, e dei poteri strabilianti.

-Il Falso Profeta e l’Anticristo?-

-Ovvero la bestia della Terra e del Mare. Dovresti ripassarti meglio quel libro.- 

Thoros prese una pastina a sua volta dalla teglia che aveva portato a lavoro quel giorno. Sul vetro della teglia era attaccato un foglietto che recitava la scritta “per Bebe♥”, ma aveva evidentemente cambiato idea e aveva offerto i dolci che aveva cucinato a tutti quanti e non solo a Beric. 

-Oh, no. Non voglio che lo legga ancora. Deve staccarsi da quel coso, andare a casa e studiare.- borbottò Catelyn, ancora dallo sguardo aggrottato e una vaga nota di risentimento per Arya.

-Aspetta, voglio delle risposte!- gridò Arya, spaventando Gendry al suo fianco. -Perchè quegli angeli volevano che smetteste di lavorare? E perchè vi siete messi a lavorare proprio qui?-

-Beh, siamo la competizione. Il cristianesimo ultimamente non se la sta passando molto bene ultimamente, sai?- rispose Beric, tra un morso e l’altro. -Non è più al passo coi tempi, sai. Tutto questa intolleranza verso le unioni omosessuali e le altre religioni e gli altri stili di vita diversi da quello che hanno imposto loro non porta molta pubblicità positiva. Le religioni sono un brand, e loro stanno facendo un marketing davvero obbrobrioso.-

-E poi Harrenhal è perfetta. L’essere nel bel mezzo di bel po’ di corsi d’acqua rende le preghiere più efficaci. Sai, il fatto dell’acqua sacra… e poi è fuori dal raggio d’azione dei media centrali, lontana dalle grandi città del Regno Unito.- Thoros finì di parlare e rise, facendo per frugare nella terrina e accorgendosi che non c’erano più dolcetti solo dopo un po’ di tempo a cercare. -In Grecia non avevo mai sentito parlare di Leeds. Non sapevo nemmeno dove fosse, e anche ora sono un po’ confuso su dove collocarla su una mappa. Perfetta per non attirare attenzioni non volute.-

Thoros sembrava un po’ deluso dal fatto di non aver trovato altri dolcetti, ma Beric gli passò il suo mezzo smangiucchiato. Thoros, evidentemente, apprezzò l’offerta. Prese il dolcetto e diede un lieve bacio sulla guancia al ragazzo più giovane.

-Ma come Gesù, sei morto e rinato anche tu?- chiese Gendry, ignorando quel gesto che l’aveva evidentemente messo a disagio. 

Beric storse il naso. -Non nominarlo, quel tizio. E poi è “morto e risorto” e sì, in effetti… è proprio così. Credevano che ammazzandomi si sarebbero sbarazzati di me, e invece hanno ottenuto l’effetto opposto. Volevano che la Bestia del Mare reincarnata non scoprisse chi era davvero, ma proprio l’uccidermi ha risvegliato in me quello che io sono sempre stato. Ah, è stato questo vecchiaccio a farmi tornare in vita, ma non chiedergli in che modo. Dice che è decisamente imbarazzante. Non ha voluto dirlo nemmeno a me.-

Sul viso scavato di Beric intravide un sorriso, ma le sopracciglia di Catelyn erano ancora aggrottate e la sua espressione corrucciata, e Arya aveva paura a chiederle quello che doveva.

-E tu, mamma?-

-Io cosa?- disse, ruggendo come un leone. Era ancora agitata o solo innervosita dal guaio di Arya? 

-E tu perchè lavori qui? Cosa fai? Chi sei?-

Era strano chiedere alla propria madre chi fosse, e questo dovette capirlo anche lei, perchè i suoi occhi blu zaffiro diventarono appena più dolci, più comprensivi e amorevoli, e la sua mamma era tornata e la donna d’ufficio di una multinazionale si era assopita di nuovo. 

Alzò una mano solo per pulire delicamente i corti capelli di Arya, che si erano sporcati nel suo viaggio nelle condutture dell’areazione. -Mi occupo del marketing. Io dovrei essere la grande Babilonia, e infatti da quando ho avuto questa sorta di… risveglio spirituale, so parlare lingue di cui prima non conoscevo nemmeno l’esistenza.-

-Quando tu, Robb e Bran avete fatto quell’incidente?-

-Quando gli angeli hanno cercato di farvi fuori.- si intromise Thoros, perchè Catelyn non avrebbe risposto in nessun modo a quella domanda. -Gli angeli non sono esseri malefici, piccola Arya, non hanno nessun tipo di intenzioni o inclinazioni verso bene o male, ma del loro capo non ci si può fidare, e di conseguenza nemmeno di loro.-

Catelyn si alzò in piedi, fece il giro del tavolo e prese tra le dita l’orecchio di Arya. -È ora di tornare a casa, qui hai visto troppo. Thoros, fa’ quel che devi, bestiaccia.-

L’uomo dai lunghi capelli rossi e le corna da ariete ridacchiò e si alzò in piedi a sua volta, solo per piegarsi su Arya e soffiarle in faccia una polvere. 

Oh no, non altra polvere. Ne era piena. Starnutì e Thoros rise, prima di salutarla con la mano. -Arrivederci, piccola Arya.-

Anche Beric la salutò con un cenno della testa, prima di essere trascinata via dalla madre.

-E io?- chiese Gendry. -Tu non hai un lavoro, giusto? E lo stai cercando. E noi abbiamo bisogno di tutta la manodopera possibile… poi sei forte e giovane, sei quello che stiamo cercando!- gli rispose Beric. 

-Le condizioni di lavoro e la retribuzione non sono male, no?- continuò Thoros. Arya si voltò a guardarli: la complicità di quei due era inquietante.

Non seppe se Gendry valutò positivamente o negativamente quell’offerta, perchè mamma Cat la trascinò fuori dall’edificio in fretta e furia, fino a casa, dove era sicura le sarebbe, invece, spettata una ramanzina tremenda.

 

☆☆☆☆☆☆☆

 

Arya sentì solo un peso sul viso e un forte impatto e, d’istinto, gridò. Gli angeli erano tornati? La stavano rapendo?

No, peggio, era sua sorella Sansa che le aveva tirato un cuscino dritto sul naso.

-Eh?!- sbraitò Arya, scendendo dal suo letto, i suoi occhi ancora appannati e appiccicosi dal sonno. -Perchè l’hai fatto, scema!-

-Mi sono solo vendicata per la cuscinata di ieri.- concluse la sorella maggiore, stringendo protettivamente il cuscino al petto. Tra i suoi capelli rossi non c’era nessuna molletta colorata. 

-Ieri?-

-Cos’è, ti droghi? Devo dire qualcosa alla mamma?- 

Nella voce di Sansa ora c’era preoccupazione , oltre che irritazione usuale. Arya rimase immobile, a rimuginare.

Erano passati almeno tre giorni da quell’avvenimento, lo ricordava bene. Non era stato un sogno, non…

...eppure, guardando la data sullo schermo del suo cellulare dal vetro incrinato, la data segnava quella di tre giorni fa. 

Non rispose a Sansa, e lei gli si avvicinò, sedendosi sul bordo del suo letto. Sansa era spesso insopportabile, ma era gentile e dolce quando poteva. Prese una sua mano, e si accorse di star tremando. -Arya?- chiese di nuovo Sansa, tanta preoccupazione nei suoi grandi occhi blu. -Non stai bene? Non ti ho mai vista così seria…-

-Ho fatto un… incubo, credo.- rispose la sorella più piccola. Non ne era sicura. 

Sansa si sporse appena per abbracciarla e Arya, insolitamente, non sgusciò dalle sue braccia ma rimase ferma.

Senza dire nulla di troppo Sansa si alzò e uscì dalla stanza, non senza prima averle rivolto un sorriso comprensivo. -Vieni a fare colazione, dobbiamo andare a scuola.-

Era un sogno? Non importava, avrebbe salvato Sansa anche negli incubi.

Eppure sembrava tutto così reale, così vero…

Mamma non c’era a fare colazione, come sempre, perchè era già a lavorare a quell’impresa strana di cui Arya non ricordava mai il nome. Non importava più.

Mise comunque il Libro dell’Apocalisse nello zainetto di scuola, perchè se non fosse stato davvero un sogno? Eppure la data del giorno le dava torto.

-Lo conosci qualche “Sandor”, tu?- chiese Arya a Sansa, mentre le due si accingevano alla fermata dell’autobus per Leeds. Sansa ci pensò un po’ su e poi negò con leggerezza, i suoi capelli rossi che ballavano nell’aria con la sua solita eleganza. -No. Perchè, dovrei?-

-No, meglio di no.-

Quel giorno il bus arrivò prima del previsto, proprio mentre le due sorelle stavano camminando. Di solito Arya faceva in tempo ad allontanarsi e quasi ad arrivare alla scuola, ma invece quel giorno era in anticipo.

Le sporte dell’autobus si aprirono, e scese un uomo decisamente familiare. Si voltò solo per aiutare un ragazzo a scendere, zoppicante e macilento, reggendogli la stampella.

Quei due li conosceva bene, Arya.

Il giovane e cadaverico Anticristo e il sorridente Falso Profeta, dagli occhi azzurri e furbi che la stavano fissando con... consapevolezza. Era consapevolezza quella, la vedeva, sapeva. Lui la conosceva. Non era un sogno, non era stata solo la sua fantasia.

Lui era.. era…

I nomi le morirono sulla lingua.

Non li ricordava.

Sapeva che il ragazzo biondo era inglese mentre l’uomo dai capelli lunghi e rossi veniva dall’Europa continentale, ma non ricordava nemmeno il posto.

-Ciao Sansa!- disse l’uomo dall’accento sud europeo. Spagnolo, italiano forse? No, no…

Sansa sorrise ad entrambi. -Thoros, Beric! Lei è Arya, mia sorella!- fece la ragazza dai capelli rossi, tutta felice. Si voltò verso la sorella con un sorriso tranquillo. -Loro sono Thoros e Beric, lavorano con la mamma, ci incontriamo sempre sull’autobus!-

Sia l’Anticristo che il Falso Profeta la stavano guardando con un sorriso quasi strafottente, quasi di scherno, di qualcuno che sapeva qualcosa.

Non era un sogno. Non era stato un sogno.

-Ci siamo già visti, forse?- fece Thoros, trattenendo una palese risata. Anche Beric, al suo fianco, strinse il suo braccio e le rivolse un sorrisetto. -O forse è stato solo un qualche sogno.- continuò il ragazzo più giovane, che stavolta non aveva sette corna e dieci corone.

-Ci vediamo, ragazze, se non arriviamo in tempo a lavoro vostra madre ci crocifigge.- 

I due rossi le salutarono con un cenno della mano, ma Arya non riusciva a reagire. Thoros aveva simulato di soffiare o se l’era appena immaginato?

-Simpatici, vero? Io li trovo una coppietta carinissima.- fece Sansa, salendo sull’autobus. Arya non riuscì a reagire nemmeno al commento di sua sorella. La salutò silenziosamente e si diresse a scuola, scorrendo le notifiche sul proprio cellulare.

Qualche mi piace su instagram, un paio di commenti su facebook, e dei messaggi da Gendry.

Li lesse con disinteresse, ma dovette fermarsi in mezzo al suo tragitto una volta letto cosa il ragazzo aveva da dirle.

Arya, non ci crederai mai! Ho trovato lavoro, alla ChXST! La paga è ottima, e le condizioni di lavoro non sono affatto male! L’unica cosa è che impongono un simbolo di riconoscimento sulla fronte e sul dorso della mano… che te ne pare? Rispondimi appena puoi! Sono felicissimo!

Arya avrebbe preferito fosse tutto un sogno.

 

 

 

☆ Note dell’Autrice ☆

 

Ciao a tutti, eccomi in una nuova storia a tema ASoIaF/GoT. Forse più AsoIaF che Game of Thrones, solo per le età e la relazione tra i personaggi, ma è comunque decisamente staccato da entrambi e non ha un gran senso star qui a discutere se stia parlando più dei libri che della serie tv.

Questa storia mi ronza in testa da un paio di mesi o forse di più, dopo aver appunto letto il Libro dell’Apocalisse di Giovanni e aver trovato diverse similitudini con la Fratellanza senza Vessilli e alcuni dettagli generali.

Non amo show!Arya, lo sapete bene, ma mi piace molto book!Arya, e le sue (dis)avventure per le Terre dei Fiumi.

(Sandor stans, non linciatemi, ma il Mastino non piace a tutti come personaggio e questa ff ne è la prova lampante.)

Questa storia non ha ship particolari se non l’onnipresente (ma qui decisamente sommessa, dovete riconoscermelo) Beric/Thoros, ma se volete vederci qualche Arya/Gendry o Sansa/Sandor liberi di vederle.

Spero davvero che nessuno si sia offeso: qua si gioca, non ho cercato di rovinare la religione a nessuno. 

Fatemi sapere cosa ne pensate di questa storia (lunghissima, perdonatemi!), se preferite questo formato “one-shot lunghe” o il mio classico “multicapitolo a capitoli numerosi ma brevi”, o cosa ne pensate di questa visione e questo AU!

Ciao a tutti!

   
 
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