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Autore: Celtica    15/11/2019    5 recensioni
Soulmate!AU! SanSan
Sandor lavora in un bar, e Sansa è cliente.
A Sandor piace Sansa, ma non trova il coraggio di avvicinarsi. Quando finalmente si decide ad andare a parlare con lei, entra Petyr e le siede vicino.
Questa storia è ispirata a un prompt di Relie Diadamat, e partecipa alla Ottobre Challenge: Trick or Treat? indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joffrey Baratheon, Petyr Baelish, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4. Giocare con il fuoco

 

 

Giocare con il Fuoco

 

 

 

 

Restarono chiusi nel bar tutta la sera. Sansa era terrorizzata all’idea di tornare a casa e persino di andare a dormire da qualche amica.

«Hanno i miei contatti… i messaggi, tutto. Potrebbero trovarmi ovunque.»
Sandor capì che il luogo più sicuro per lei poteva essere soltanto il suo bar. Nessuno si sarebbe aspettato di trovarla ancora lì dentro, sola con lui. E poi c’era sempre il suo posto segreto… e in caso di problemi avrebbe potuto nasconderla lì.
«Cosa possiamo fare?» domandò Sansa, mentre lui si riempiva un bicchiere di vino. «Forse dovrei andarmene… Tornare nel nord.»

«Perché non lo fai?»

«Lasciare tutto? Sto ancora studiando. I miei amici sono qui. E prima di oggi non ho mai preso in considerazione l’idea di tornare a casa.»
Sandor portò due bicchieri e una bottiglia superstite di vino, zoppicando fino al tavolo dov’era seduta Sansa. Lei posò gli occhi sulla sua gamba.

«Dovresti andare in ospedale.»

«Per dire cosa? Che mi sono ferito a una gamba mentre affettavo un limone?» Rise e la sua risata sembrò ferro che strideva. «Tywin Lannister è primario. Saprebbero subito dove sono. No, preferisco rimettermi da solo. Non mi fido degli infermieri.»
Versò da bere a Sansa, e stavolta lei lo prese senza fare obiezioni, bevendone una lunga sorsata.

«Non avrai paura degli aghi?»

Solo del fuoco, da quando faccio quei sogni.

«I fottuti aghi non mi spaventano.»
«Allora, se ne hai, dovremmo provare a ricucirti.»

«È il vino a parlare per te, uccelletto.»
Vide che aveva il bicchiere quasi vuoto, e una strana luce negli occhi. L’alcol rendeva coraggiosi, pensò. O stupidi.

«Non abbiamo dato nemmeno un’occhiata alla ferita alla gamba» proseguì Sansa. «Dovremmo almeno…»
«Ho controllato io. E la ferita resta così.»
Sansa sembrò farsi improvvisamente lucida. «Hai paura di me.»

«Non dire cazzate.»

Poi lei abbassò gli occhi sulla bottiglia, la prese e si versò da bere. Lo guardò un momento, soffermandosi sul suo viso, e quello che vide la spinse a riempirgli il bicchiere fino all’orlo.
«Grazie per avermi lasciato stare qui.»

Sandor non rispose. Cosa poteva dirle? Dei suoi sogni? Della prima volta che l’aveva vista? Dell’idea di fuggire insieme?
No.
Ingollò l’intero bicchiere di vino e se ne versò un altro.

«Sei stato coraggioso ad affrontare Joffrey.»
Lui rise, una risata cattiva. «Coraggioso? Joffrey è uno scarafaggio. I cani nemmeno si sprecano a ucciderli, gli scarafaggi.»
«Perché devi essere sempre tanto odioso?» Sansa incrociò le braccia al petto. «E poi perché ti consideri un cane? E perché mi chiami sempre uccelletto? Dimmelo.»

«Preferisci che ti chiami ragazzina?»
«Preferisco Sansa.»

Si guardarono. Sandor sentì un brivido di terrore riconoscendo quello sguardo: era lo stesso che Sansa aveva nei suoi sogni. E se il solo vederla seduta lontano da lui era sufficiente per sognarla, cosa sarebbe successo quella notte? Sarebbe riuscito ad aprire quella porta? L’avrebbe trovata? L’avrebbe presa?

Sansa allungò una mano sul tavolo e la posò sulla sua. Abbassò la voce. «Dimmi perché. Ti prego.»
Lui non riuscì a frenare le parole. «Ho fatto un sogno.» La vide sgranare gli occhi, ma la mano rimase sopra la sua. «E nel sogno ti chiamavo così.»

«Cosa succedeva nel sogno?»

«Oh, non fare quella faccia, uccelletto! Niente di quello che pensi.» Voltò la mano, palmo contro palmo. Per un istante credette che Sansa avrebbe ritirato di corsa la sua, ma non lo fece. «Era come un corteo in costume. Eravamo tutti vestiti strani.»

«Tutti?» Sansa sembrava aver capito, glielo leggeva negli occhi. «Tutti chi?»
Sandor non riusciva a smettere di guardarla.
«Tutti quelli che erano qui stasera.»
Sansa scostò indietro la sedia, perdendo il contatto con lui. Aveva la stessa espressione di animale in fuga che le aveva visto un paio di notti prima.

«Era solo un sogno, uccellino.»
«Perché la gente ti chiama Mastino?»

«Secondo te perché?»
Sansa posò gli occhi sul lato del viso dove aveva la cicatrice, ma non disse nulla.

«Per questa?» Lui non aveva più voglia di giocare. «Non riuscivi nemmeno a guardarla, prima.»
La vide abbassare lo sguardo, torturarsi le mani.
«No, non è per questa. È per quegli stramaledetti sogni. Una notte ho lasciato che un tizio ubriaco dormisse qui. E al mattino ha detto a tutti che continuavo a ripetere quella parola. Mastino.»

«Cosa succedeva in quei sogni?»

Lui afferrò la bottiglia quasi vuota e se la portò alle labbra. Afferrò il tappo con i denti e lo sputò lontano.
«Bevevo.»

Sansa si appoggiò al tavolo, posando la testa sulle braccia incrociate. Non la smetteva di fissarlo.
«Io cosa facevo nel tuo sogno? A parte camminare con abiti ridicoli.»

«Non stavi mai zitta, come adesso.»

Sansa gli lanciò un’occhiata offesa e voltò la testa dall’altra parte. Lo lasciò a contemplare i suoi capelli rossi che le accarezzavano la schiena e le braccia, fino a sfiorarle le gambe fasciate nei jeans.
Era così tentato di toccarli che allungò una mano per farlo, ma lei si girò di nuovo verso di lui. Osservò le sue dita stese sul tavolo e si tirò su.

«Che stai facendo?»
«Niente, ragazzina. Che cosa dovrei fare?»
Sansa non rispose. Lasciò vagare le mani sul tavolo come su un pianoforte, fermandole accanto alla sua.

«Starò zitta se mi racconterai i tuoi sogni.»

«Perché ti interessa?»
Sansa scrollò le spalle. «Non mi sembra ci sia molto altro da fare.»
Lui sapeva cosa rispondere, ma non lo fece.

«Nei tuoi sogni…» continuò Sansa, vedendo che lui non diceva niente, «dove sei?»
«Che cazzo ne so di dove sono?»

«Sei qui? Sei in qualche città, qualche posto che conosci?»
Lui fece cenno di no con la testa. La vide chinarsi in avanti.
«C’è un bosco. E un castello. E a volte le strade di una città, ma è tutto di pietra.»

«E io dove sono? In quale di questi posti?»
Sandor la guardò dritto negli occhi. «In tutti.»

La vide deglutire. Riconobbe il tremito delle palpebre e osservò la bocca schiudersi. Non l’aveva mai vista così tesa. Lui non si era mai sentito così teso.
«Quanti sogni hai fatto su di me?» la udì sussurrare.
«Tutti.» Aveva bisogno di altro vino, ma non voleva alzarsi. Era ipnotizzato dalle mani di lei, così vicine alla sua. Strinse il pugno per impedirsi di toccarla. «Sei in ogni fottuto sogno in costume.»

Tranne l’ultimo, pensò. Lì ti stavo cercando.

Le dita di Sansa scivolarono accanto alla sua. Sandor sentì il contatto freddo con la sua pelle.
«Da quanto tempo va avanti?» Lei si piegò verso di lui. «Da quanto tempo fai questi sogni?»

Lui deglutì. Non voleva rispondere.
«Da quando ti ho vista la prima volta. Eri ferma davanti a quella vetrina, e sbirciavi all’interno.»

Il mignolo di Sansa si infilò sotto la sua mano. Sandor sentì l’unghia contro il palmo.
«Perché non me l’hai detto?»

Non sapeva cosa dire. Era così logico il perché non l’avesse fatto… Sospettava che la domanda di Sansa fosse solo un tentativo di non perdere quel momento.
E quando lei prese a disegnare dei cerchi sul suo palmo, lui non poté più tacere.

«Stai giocando con il fuoco, ragazzina.»

«Forse è quello che voglio» mormorò, ma aveva le lacrime agli occhi.
Sandor avrebbe tanto voluto ignorare quello che vedeva e abbandonarsi a quella frase. Crederle. Pensare che fosse qualcosa di più della paura a spingerla tra le sue braccia. Ma non poteva farlo. Non dopo essersi guardato ogni mattina allo specchio dopo l’incidente.
«È l’alcol a parlare» disse, aspro. Poi si alzò in piedi e le indicò la porta che dava sul retro. «Va’ a dormire, uccelletto. Domani andrà meglio.»

Sansa lasciò la sedia e scoppiò a piangere.
Non lo seguì, né si mosse.
«Avanti, è solo che hai bevuto troppo. Va’.»
«N-no…» Scosse la testa singhiozzando più forte. «Non è il vino… È che non posso più tornare a casa. Né qui, né al nord. Non ho più nessuno!»

Sandor la guardò inginocchiarsi a terra, poi la prese tra le braccia.
«Basta, uccelletto. Si risolverà tutto, vedrai.»

Sentì le sue braccia intorno, una mano sulla spalla e l’altra sulla schiena, il suo viso nell’incavo del collo. Odorava di sapone e magnolia, e il suo corpo era bollente, come se avesse la febbre. Si chiese se fosse colpa del vino. Poi Sansa smise di piangere.
Era leggerissima, ma con la gamba conciata in quel modo aveva l’idea di portare un peso enorme. Aprì la porta socchiusa con una spallata, posando Sansa sulla brandina dove aveva dormito tutte quelle notti.
Chi l’avrebbe mai detto che l’avrebbe avuta lì, nel suo letto?

Fece per tirarsi su, ma Sansa continuava a stringerlo.
«Aspetta» continuava a ripetere. «Aspetta, ti prego.»

«Lasciami, uccellino» mormorò piano.
Lei abbandonò la sua schiena per deporre le mani sul suo viso. Lo guardava negli occhi, vicinissimo, e forse era tutta quell’oscurità a non farle battere mai le palpebre. Posò le labbra sulle sue, e Sandor non riuscì a tirarsi indietro.

«Ti prego» la udì sussurrare.
«No.» Le afferrò i polsi e se li allontanò dal viso. «Non adesso. Non così.»
«Perché?»

«Ti odieresti domani» disse. «E odieresti me ancora di più.»

«Non è vero.»
«Lo dici adesso.»

La aiutò a stendersi, poi le tolse le scarpe. Avrebbe voluto mordersi la lingua piuttosto che continuare a parlare, ma non riuscì a frenarsi.

«Se domani la penserai ancora così, allora ne riparleremo.»

 n

N.d.A.:

Scusate il ritardo! Il prossimo capitolo (l’ultimo) arriverà la prossima settimana.
Il finale di questo è ispirato a un’altra mia storia: “Domani”, nel fandom di Lady Oscar.
Grazie a chi continua a seguire e a lasciarmi un parere!

Celtica

   
 
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