Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: wanderingheath    15/11/2019    0 recensioni
Clara attende da mesi che la Fortuna bussi alla sua porta, sperando in un colpo improvviso, in un campanello di novità. In un'umida serata primaverile, però, a bussare alla porta di casa è soltanto Arturo e non preannuncia alcunché di buono.
Infatti, Irene sembra scomparsa nel nulla.
Senza un messaggio, una telefonata, una lettera, un post-it: niente.
Nella vita caotica e confusa di Clara, ancora intenta a ricomporre i pezzi della propria esistenza, la questione passerebbe in quarto piano, ma l'insistenza di Arturo la porta a cedere.
Imbarcatasi quindi in un'assurda avventura ai confini del reale, del mondo concreto e conosciuto, alla disperata ricerca dell'ex coinquilina ed amica, Clara sarà costretta a mettere in discussione la fredda razionalità che l'ha finora guidata.
Se c'è qualche possibilità di salvezza o redenzione, per sé e per Irene, dovrà cercarla dall'Altra Parte.
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
1. Venerdì Sera
 

I Parte
 

Alcune settimane prima
 
 


Nella penombra non si stava poi così male.
Provava a convincersene, ripetendosi mentalmente quel mantra superfluo, nella speranza di arrivare infine ad un punto di saturazione; allora, per quanto scettica, l’avrebbe lasciato sedimentare tra le pieghe dei pensieri, presa per sfinimento.
L’ultima lampadina elettrica superstite nel salotto emetteva un ronzio poco incoraggiante e Clara sentiva che la propria pazienza veniva limata di secondo in secondo.
Alzò il volume della piccola radio sul bancone.
Inizialmente l’aveva messa lì quasi per scherzo, senza perdere occasione per schernirne la minuscola forma o gli altoparlanti arrugginiti, che dovevano avere un’acustica limitata; poi, quando aveva cominciato ad usarla seriamente, tenendola accesa anche diverse volte al giorno e constatandone la limpidezza nella trasmissione, apprezzare anche il tocco vintage che aggiungeva all’appartamento era divenuta un’abitudine.
Quella sera non c’era nulla d’interessante sulle solite stazioni e, dopo del sano zapping, fu costretta ad optare per un programma di stampo musicale con playlist di autori esclusivamente stranieri.
Non era mai stata una cima nelle lingue, con l’inglese aveva un rapporto di amore-odio che andava avanti da anni – probabilmente da quello stupido progetto scolastico alle elementari – e non si era mai risolto del tutto.
Al momento, però, le bastava un sottofondo di qualunque tipo, giusto per tenerle compagnia.
Si era adattata a diversi compromessi dal suo ultimo trasferimento, ma al silenzio agghiacciante di quella casa non avrebbe mai fatto l’abitudine.
Se non era la radio, provava con il televisore, con il pc, con la finestra spalancata sulla via principale con meno due gradi fuori: qualunque cosa pur di riempire. Riempire un ambiente che nella totale apatia risultava molto più spoglio, sterile e muto di quanto non fosse in realtà.
Uno sfrigolio la riportò ai fornelli, la radio abbandonata al proprio fato.
«Oh, no, no, no. Ti prego.»
Si affrettò ad abbassare la fiamma, a sfogliare convulsamente il ricettario che teneva sotto mano, ma ogni tentativo parve inutile a salvare la cena.
«Del vino? Un goccio di vino? Sì? Qua non c’è scritto niente…»
Riusciva già a vedere l’ennesima vaschetta di cibo precotto da infilare nel microonde.
Comodo, veloce, insapore. L’abitudine si attaccava con tutti i denti al braccio, un’impresa scrollarsela di dosso.
No. Quella sera non si sarebbe fatta scoraggiare.
Impugnata la bottiglia di rosso, Clara si decise a versarne una parte abbondante sul soffritto.
Per quanto non edibile potesse uscire fuori, quella sarebbe stata la sua cena.
Il trillo del telefono.
Doveva essere al terzo o quarto squillo e lei persisteva nell’ignorarlo.
Quel venerdì sera di riposo se l’era meritato. Non sarebbe stato di certo l’appiccicoso Robert a rovinarglielo.
Girò la manopola della radiolina, volume al massimo a sovrastare qualunque altro rumore.
Il conduttore stava facendo il nome di un solista americano a lei sconosciuto. Proveniente dal Michigan, veniva presentato come una moderna promessa degli USA.
Fu quando venne lanciato il brano che qualcosa scattò nella sua mente. Una scintilla, veloce connessione di cavi altrimenti staccati. Clara sentì il cuore contrarsi in uno spasmo.
La melodia era la stessa. Proprio quella.
Per qualche secondo non fu in grado di muoversi o fare altro se non spostare lo sguardo verso il divano, nel bel mezzo del salotto. La musica iniziava a spandersi per l’ambiente, a riempirlo, a prenderne possesso, come ad adempiere al ruolo d’intrattenitrice per il quale era stata evocata.
“And every night my mind is running around her, then it’s getting louder and louder.”
Si srotolava lungo pareti e mobili, l’avvolgeva in un telo di dimenticanza. Le calzava a pennello.
Era impossibile staccare gli occhi da quel divano beige, che ormai non era più solo un divano beige.
E lei non era più lì, ormai.
Davanti a sé non c’era l’anonimo pezzo d’arredamento con toni delicati e fodera macchiata dal cappuccino.
L’appartamento era l’altro. Quello con il televisore a schermo piatto su cui vedevano pellicole degli anni ’40; quello con degli spazi troppo vasti per due sagome che si tenevano sempre strette; quello degli spaghetti in salsa piccante, del frigo magicamente vuoto e dei plaid strascicati sul pavimento.
Quello con il divano a tre posti in cui s’incastrava perfettamente – anche con le gambe distese – con i braccioli durissimi e la copertura senape.
E adesso davanti a lei c’erano due figure. Uno strano crepuscolo lattiginoso fuori, un vaso di gerani vicino.
Il flusso di musica proveniva da uno stereo addossato al muro; le casse due macigni scuri.
“Baby, you’re like lightning in a bottle, I can’t let you go, now that I got it.”
Lei se ne stava in piedi, scalza, con solo una camicia smeraldo indosso; i capelli, ancora umidi, le ricadevano sulle spalle, abbracciandole il collo. Nonostante il filo del phon fosse corto, riusciva a muoversi in modo sciolto sul tappeto, ondeggiando a tempo. L’altra sagoma aveva depredato un portaoggetti e adesso, con due matite ben strette nel pugno, le andava incontro mimando le parole della canzone.
“And all I need is to be struck by your electric…”
Uno sguardo, un cenno d’intesa. L’avevano fatto tante altre volte.
Saltati entrambi sul divano, stavano improvvisando un piccolo concerto, gridando contro il getto del phon e agitando le mine come un microfono.
«…LOOOVE.»
Lui l’aveva afferrata per i fianchi, in un misto di volteggio e solletico, per poi stringerla con improvvisa tenerezza. Sulla maglietta scura profumo di neroli e sapone da bucato.
In un battito era svanito.
Clara si ritrovò stretta fra il lavello e il forno, il mestolo di legno ancora impugnato.
Dovette sbattere più volte le palpebre prima di rendersi conto che la canzone era sfumata, lasciando il posto ad una traccia del 2007.
Poi, un fischio stridulo.
Ricordava una pentola a pressione.
L’ultima lampadina perì con uno schiocco, lasciandola al buio.
Se lo sentiva, che prima o poi l’avrebbe tradita.
Clara si concesse un breve respiro prima di cercare a tentoni il cellulare. Alla radio, nello spazio pubblicitario veniva sponsorizzato un detersivo.
Il campanello d’ingresso la fece sobbalzare.
Un perfetto tempismo. Ma chi poteva essere alle nove di venerdì sera?
Dovevano aver sbagliato interno.
Lei non attendeva visite e Giovanna aveva rinunciato a coinvolgerla in una delle sue uscite senza freni, rivelato il progetto casalingo.
Di nuovo uno squillo, stavolta seguito da un colpetto sul legno.
«Arrivo!»
Magari qualche vicino in cerca di rifornimenti… ma con lei restavano sempre delusi: non prestava mai niente, conoscenti o sconosciuti che fossero.
Il pensiero che potesse trattarsi di Robert l’impavido la toccò solo nel momento in cui spalancava la porta.
Ad attenderla sul pianerottolo, trovò un volto familiare.
Immobile nel suo metro e sessanta scarso, era impossibile non riconoscerlo per la matassa di ricci che gli crescevano a mo’ di fungo sul capo.
«Stecca, e tu che ci fai qui?»
«Ciao Clara… ma sei al buio?»
La ragazza si voltò verso l’atrio immerso nell’ombra.
«Ah, sì. Si è appena fulminata la lampadina.»
Di nuovo catalizzò l’attenzione sul cappottino blu che le si parava davanti. Mentre l’idea si consolidava nella sua mente, si chiedeva se non stesse immaginando tutto. Magari un’altra allucinazione, un ricordo come quello di prima…
«Stecca», ripeté allibita. «Ma che diamine ci fai tu qui?»
«Posso entrare?»
«Non mi hai nemmeno avvertita! Avrei fatto un po’ di ordine. Sai che sei sempre il benvenuto.»
Arturo la interruppe scocciato: «Ho provato a chiamarti».
L’altra rimase di sasso. «Che cosa?»
«Circa trentaquattro volte», riprese. «Ma tu non hai mai risposto.»
«Non è possibile.»
Prima che Clara potesse proseguire, il ragazzo estrasse il cellulare, esibendo una lista di chiamate indirizzate a lei. Nessuna che avesse ricevuto risposta.
Clara osservava in silenzio. Quel numero l’aveva visto almeno una decina di volte apparire sullo schermo, prima di rifiutare o ignorare la telefonata.
«Ma allora... eri tu.»
«E chi altri?»
Il nome di Robert stava per lasciarle le labbra, ma lo riassorbì in tempo.
«Lascia stare. Cos’è successo di tanto urgente?»
Arturo le mostrò i palmi, in segno di resa. «Non per essere invadente, Clara, ma forse è meglio se mi lasci entrare.»
Lasciarlo entrare. Certo, se non si fosse trovata al buio, per metà in pigiama, con indumenti e scarti disseminati per l’appartamento, certamente l’avrebbe fatto entrare.
«È che… stasera non sono nelle condizioni adatte a ricevere gente, Stecca.»
Si divertì quasi a rimuginare, tra sé e sé, su quel “stasera”. Come se nell’ultimo periodo vi fosse stata un’occasione in cui volesse davvero ricevere gente.
«Si tratta di Irene.»
Clara si fece di marmo.
La porta, che per un terzo aveva già richiuso, rimase bloccata.
Saliva aspirata, parole prosciugate. Irene?
E il suo nome fu tutto ciò che riuscì a pronunciare sul momento.
«Irene?»
Arturo annuì gravemente. «Sì, Irene.»
«È scomparsa.»
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: wanderingheath