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Autore: Mari_Criscuolo    14/11/2019    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Buongiorno amore. Tanti auguri.»
 
Una voce fastidiosamente acuta e un bacio schioccante troppo fragoroso infransero il sonno tranquillo di Ella. Nel suo stato di dormiveglia riusciva a percepire due persone parlare come se in quella stanza fossero state sole.
 
«Sto sognando o mi hai portato la colazione a letto?» Sofia, ancora intontita riuscì ad articolare una frase tra uno sbadiglio e l’altro.
 
«Sveglia speciale per un giorno speciale.»
 
Di nuovo la stessa voce allegra e pimpante perforò i timpani di Ella, che produsse un verso animalesco e contrariato.
 
«Chris, abbassa la voce o sveglierai quel mostro mitologico.»
 
«Ella è sveglia e non per sua volontà, quindi se dovete amoreggiare non davanti a me e non all’alba» mormorò nascondendo la testa sotto il piumone, per attutire la loro illegale voglia di comunicare di prima mattina.
 
«Sono le otto e mezza.»
 
«Non ti conviene ricordarmi che ore sono, se non vuoi che diventi la strega cattiva, Biancaneve.»
 
«Come riesci a essere antipatica se non hai nemmeno la forza di aprire gli occhi?» Non capiva perché Sofia si ostinasse a parlarle nonostante le avesse fatto chiaramente intuire di tacere.
 
Non avrebbe mai immaginato di essere amica di una ragazza tanto masochista, perché sapeva che, se fosse scesa dal letto con il piede sbagliato, la giornata sarebbe stata catastrofica per tutti.
 
«È proprio questo il motivo per cui sono acida. Se riuscissi ad aprirli vorrebbe dire che ho raggiunto la giusta quantità di sonno, ma a quanto pare oggi qualcuno vuole farmi soffrire.»
 
«Reagisce così solo perché è gelosa, ma, se vedesse il vassoio, scoprirebbe che non mi sono dimenticata di lei.»
 
Le uniche persone per cui Ella provava gelosia erano quelle che a quell’ora stavano ancora dormendo profondamente.
 
«Non merita la tua gentilezza» commentò Sofia, mentre masticava rumorosamente una fetta biscottata.
 
Era più che certa che lo avesse fatto di proposito a mangiare il cibo più rumoroso del vassoio.
 
«Nessuno la merita, ma, se vuoi ritornare nelle mie grazie, spero per te che sia qualcosa per cui valga la pena non cacciarvi dalla stanza.»
 
Dal momento che ormai era sveglia, tanto valeva provare a fare qualcosa per migliorare il suo pessimo umore.
 
«È una delle tre cose di cui non potresti mai fare a meno.» L’indizio fornitole da Cristina fu sufficiente a farle intuire subito di cosa si trattasse.
 
«Caffè!» esultò sguaiatamente come una bambina, aprendo gli occhi e spostando velocemente le coperte.
 
«Con un goccio di latte e una spolverata di cannella, proprio come piace a te.»
 
«Sappi che, se dovessi stancarti di Sofia, io sono molto più bella e simpatica»
 
Ella si alzò dal suo letto per andare a sedersi su quello dell’amica, accanto al vassoio su cui campeggiavano biscotti al burro, tre cornetti, fette biscottate e tre tazze di caffè.
 
Il suo stomaco si era svegliato prima che potesse attivare quei pochi neuroni che ancora le restavano.
 
Era più affamata del solito, considerando che, generalmente, non sentiva mai la necessità di mangiare appena sveglia e soprattutto cose dolci. Preferiva di gran lunga una colazione salata, anche se il tramezzino con il prosciutto o la pizza avanzata della sera prima non erano il giusto cibo da accostare al caffè macchiato, specialmente di prima mattina.
 
«Lo terrò sicuramente presente, Ella.»
 
«Ma quanto sei manipolatrice?» chiese Sofia.
 
«Non ho bisogno di questi mezzucci per farmi amare»
 
«Cosa te lo fa credere?»
 
«Perché sono una ragazza fantastica, che domande. Sta a vedere.» Sofia non ebbe il tempo di rispondere, che si ritrovò Ella spiaccicata addosso e la potenza del suo slancio le fece ribaltare all’indietro sul materasso. «Auguri vecchietta mia!» disse stampandole un bacio invadente e poco delicato sulla guancia.
 
«Ella mi devi avvertire con minimo una settimana di anticipo quando decidi di abbracciarmi, altrimenti rischio un infarto per lo spavento.» Sofia ricambiò la stretta irruente e soffocante di Ella, ricordando quanto fossero rari quei momenti.
 
«Visto? Non sapresti vivere senza le mie imprevedibili dimostrazioni di affetto.»
 
«Soprattutto senza i tuoi disastri» commentò, prendendo le distanze per guardare la fetta biscottata, che prima stringeva in mano, sbriciolata tra le lenzuola, con tanto di macchie di marmellata sul pigiama.
 
«Adesso questi coniglietti saranno più felici, li abbiamo sfamati» si giustificò, indicando le diverse stampe che spiccavano sullo sfondo grigio.
 
«Almeno posso stare tranquilla fino al mio prossimo compleanno.»
 
«Chris tu sarai la prossima a subire, quindi guardati le spalle» la avvertì Ella, nel caso in cui avesse voluto preparare la valigia e fuggire in tempo.
 
«Non mi spavento per così poco, puoi abbracciarmi quanto vuoi» la rassicurò, allargando le braccia.
 
«Vedi, prendi esempio. Lei sì che mi sa apprezzare.»
 
«Voi due non dovreste mai trovarvi insieme nella stessa stanza, siete pericolose» commentò Sofia, scuotendo la testa con disapprovazione.
 
«Esagerata!» esclamò Cristina, suscitando l’ilarità delle due ragazze.
 
«Comunque, direi che ci vuole un brindisi» propose Ella, alzando la sua tazza fumante di caffè. «Ai tuoi ventitré anni e agli imminenti acciacchi della nuova terza età.»
 
«Quando sei così poetica mi commuovi» commentò Sofia, asciugandosi drammaticamente una finta lacrima.
 
«Ragazze, mi dispiace interrompervi, ma devo andare.»
 
«Così presto? Pensavo avremmo trascorso la mattinata insieme visto che oggi ho gli allenamenti.»
 
Il tono dispiaciuto di Sofia e il suo sguardo spento ebbero il potere di fare nascere il senso di colpa in entrambe le ragazze.
 
Nonostante i preparativi di una sorpresa dovessero rimanere necessariamente un segreto, mentirle, anche se per una buona ragione, sembrava sbagliato se il risultato era vederla triste nel giorno che avrebbe dovuto essere il più felice.
 
«Lo so, ma devi avere un po’ di pazienza. Stasera ti farò vivere la serata più bella della tua vita, quindi non fare quel broncio. Vedrai, ne varrà la pena stare lontane per qualche ora.»
 
«Vi lascio prima che possa rigurgitare il caffè.»
 
Ella ritenne giusto che avessero a disposizione degli attimi da condividere da sole, inoltre l’idea di fare da terzo incomodo in momenti troppo intimi e personali le faceva venire il prurito in tutto il corpo e salire la glicemia a livelli spropositati.
 
Dopo qualche ora trascorsa a studiare, nel disperato tentativo di recuperare i capitoli arretrati, Sofia fu distratta dalla suoneria del suo cellulare.
 
«Pronto?”
 
«Sofia, auguri.»
 
«Grazie, mamma.»
 
Una familiare e fastidiosa sensazione, che si presentava ogni volta che si ritrovava a parlare con sua madre in una giornata serena e gioiosa, si insinuò in lei, facendole presagire ciò che da lì a breve sarebbe successo.
 
«Ci manchi, dovresti chiamare più spesso.»
 
Quell’affermazione la indusse a fare una smorfia che esprimeva tutti i suoi dubbi a quel riguardo.
 
«Lo so, ma ultimamente sono molto impegnata.»
 
Sofia voleva bene ai suoi genitori, eppure non nel modo in cui avrebbe voluto.
 
Quell’amore mal espresso era il riflesso di quello di due genitori che si ostinavano ad amare solo l’idea di una figlia che, purtroppo per loro, non corrispondeva alla realtà.
 
«Potevi almeno prenderti un giorno libero e scendere il giorno del tuo compleanno.»
 
«Purtroppo non ho potuto. Ho gli allenamenti tutti i giorni questa settimana, perché domenica abbiamo una partita.»
 
Aveva lavorato duramente da quando si era trasferita, sia per integrarsi nella nuova squadra sia per dare il meglio di sé, così da sentirsi soddisfatta in almeno un aspetto della sua vita.
 
«Perché non me lo hai detto prima? Ci saremmo organizzati per venire a vederti.»
 
La domanda di sua madre le fece storcere il naso, perché doveva aver necessariamente battuto la testa per dimenticare un piccolo quanto fondamentale dettaglio.
 
«Secondo te? Sarà presente anche la mia ragazza e, sinceramente, mentre gioco devo rimanere concentrata e non essere ossessionata dal pensiero che tu possa dire o fare qualcosa di estremamente inopportuno che possa incrinare la nostra relazione.»
 
La lieve sensazione di fastidio si era appena trasformata in un allarme assordante, che non avrebbe cessato di creare caos fino a quando Sofia non avesse trovato il coraggio di chiudere la telefonata.
 
«Ti sta allontanando da noi. Sta alimentando ed estremizzando questa perversione.»
 
Per quanto potesse farle male ascoltare determinate affermazioni pronunciate da chi avrebbe dovuto amarla incondizionatamente, il fatto che stesse accusando la sua ragazza per qualcosa che esisteva solo nella sua testa bigotta fece abbassare il livello della sua pazienza in modo così rapido da pensare che lo spirito di Ella si fosse momentaneamente impossessato del suo corpo.
 
«Lasciala fuori da questa questione. Siete voi, con i vostri continui discorsi ottusi e discriminatori, che mi allontanate. Vi impegnate con tutto voi stessi per remarmi contro e rendermi la vita più complicata di quanto già non lo sia. Non scaricate le vostre colpe sugli altri per ripulirvi la coscienza.»
 
Chiunque avrebbe potuto dire qualunque cosa sul suo conto e non le sarebbe importato, ma se avessero provato a offendere una persona che occupava un posto speciale nella sua vita, Sofia sarebbe diventata una chimera pronta a incenerire tutti senza pietà.
 
«Sei troppo buona e ingenua per capire che ti sta facendo un lavaggio del cervello per indurti a peccare, ma vedo chiaramente quanto male ti faccia la sua influenza e non mi arrenderò. Il mio compito è proteggerti, anche se tu pensi che sia io la causa della tua sofferenza.»
 
Era stremata e non passava giorno in cui le ingiuste e taglienti parole di sua madre non risuonassero nella sua mente, come una canzone che si ripeteva ossessivamente fino a condurla alla pazzia.
 
Inconsapevolmente la distruggeva e ogni parola, che riprendeva gli stessi discorsi che andavano avanti da troppo tempo, polverizzava in un battito di ciglia uno dei miliardi di pezzi in cui era stata frantumata, in una lenta e deteriorante agonia.
 
Agendo in nome del bene, nel corso della storia, gli uomini avevano commesso le peggiori atrocità, eppure anni di orrori non avevano avuto il potere di far aprire gli occhi ad un’umanità che preferiva vivere nell’ignoranza.
 
«Perché non possiamo mai avere una conversazione normale?» chiese in un sospiro, sedendosi sul suo letto.
 
Aveva superato la quota psicologica di ciò che poteva sopportare.
 
Quello che faceva spesso, per proteggere ciò che rimaneva della sua dignità, era ignorare un’emozione dopo l’altra. Le infilava automaticamente una per una nel suo zaino evitando accuratamente di analizzarle, senza essere consapevole del loro peso e di come avrebbe influito sulla sua sanità mentale.
 
Ogni giorno si muoveva più lentamente, con meno entusiasmo e, quando ne avesse preso consapevolezza, sarebbe stato troppo tardi per poter anche solo pensare di fare qualcosa per evitare che la sua schiena si spezzasse, mettendola in ginocchio.
 
Era stanca della sua vita e di alimentare la speranza che un giorno ogni suo dolore sarebbe sparito.
 
«Se solo tu vedessi l’amore che proviamo per te dietro tutta quella nebbia che ti avvolge.»
 
Sua madre non aveva la minima idea del vero significato di quella parola.
 
L’amore era quel sentimento che spingeva le persone a rispettarsi e proteggersi, superando qualsivoglia pregiudizio raziale, sessista e omofobo, non quella sottospecie di allucinazione schizofrenica.
 
«Ormai riesci solo a parlare di questo. Non ti interessa nemmeno come va la mia vita, non mi chiedi se ho trovato un lavoro con cui possa pagarmi da vivere, come stanno procedendo gli studi o gli allenamenti. Zero, nulla, perché per voi non sono più una persona, ma una lesbica e come tale rappresento un demonio figlio di Satana, giusto?»
 
Quando persino la sua famiglia non la accettava, come poteva sperare di vivere in pace con sé stessa, di avere un’autostima che fosse quantomeno passabile, di svegliarsi ogni mattina fiera della persona che era.
 
«Sabato sono andata a parlare con il prete della nostra parrocchia.»
 
Sua madre ormai era diventata la personificazione dell’incoerenza. Aveva sempre fatto di tutto per evitare che si diffondessero pettegolezzi e voci sul suo orientamento sessuale, nascondendo la vergogna dietro la fallace maschera della preoccupazione.
 
«Adesso non ti vergogni che la tua amata comunità di convinti cattolici venga a sapere che hai messo al mondo uno scherzo della natura?» chiese stizzita.
 
«Ho semplicemente fatto del mio meglio per tenerti al sicuro dalle cattiverie e dai giudizi delle persone.»
 
In parte era sicura fosse vero, perché, anche se in modo totalmente sbagliato, sapeva quanto le volesse bene, eppure più i giorni passavano più smetteva di crederle.
 
Avrebbe solo voluto andare in un posto dove nessuno avrebbe più potuto farle del male, in cui nessuno l’avrebbe sommersa di bugie. Trasferirsi in un’altra città non era bastato, forse avrebbe dovuto buttare il cellulare, anche se avrebbe preferito non essere costretta a chiudere definitivamente ogni rapporto.
 
Ella aveva ragione, se lo avesse fatto avrebbe vissuto nel senso di colpa e già ci sguazzava abbondantemente in tutta quella merda scaricata senza pietà dai suoi genitori.
 
«E chi mi protegge dai tuoi di giudizi e dalle tue di cattiverie? Stai spendendo energie per portare avanti una crociata in nome di Dio, ma è solo un pretesto perché non puoi accettare che tua figlia non sia come tu hai sempre desiderato che fosse.»
 
Sapeva quanto fosse inutile cercare di farla ragionare, negli ultimi anni le sue parole erano state risucchiate dal buco nero che aveva creato un vuoto cosmico tra di loro. Una delle sue si sarebbe salvata solo se l’altra fosse stata inghiottita.
 
«Ho sempre e solo voluto il meglio per te.»
 
Aveva ripetuto così spesso quella frase che quando la sentiva non ci faceva nemmeno più caso. All’inizio le aveva dato la speranza che in nome di quell’amore, che tanto ostentava, l’avrebbero accettata, poi ogni sua aspettativa si era infranta trasformandosi in dolore e rassegnazione, adesso le scivolava addosso come se le avesse dato un’informazione inutile.
 
Probabilmente si sarebbe interessata di più se le avesse parlato della politica dello stato.
 
«È assodato che abbiamo due concezioni differenti della parola meglio, ma non significa che la tua sia giusta e la mia sbagliata. Non sei onnipotente» rispose bruscamente, alzando il tono della sua voce.
 
«Se lo fossi non avrei dovuto chiedere aiuto Don Vincenzo.»
 
Chiesa, preti, esorcisti, le aveva provate tutte per accontentare sua madre ogni volta che le si presentava proponendole soluzioni assurde al suo perverso problema adolescenziale.
 
Da quando aveva messo un punto fermo a quel delirio, la situazione era peggiorata drasticamente, instillando in sua madre l’idea che la sua anima sarebbe finita all’inferno.
 
«Lasciami indovinare. Ti ha detto che è solo un periodo, che se mi riavvicino alla chiesa posso cambiare e tutte queste belle cose a cui tu credi perché sei ingenua e non ti arrendi all’idea che io sono così e sono felice.»
 
Sofia aveva parlato con così tanta foga, caricando di risentimento ogni singola parola, da ritrovarsi senza fiato.
 
«Gli ho spiegato che non ho modo di farti avvicinare alla chiesa dal momento che ti sei traferita, così si è offerto di pregare per te alla messa della domenica nella speranza che possa bastare a farti cambiare opinione.»
 
Se qualcuno fosse stato nella stessa stanza con lei, avrebbe visto la sua mascella toccare il pavimento freddo e lucido come i suoi occhi velati di lacrime.
 
«Che cosa ha fatto?» Fu l’unica domanda che riuscì ad articolare, con voce stridula e sconvolta.
 
Si alzò in piedi e iniziò a camminare nervosamente, passandosi le mani tra i capelli alla disperata ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi per non stramazzare al suolo.
 
Sua madre non aveva ritegno e tutti i neuroni di cui era stata dotata dovevano essersi autodistrutti a causa di tutte le idee malsane che la sua mente partoriva ogni giorno.
 
«Non mi hai lasciato scelta. Se non ci pensi tu a salvare la tua anima, devo farlo io. Sono tua madre, sto solo facendo il possibile per proteggerti.»
 
«Davvero, non ci sono parole. Credo di averle finite tutte arrivati a questo punto.»
 
«Io lo so che non vai in chiesa a causa di questa cosa, di questo tuo problema.»
 
La parola preferita di sua madre, la ripeteva una ventina di volte solo in una conversazione con lei, non osava immaginare in un’intera giornata.
 
«Non lo capisci che solo tu lo consideri tale. È tuo il problema, non mio. Questa è la mia realtà e se non ci foste voi ad angosciarmi io vivrei in pace.»
 
Aveva definitivamente perso la calma e se prima aveva cercato di controllare i suoi toni il più possibile, adesso urlava e non le importava se ciò che da quel momento in poi avrebbe rinfacciato a sua madre l’avrebbe ferita.
 
Non sentiva nulla che non fosse il suo dolore.
 
Un ronzio che distruggeva rapidamente ogni sua terminazione nervosa impedendole di ragionare lucidamente, alimentato dalla stanchezza e spinto dal disgusto.
 
«Se tu vuoi cambiare, puoi farlo. Ho letto molte testimonianze di persone che ci sono riuscite.»
 
«Ma mi ascolti quando parlo o è una conversazione a senso unico? Ti ho detto che siete tu e papà a crearmi i problemi, quindi smettila e lasciatemi vivere la mia vita senza le vostre paranoie.»
 
«Non sono paranoie. Il diavolo ti sta tentando e noi ne paghiamo le conseguenze, ci stai trascinando tutti all’inferno.»
 
Ciò che più la faceva incazzare era il fatto che le sue parole non avevano lo scopo di ferirla, credeva, al contrario, di aiutarla ad aprire gli occhi.
 
L’angoscia, con il passare del tempo, le stava divorando l’anima e più cercava di combatterla ripetendosi che non aveva nessuna colpa, più sua madre ritornava per ricordarle che stava arrecando loro così tanta sofferenza da ucciderli lentamente.
 
Era tanto meschina quanto ingenua, non poteva essere giustificata ma nemmeno condannata e l’idea di non poterla etichettare in nessun modo la stava portando alla pazzia.
 
«Ti prego dimmi che non sei seria.»
 
Sofia si fermò, ritrovandosi di fronte al piccolo specchio appeso ad una delle pareti della stanza. Fissava il volto di una persona che non riconosceva più. Era maturata così tanto che, quando si guardava alle spalle, si stupiva di come fosse riuscita ad attraversare tutti i punti bui di cui era stato disseminato il suo cammino.
 
Sentiva di essere migliorata, eppure non era ancora soddisfatta per colpa del cappio che le stringeva il collo ogni volta che sua madre lo tirava per riportarla indietro nel tempo, quando ancora ignorava chi fosse.
 
Se osservava con attenzione poteva vedere le ombre violacee e le piaghe che la ferrea e soffocante morsa le procurava ogni volta che si stringeva.
 
Conviveva con la consapevolezza che prima o poi si sarebbe ritrovata senza più una testa da guardare.
 
«Sai che i miei anticorpi sono deboli e, nel momento in cui hai ceduto alla tentazione, hai spianato la strada ai mali dell’inferno. Ecco perché la mia salute è peggiorata negli ultimi anni e mi ammalo più facilmente.»
 
Si ritornava sempre allo stesso punto.
 
Era sua madre la vera protagonista di quella storia, lei e la sua vergogna, i sentimenti di Sofia erano solo un effetto collaterale del processo di redenzione dai peccati.
 
«Stai dicendo che ti ammali perché tua figlia è lesbica? Mamma, ma ti ascolti quando dici queste cose?»
 
Le grida forti e strazianti di Sofia avevano allarmato Ella che era apparsa nella stanza con uno sguardo spaventato, come se si fosse aspettata di trovare la scena di un film dell’orrore e, in effetti, non aveva sbagliato di molto.
 
«Sofia, con i tuoi comportamenti mi dai sempre più conferma della veridicità delle mie parole.»
 
Ormai aveva smesso di ascoltarla, aveva smesso di sentire qualunque cosa che non fossero i battiti esausti del suo cuore che correva per scappare da quella vita delirante.
 
Ella aveva d’avanti agli occhi una scena spaventosa.
 
La mano con cui Sofia reggeva il cellulare tremava, così come il resto del corpo che era scosso da tremiti incontrollati.
 
Era un ordigno pronto a esplodere per liberarsi di tutte le emozioni trattenute chissà da quanto tempo.
 
Le lacrime stavano già scorrendo sulle sue guance incapaci di fermarsi.
 
«La conferma che sto avendo io è che ti dovrei prenotare una seduta dallo psichiatra.»
 
A Ella bastò quella frase per capire con chi stesse parlando e cosa stesse accadendo. Le si avvicino e, posandole una mano tra le scapole, la guidò in direzione del letto, invitandola delicatamente a sedersi.
 
«Smettila! L’unico modo che hai per aiutare tutti noi è andare in chiesa e iniziare un percorso di purificazione. Vedrai che dopo staremo meglio tutti noi.»
 
«Ti rendi conto che mi stai dicendo che sei stata male per colpa mia. Prima mi mandi dallo psicologo, poi fai vedere una mia foto a un esorcista e adesso chiedi a un prete di pregare per me a una funzione. La prossima volta cosa farai? Mi rapirai per annegarmi nell’acqua di Lourdes?»
 
Ella si rese conto che Sofia era andata completamente fuori controllo ed era estremamente doloroso vedere la sua amica avere un esaurimento nervoso due volte a distanza di poco tempo.
 
«Sofia, ti voglio bene e desidero il meglio per te.»
 
«Quindi mi fai sentire costantemente una merda, solo perché mi vuoi bene. Non credo di poter portare avanti questa conversazione. Grazie per gli auguri, ci sentiamo.»
 
Chiuse la telefonata senza dare a sua madre nemmeno il tempo di risponderle. Se non avesse dato un taglio netto, avrebbero potuto discutere tranquillamente fino al giorno successivo.
 
Ella prese il telefono dalla mano destra di Sofia e, dopo averlo poggiato sul comodino, circondò le sue spalle con il braccio sinistro, accompagnando la testa dell’amica sulla sua spalle e iniziando ad accarezzarle i capelli.
 
«Che cosa è successo?» le chiese Ella in un sussurro.
 
«Sempre la solita storia ogni volta che mi chiama, ma devo dire che oggi ha dato proprio il meglio di sé per rovinarmi la giornata.»
 
La gioia che aveva accompagnato il suo risveglio era stata spazzata via e, considerato il suo stato attuale, temeva fortemente che il suo compleanno fosse stato completamente rovinato.
 
«Non so perché, ma avevo intuito qualcosa dalle urla che ho sentito dalla cucina.»
 
In quelle situazioni c’era davvero poco da dire e l’unica cosa che poteva fare per aiutarla era lasciare che parlasse senza freni, che si sfogasse, magari riuscendole anche a strappare un piccolo sorriso.
 
«La cosa peggiore è che mi sento in colpa, perché anche se pensavo tutto ciò che le ho detto è pur sempre mia madre. Potrebbe anche rinchiudermi in una clinica, le vorrei bene comunque e questo mi fa arrabbiare. Dio, non so più se sono più incazzata o divorata dal senso di colpa per aver sfasciato una famiglia.»
 
«Quello di cui io sono certa è che devi fare un bel respiro, altrimenti rischi di morire prima del tempo e non voglio seppellire nessuno a meno che non sia stata io ad ucciderlo.»
 
Non le importava che fosse un pessimo momento per fare dell’umorismo, Sofia doveva ridere ed Ella era disposta a dire le cose più insensate per riuscirci.
 
«Ella…» sospirò Sofia, alzando la testa per guardarla negli occhi.
 
«Si, hai ragione. Occulterei un cadavere anche se fossi tu a commettere l’omicidio.»
 
Finalmente, con quella stupida battuta, era riuscita ad ottenere un sorriso appena accennato.
 
«Spiegami come siamo passate da parlare di mia madre a uccidere qualcuno?»
 
«Non lo so, ma se metti entrambi gli argomenti nella stessa frase tutto diventa più sensato.»
 
Entrambe iniziarono a ridere come se nell’ultima ora non fosse successo nulla. Sofia si sentiva già un po’ meglio e, asciugandoli le lacrime ormai secche sulle guance, iniziò con maggior lucidità a raccontare a Ella ciò di cui aveva discusso a telefono e che l’aveva tanto ferita.
 
«Mia madre è andata a parlare con il prete della parrocchia per chiedere un consiglio sul mio problema. A quanto pare Don Vincenzo è stato così caritatevole da offrirsi di pregare per me alla messa della domenica, davanti a mezza città affinché Dio possa indicarmi la retta via, ma di questo passo l’univa via che vedrò sarà quella verso una clinica psichiatrica, perché mi farò internare solo per non dover ascoltare più queste stronzate.»
 
Ella fece una smorfia di rabbia, inorridita e sconcertata da quelle informazioni che sembravano essere uscite da un film ambientato nel periodo dell’inquisizione.
 
«Tua madre è così disperata da rendere nuovamente attuale la mentalità medioevo. Come può a una persona venire in mente un’idea così malata? Insomma è…»
 
«Da schizzati. Puoi dirlo, tranquilla.» Sofia terminò la frase che Ella aveva lasciato in sospeso per non mettere altra carne sul fuoco a bruciare.
 
«Già.»
 
«È convinta di agire per il mio bene, ma non si rende accorge che è solo egoista, che mi sta rovinando la vita, perché io non sono mai stata più felice. È il primo anno, da quando l’ho ammesso a me stessa, che non ho più paura di urlare al mondo di non essere come si aspettava. Non mi vergogno più, so cosa voglio e chi voglio essere, ma lei si ostina a fingere che io sia stata infettata dal diavolo.»
 
«Sofia, negarlo è più semplice che doverlo affrontare. Ha paura, credo sia spaventata a morte per qualcosa che le è stato insegnato a considerare sbagliata e perversa. Rendersi conto che non lo è la terrorizza al punto da nascondersi dietro le menzogne di una religione che ha costruito le proprie argomentazioni a riguardo su delle frasi estratte a caso da un libro scritto millenni fa da quattro tipi che sostenevano di aver conosciuto Gesù. In realtà potrebbero esse vere tanto quanto il viaggio di Dante oppure, più semplicemente, erano tutti strafatti di allucinogeni. Tutto questo per dirti che tu non hai colpa e se possibile nemmeno tua madre.»
 
Non sarebbe stato giusto da parte di Ella alimentare la rabbia che Sofia provava nei confronti di sua madre. Condannarla e dirle che, in ogni caso, avrebbe meritato il suo rancore non sarebbe servito a farla stare meglio.
 
«Quindi, che dovrei fare? Incassare colpi fino a quando non mi rinchiuderanno da qualche parte? Perché di questo passo finirò per impazzire.»
 
«Non è giusto quello che ti sta facendo passare, ma nel suo immaginario lo è.»
 
«Magari se mi odiasse potrei vivere in pace.»
 
«La famiglia è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita.» Ella sorrise soddisfatta per la sua affermazione.
 
«Credo che Forrest Gump la dicesse in modo leggermente diverso.» Sofia sembrava divertita dalla piccola modifica apportata a quella frase molto conosciuta.
 
«A cosa servirebbero i film se non adattassimo gli insegnamenti che intendono trasmettere alle nostre vite.»
 
«Oggi stati dando il meglio di te con queste perle di saggezza.»
 
Non era mai stato tanto piacevole per Ella essere derisa come in quel momento.
 
Forse non era ancora tutto perduto, forse la giornata poteva ancora essere recuperata e, se ci fosse stata questa possibilità, Ella avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere per coglierla.
 
«Che posso dirti, di religione ormai sono esperta e di film ne mangio a tutte le ore.»
 
Ella si rese conto che, dopo attimi di ilarità, era giusto, a mente fredda, tranquillizzare Sofia e farle capire che, anche se la vita oggi faceva schifo, il domani avrebbe potuto essere migliore di quanto si sarebbero mai aspettate.
 
«Forse tua madre non potrà mai cambiare del tutto le sue idee, ma l’amore che prova per te è reale e sarà quello a svegliarla un giorno e a darle la spinta per compiere un passo verso di te. Non diventerete la famiglia perfetta, ma, se conosco bene tua madre, sono certa che prima o poi festeggerete un natale tutti insieme e ci sarà anche Cristina.»
 
Le parole di Ella, per quanto avesse sempre desiderato accadessero, la fecero sorridere amaramente.
 
Aveva smesso di credere nei miracoli da molto tempo.
 
«Probabilmente questo accadrà più poi che prima» disse con voce bassa e triste.
 
«Devi promettermi che crederai a ciò che ti ho appena detto, che non abbandonerai questa speranza, altrimenti diventerà difficile alzarsi la mattina per affrontare il resto del mondo.»
 
Ella la incitò, prendendole e stringendole la mano talmente forte che Sofia credette gliel’avrebbe staccata dal polso.
 
Desiderava solo il meglio per lei e, nel suo piccolo, quello era un gesto per ricordarle che non era sola e mai lo sarebbe stata.
 
«Ci proverò.» Il suo tono era molto incerto ed Ella non poteva accettarla.
 
«E ci riuscirai, perché ci saremo noi al tuo fianco per sostenerti e scuoterti quando sarà necessario.»
 
«Grazie Ella.»
 
Sofia la abbracciò di slancio. Si era appena ricordata che nell’infelicità si nascondeva sempre uno sprazzo di gioia e, in quella circostanza, il suo era Ella.
 
«E di cosa, vecchietta. Ti assicuro che, tra qualche ora, questa giornata migliorerà e le parole di tua madre diventeranno solo un lontano ricordo.»
 
La rassicurò Ella, ricambiando il suo abbraccio.
 
«Sicura di non poterti liberare questa sera? È vero che non tengo molto al mio compleanno, però avrei voluto passarlo anche con voi.»
 
Ella sapeva che Sofia avrebbe insistito e se le era sembrato orribile negarglielo prima, adesso era diventato devastante, ma, perché la sorpresa riuscisse, Sofia avrebbe dovuto credere che tutti quella sera fossero impegnati.
 
«Credimi ci ho provato, ma senza successo. Vedrai che domani ritornerai ad amarmi.»
 
«Lo spero, perché sai che non riesco a tenere il broncio.»
 
Sorridendole, Ella si alzò e, ponendosi di fronte a lei, tese le mani in direzione di Sofia affinché le afferrasse.
 
«Forza pigrona, adesso preparati che tra poco devi andare agli allenamenti. Vedrai che se immaginerai il viso di tua madre sulla palla le schiacciate saranno come quelle di Mila e ne trarrai molta più soddisfazione.»
 
Sofia si aggrappò a quelle mani come se fossero la sua ancora di salvezza, sorridendole riconoscente. Con Ella non era necessario dilungarsi in ringraziamenti elaborati, bastava uno sguardo di intesa e le parole più sconosciute e profonde prendevano vita nei loro occhi.
 
«Credo che questo sarà l’allenamento migliore degli ultimi mesi.»
 
 
   
 
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