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Autore: hollien    12/11/2019    5 recensioni
«L» lo aveva chiamato con imperscrutabilità, facendolo arrestare prima che potesse raggiungere la sua postazione. Si era voltato verso il ragazzo e quando si era trovato sul punto di correggerlo, Light aveva aggiunto inaspettatamente e con tutta la naturalità del mondo: «se testerai la regola dei tredici giorni, morirai.»
[Death Note - Lawlight] [Canon Divergence - AU Soulmate]
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: L, Light/Raito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Scleri pre-capitolo: Sapete, le fanfiction sono meravigliose perché, in teoria, dovrebbero servirti a farti prendere una boccata d’aria dopo aver sofferto le pene dell’inferno. E diciamocelo: Death Note è la sofferenza. *piange* Ecco, la sottoscritta è una stronza bruttissima persona che ha ben pensato di prendere una situazione tragica, cambiarla, e renderla altrettanto tragica – se non peggio. A parte questa premessa non troppo incoraggiante, ci tengo a dire che ci ho messo il mio cuoricino in questa one-shot. Il punto da cui riprende è subito dopo la scena in cui L riceve la telefonata sulle scale ed esorta Light a raggiungere gli altri membri della Task Force. In più, questa fanfiction contiene l’elemento “soulmate.” Uomo avvisato, mezzo salvato. (?)
Concludendo i miei vaneggiamenti, spero davvero che questa one-shot possa piacervi tanto quanto è piaciuto a me scriverla. Mi auguro inoltre di non esser sfociata sull’OOC perché ci tengo particolarmente a non snaturare due personaggi così belli e complessi come L e Light. Che io amo. Se non si fosse capito. *manda cuori.*
Ringrazio già in anticipo tutti coloro che si ritaglieranno un pochino del loro tempo per farmi sapere cosa ne pensano. <3
Disclaimer: I personaggi di Death Note non mi appartengono, ma se mi appartenessero avrei fatto limonare i Lawlight in ogni luogo e in ogni lago del Quartier Generale.
   





 
 
 
 
Out of time
 
 
We are running out of time,
but we can’t let go.

_______________
 
 

Light non aveva più emesso un fiato da quando aveva annunciato che c’erano delle novità. Si era limitato a stare dietro di lui, seguirlo a passi lenti, il rumore dei tacchi delle sue scarpe l’unica cosa che aveva impedito al più totale silenzio di avviluppare quell’atmosfera abulica. 
La situazione era mutata radicalmente una volta che avevano varcato la soglia della sala principale, quella dove avevano passato la maggior parte dei momenti insieme – più ad azzuffarsi, stuzzicarsi e baciarsi che a dedicarsi alla ricerca del nuovo Kira, o almeno quella era la sua percezione da instancabile stacanovista quale era sempre stato – e dove l’intera squadra stava attendendo i nuovi sviluppi riguardanti il quaderno.    
«L» lo aveva chiamato Light imperscrutabile, facendolo arrestare prima che potesse raggiungere la sua postazione. Si era voltato verso il ragazzo. Quando si era trovato sul punto di correggerlo, Light aveva aggiunto inaspettatamente e con tutta la naturalità del mondo: «se testerai la regola dei tredici giorni, morirai.»
Lo aveva lasciato senza sillabe da pronunciare, lui, il detective migliore dell’intero pianeta, colui che detestava non avere l’ultima parola e che, anche al costo di sputare le peggiori sentenze, avrebbe obiettato fino allo sfinimento.
Aveva visto come un sorriso avesse iniziato ad estendersi sulle labbra di quest’ultimo. «Ma a giudicare dalla nostra conversazione, immagino lo sapessi già» aveva osservato con lo stesso tono di un professore sul punto di dichiarare conclusa la lezione dopo una lunga ed estenuante spiegazione.
Come gli avessero schioccato improvvisamente le dita a pochi millimetri dal volto, la sua mente era tornata a connettersi al tempo presente e la sua domanda era stata tempestiva.
«Perché me lo staresti dicendo?»
Light aveva fatto affondare una mano nella tasca dei pantaloni ancora inzuppati d’acqua. «Perché ho perso» aveva dichiarato con spontaneità, accompagnandovi un gesto chiarificatore con la mano libera, «ma almeno in questo…» L aveva colto immediatamente cosa avesse inteso con “questo,” perciò il sorriso di Light aveva preso una increspatura compiaciuta e i suoi occhi, allo stesso modo, avevano lampeggiato di appagamento: «ti ho battuto
Dalle sue spalle erano giunti gli interventi frenetici del sovraintendente Yagami e gli altri quattro componenti della Task Force, i quali si erano accavallati l’uno sopra l’altro per capire cosa diamine stesse succedendo.
Li aveva del tutto ignorati.
Light aveva fatto altrettanto.
«Light-kun» lo aveva chiamato, e dovette avvalersi di una grande dose di autocontrollo per mantenere il suo timbro di voce inscalfibile. Da detective. Glielo aveva domandato un milione di volte, anche mentre le braccia di Morfeo lo cullavano o mentre il delirio della passione consumava entrambi, ma mai come in quel momento aveva temuto la sua risposta: «Sei Kira?»
Menti,” aveva pensato ossessivamente. “Menti. Menti come fai sempre. Sei un eccellente teatrante. Tutti ti crederanno.” 
Le risa che erano sgorgate dalle corde vocali di Light l’istante successivo non le avrebbe mai dimenticate.
Si erano gettate totalmente alle spalle la parte del diciottenne innocente, un ruolo che aveva recitato magistralmente negli ultimi due anni, lasciando spazio solo alla malvagità che Light aveva tenuto accuratamente sigillata dentro di sé.
Era esplosa come un vulcano in eruzione, abbattendosi con veemenza contro i volti annichiliti dei presenti.
Tutti ne rimasero sconvolti.
Lui compreso.
Non era che L non l’avesse mai vista, quella perfidia. Con la professione che svolgeva si era interfacciato di frequente con soggetti la cui crudeltà era spillata da ogni loro poro, tuttavia non aveva mai provato nulla di particolare. Forse una punta di ribrezzo, nulla di più.
Vederla sul volto di Light, al contrario, fu peggio di tutti i pugni e i calci allo stomaco che aveva incassato in quei due mesi di forzata convivenza. Peggio di quando si era trovato solo ed infreddolito a vagabondare per le strade di Parigi, alla ricerca di genitori che aveva scoperto in seguito essere morti per overdose di farmaci e droga.
Quando quelle risate agghiaccianti si erano consumate, Light aveva preso nuovamente parola. «Ebbene sì, io sono Kira» aveva ammesso lezioso, divaricando le braccia, i palmi rivolti verso l’alto e un sorriso etereo che sfilava sulla bocca. Era sembrato un demone sotto le mentite spoglie di un angelo. «Il primo. L’originale. Colui che ha dato inizio a tutto.»
Il gelo aveva invaso l’intera stanza per secondi che parvero non esaurirsi mai.
Yagami-san era stato il primo a reagire e a farsi spazio fra tutti loro, ancorando le mani alle spalle del figlio e iniziando a percuoterlo con energia.
«Che cosa stai dicendo, Light? Sei forse uscito di senno? T-tu non puoi essere Kira! Ogni prova a tuo carico è stata confutata, e poi abbiamo catturato Higuchi. Lui era–»
«È morto» lo aveva interrotto Light arido, chiedendo successivamente con voce tremula – non certo perché fosse mortificato, ma perché stava faticando a trattenersi dal ridere: «chi pensi lo abbia ucciso, papà?»
La replica smaniosa del padre non si fece attendere. «Abbiamo ricontrollato il quaderno più volte e non c’è traccia del suo nome, perciò non puoi essere stato tu!»
«Yagami-san.» Era stato lui ad intervenire. Per quanta stima potesse nutrire per il sovraintendente, L non apprezzava la sua caparbietà quando non era richiesta. «Comprendo il suo sconvolgimento. La sua posizione è indubbiamente la più critica. Tuttavia, le chiedo gentilmente di lasciarlo parlare.»
«Ryuzaki…!» aveva provato a controbattere, ma quando L lo aveva richiamato al suo posto per la seconda volta era ammutolito, facendo un passo indietro con il capo chino, le arcate dentali pressate duramente l’una contro l’altra.
I suoi occhi ebano, i quali si erano spostati momentaneamente sul sovraintendente, erano tornati a fissare Light, il quale lo aveva osservato con un’espressione divertita.
«La ringrazio per la gentile concessione, signor Detective» aveva commentato sardonico.
Non aveva più senso, dopotutto, continuare ad interpretare la parte del ragazzo perfetto. Una parte che Light aveva incarnato in maniera ineccepibile con la sua apparenza e i suoi garbati modi di fare.
Non avrebbe destato sospetti in L se solo non fosse stata così spaventosamente perfetta.     
«Non c’è di che» aveva replicato indolente.
Uno spigolo della bocca di Light era stato percosso da un fremito innervosito di fronte alla sua tranquillità. Era evidente che si fosse aspettato una reazione ben diversa da quella che aveva ottenuto.  
«Dici di essere Kira, Light-kun, tuttavia non abbiamo prove a tuo carico» aveva proseguito, facendo frizionare il pollice sulle labbra. «Una volta testata la regola dei tredici giorni potremmo rivedere il tutto.»
Benché non fosse stato ortodosso, aveva tentato di fornirgli una scappatoia.
Il Light Yagami che conosceva lui l’avrebbe imboccata ancora prima che gliela mostrasse. Quella nuova versione di Light, o di Kira, invece, aveva scelto di bendarsi volontariamente pur di non vederla.
«Non hai sentito cosa ho detto? Se testerai quella regola, morirai.»
Si era mordicchiato l’unghia del pollice con fare congetturante. «Perdona il mio scetticismo, Light-kun: se tu fossi Kira, la mia sopravvivenza dovrebbe essere l’ultima delle tue preoccupazioni.»
Se gli sguardi avessero potuto uccidere – non era così improbabile dato che esisteva un quaderno che aveva il potere di farlo – si sarebbe già trovato tre metri sottoterra.
«Vuoi la prova schiacciante? Bene,» aveva sibilato Light come un serpente, dopodiché si era tolto l’orologio che aveva al polso e glielo aveva lanciato. «Eccola qui.»
L lo aveva preso al volo. Aveva poi afferrato l’estremità di quest’ultimo con i polpastrelli e l’aveva ispezionato con minuzia, saltando ad unica e sola conclusione.
«È un bellissimo orologio. Di valore, direi.»
«È un mio regalo» aveva affermato repentino il sovraintendente, dando un’occhiata fugace al quadrante. «Cosa significa, Light?»
Quest’ultimo aveva trascurato il quesito del padre e con tono a dir poco artico aveva illustrato ad L cosa fare. «Tira la rotella per quattro volte ad intervalli di almeno un secondo.»
L aveva titubato, ma non abbastanza a lungo perché qualcuno se ne fosse accorto. Dopo aver eseguito quanto gli era stato impartito, dall’orologio era fuoriuscito un ingranaggio segreto, dentro al quale vi era il pezzo di un foglio.
Uno dei frammenti mancanti delle pagine del Death Note.   
«Perché non leggi cosa c’è scritto?» lo aveva esortato Light con un compiacimento che non si era preoccupato minimamente di occultare.
Non se l’era fatto ribadire. Una volta che aveva messo a fuoco i kanji che componevano il nome di Kyosuke Higuchi, L era stato assalito dalla voglia di picchiarlo.
L’unico momento in cui Light avrebbe potuto approfittarne per scrivere il suo nome era mentre i suoi occhi increduli si erano distratti a fissare la figura spaventosa e altrettanto surreale dello Shinigami ergersi fra i diversi membri della polizia.
Come in quel frangente, L si era trovato talmente assorto nelle sue riflessioni che non si era accorto di esser stato accerchiato dall’intera squadra.
Erano susseguiti un concatenamento di: «non è vero», «non posso crederci», «deve essere tutto uno scherzo, non c’è altra spiegazione.»
L si era chiesto cosa li avesse attraversati in quell’istante. Rabbia? Frustrazione? Incredulità? Non avrebbe saputo dirlo, non quando non era riuscito a definire con esattezza cosa avesse provato lui.
«Light!» aveva urlato Soichiro Yagami con una sofferenza impareggiabile. Le lacrime avevano iniziato a fluire lungo il volto angosciato del sovraintendente, un uomo tutto di un pezzo che era crollato di fronte all’inconfutabile verità, ovvero che suo figlio non solo era un serial killer, ma era Kira. «Figlio mio, io non voglio credere che tu…Qualcuno deve averti manipolato, o t-ti sta manipolando! Deve essere così per forza! Un ragazzo come te…non ne saresti mai stato in grado!»
Il viso di Light, in netto contrasto, si era fatto raggrinzito, se non quasi disgustato, di fronte alla sofferenza del padre.
«No, papà. Ti assicuro che non sono mai stato più lucido di così» aveva replicato con una serenità disumana. «Lo sono stato per ogni criminale che ho ucciso. Ognuno di loro, dal primo all’ultimo.»
«Ma, Light...» Era stato Matsuda ad intervenire, gli occhi che per poco non gli uscivano dalle orbite per lo sconvolgimento. «Come puoi…? N-non sei pentito di ciò che hai fatto?»
Stizza ed incredulità avevano dominato sui tratti del suo volto. «Pentito, Matsuda-san? Per cosa, esattamente, dovrei essere pentito? Per aver cercato di rendere il mondo un luogo ideale?» Aveva scosso assiduamente la testa, fissandosi le mani frementi. «In realtà mi dispiace per una cosa soltanto.» Per un attimo era sembrato voler tornare sui passi del ragazzo devoto. Impeccabile. Invece aveva affondato l’ennesimo fendente. «Mi dispiace che voi non abbiate compreso le mie azioni magnanime. Volevo liberare il mondo dalla malvagità, cosicché le persone buone potessero sentirsi protette. Al sicuro.»
«Non ti sei fatto scrupoli ad uccidere alcune di queste persone, tuttavia.»
L non aveva potuto non replicare, specialmente perché era Light Yagami, un ragazzo che aveva sempre ritenuto estremamente brillante, a dire quelle idiozie.
Light aveva fatto guizzare lo sguardo su di lui, un sopracciglio talmente inarcato che per poco non aveva raggiunto l’attaccatura dei suoi capelli. «Intendi i dodici agenti dell’FBI?» Aveva fatto ruotare le iridi torbide verso l’alto, poi l’accenno di un sorriso era avanzato sulle sue labbra, come se stesse rammentando un bel ricordo. «Sono stati solo un danno collaterale, così come Naomi Misora.»
L non era stato in grado di contenere la sua irrequietezza di fronte al nome della donna che era stata di vitale importanza nella risoluzione del caso dell’assassino di Los Angeles.
Come aveva supposto, il ragazzo era riuscito ad intercettarla prima che avesse avuto modo di condividere con lui informazioni di vitali importanza.
«Cosa ne hai fatto di lei?»
Light aveva sollevato le spalle con indolenza. «L’unica cosa che avrebbe potuto fare una donna che aveva appena perso il proprio fidanzato.»
Il suicidio.
Quando L l’aveva riconosciuta sullo schermo del computer aveva pensato immediatamente che non era un’azione che la Naomi Misora che aveva conosciuto avrebbe mai potuto compiere, nemmeno dopo la morte della persona a lei più cara; ma sotto l’influenza del quaderno anche l’animo più agguerrito era destinato a rimanerne sconfitto.
«È stata una fortuna che l’abbia incrociata prima che potesse mettersi in contatto con te e che sia riuscito ad estorcerle il suo vero nome, altrimenti mi avresti scoperto molto tempo fa» aveva proseguito con fierezza, come se il fatto di aver raggirato e successivamente mandato al patibolo una ex agente dell’FBI fosse degno di nota.
Bastardo, era l’unica cosa che era stata in grado di formulare nei secondi successivi alla dichiarazione di Light.
Lo aveva osservato arricciare gli angoli della bocca in un sorriso istigatore. «Non guardarmi così, L. In fondo è tutta colpa tua» aveva aggiunto successivamente, facendo avanzare una mano nella sua direzione. «Se non li avessi mandati ad intralciare i miei piani, sarebbero ancora tutti vivi.»
Aveva digrignato lievemente i denti di fronte a quell’accusa. «Non provare a scaricare la colpa sugli altri, Light-kun. Sei stato tu a decidere volontariamente di uccidere delle persone.»
Una luce pericolosa era baluginata nelle iridi del ragazzo. «Criminali, L. Criminali» aveva rimarcato, come se il fatto di aver evidenziato quell’accezione potesse giustificare le azioni deplorevoli che aveva compiuto fino a quel momento. «Non meritavano di vivere.»
«Tu non sei nessuno per decidere chi merita la morte, Light-kun.»
Lo sguardo di quest’ultimo si era fatto acuminato come la lama di un coltello, le labbra fini socchiuse. «Io non sono…nessuno?» Aveva colpito un nervo scoperto. Se c’era una cosa che Light Yagami non poteva sopportare era sentirsi sminuito, posto su un piano inferiore. I suoi occhi lampeggianti di isteria trattenuta a stento ne erano la prova. «Io sono l’unico che ha cercato di cambiare questo mondo putrido. L’unico che ha avuto la volontà di agire mentre gli indifesi non ottenevano la giustizia che meritavano.»
«Diventando peggio di coloro che ritieni indegni di vivere» lo aveva apostrofato impietoso.
Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, anche se deflagrare sarebbe stato il termine più appropriato.
«Non ti permettere di paragonarmi a loro, bastardo!» aveva gridato Light belluino, facendo crollare definitivamente la sua maschera di imperturbabilità e mostrandosi per ciò che era realmente. Era avanzato di un passo, agitando affannosamente le braccia, come se così facendo avesse potuto avvalorare la sua tesi. «Ma come fai a non vederlo? Il tasso di criminalità è diminuito esponenzialmente dopo l’intervento di Kira. Le persone si sentono al sicuro da quando sanno che qualcuno le protegge notte e giorno! E lo vuoi sapere perché, eh? Lo vuoi sapere perché, L?» Le sue labbra si erano ampliate in un sorriso che definire psicotico sarebbe stato un eufemismo, le iridi intrise di una soddisfazione perversa. «Perché Kira, o meglio, io, al contrario tuo, sono un vero giustiziere. Un salvatore. Un Dio!» 
Il suo complesso di onnipotenza era strabordato da ogni poro del suo derma ambrato, e se lo sconvolgimento generale era già elevato, in quel momento aveva toccato l’apice.
Il sovraintendente Yagami era franato al suolo, le dita infilate tra i ciuffi brizzolati e un urlo incespicato tra le corde vocali. L’unico che aveva avuto una reazione altrettanto forte era stato Matsuda, il quale si era accovacciato a terra, anche lui in lacrime perché non riconosceva niente del Light che aveva visto crescere in quell’essere che si era autoeletto una divinità.
Anche L aveva faticato a rimanere lucido nonostante i suoi nervi avessero vibrato come corde pizzicate di un’arpa. Se era riuscito a non mostrare alcun segno di cedimento era perché un dubbio lo aveva perseguitato sin dal primo momento in cui Light aveva confessato.
Nonostante ciò, aveva scacciato lontano da sé il fremente desiderio di levarsi ogni perplessità e aveva optato di fare ciò che L detective, e non L persona, avrebbe fatto in una situazione analoga, senza avere coinvolgimenti emotivi con il temibile criminale che aveva di fronte.
«Light Yagami, ti dichiaro in arresto con l’accusa di essere Kira. Hai il diritto di rimanere in silenzio.» Da dietro le spalle di Light erano apparsi Watari ed Aiber. Quest’ultimo aveva afferrato il ragazzo dalla nuca o lo aveva sbattuto malamente sul pavimento, ammanettandogli i polsi. «E ti suggerisco di seguire il mio consiglio perché ti sei già umiliato abbastanza,» gli aveva scoccato un’occhiata spietata: «Kira-kun
L’ultima cosa che le sue orecchie avevano udito erano state le imprecazioni animalesche di Light in cui giurava che lo avrebbe ucciso mentre veniva trascinato via dalla stanza, lasciandosi dietro di sé un silenzio funebre.   




 
§§§




Aveva richiesto di vederlo due giorni successivi alla sua incarcerazione.
Avrebbe voluto raggiungerlo nel medesimo istante in cui Watari lo aveva informato che non c’erano stati intoppi e che, contrariamente alla rabbia che era straripata da ogni nervo del suo corpo nella sala principale del Quartier Generale, Light Yagami aveva smesso di opporre resistenza e si era convertito ad un mutismo clericale.
Quando aveva raggiunto la cella di massima sicurezza dentro cui Light era stato segregato, L si era voltato in direzione della guardia che lo aveva scortato fino a lì, facendole un cenno con la mano, esplicitando che la sua presenza non era più necessaria.
«Abbiamo disattivato le telecamere» lo aveva informato quest’ultima, senza celare la sua disapprovazione di fronte alla richiesta che il detective più famoso del mondo aveva fatto. Si era ben ragguardato dal contestarlo ad alta voce, però. «Se quell’energumeno dovesse importunarla, non esiti a chiamarmi.»
L era rimasto imperturbato nonostante l’insulto che l’uomo aveva mosso nei confronti di Light.
Era tardi per difendere l’onore del ragazzo che aveva mietuto più vittime di quanto fosse umanamente possibile.
«Non ce ne sarà bisogno» si limitò ad assicurare, dandosi una rapida grattata alla base della nuca.
La guardia esibì un gesto di congedo con la testa, non senza prima scoccare un’occhiata disgustata ad indirizzo della prigione dove un Kira ripiegato al suolo teneva lo sguardo incollato al pavimento.  
«Arrogante come sempre.» Fu il commento sbeffeggiante con cui Light lo accolse quando L oltrepassò la soglia della sua cella, richiudendosi la porta alle spalle.
Per ogni evenienza, si mantenne momentaneamente a debita distanza.
Osservò come delle catene fissate al muro, molto simili a quelle che lo aveva costretto ad indossare cosicché non lo perdesse nemmeno per un battito di ciglia, legavano i polsi di Light. Erano abbastanza lunghe, un paio di metri circa, perché riuscisse a sedersi sul pavimento e in modo tale che i suoi movimenti non fossero del tutto limitati.
Dei comfort non da poco per un criminale del suo calibro.  
«Kira-kun non fa così paura senza il suo quaderno omicida» chiosò quietamente, ottenendo il risuonare di un ringhio malcelato da parte del suo interlocutore.
«Non ti conviene sottovalutarmi.»
«Non l’ho mai fatto.»
A quella risposta, Light aveva elevato la testa, imbullonando lo sguardo al suo.
L notò immediatamente che il suo volto solitamente impeccabile era segnato da ematomi purpurei che non avrebbero dovuto esistere.
Era certo che Light doveva avere la sua dose di colpa per i fendenti che aveva incassato. L, più di tutti, era a conoscenza di quanto fosse tutt’altro che mansueto e di come fosse in grado di captare quali tasti premere per farti andare su tutte le furie, ma questo non autorizzava nessuno a colpirlo quando non aveva la possibilità di difendersi - “come se tu avessi sempre avuto rispetto dei suoi diritti umani” lo rimproverò una vocina remota nel suo cervello che non ebbe problemi a scacciare lontano. 
«Non puoi controllare tutto, Ryuzaki» esalò Light, utilizzando il nome del suo alias invece di “L”, un sorrisetto tutt’altro che benevolo stampato sulle labbra. «Ora che non siamo più incatenati, non hai più il monopolio su di me.»
«Non lo avevo nemmeno quando lo eravamo.»
«Stronzate.»    
«Linguaggio, Kira-kun.»
Ad ogni sillaba pronunciata riuscì a scorgere l’incrementare della collera nello sguardo di Light, ma con la stessa rapidità con cui era prosperata, regredì, lasciando spazio ad un’espressione di ostentata tranquillità.  
«A cosa devo il dispiacere della tua visita, Ryuzaki?»
In replica, L si trascinò il pollice alla bocca come di consuetudine, inclinando lievemente il capo corvino. «Kira-kun credeva che non sarei venuto a trovarlo?»
Rise. «No, figurati. Non ti saresti mai perso l’occasione di gustarti la tua ennesima vittoria.»
L fece scivolare nervosamente il polpastrello sul labbro inferiore.
Quella che aveva ottenuto non era stata una vittoria, bensì una resa immotivata e dal retrogusto disgustosamente amaro.
Per quel motivo estrasse una caramella alla fragola dalla tasca dei pantaloni e la iniziò a scartare, attirandosi addosso un’occhiata che parlava da sé. Ci sorvolò sopra senza troppe difficoltà. «Contrariamente a ciò che pensi, non sono qui per questo.» 
Light flesse un sopracciglio. «Ah, no?»
Dopo essersi messo nella cavità orale l’unico dolciume che si era portato con sé, negò. «Volevo solo poter parlare con te privatamente.»
Una smorfia canzonatoria si dipinse sul volto del ragazzo. «Io e te non siamo mai stati bravi a parlare. Non se i nostri discorsi non vertevano sul caso Kira.»
Uno spigolo della sua bocca s’incurvò involontariamente verso l’alto. «Ma tu sei Kira, perciò possiamo discutere di molteplici cose come due amici.»
Light emise una risata strozzata. «Ancora credi alla storiella degli amici, Ryuzaki?» domandò, per poi dardeggiarlo senza pietà. «Mi hai spiato, invadendo la mia privacy. Mi hai recluso cinquanta fottutissimi giorni in una cella. Hai architettato una messa in scena, facendomi credere che mio padre mi avrebbe ucciso. Mi hai incatenato a te, senza che avessi realmente la possibilità di oppormi. Come puoi anche solo pensare che io e te siamo amici?»
L fece sfregare un piede sul tessuto ruvido dei suoi jeans. «Benché le tue argomentazioni siano valide, Kira-kun, possiamo dire che, con il senno di poi, il tutto è stato fatto per una buona causa.»
Una luce non troppo rassicurante balenò nello sguardo adombrato di Light. «Anche scopare con il tuo sospettato era per una buona causa?» Di fronte all’increspatura che subì la sua fronte, si liberò in una risata viziosa. «Sei l’emblema dell’ipocrisia, L. Tu e il tuo ridicolo senso di giustizia dove i tuoi capricci vengono prima della salvaguardia della popolazione.»
Le labbra di L erano divenute affilate come lamine. «Puoi avere ragione, Kira-kun. Anzi, probabilmente hai ragione.» Glielo concedette. Dopotutto la realtà era innegabilmente quella. «Allora come mai sei tu quello in manette mentre io vengo considerato la vera giustizia?» Avanzò di un paio di passi, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni e protraendosi in avanti con il busto. «Perché tu sei solo un Dio autoproclamato, che come un serpente è strisciato sotto la pelle di persone fragili, le quali giustificano i tuoi abomini unicamente perché ad essere giustiziati sono i criminali. Ciò non toglie che tu sei un assassino. Un criminale peggiore di quanto fossero tutti quelli che hai ucciso senza rimorso.»
Light aveva risollevato la testa, gli occhi che parevano volergli sfuggire lontano dalle orbite per quanto erano sgranati. 
L attese un’esplosione come mai prima di allora dopo quell’umiliazione. Inaspettatamente, invece, non accadde nulla di tutto ciò; anzi, Light aveva infossato il capo nell’incavo del collo in un gesto innaturalmente remissivo, proferendo un sibilante: «sei così ottuso, Ryuzaki.»
Nel suo tono di voce riconobbe un aculeo di frustrazione. La frustrazione di chi era pienamente convinto di essere dalla parte della ragione, ma che non riusciva a farsi comprendere.
Non era così.
L aveva compreso da sempre il ragionamento dietro le azioni di Light. Non ne aveva mai fatto mistero. Lo aveva ammesso sin da quando aveva mandato Lind L. Tailor a fare da sua controfigura in televisione; ma nessuna logica, nessun calcolo matematico, per quanto esatto potesse essere, poteva discolpare l’assassinio di massa, anche se ad essere vittime degli omicidi erano individui che avevano commesso dei crimini inammissibili.
Quando Light aveva dimenticato di essere il misterioso “vigilante” del Kanto, avevano trascorso interi giorni e nottate a discutere sulla logica malata che aveva spinto il primo Kira ad agire.
Alla fine, entrambi erano giunti alla medesima conclusione. Tuttavia, una volta che i ricordi erano tornati a fluire, Light si era lasciato sedurre nuovamente dal potere omicida del quaderno, dimenticandosi delle dure critiche che aveva rivolto a se stesso.
Fece dondolare il capo all’indietro, rilasciando un mezzo sospiro. «Se solo non ti avessi lasciato toccare il quaderno» mormorò in direzione del soffitto, senza occultare il suo rammarico.
Già, se solo sull’elicottero avesse tenuto il Death Note ben saldo tra le sue dita...
No, impossibile.
Light era un membro ufficiale della Task Force. Lo avrebbe toccato in ogni caso perché, altrimenti, sarebbe stato l’unico rispetto al resto della squadra a non vedere lo Shinigami Rem.
Avrebbe dovuto sapere in precedenza che Light avrebbe riacquisito i suoi ricordi toccando l’artefatto degli Dei della Morte. Peccato fosse un’informazione che non avrebbe mai potuto estrapolare da nessuno se non dal diretto interessato.
Una smorfia inasprita attraversò il volto di Light. «Avresti avuto un falso me al tuo fianco.»
L fece discendere lo sguardo alla replica piccata del ragazzo. «Tu dici?» gli chiese. «Perché, onestamente, io non ti ho mai visto più vero di così.»
Le pupille di Light subirono un leggero dilatamento a quelle parole. Tornarono presto ad aguzzarsi, però, preannunciando un commento pungente. Mordace. «Risparmiati questi sentimentalismi, Ryuzaki. Dici così solo perché era semplice infilarti in mezzo alle mie gambe quando il mio pensiero fisso non era come spedirti all’altro mondo.»
L si portò nuovamente il pollice alla bocca, studiandolo con aria meditante. «Con questo vorresti dire che non me lo lasceresti fare adesso?» Non era stata sua intenzione porre quel quesito ad alta voce, ma ormai era fuoriuscito dalle sue corde vocali e non poteva rimangiarselo.
Lo lesse nei tratti del viso di Light che quella domanda lo aveva colto in contropiede.
«Mi duole doverlo ammettere, ma Misa ha ragione» dichiarò l’altro, assumendo un’espressione solenne: «sei un vero pervertito.»
L non obbiettò.
Sin da quando Misa-san gli aveva piantato il seme del dubbio nel cervello, e dopo un’attenta riflessione sulla questione, L aveva decretato che lo era. Il peggiore, probabilmente, perché una persona che aveva anche solo un briciolo di coscienza non avrebbe mai nutrito il desiderio di portarsi a letto il ragazzo sospettato di essere un pluriomicida, il quale si era rivelato poi essere tale.  
«È un modo velato per dirmi di sì?» interrogò, sorvolando sull’accusa mossa da Light.
Quest’ultimo si portò in avanti con il busto. «L’ultima scopata con il mio peggior nemico prima di morire.» Fece ciondolare il capo di lato, sorridendo obliquamente. «Sarebbe poetico, non trovi?»
Annuì con il capo. «Credo che Shakespeare scriverebbe di noi se fosse ancora vivo.»
«Già» concordò Light, sussurrando poi: «siamo i protagonisti perfetti per una tragedia.»
Seguirono degli istanti di innaturale silenzio.
Quando al Quartier Generale accadeva una situazione analoga, erano i primi a cercare di colmarli con una partita a scacchi in cui L passava l’ottanta per cento del tempo a istigare Light sull’argomento Kira. Il tutto portava quasi sempre ad una sana scazzottata che, nel migliore dei casi, si tramutava in un infiammato rapporto amatorio in camera da letto – una volta non erano nemmeno riusciti a raggiungerla e avevano deciso che le scale, per quanto scomode, andavano bene ugualmente fintanto che l’epilogo fosse stato lo stesso.
Lottare fra loro – e sì, spesso avevano lottato per la posizione “dominante” -, così come mentire e macchinare, era necessario come respirare.
Non avrebbero mai potuto farne a meno.
Eppure, adesso erano lì, entrambi con il capo chino. Nessun colpo, nessuna bugia né tantomeno un tentativo di tramare l’uno alle spalle dell’altro.
Era come se ne fossero usciti entrambi sconfitti da quella guerra senza esclusione di colpi.
L si pinzò i palmi con le unghie.
Aveva esitato abbastanza, perciò scagliò la domanda che lo aveva assillato sin da quando Light lo aveva avvertito che se avesse testato la regola dei tredici giorni sarebbe morto, un’informazione che solo chi era direttamente coinvolto avrebbe potuto conoscere.
«Perché ti sei costituito?»
Light fece arricciare gli spigoli della bocca all’insù, divaricando in maniera suggestiva le gambe. «Niente sesso?»
Nonostante la radiografia che gli fece agli arti inferiori e al cavallo dei suoi pantaloni, L soppresse senza problemi le sue pulsioni, attendendo pazientemente che Light rispondesse al suo quesito e non uscisse fuori tema – anche se a dire il vero era stato lui il primo ad essere uscito fuori tema. 
Lo sentì far schioccare la lingua sul palato con disappunto, poi sfoggiò un sorriso serafico. «Sei tu che hai il titolo dei tre detective più famosi al mondo. Perché non indaghi e cerchi di scoprirlo?»
L arpionò l’indice al labbro inferiore, arrovellandolo su di esso. «Ho in mente una teoria, a dire il vero.»
«Oh, davvero? Sono tutto orecchi», lo canzonò.  
«Credo fortemente che, per te, tenermi in vita sia diventato più importante dei tuoi piani di redenzione del mondo.»
Light lo fissò come se avesse voluto scavargli un buco in fronte con la forza del pensiero, dopodiché esibì una smorfia contrariata. «Riesci ad essere così presuntuoso nonostante quella faccia da ameba che ti ritrovi.» Quando Light ripiegava sulle offese non troppo velate significava che non era distante dalla realtà. «Ma onestamente non me ne importa più un accidenti di mentire. Non avrebbe senso.» Addossò il capo alla parete, scoprendo una porzione della sua gola dove più volte L aveva cercato di marchiarlo con i denti senza successo. «Dopo aver riacquisito i miei ricordi, ho fatto diverse considerazioni. Una parte di me bramava vederti morto – non temere, ancora adesso lo vorrebbe -, ma sotto la pioggia ho avuto la conferma.» Stirò le labbra in un sorriso arrendevole. «Lì, guardandoti, ho capito che se ti avessi ucciso sarei diventato quel serial killer spietato che mi hai sempre accusato di essere.»
Avrebbe voluto concentrarsi sulla parte macabramente sentimentale delle parole di Light, tuttavia la sua freddezza ebbe la meglio.
«Non lo saresti diventato perché lo sei già, Kira-kun.»
Questa volta, Light detonò.
«Come osi?!» spolmonò con il tono che utilizzava quando si sentiva pugnalato nell’orgoglio. Tentò di protendersi più di quanto gli fosse possibile, ma le catene ancorate al muro non glielo permisero, infatti come una molla venne ritrascinato indietro, sbattendo con la schiena contro il cemento. L’ira, tuttavia, predominò sul dolore. «Se così fosse, io sarei il Dio di un Nuovo Mondo e tu, L, staresti contemplando la mia grande opera dall’oltretomba, senza poter fare nulla per fermarmi!»
Avrebbe voluto comunicargli che ci avrebbero pensato i suoi successori, e i suoi successori dopo di loro, ad arrestare i suoi piani diabolici se quello fosse stato il caso, tuttavia non era interessato a prendere quella piega nella conversazione.
«Che cos’è che ti ha fermato?»
Tutto il fermento che aveva scalpitato nell’altro parve dissiparsi improvvisamente a quel quesito. Lo vide abbassare le braccia e imboscare lo sguardo sotto i suoi ciuffi ramati.
«Tu mi hai fermato, idiota.»
La replica inflessibile di L fu istantanea. «Non avevo prove contro di te. Non le ho mai avute. È stato Kira-kun a fornirmele.» Ho pure cercato di darti una via di fuga, omise. «Perché?»
«Perché, mio malgrado, sono solo un misero essere umano.» La bocca del ragazzo che lo aveva stregato dal primo istante in cui aveva posato gli occhi su di lui prese la piega di un sorriso afflitto. «Perché se fossi stato un dio, non mi sarei lasciato ammaliare dalla più grande menzogna che esista nell’Universo.» Lo vide trascinarsi le ginocchia al petto, facendo poi affondare il volto tra esse. Il suono delle sue parole risultò ovattato, ma non abbastanza perché il detective non comprendesse ciò che mormorò in seguito. «Se fosse stato solo Light a lasciarsi ingannare, Kira avrebbe vinto; ma anche Kira, anche lui…» Sghignazzò crudelmente, perché davvero non c’era null’altro che potesse fare per esternare la sua frustrazione: «è tutto così tremendamente patetico.»
Benché le sue supposizioni si fossero rivelate esatte, L aveva avuto bisogno di prendersi un istante per assimilare il fatto che avesse fatto centro.
Mentre questo accadeva, l’ennesima risata viziosa fuoriuscì dalla glottide di Light. «Era questo che volevi sentirti dire, non è vero, o grande detective L? Sapere come il tuo nemico sia caduto prigioniero del tuo incantesimo, tanto da consegnarsi a te pur di non doverti veder morire?» Fece affondare le dita tra i capelli con angoscia, strattonandosi alcune ciocche tra esse. «Mi rifiuto di credere che questo sia amore.» Quasi la sputò con insofferenza, quella parola. «Non quando fa così male. Non quando non ha fatto altro che distruggere tutto ciò che ho costruito. Sacrificato.»
L non si era accorto di essersi svincolato dalla sua postazione per raggiungere il ragazzo che mai come in quel momento gli era sembrato il diciottenne che era in realtà. Alle volte dimenticava che Light Yagami era appena maggiorenne – non lo era per le leggi giapponesi, però il suo sistema giudiziario si basava su quello inglese - e che a distanziarli ci fossero sette anni. 
Dopo aver bruciato i metri che li separavano, approdò sulle gambe, accovacciandosi nella sua posizione consueta. Fece accostare una mano a quelle di Light, le quali si stavano ancora torturando la chioma.
«Il concetto di amore è ben lontano da due persone come noi.»  
Non stava mentendo.
Lui non amava Light Yagami, no.
Sarebbe stata un’accezione fin troppo riduttiva.
«Allora cosa diavolo è?» lo udì chiedere in un sibilo strozzato, tenendo il viso affogato tra le ginocchia.
L era cresciuto nell’estrema convinzione che qualsiasi cosa potesse essere spiegata mediante la scienza. Gli eventi di quegli ultimi due anni, però, seppur non lo avessero portato a credere ad un’entità superiore, nemmeno dopo aver scoperto della reale esistenza degli Shinigami, avevano messo in discussione una vita di convinzioni.
Specialmente il ragazzo che gli stava dinnanzi.
Per tutti, e per lui in primis, Light Yagami era un assassino seriale che meritava di essere giustiziato per aver tolto la vita ad altri esseri umani senza averne alcun diritto.
Ma per lui, sempre lui, Light era…
«Non lo so.»
Per chiunque sarebbe stata un’asserzione stupida, banale, perché chiunque avrebbe potuto ammettere con spontaneità di non conoscere qualcosa; ma per L, il detective che non aveva mai conosciuto il fallimento e l’incertezza, quell’ammissione valeva molto più di un “ti amo” o un “ti odio.”  
Light fece riemergere il capo perché lui non era chiunque.
Lo aveva conosciuto, studiato approfonditamente per carpirne i punti deboli, e sapeva quanto doveva essergli costato confessargli di non sapere.  
Si guardarono e, prima che se ne rendessero conto, le loro labbra collisero.
Quel movimento divenne più frenetico, smanioso quando ne presero coscienza, le braccia di L attorniate alla vita di Light e le mani di quest’ultimo ancorate al suo volto, le unghie affondate urgentemente nella sua capigliatura corvina e la lingua che gli assediava la cavità orale.  
L aveva sempre giustificato la sua intimità con Light con la scusa di non avere la piena certezza che fosse Kira.
Ora che l’aveva, nessuna giustificazione sarebbe dovuta valere, ma la verità era che non gli importava perché lui era il più grande ipocrita che esistesse sulla Terra.
La frase che bisbigliò successivamente ne fu la prova inconfutabile.   
«Voglio salvarti, Light-kun.»  
Light arrestò il tentativo di riappropriarsi delle labbra del detective per fissarlo nelle iridi onice. «Siamo tornati a Light adesso?» chiese con una lieve nota di scherno, poi scrollò debolmente il capo. «Non puoi, Ryuzaki.» Affondò il volto nell’incavo del collo di quest’ultimo. «Che tu mi mandi al patibolo o meno, io morirò comunque.»
Già.
Non c’era posto in cui avrebbe potuto nasconderlo perché lo Shinigami Ryuk avrebbe scritto il nome di Light sul suo quaderno, prendendosi i minuti, le ore o gli anni che gli sarebbero restati da vivere.
Quello era il patto che avevano stipulato lui e il Dio della Morte quando aveva ereditato il Death Note, fiducioso del fatto che avrebbe compiuto la sua opera senza avere intoppi o rivali alla sua altezza che avrebbero potuto mettergli i bastoni fra le ruote.  
La superbia di Light Yagami non conosceva davvero limiti.  
Non poté fare a meno di chiedersi se, con il senno di poi, Light avrebbe cambiato il suo destino, lasciando che fosse qualcun altro a raccogliere il quaderno dal cortile della scuola, evitando di diventare l’assassino in cui si era tramutato.
Come se gli avesse letto nella mente, Light rispose al suo tacito quesito. «Se tornassi indietro, rifarei tutto da capo. Non c’è stato un giorno in cui abbia pensato di essere in torto. Nemmeno ora che sto per essere condannato a morte.»
L venne attraversato da un moto di rabbia consistente per i suoi canoni, tanto che venne tentato dal pensiero di sfracellargli un gancio destro in faccia. Come poteva essere così testardo da non pensare che sarebbe stato meglio se-
Il suo ciclo di pensieri venne interrotto bruscamente perché Light addossò i lembi rosei al suo padiglione auricolare. «Pensaci bene, L: senza Kira, non ci saremmo mai incontrati. Senza Kira, non avremmo avuto ciò che abbiamo adesso.» Il sogghigno che sfilò sulla sua bocca non sarebbe dovuto esistere, eppure Light sapeva sempre come sorprenderlo. In positivo e in negativo. E spesso, L, non sapeva distinguere l’uno dall’altro. «Anche se ipoteticamente i nostri destini si fossero incrociati, l’innocente Light Yagami non sarebbe stato abbastanza. Tu avevi bisogno sia di quella parte di me, sia della parte di Kira.» Le sue risa si fecero più consistenti quando L non si sprecò a negare le sue accuse. «Dì un po’, detective: hai un debole per gli assassini, o mi devo ritenere l’unico fortunato?»
Con ogni probabilità lo avrebbe colpito per davvero se solo la sua attenzione non fosse guizzata su due elementi. Il primo era che Light aveva ammesso per la prima volta di essere un assassino; il secondo, invece, era Beyond Birthday.
Non aveva pensato a B perché lo avesse mai guardato nel modo in cui guardava Light, ma perché, in quanto suo papabile successore, gli aveva voluto bene - nel senso più strambo del termine.
Era anche riuscito ad andare oltre alla raccapricciante ossessione che aveva nutrito nei suoi confronti, tanto da essersi appropriato del nome del suo alias una volta appresa la notizia della sua misteriosa morte per arresto cardiaco in prigione.
Indirizzò lo sguardo sul responsabile della morte di Beyond, il quale, a causa del suo tentennamento per un motivo totalmente differente da quello che era in realtà, si era inalberato al punto che lo aveva fatto precipitare al suolo con uno spintone, fissandolo successivamente con la stessa ripugnanza con cui si sarebbe guardato un insetto disgustoso.
L flesse il capo su un lato, l’espressione completamente neutra. «Non c’è bisogno di essere gelosi, Kira-kun.»
«Fottiti, L» soffiò letale come una vipera, gli occhi tinti di una sinistra luce scarlatta. «Se solo non avessi queste catene ti strangolerei con le mie mani.»
Solo Light Yagami era in grado di oscillare in maniera così repentina da un’idea all’altra: prima gli confessava di avere dei sentimenti per lui e poco dopo minacciava di ucciderlo.
Era certo che quel bipolarismo fosse dovuto a Kira perché Light, senza la presenza del suo “alter-ego malvagio”, era un ragazzo virtuoso, sensibile e pieno di passione. Ma nonostante tutte quelle peculiarità ammirevoli, Light aveva detto il vero: Light Yagami senza Kira non era abbastanza.
Con calma misurata, L si trascinò nuovamente verso di lui e, quando fu abbastanza vicino, gli mostrò deliberatamente la gola.
Le pupille di Light si allargarono per lo sbigottimento di fronte al suo gesto. «Cosa diamine stai facendo?» domandò.
«Ti sto dando l’opportunità di farlo, Kira-kun.»
Lo osservò digrignare i denti. «Ci tieni così tanto a morire?»
L’espressione di L si fece meditante. «No, non direi» dichiarò in seguito, scuotendo brevemente il capo corvino.
Light si aggrappò al colletto della sua maglia bianca, strattonandogliela con ardore. «Allora perché ho come l’impressione che tu non stia aspettando altro? Non penserai che sia così cieco da non aver notato che hai fatto di tutto per fornirmi una scappatoia a tuo discapito al Quartier Generale.»
La replica pungente di L non si fece attendere. «Tu hai fatto la stessa cosa confessando di essere Kira.» Gli agguantò il polso in una presa ferrea. «Light-kun non è l’unico che può permettersi di accettare egoisticamente di morire per non dover affrontare la mia morte e pensare che non avrei fatto altrettanto.»
L’atmosfera inverosimilmente quieta che si creò di fronte alle parole di L venne sferzata dalla risata altalenante di Light.
Quando si esaurì, quest’ultimo incastonò le iridi caramello alle sue, ponendo la domanda a cui nessuno dei due, con il loro elevato quoziente intellettivo che tanto decantavano di avere, avrebbe saputo rispondere.
«Come siamo passati dal volerci uccidere, a cercare di farci uccidere per non dover sopportare il peso della nostra morte?»
L ci aveva riflettuto parecchio sul cambio di rotta che avevano preso i suoi sentimenti per Light. All’inizio quest’ultimo aveva stuzzicato la sua curiosità per le sue incredibili abilità deduttive e per il fatto che, se lui fosse stato Kira, si sarebbe rivelato l’opponente ideale con cui confrontarsi; poi era subentrata una sottospecie di ammirazione per il suo essere sagace, astuto e caparbio, pronto a tutto pur di raggiungere i suoi obiettivi per quanto discutibili potessero essere.    
Poteva sembrare impossibile, ma l’innegabile avvenenza di Light era stato l’ultimo elemento di cui si era accorto. 
Per L, una mente brillante aveva sempre contato più dell’apparenza fisica. Il fatto che Light Yagami avesse entrambi gli aspetti – una vera ingiustizia – era stato il connubio che lo aveva incastrato, portandolo a correre il rischio di farsi coinvolgere più di quanto avrebbe dovuto, pur sapendo che il ragazzo che aveva davanti a sé avrebbe potuto ucciderlo.
La verità era che L, prima di Light, aveva vissuto giorno per giorno con abulia, nell’attesa che qualche caso interessante gli si presentasse tra le mani.
Kira era stato la sua svolta.
Combattere un potere sovrannaturale non gli aveva mai sfiorato l’anticamera del cervello, eppure quella realtà che aveva ritenuto impossibile era entrata a far parte della sua quotidianità, cogliendolo alla sprovvista.
Un’adrenalina che mai aveva avvertito prima aveva cominciato a fermentare nel suo corpo e il suo innato istinto di sopravvivenza era divampato come una prorompente fiamma ardente.
Per quanto paradossale, quella situazione lo aveva entusiasmato come non mai; tuttavia quell’entusiasmo, ad un certo punto, si era tramutato in timore. Timore che l’unica persona per cui aveva provato un reale interesse in ventiquattro anni fosse il serial killer che aveva giurato di catturare e trascinare ai piedi della giustizia.
Guardò Light con un tormento che non era mai riuscito ad esternare per colpa della sua innata povertà emotiva, adagiando i polpastrelli longilinei al suo volto e carezzandolo laddove facevano capolino alcuni lividi.
«Non dovevi essere tu, Light.»   
Quest’ultimo boccheggiò in maniera quasi impercettibile, dopodiché fece combaciare la fronte alla sua. «Lo so, ma ho già perso abbastanza.» Abbozzò un sorriso. «E in questo nostro nuovo gioco, L, sarò io a vincere.»
Un grugnito di pura frustrazione stette per uscire dalla sua glottide, ma dovette ingerirlo quando il suo cervello registrò il cigolio della porta blindata che veniva spalancata.
Si allontanò di scatto, percependo una fitta di gelo irradiarsi lungo i suoi vasi sanguigni.
«Ryuzaki-san» lo chiamò la voce baritonale della guardia che lo aveva scortato nella cella di isolamento di Light. «L’orario delle visite è finito.»
Il “no” era sulla punta della lingua di L.
Aveva l’autorità di dire e fare tutto ciò che desiderava perché, per il mondo umano, L era la giustizia; ma per le leggi degli Dei della Morte, L non era niente più che una banale lettera.
Vide Light sollevarsi sulle gambe, esibendo un sorriso che non tradì alcun segno di malcelato terrore. Non avrebbe mai permesso a nessun altro oltre a L di cogliere uno spiraglio di fragilità sotto quella corazza di presunzione.
L lo emulò, cercando di raddrizzare la schiena quanto più possibile per raggiungere la stessa altezza di Light.
«Va bene» enunciò risoluto, senza azzardarsi a staccare gli occhi dal figlio del sovraintendente Yagami. Lo aveva osservato così tanto in quegli ultimi due anni, studiato ai limiti del consenso, eppure ogni volta si stupiva dell’effetto che esercitava su di lui anche solo quando sbatteva le ciglia. «Tornerò domani» aggiunse, ottenendo un’alzata di occhi al cielo da parte di Light.     
Al suo assenso, la guardia avanzò verso quest’ultimo per riavvolgere le catene che lo tenevano ancorato alla parete.
Non appena il suono di un “clack” s’issò nell’aria, Light sferrò prontamente una gomitata in pieno volto all’uomo, il quale sbatté violentemente il cranio contro il muro, perdendo i sensi.
L aveva fatto in tempo a sgranare gli occhi, e solo quello, perché Light aveva sollevato il mento, fissando un punto oltre le sue spalle con le labbra arcuate all’insù.
«Giusto in tempo, Ryuk.»
L si voltò di scatto al nome dello Shinigami che aveva dato l’esordio a tutta quella vicenda. Avendo toccato il frammento del Death Note dentro cui Light aveva scritto il nome di Higuchi, lo riuscì a vedere.
Come gli era successo con lo Shinigami Rem, gli occhi gli si dilatarono per lo sconcerto.
Se possibile, lo Shinigami Ryuk era ancora più terrificante con quelle inquietanti sclere fuori dai bulbi oculari, le iridi cremisi e le dimensioni della bocca decisamente sproporzionate rispetto al suo volto.
«Shinigami» bisbigliò, facendo un breve cenno cerimonioso con il capo.
«Finalmente ci conosciamo ufficialmente, L» esordì il Dio della Morte con una ghignata acuminata quanto la vasta quantità di denti che discendevano dalle sue gengive. «Tu non potevi vedermi, chiaramente, ma sono stato vicino a te tante volte quando Light-o aveva il mio quaderno.»
Sapere che lo aveva avuto accanto senza esserne stato a conoscenza lo fece rabbrividire.
Light prese nuovamente il monopolio del discorso. «Se sei qui, significa che Misa ha rinunciato alla proprietà del quaderno come le avevo ordinato.»
Misa Amane, pensò L.
Da quando aveva fatto incarcerare Light non le aveva prestato la benché minima attenzione nonostante fosse indubbio che il secondo Kira era lei.
Ryuk, sentendosi interpellato, fece guizzare le inquietanti orbite cremisi sul ragazzo dietro di sé. «Sono contento che l’abbia fatto. Non ne potevo più di sentirla blaterare su quanto ti ama incondizionatamente.» Il suo sorriso tetro si ampliò maggiormente. «Peccato solo che le preferenze di Light-o ricadessero su qualcun altro.»
L si sentì occhieggiato con minuziosità.
Non gli piacque per niente.
«I tuoi commenti sono superflui, Ryuk. Sei qui per un altro motivo, o mi sbaglio?»
Lo Shinigami annuì un paio di volte con il capo. «Devo ringraziarti, Light-o. Mi hai dato modo di divertirmi fino all’ultimo con il vostro spettacolino.»
Light sogghignò in modo ostentato. «Te l’ho detto che ne sarebbe valsa la pena, no?»
«Come tutto, del resto» concordò Ryuk, continuando a ghignarsela di gusto. Sollevò poi un arto superiore scheletrico per mostrare l’interno del suo Death Note. «Ci siamo divertiti tanto insieme, Light-o. Eri il compagno ideale. È un vero peccato sia arrivato il momento di salutarci.»
Le iridi onice di L si ridussero a due fessure.
A fare capolino per esteso sulle pagine aperte del quaderno della morte c’erano il nome e il cognome di Light.
Si rivolse verso quest’ultimo con urgenza, scuotendo assiduamente il capo mentre il battito cardiaco gli martellava nelle orecchie.
«Light.»  
Prima che potesse proferire altro, Light gli incorniciò il viso con le mani e gli depositò un bacio travolgente sui lembi marmorei, annullando qualsiasi cosa avesse potuto dire.
Distanziò poi il viso dal suo, muovendo le labbra in modo tale da formulare una frase che solo lui sarebbe riuscito a udire.
Un istante più tardi, le palpebre di Light strabuzzarono in modo anomalo, l’impugnatura alle sue spalle contratta al limite del possibile e dei versi soffocati che fuoriuscirono dalla sua glottide.
«No!» esclamò L terrorizzato, la fronte ridotta ad un ammasso di pieghe sconnesse. «No, no, no, no, no…» continuò imperterrito in un pigolio strozzato, cercando di irrobustire la presa su Light quando avvertì il suo corpo iniziare a cedergli fra le braccia. «Non lasciarmi, Light. Non farlo, non farlo...»
Non importò quante volte lo ripeté.
Fu tutto inutile.
Alla fine, entrambi franarono al suolo, L al di sopra del corpo ormai esamine di Light.
Rimase così, su di lui, inerte, le orbite indolenzite per quanto erano sgranate e il padiglione auricolare appressato ad una cassa toracica dentro cui ora batteva il nulla.
Era tardi.
Troppo tardi.
Quando la voce rauca dello Shinigami Ryuk s’introdusse nelle sue orecchie come veleno, ridacchiando un: «voi umani siete davvero bizzarri», l’impulso fu quello di imprecare, con un’ira mai provata prima, tutte le blasfemie che gli stavano transitando per la testa.
Non ne ebbe il tempo perché, improvvisa come un fulmine a ciel sereno, una fitta acuta gli trapassò l’avambraccio, costringendolo a rannicchiarsi su se stesso, un grido imbrigliato nelle corde vocali.
In un istante di delirio, L credette che fosse il principio di un arresto cardiaco.  
Quando non accadde nulla, si morse il labbro inferiore con così tanta intensità che lo ridusse ad un piccolo ammasso di carne sanguinante; ma non era niente, quel dolore, rispetto a ciò che stava provando interiormente.
Benché a fatica, L riuscì a tirarsi su la manica della maglia per vedere cosa fosse stato quel pulsare lacerante che lo aveva colpito. 
Quando scorse delle linee nere estendersi sull’estremità del suo braccio, preferì non averlo fatto.
Le parole che Watari gli aveva riferito a undici anni e che aveva sigillato in un angolo recondito della sua mente riecheggiarono nelle sue orecchie come una melodia distorta, maligna.
«Una persona viene a conoscenza della propria anima gemella solo al momento della sua imminente morte.»
Rammentò come il se stesso di quel tempo avesse scollato lo sguardo dalle parole scritte sul foglio che aveva tenuto tra le dita per fissare il suo mentore, nonché la figura che più si era avvicinata ad un padre dopo che lo aveva trovato a vagabondare per la periferia di Parigi.
Il concetto di “anima gemella” non sarebbe importato al sé attuale, ma a quell’età qualsiasi cosa non conoscesse attirava la sua curiosità.
«Mediante cosa?»
«Una scritta che compare sulla pelle» aveva replicato il signor Wammy con il suo immancabile flemma mentre sorseggiava del tè. «Le loro ultime parole prima di morire.»
L si era portato un pollice alla bocca, frizionandone l’estremità con le labbra. «Date le premesse, credo sia meglio non trovarla se si è destinati a perderla un istante più tardi» aveva osservato con apatia, ottenendo un mezzo sorriso da parte del suo interlocutore. «Trovo sia solo un’inutile crudeltà
Il discorso era presto capitolato perché L, nella sua innata presunzione, aveva creduto di essere di un altro livello e che, pertanto, fosse immune a certi sentimenti primitivi.
E così era stato fino a quando non aveva conosciuto Light.
Le sue iridi slittarono meccanicamente sul volto di quest’ultimo, le labbra che vibravano come foglie smosse dal vento.
“Non dimenticarti di me, L Lawliet” aveva proferito Light con il labiale poco prima di accasciarsi, una patina trasparente che gli aveva inumidito gli occhi.
“Non dimenticarti di me, L Lawliet” erano le parole che ora inchiostravano la sua pelle diafana come la peggiore delle piaghe.
L percepì un gusto salato estraneo invadergli la bocca.
Era lui.
Light Yagami era la sua anima gemella.
Si protese in avanti, aggrappandosi con i polpastrelli tremanti alla maglia sgualcita di Light.
Cercò inutilmente di sopprimere i singhiozzi che s’infransero contro il suo petto, le lacrime che scorrevano senza freni lungo il profilo del suo volto.
Il mondo era davvero un posto crudele. 




 
 
   
 
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