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Autore: Nat_Matryoshka    14/11/2019    2 recensioni
"La casa era immersa nel silenzio, tranne che per lo sfrigolio impercettibile delle candele che si consumavano.
Rey si strinse nel suo scialle di lana, scossa da un nuovo brivido."
[Reylo AU gotica || scritta per la Reylo Fanfiction Anthology 2019, "Amid Secrets and Monsters"]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Generale Hux, Rey
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo V 



La strada era asciutta, non pioveva da giorni. Rey ringraziò mentalmente qualunque entità soprannaturale li stesse proteggendo: sarebbe stato impossibile nascondere le loro tracce sul terreno fangoso. Ben arrancava a fatica dietro di lei, la mano sinistra stretta nella sua, la destra premuta sul fianco. Il taglio aveva smesso di perdere sangue, ma la ferita restava fresca, e avrebbero dovuto occuparsene al meglio quanto prima.

Presto, pensò la ragazza, e si fermò un attimo per permettergli di riprendere fiato. La stazione era ancora lontana: avrebbero dovuto sfruttare ogni centesimo di secondo per distanziarsi il più possibile da Brendol Hall e da Hux, che presto li avrebbe cercati. Il ragazzo cercò di raddrizzarsi malgrado il dolore, prendendo un paio di respiri, poi lanciò uno sguardo a Rey e annuì. Andiamo, le stava dicendo senza parlare. Ormai avevano imparato a comunicare anche tramite il silenzio, solo con uno sguardo o un gesto.

Ripresero a correre, il quartiere che si allontanava in favore dei primi palazzi e negozi della città. Sarebbe stato più facile confondersi nella folla, tra le strade piene di carrozze e passanti indaffarati e i vicoli secondari. Con un po’ di fortuna, sarebbero potuti passare per una semplice coppia che girovagava, nonostante l’abbigliamento dimesso di Ben e il suo abito da lavoro fin troppo semplice e consumato… ma non le importava nulla. Desiderava solamente prendere il primo treno per Tatooine, guardare i tetti di Coruscant allontanarsi e sfumare nella distanza. Avrebbero comprato due biglietti alla stazione, e con l’aiuto di un giornale camuffare i loro visi sarebbe risultato ancora più semplice.  

Spero sia davvero facile, pensò Rey, la gola stretta in una morsa. Se non altro, erano fuori ed erano insieme: il resto sarebbe venuto da sé.
 

*
 

Nel vedere Ben accucciato a terra il cuore le era saltato dal petto fino in gola, ma il ragazzo si era rialzato non appena gli era corsa accanto.

“Sto bene, non preoccuparti per me. Non devi scendere fin qui di-“
“Shh” lo aveva zittito lei, cercando di sostenerlo per permettergli di sedersi. “Dobbiamo andarcene oggi, Ben. Aspetteremo che Hux vada a letto e poi scavalcheremo il muro del parco. Non è molto alto, ce la dovremmo fare. Non… non permetterò che tu resti qui.” Aveva parlato con tanta foga da restare senza fiato, per timore che lui potesse fermarla, dirle che era tutto inutile e che non aveva intenzione di seguirla. “Ce la faremo. Fidati di me.”

Con sua enorme sorpresa e sollievo, Ben aveva annuito. Rey notò un nuovo livido sulla spalla appena scoperta, una macchia violacea che doveva risalire allo scontro della sera prima, e sentì una determinazione fredda riempirle le vene.

“Fidati di me” aveva ripetuto, senza nemmeno aspettare la risposta. Si era alzata di corsa e aveva rifatto la strada all’indietro come una furia, senza curarsi di nulla, senza nemmeno controllare se Hux fosse davvero uscito come le era sembrato un’ora prima. Non si era nemmeno accorta che, mentre passava per il corridoio verso la sua stanza, la porta dello studio si era aperta con uno scatto leggero.
 

*
 

Giunsero alla stazione e Rey si diresse immediatamente verso lo sportello del bigliettaio, sperando ardentemente che ci fosse ancora posto sull’ultimo treno in partenza per Tatooine, quello della sera. La cittadina, sperduta tra le praterie, era raggiunta da pochissime corse, tanto che all’uomo riuscì difficile credere che la ragazza desiderasse davvero andare fin laggiù. Staccò comunque due biglietti per lei e Rey li pagò con uno dei primi stipendi ricevuti.

Per fortuna ho questi soldi, pensò tra sé. Per fortuna la stazione è sempre affollata. Per fortuna nessuno ci conosce. La loro vita era diventata una serie di occasioni fortunate afferrate con le unghie e con i denti, piccoli miracoli che avrebbero anche potuto non ripresentarsi. Passò i biglietti al ragazzo e lo osservò un attimo mentre li soppesava tra le dita, lo stupore di chi si approcciava a qualcosa di nuovo per la prima volta.

Il treno sarebbe partito alle sette della sera. Rey aveva fame, Ben sicuramente non toccava cibo da giorni, ma era rischioso entrare in uno dei ristoranti della stazione per un pasto caldo: se qualcuno li avesse rintracciati fin lì, fuggire sarebbe risultato più difficile. Finirono per comprare del pane e mangiarlo seduti sul bordo posteriore della grande fontana che occupava la piazza interna dell’edificio, nascosti allo sguardo dei passanti da due grandi piante verdi in vaso. Non erano maestose come gli alberi di Takodana, ma se le sarebbero fatte bastare.
 

*
 

Il baule toccò il fondo della valigia con un tonfo morbido. Lo aveva coperto con lo scialle e la camicia da notte, poi con i due romanzi che aveva acquistato. Frugò freneticamente nell’armadio e nei cassetti della toletta per non dimenticare nulla, ma non aveva nient’altro da portarsi dietro.

Ogni volta che entrava in camera chiudeva la porta e girava la chiave nella serratura, ma quella mattina se n’era dimenticata. Era abituata agli scricchiolii della casa, alle ombre che si allargavano sulla carta da parati, ed era troppo impegnata a riempire la valigia per prestare attenzione al rumore di passi nel corridoio. Non aveva visto la sagoma di Hux stagliarsi nella cornice della porta, ma quando una mano guantata l’aveva afferrata per il collo, girandola con forza, si era fatta scappare un grido di spavento.

“Credevi di poter scappare di qui come se niente fosse, ragazzina?”

Il suo principale le aveva affondato le dita nelle spalle, premendo con forza i pollici nella carne. Il suo sguardo, solitamente controllato e quasi annoiato, era così livido di rabbia da storpiare anche il resto dei lineamenti: la bocca, piegata nel ghigno di una belva che aveva appena catturato la preda, il viso paonazzo, gli occhi sbarrati. Rey non l’aveva mai visto in preda all’ira, e la sua espressione le fece scendere un brivido lungo la spina dorsale.

Era così scioccata da non riuscire nemmeno a ribellarsi. Lui lo aveva interpretato come un segnale di vittoria.

“Ti ho tenuta d’occhio, sai. Avrai sicuramente pensato che le tue avventure nel seminterrato fossero passate inosservate… e invece sapevo tutto.” La scosse come se avesse tra le mani un pupazzo, non un essere umano. “Ti ho seguita. Ti ho vista scendere di sotto e poi tornare di sopra, notte dopo notte, mentre ti intrattenevi con l’arma… avrei potuto coglierti con le mani nel sacco un’infinità di volte, eppure ho aspettato.” Aveva digrignato i denti, e gli occhi di Rey si erano chiusi d’istinto. In un attimo, era tornata ad essere la ragazzina che si copriva il viso mentre Unkar Plutt la colpiva con le mani flaccide e pesanti, intimandole di tacere e obbedirle. Se non era in grado di proteggere se stessa, come avrebbe fatto a salvare Ben?

“Snoke voleva che prendessi anche te. Ti considerava un soggetto perfetto: orfana, sola al mondo, senza nessuno che potesse reclamare la tua scomparsa... I nostri esperimenti precedenti rispecchiavano esattamente quelle caratteristiche, ne abbiamo presi molti negli orfanotrofi delle varie città. Ma sei troppo ribelle, troppo sfrontata. Non ci serviresti in alcun modo.  Avrei dovuto occuparmi di te molto tempo fa.”

Le sue unghie le bucavano la pelle, facendola fremere di dolore. Aveva alzato il braccio per colpirlo con un pugno, ma l’uomo si era scansato e le aveva afferrato con rabbia la mano, girandole il polso. Tentando di staccarselo di dosso con tutta la forza che aveva, gli aveva sputato in pieno viso. Aveva funzionato solo in parte: Hux le aveva lasciato il polso, ma subito dopo l’aveva gettata a terra con furia ancora maggiore.

Rey aveva colpito il pavimento con un tonfo, stordita dal momentaneo ribaltamento della situazione. Hux si era frizionato l’occhio con una manica, ma subito dopo l’aveva fissata e, con grande orrore della ragazza, sembrava perfettamente controllato. Sorrideva.

“Avrei davvero dovuto occuparmi di te molto tempo fa… ma si può sempre rimediare a quel che non è stato fatto.”

Quando aveva estratto un coltello dalla cintura, Rey non aveva chiuso gli occhi. Non si era coperta il viso con le mani tremando come una foglia, né aveva aspettato il colpo fatale a terra, rannicchiata e spaventata: aveva fissato la lama brillare per un secondo alla luce del sole e si era alzata in piedi di scatto, ogni fibra del suo corpo che le urlava di difendersi. Aveva stretto i pugni per affrontarlo, pronta a colpirlo in qualunque modo… e proprio mentre il padrone si avventava su di lei, il coltello pericolosamente vicino al suo stomaco, la porta aveva sbattuto contro il muro e Ben era entrato nel suo campo visivo.
 

*
 

“Sei stanca?” Doveva aver notato la sua espressione pensierosa, perché aveva smesso di spezzettare il pane per osservarla. Rey fissò la mollica che stringeva tra le dita, scacciando quelle immagini violente dalla mente. “Sì… un po’” ammise, lasciando andare un sospiro.

Lui non aggiunse altro. Rimase fermo, quasi volesse invitarla ad appoggiarsi a lui per riposare, e la ragazza lo accolse posandogli la testa sul braccio. Socchiuse gli occhi, e percepì una sensazione di sollievo invaderla dalla testa ai piedi, gentile come un bagno di acqua calda. Il cuore di Ben, poco distante dal suo, batteva ad un ritmo gentile e regolare. Sentì la domanda nascerle nella mente e uscirle dalle labbra con naturalezza.

“Come hai fatto a capire quello che stava per succedere?”
“Lo sapevo e basta.” Le sfiorò una mano, tracciando il contorno delle nocche con un dito sottile. “In qualche modo, ho sentito che avevi bisogno di me. Te la saresti cavata… ma non ti avrei mai lasciato rischiare la tua vita per me.”

Rey aprì gli occhi per osservare il movimento delle sue dita, poi li richiuse appena, godendosi il senso di protezione che le infondeva la sua vicinanza. Quel legame che sembrava averli uniti fin dal loro primo incontro era ancora forte, li portava l’uno verso l’altra senza che se ne rendessero conto. Le bastava stringergli la mano per percepire le sue emozioni, così come lui doveva aver sentito il suo grido d’aiuto silenzioso, qualche ora prima.
Si apprestava ad iniziare una nuova vita altrove e, di nuovo – pensò tra sé - non aveva portato nulla con cui iniziarla… a parte Ben.

Era sicuramente meglio così.

*
 

Hux e Ben avevano iniziato a lottare e, se sulle prime il padrone era riuscito a contrattaccare immobilizzando l’avversario, presto la stazza del giovane e la sua forza avevano avuto la meglio. Erano finiti entrambi a terra, e nella violenza della colluttazione la mano del padrone si era tesa per colpirlo più volte al ventre, prima che Rey potesse accorgersene e cercare di disarmarlo. Ci era riuscita, ma Hux non aveva smesso di riempirlo di pugni e graffi, sulla testa e sulle spalle, di stringergli le mani attorno al collo per soffocarlo.

Ricordava poco del momento in cui Ben si era rialzato a fatica, ferito e stordito, ma doveva aver assestato un pugno alla nuca dell’ormai ex datore di lavoro, perché un secondo dopo Armitage Hux si era afflosciato a terra privo di conoscenza. Dopodiché, non c’era stato tempo di pensare: erano fuggiti a tutta velocità prima che potesse rinvenire, correndo giù per le scale con la disperazione di due animali selvatici braccati, sperando ardentemente di non incontrare né gli altri membri del personale, né tantomeno Snoke.

Il sole d’inverno rendeva l’aria trasparente, fredda e splendente come un cristallo.  Non appena avevano varcato la soglia di Brendol Hall, Rey gli aveva afferrato la mano, quasi avesse paura di perderlo.
 

*
 

“Stai fermo, o rischi di riaprire la ferita.”
“Sono fermissimo.”
“Non direi, stai giocando con l’acqua.”

A Rey piaceva rimproverarlo, ma non era mai seria nel farlo. Adorava guardarlo abbassare il sopracciglio nell’imitazione di un’espressione corrucciata, mentre tirava fuori la mano destra dalla fontana e si lasciava controllare la ferita sul fianco. Fortunatamente Hux lo aveva solo colpito di striscio: se avesse indugiato un secondo in più, sarebbe stato difficile medicarlo senza ricucire i lembi di pelle. La ragazza premette un panno freddo sul fianco di Ben, attenta a non sfregare la crosta che stava iniziando a formarsi. Una volta a Tatooine, avrebbe preso l’indirizzo dal suo scrigno e avrebbero cercato il Generale Kenobi. Non aveva idea di dove si trovasse la sua casa, né di quanto tempo ci sarebbe voluto a raggiungerla, ma sentiva che, una volta allontanatisi da Coruscant e dalla sua atmosfera oppressiva, tutto si sarebbe fatto più semplice. Glielo diceva la sensazione di libertà che si allargava nel suo stomaco, quel misto di ansia e anticipazione che le mordicchiava le ossa e le gonfiava il cuore, facendole contare i minuti che mancavano alla partenza del treno. Sarebbe andato tutto bene. Doveva andare tutto bene.

Gettò uno sguardo a Ben, seduto lì accanto, e pensò che era più forte di quanto pensasse, come lei. Avevano iniziato insieme a scavare nella loro solitudine condivisa e avrebbero continuato a farlo nello stesso modo, uniti da quel legame invisibile ma forte. Avrebbe fatto di tutto per vederlo sorridere ancora mentre faceva passare le gocce d’acqua tra le dita, con l’innocenza del bambino che ancora viveva in lui.

Meritava una seconda possibilità.

Non aveva fatto domande su Tatooine: si fidava dei suoi piani, come si era fidato fino a quel momento delle decisioni che aveva preso anche per lui. Era stato il primo posto a venirle in mente, il primo che il suo istinto le avesse suggerito, e le era sembrato giusto seguirlo come aveva fatto fino a quel momento. Una città valeva l’altra, ma se non altro avrebbero potuto cercare l’aiuto dell’unica persona di cui si fidava, a parte Ben.

“Grazie, Rey” rispose lui, ricoprendo la fasciatura con il lembo della camicia, e la gentilezza contenuta in quelle sillabe le fece quasi scendere le lacrime lungo le guance.

Gli offrì il sorriso più bello che aveva e guardò in lontananza, verso l’orizzonte, dove i treni iniziavano a sparire per le campagne e un nuovo mondo si apriva ai loro occhi.
Si chiese cosa gli avrebbe riservato, che genere di destino avesse in serbo per due reietti come loro, con le ossa rotte ma pieni di speranza. Si chiese se avrebbe trovato il Generale Kenobi seduto sulla soglia di casa ad osservare il cielo, come faceva sempre durante le sere estive di Jakku, quando il sole smetteva di arroventare la terra e calava in lontananza come un grande disco di colore scarlatto.

Sorrise di nuovo, questa volta tra sé e sé: gli erano sempre piaciuti i tramonti.
 





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Tra le maggiori ispirazioni per l'atmosfera della storia, a parte i romanzi gotici più classici come Dracula e Carmilla, c'è La Forma dell'Acqua, uno dei miei film preferiti: è ambientato in un'epoca e un ambiente completamente diversi, è vero, ma il sentimento dolce e puro che lega i protagonisti e la dinamica "creatura maledetta/persona che se ne innamora e decide di proteggerla" sono esattamente i punti che desideravo trattare con Rey e Ben. Se qualcosa di quel mood è arrivato fino a voi lettori ed è riuscito a trasmettervi qualche emozione, allora sono riuscita nel mio intento :) 
Grazie per le recensioni, le letture, e per aver inserito la storia nei preferiti/seguiti. Spero davvero che vi sia piaciuta quanto ho amato scriverla!


Rey 
 
   
 
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