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Autore: _Lightning_    13/11/2019    5 recensioni
[INCOMPIUTA]
«Mi sembrava che ne avessi bisogno,» sussurra Natasha, con voce velata, e Tony sorride appena a quello sfoggio di spavalderia che sanno entrambi essere inutile.
«Decisamente,» non la contraddice, ma aumenta un poco la stretta e sente la sua farsi quasi disperata a sottolineare quanto ne avesse bisogno anche lei.
Come se quell’abbraccio potesse alleggerire il dolore di entrambi, o fonderlo in modo da renderlo più comprensibile, meno oscuro.
Non sa se Natasha lo stia trascinando verso il basso per piantare un ormeggio sicuro, o verso l’alto, a fluttuare incerto a mezz’aria. Ma sfiora la terra con la punta dei piedi e rimane lì, in equilibrio, in bilico con lei.

In un universo in cui lo schiocco ha reciso e distrutto legami, chi è rimasto è costretto a ricostruirli, ritrovarli, o crearne di nuovi, con il costante interrogativo di quanto sia giusto andare avanti quando ci si è lasciati così tanto dietro.
[pre-Endgame // Hurt-comfort // IronWidow + Pepperony // PoV Tony]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
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.5.

Inferno
II

 
 
“Il secondo [modo] è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui:
cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
I. Calvino
 


Entra in cucina il mattino dopo infilandosi infreddolito una felpa consunta, risvegliato dal profumo di uova e di caffè appena fatto che gli punge le narici, indecise se considerarlo piacevole o rivoltante dopo il suo incontro ravvicinato con l'alcool.

È la prima mattina in cui si sveglia senza attaccarsi direttamente a una bottiglia, e sente dei lievi brividi che gli percorrono la schiena, facendogli vibrare lo stomaco e ricordandogli che l'astinenza, quella fisica, non tarderà ad arrivare in forma più potente. Per ora, però, ci ha pensato Natasha a far sparire dalla sua vista qualunque bottiglia di liquore, e la ringrazia prima mentalmente e poi con uno sguardo che risulta fin troppo spaesato e forse ancora un po' alticcio.

Lei è già seduta alla penisola della cucina ed è intenta a finire il suo toast, col piatto già vuoto di fronte a sé. A quanto pare dall'altro lato del piano ce n'è uno per lui, coperto da un altro piatto rovesciato, oltre a una tazza di caffè; la colazione sarà già fredda da un bel po', ma apprezza comunque quel pensiero decisamente inaspettato e non dovuto. La cosa non si traduce in parole e parla prima di potersi frenare, impugnando la propria fetta di toast con una convinzione che il suo stomaco non sembra affatto apprezzare, visto che fa un salto mortale al solo contatto col cibo:

«Che carini, non pensavo che tu e Rhodey aspiraste a diventare le mie colf personali,» si pronuncia, con una voce da incubo che sembra provenire da una delle armature.

«Devo mangiare anch'io, Stark. E magari la tua porzione l'ho avvelenata,» ribatte gelida Natasha, e Tony ferma a mezz'aria il primo morso pensando che, conoscendola, potrebbe anche averlo fatto davvero.

Cloroformio, magari, così sarà più semplice trascinarlo via di lì da incosciente. Decide di correre comunque il rischio, ma il massimo pericolo che incontra è il sapore e la consistenza di segatura e compensato che si propaga nella sua bocca ancora molto restia a mangiare qualcosa di solido. Scopre la propria porzione di uova strapazzate e pensa che, , apprezza il pensiero, ma obbligarsi a finirle sarà più simile a un'elaborata tortura cinese. E forse Natasha ne è perfettamente consapevole, a giudicare dall'occhiata che gli scocca.

«Allora?» lo incalza poi, impassibile come sempre. «La notte ha portato consiglio?»

Tony fa una piccola smorfia, deglutendo a fatica e bevendo poi un sorso d'acqua – troppo insipida per le sue papille gustative desensibilizzate dall'alcol.

«Non ha portato incubi, il che è già un miglioramento,» si decide a rispondere, concludendo che se c'è una persona che può capire quell'argomento è lei, anche se in effetti quelli che fa lui sono ormai quasi solo patchwork di ricordi, non per questo meno dolorosi.

Lei gli rivolge un piccolo cenno del capo, indecifrabile, ma sembra apprezzare la sincerità, oltre che il fatto in sé. Continua a rivolgergli occhiate sfuggenti e feline, ed è chiaro che stia aspettando una vera risposta. Tony rigira il proprio cibo nel piatto, e una parte di lui ringrazia che, tra gli innumerevoli modi per cucinare un uovo, non abbia avuto la disgraziata idea di scegliere un'omelette. Scaccia il pensiero e si prende qualche secondo prima di riprendere il discorso:

«L'autodistruzione non è produttiva. Funziona solo quando c'è effettivamente ancora qualcosa da salvare,» sciorina in fretta, e non può evitare uno sguardo fugace verso la vetrata, nel punto in cui anni e anni prima si è aperto il portale che l'ha quasi inghiottito.

Natasha segue il suo sguardo e storce le labbra in una smorfia quasi malinconica.

«Era tutto più facile, allora,» commenta solo quasi sovrappensiero, prendendo l'ultimo morso del suo toast.

«Abbiamo solo avuto fortuna,» la contraddice lui, bevendo un sorso di caffè e sforzandosi di mantenerlo nello stomaco inacidito. «Ho avuto fortuna.»

«Ci hai salvati.»

Lui emette una mezza risata priva d'allegria.

«Già,» le concede, forzandosi. «E Paganini non ripete,» conclude amaramente, poggiando la tazza per timore di far traboccare la bevanda tra le sue dita non così salde.

Si stropiccia la fronte, con un milione di anni a scavarvi sopra pieghe di preoccupazione aggiuntive. Rimangono in silenzio, spezzato solo dal vento che, all'esterno, fischia tra i grattacieli abbattendo grossi fiocchi di neve contro le vetrate. Non è una visione che migliora il suo umore. Riporta lo sguardo al suo piatto ancora pieno. Si sforza di mandar giù una forchettata di uova sotto il controllo vigile di Natasha, che probabilmente non lo farà alzare da tavola finché non avrà assunto una quantità di calorie secondo lei sufficiente a tenerlo in piedi. Potrebbe volerci qualche ora, conclude Tony, picchiettando svogliato la posata contro il vetro del bicchiere.

«Quindi?» riprende dopo un po', rivolgendole uno sguardo interrogativo. «Tu dov'eri finita? Sono sobrio, adesso,» puntualizza, ricordandole la mezza promessa di ieri sera e puntandole contro la posata.

Natasha prevedibilmente svia la domanda, oltre ai suoi occhi:

«Avevo bisogno di un cambio d'aria. Penso che tu possa capirmi.»

Tony annuisce cautamente, e sa già che non riuscirà a strapparle altre informazioni, ma tentar non nuoce. Di solito, almeno, perché con la Vedova Nera non si è mai davvero al sicuro.

«Rogers ti ha cercata. Da quanto so, almeno, cioè molto poco,» specifica, chiedendosi quanto tempo sia effettivamente passato tra un evento e l'altro.

Forse dovrebbe aggiornare il proprio calendario mentale, magari quando non avrà un'emicrania coi fiocchi a stritolargli le meningi.

«Mi ha anche trovata, il che è un'impresa considerevole,» conferma lei senza scomporsi, le mani strette attorno alla sua tazza di tè, e Tony nota come le sue nocche sbianchino appena.

«E hai deciso di tornare colta dalla nostalgia dei bei vecchi tempi?» continua, e non vorrebbe essere così insistente, ma dopo mesi di buio sfocato e totale chiusura verso il mondo sente finalmente una scintilla d'interesse fare capolino in lui, forse dettata dalla lucidità forzata. Così si sforza di alimentarla prima che appassisca di nuovo nella cenere, usando lei come catalizzatore di fortuna.

Natasha però tace, e lui si lascia sfuggire un tenue sospiro tra le labbra, chinando di nuovo il capo sulla sua colazione, che si sta rivelando un osso più duro di Ultron, o chi per lui. Quando sembra ormai chiaro che quella domanda non otterrà risposta, lei spezza il silenzio:

«Non è così semplice,» dice a bassa voce, ma senza vacillare. «Ma non sei l'unico ad aver passato un brutto periodo,» conclude poi, come sempre evasiva, ma offrendogli una parvenza di spiegazione che per i suoi standard è anche troppo specifica.

Tony a quel punto la fissa in volto, e adesso che è presente a se stesso riesce a fare un netto confronto tra la Natasha che ha sempre conosciuto e quella che ha davanti ora. Il viso che ricordava pieno e rotondo ha lasciato il posto ad angoli più aguzzi, che le accentuano gli zigomi e le ombre sotto gli occhi. I suoi capelli sembrano meno folti, sfibrati, e sono raccolti in una coda frettolosa. Indossa una felpa scura oversize e un paio di pantaloni morbidi che celano in parte le sue forme, ma anche così si rende conto che è meno florida, più minuta, con le curve quasi inghiottite dalla stoffa pesante. Nota con qualche istante di ritardo il chiassoso dettaglio mancante: non ha più al collo la catenina argentata con la freccia. Comprime brevemente le labbra, ma opta per rimanere in rispettoso silenzio, scoccandole solo un'occhiata comprensiva e in parte inquieta al pensiero che persino Natasha Romanov si sia lasciata andare dopo la fine del mondo.

«Tu, piuttosto,» riprende la donna, evidentemente decidendo che è il suo turno per porre domande scomode. «Perché stai dando retta a me, e non a Rhodes?» chiede poi a bruciapelo, nel tono di chi sa già la risposta.

Tony impegna la bocca con un altro boccone insapore, prendendo tempo inutile.

«Perché di te non mi fido neanche nel sonno, ma di Rhodey sì... però state dicendo entrambi la stessa cosa. Sarebbe da idioti ignorarvi, e non mi reputo un idiota, almeno non così spesso,» ribatte infine, con un piccolo scatto delle sopracciglia verso l'alto.

«Ieri hai detto che di me ti fidavi,» puntualizza lei, inclinando appena la testa come un gatto incuriosito.

«Ieri ero ubriaco,» sbuffa lui, con leggerezza e un sorriso spento che gli tira gli angoli delle labbra.

«In vino veritas,» mormora lei, con fare un po' saputo, e Tony soffoca uno sbuffo esasperato.

«Piantala con le tue frasi in latino, Romanov,» [1] la rimbrotta, e pur avendo capito fa il finto tonto, punzecchiandola: «Questa che voleva dire?»

«Che a volte anche Tony Stark sa usare un po' di buonsenso,» ribatte lei, pressando le labbra a trattenere una smorfia divertita.

«Ehi, non farmi cambiare idea all'ultimo momento: finora eri andata benissimo,» scuote la testa lui, e stavolta il sorrisetto che gli passa sul volto è spontaneo, quasi completo.

«Quindi stai tornando per davvero,» conclude svelta, e dal modo in cui lo dice Tony intuisce che è una domanda, sincera e solo mascherata da un velo d'ironia, e che non si aspettava di trovarlo così accomodante e propenso ad ascoltarla.

«Qualunque cosa voglia dire,» alza le spalle, svicolando a una risposta diretta che non è sicuro di saper dare.

«Vuol dire provarci,» ribatte lei, con semplicità. «Come stiamo facendo tutti.»

Tony stringe con forza la forchetta tra le dita e lascia passare qualche secondo prima di incontrare il suo sguardo, ancora appuntato su di lui. Annuisce impercettibilmente con l'impressione che quel piccolo gesto gli smuova una montagna di piombo dalle spalle. Forse è arrivato il momento di contrastare il principio d'inerzia e mettere in pratica quello di azione e reazione, pensa con un tremito interiore che potrebbe essere paura, così come aspettativa. Lo accetta come una variazione positiva rispetto al proprio torpore, e a questo punto qualsiasi cambiamento che gli faccia provare qualcosa è positivo.

Mezz'ora dopo è impegnato a ficcare in un borsone da viaggio lo stretto indispensabile per sopravvivere qualche settimana al Complesso. Non vuole darsi scadenze precise, ma far entrare fisicamente il tempo in quello spazio ristretto sotto forma di calzini, mutande e camicie gli dà l'impressione di poterlo controllare, di ridurlo a una forma fisica e innocua. È rassicurante, lo fa sentire di nuovo con le redini in mano e non in balia di un cavallo ombroso e imbizzarrito, per quanto sia ancora pericolosamente vicino ad essere disarcionato.

Quando esce dal bagno col pizzetto di nuovo distinguibile e un completo informale addosso, Natasha lo aspetta seduta ai piedi del letto, impegnata a seguire la cascata di fiocchi di neve che si rincorrono in vortici bianchi all'esterno. Si volta verso di lui e gli sembra che il suo sguardo si ammorbidisca, e anche lui si sente un po' più se stesso, con quell'outfit spigliato che richiama almeno un'ombra del fu Tony Stark. Gli occhi di Natasha si socchiudono nello scrutare perplessa la maglietta che porta sotto la giacca antracite.

«Quella è una papera o un coniglio?» chiede, con un guizzo divertito.

«Uh, entrambi,» replica in fretta lui, schiarendosi la voce con un mezzo sorriso e pizzicando il buffo disegno al centro del petto. 
[2]

Non offre altre spiegazioni e infila una mano nella tasca dei pantaloni, sfiorando la scatoletta di velluto blu custode di un futuro troppo sperato con la punta delle dita. [3] Solo due oggetti. Solo due. Se l'è imposto, e non ha intenzione di tornare sui propri passi proprio adesso che ne sta facendo uno avanti – così spera, almeno. Non ha cuore di lasciare tutto qui – di lasciarli del tutto qui, e sa che potrebbe pentirsene, ma quel passo gli sembra già più lungo della gamba e ha bisogno di una cima di sicurezza. Due, per la precisione. Natasha forse – sicuramente; è una spia, dopotutto – intuisce qualche non detto, ma non insiste e riporta il discorso su un terreno sicuro:

«Ora almeno sei quasi presentabile,» scherza alzandosi, e prima di precederlo la sua bocca forma un accenno appena intuibile di quel sorriso sbarazzino che gli rivolgeva spesso per prenderlo in giro.

Lui alza gli occhi al cielo e si mette in spalla la borsa. Pesa molto più di quanto dovrebbe, non sa se per la propria fiacchezza o per il fatto che racchiude in sé una scelta che non è del tutto certo di voler o dover fare. La sua vita è un susseguirsi di scelte sbagliate, in fondo, ma adesso non sa davvero cos'altro abbia da perdere, e si trova a voler scoprire i risvolti di quell'ultimo colpo di testa quasi con trepidazione. In quanti modi può ancora distruggersi, dopotutto?

Poi si sente muovere in modo automatico, dall'alto, come se ci fosse qualcun altro di invisibile a tirare i suoi fili, e una minuscola parte di lui percepisce il tocco lieve e fresco di Pepper sulla pelle, una carezza lontana e incorporea che lo sospinge nella direzione giusta, continuando a guidarlo anche adesso. Si lancia uno sguardo alle spalle e quasi la vede raggomitolata sul loro letto, in quella posizione per lui inconcepibilmente scomoda in cui dormiva sempre, stretta a lui, col respiro che si infrangeva sulla sua schiena e una mano premuta al centro del suo petto, prima sul metallo e poi sulla pelle. Vacilla, ma la spinta che guida i suoi piedi è più forte di quello sprazzo illusorio, e batte le palpebre a disgregarlo.

"Vai, Tony. Provaci. Va bene così."

Chiude la porta dietro di sé, con dolcezza.

Gli sembra di sentire uno scalpiccio ovattato in corridoio e sa che non è reale, ma lo cerca comunque con gli occhi, un'ombra rapida e frizzante che svanisce davanti a lui con passi fumosi.

"Ci provi, signor Stark! Ci provi, lei riesce sempre a fare tutto!"

China il capo per un istante, il tempo di vederlo – o non vederlo – svoltare di corsa l'angolo del salone, poi si incammina a passi tenui verso l'uscita, calcando orme invisibili, sospinto da mani impalpabili, con echi irreali nelle orecchie che per una volta accoglie con sollievo.

Natasha lo aspetta paziente accanto all'ascensore, senza mettergli fretta ma già avvolta in un lungo cappotto pesante e in una sciarpa vermiglia. Tony lancia un'ultima occhiata smarrita all'attico, sullo sfondo della nevicata grigiastra, e sente un impulso improvviso, reale, che gli grida di allontanarsi da lì, da quella tomba, dalla neve e dal cemento e dallo spazio enorme spazzato dai suoi pensieri irrequieti come rapide d'alcol. Lascia brevemente cadere a terra la borsa mentre infila anche lui una giacca lunga invernale, sentendo quei fili che lo guidano tendersi con fermezza ad ogni gesto.

«Andiamo,» dice poi, con la gola un po' contratta, serrando le dita attorno alla cinghia del suo bagaglio. «Prima che quel grizzly di Rhodey ci venga a cercare,» conclude, ostentando una decisione che non è davvero sua, infusa nelle sue ossa e nei suoi muscoli da qualcun altro che non esiste più.

Natasha apre l'ascensore e lui esita un ultimo istante, per poi afferrare dal mobiletto d'ingresso un paio d'occhiali da sole bluastri e inforcarli, sfoggiando un flebile sogghigno da spaccone. Lei sorride – da quanto non lo fa davvero? – si alza sulle punte e gli solleva il bavero della giacca in un gesto a metà tra il giocoso e il premuroso, prima di guidarlo nell'ascensore e poi fuori, un passo alla volta, un braccio che si àncora al suo a offrire e cercare sostegno.



 
[Fine parte prima]


 


Note:
[1] Richiamo al fatto che in Iron Man 2 si accenni al fatto che Natasha conosca il latino, e rifili a Tony la frase di Seneca "Fallaces sunt rerum species", ovvero, in soldoni, "l'apparenza inganna".
[2] La maglietta di Tony è quella che indossa nella foto con Peter per il riconoscimento del tirocinio-> qui.
[3] Per chiarezza: mi riferisco alle fedi nuziali di Tony e Pepper.


Note dell'Autrice:
Cari Lettori, siamo finalmente arrivati al famoso punto di svolta... e alla fine della prima parte. Col prossimo capitolo spiegherò anche una parte del principio che sta dietro la suddivisione della storia, anche se dovrete aspettare la fine della seconda per averne una più incisiva. Sì, mi piace tenervi sulle spine ;)
Come sempre, tutti gli eventuali riferimenti che possono sembrare fuori luogo o inspiegati troveranno lumi più avanti. Tutto ciò che riguarda il rapporto tra Tony e Natasha deriva da miei headcanon già parzialmente sviluppati nella minilong
Ferite, che non è rilevante ai fini della trama in sé, ma funge per certi versi da parziale presupposto.
Ringrazio come sempre tutti coloro che seguono e commentano, e vi abbraccio dal primo all'ultimo, ché senza di voi questa storia giacerebbe incompiuta in una cartella recondita del PC <3
Alla prossima, spero a presto,

-Light-
   
 
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