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anche se
tristini *sigh*
~ Memoria ~
La tazza di
tè tra le
sue dita andava intiepidendosi senza che lei si decidesse a finire di
berla.
Sospirò osservando il sottile vapore che ancora cercava di
salire dalla
superficie bruna, afferrò il cucchiaino e diede un altro
paio di giri, il miele
ormai sciolto da tempo, bagnandosi poi appena le labbra.
Il silenzio
della
casa era totale. Dalle finestre socchiuse filtrava assieme alla brezza
primaverile l'ovattato rumore delle strade, le macchine in lontananza e
il
chiacchiericcio dei passanti per la via periferica, ma dall'interno
niente
disturbava quella quieta colonna sonora: non c'erano orologi se non
digitali –
lui non aveva mai amato i modelli di analogici – e perfino il
motore del frigo
non produceva altro che un bassissimo ronzio rilassante; non aveva
nemmeno mai
preso un cagnolino o un gattino, il cui muoversi per la casa avrebbe
spezzato
l'atmosfera ovattata e pesante.
No. Si
corresse bevendo un altro
sorso Lui non ne ha mai voluto
uno.
A lei
sarebbe
piaciuto in realtà. Avere un cane o un micino da accudire,
che le si
accoccolasse in grembo nelle fredde sere invernali quando oziava sul
divano con
un libro tra le mani o faceva zapping.
Lui non ne
aveva mai
nemmeno accarezzato il pensiero, diceva che non avevano bisogno di
aumentare il
carico giornaliero di faccende, né le spese, e in fondo
trovava inutile imporre
a delle creaturine la vita domestica degli umani solo perché
"facessero
compagnia".
«
E perché dovrebbe
servirti? Abbiamo l'un l'altra, no? »
Quando le
diceva così
lei non poteva evitare di sorridere e accoccolarsi contro il suo
torace, il
braccio di lui che le cingeva le spalle e le labbra che le si posavano
con
dolcezza sulla fronte.
Si
sfiorò
sovrappensiero quel punto detestandosi un poco per il sorriso che le
spuntò
d'istinto sulle labbra.
Lui era
sempre stato
così con lei. Dolce, premuroso, misurato nei gesti e nelle
parole, affettuoso.
Ma lei aveva
sempre
saputo che lo fosse; che dietro la sua indole distaccate e un po'
maliziosa,
l'affascinante e misterioso biondino possedesse un cuore d'oro.
Si ricordava
di quel
pomeriggio, il Café chiuso, il tramonto e il silenzio
così simile a quello che
in quel momento permeava casa sua: il ragazzo stava guardando
pensieroso fuori
dalla finestra e lei era arrivata timidamente, una torta avanzata dalla
chiusura improvvisa del locale, lui che si era voltato sorpreso e aveva
accettato il suo goffo presente e la tacita, imbarazzatissima richiesta
di un
po' di compagnia.
Retasu
ricordava
ancora il gusto di quella torta deliziosa come ricordava il formicolio
di
agitazione lungo le dita mentre reggeva la forchettina d'acciaio.
Era la
sensazione che
le dava sempre Ryou. Un'agitazione leggera che le assottigliava la
voce, un
allegro pizzicorino sottopelle, il cuore veloce che sfarfallava quando
lo
sentiva arrivare e le incendiava le guance quando incontrava i suoi
occhi
azzurro cielo.
Quanti mesi
aveva
passato sospirando della sua presenza, osservandolo con discrezione
senza
nemmeno rendersene conto. Lo aveva ammirato così a lungo da
riconoscerne – la
imbarazzava ammetterlo – ogni cambio di tono quando parlava,
il minimo cambio
di umore dal modo in cui aguzzava lo sguardo o storceva le labbra; e
aveva
visto con il petto dolente il modo in cui Ryou guardava Ichigo.
La rossa non
se n'era
mai accorta, o forse non aveva voluto vederlo prendendo certi gesti del
ragazzo
verso di lei come scherzi o solo attenzioni da amico.
Retasu aveva
sempre
trovato incredibile l'averlo intuito mentre la sua amica era rimasta
cieca, ma
probabilmente lei era di parte e Ichigo troppo presa dal suo innamorato
per
accorgersi degli sguardi altrui.
Quando tutto
era
finito aveva immaginato di non incontrare mai più Ryou. Dopo
la frenesia
dell'ultimo scontro non era stato neppure un concetto troppo doloroso,
era stata
ben più impegnata a ritrovare l'equilibrio nella sua
esistenza da ragazza
comune per soffermarsi troppo sul pensiero del biondo. La vita
però aveva i
suoi strani modi di regalare sorprese.
Era stato
strano e
naturale ricominciare a frequentarsi tutti assieme. Riprendere il
lavoro al
Café, le giornate intense e vivaci, l'odore di vaniglia e
cioccolato che
rimaneva sui vestiti; Purin e i suoi giochi con la palla, le
interminabili ore
del tè di Minto, le sue – involontarie –
acrobazie con i piatti, la silenziosa
presenza di Zakuro; i dolci e il sorriso di Akasaka.
Ryou.
Il suo caro
Ryou.
Si era
lambiccata il
cervello all'infinito, non era il tipo che confessasse i suoi
sentimenti così,
a viso aperto, ma lasciarli a macerare nel silenzio non era
più una cosa che
potesse lasciare accadere. Ci aveva pensato non trovando altra
soluzione che
proseguire sul suo sentiero, piccoli gesti e parole, attenzioni sincere
per
quel ragazzo così solitario e premuroso, nell'attesa magari
di trovare il
coraggio o che il suo viso scarlatto e il suo balbettare illuminassero
la mente
così geniale – e talvolta così ottusa
– dell'americano.
«
Ti va se invece ti
offro io un caffè? »
Era quasi
svenuta il
pomeriggio di maggio in cui, domandando a Ryou se volesse uno spuntino
e fare
una pausa, lui l'aveva bloccata sorridendole sornione con quella
semplice
proposta. Era rimasta con il vassoio stritolato tra le braccia, il
volto così
caldo che aveva temuto le si appannassero gli occhiali, ed era riuscita
solo a
farfugliare un cosa? appena
udibile.
«
Un caffè. – aveva
proseguito lui con lo stesso sorriso, furbo e gentile – Kei
urlerà al
tradimento, ma c'è un posto a Ikebukuro che fa il
caffè migliore che abbia mai
bevuto. Potremmo andare e io potrei offrirtene uno, invece di
costringerti per
l'ennesima volta a farmi da servizio in camera. »
Retasu aveva
aperto e
chiuso la bocca ancora qualche secondo, processando il tutto a fatica
intanto
che un sorriso aveva conquistato prepotentemente spazio sul suo volto:
«
Intendi… Q-quand…?
»
«
Adesso. »
«
A-adesso? »
«
Sì, adesso. – aveva
sorriso ancora lui – In fondo il capo qui sono io, posso dare
libera uscita
alle mie dipendenti quando mi pare. »
Aveva
ammiccato.
Retasu aveva emesso uno strano singulto divertito, le dita che
stritolarono il
vassoio, ed era stato un concerto di sì
e
allora vado? balbettanti mentre
risaliva le scale al contrario, rischiando di inciampare ogni scalino
nelle
lunghe code del grembiule.
Perfino il
caffelatte
più zuccherato si era sempre rivelato troppo amaro e intenso
per lei, ma quel
pomeriggio dovette concentrarsi per non finirlo in un fiato tanto lo
trovò
squisito. O doveva essere stato il chiacchierare così
tranquilli, soli, lei e
Ryou a rendere qualsiasi cosa attorno a sé perfetta.
Piccoli
passi.
Piccole attenzioni. Piccole uscite innocenti che Retasu si ripeteva di
non
fraintendere, di considerare solo premure di un caro amico, ma che in
fondo non
riusciva a minimizzare come avrebbe voluto.
Quand'era
stata la
prima volta che lui le aveva afferrato con garbo il polso in mezzo alla
folla
senza poi lasciarla?
Quando era
stato che
aveva allungato le dita sul tavolino di un bar, lei troppo impegnata a
gustarsi
la propria ordinazione per fare in tempo e sottrarsi al suo posare la
mano sulla
propria? O se non sottrarsi almeno essere pronta invece di sussultare
al
contatto della pelle tiepida di lui, non rimanere paralizzata ammirando
quanto
sembrasse grande il palmo del biondo attorno al suo, non trattenere il
fiato in
modo così evidente, così infantile, scatenando il
sorriso intenerito al suo
volto paonazzo.
Che strano,
ricordava
ogni sensazione di quel momento, ma non quando fosse accaduto.
Ricordava
come le
fosse sembrato rovente il pollice che Ryou aveva fatto vagare leggero
sulle sue
nocche, sfiorandola delicato. Ricordava il suo sorriso, più
sincero e chiaro
del solito. Ricordava il sapore amarognolo della cannella sulla panna
del suo
frappè e la canzone che suonava alla radio, ma non il giorno.
Sicuramente
era
autunno inoltrato visto il gelo delle sue dita una volta usciti, la
mano di
Ryou che le era parsa ancora più rovente.
Avevano
iniziato ad
uscire ufficialmente insieme poco dopo i primi di novembre, o almeno fu
in quel
periodo che Ryou iniziò ad usare con frequenza parole come
"appuntamento"
scatenandole ogni volta la tachicardia – e lei era
sicurissima che il biondo lo
sapesse anche quando non poteva vederla e ne sorridesse affettuoso
– sebbene la
cosa fosse rimasta privata ancora fino alla primavera successiva. Ryou
non amava
sbandierare la sua vita privata e lei, pur con le amiche che la
tartassavano
pettegole fiutando il gossip, non era stata psicologicamente pronta per
ammettere il tutto, non senza farsi venire un infarto definitivo; anche
se
aveva sospettato che Zakuro, così affiatata con Ryou, fosse
giunta ben al di là
del semplice fiutare.
Ryou l'aveva
baciata
per la prima volta alla cerimonia di diploma di terza media. Il cortile
della
scuola era così affollato che la sola idea – se
avesse intuito per tempo –
l'avrebbe fatta evaporare dalla vergogna, ma era tutto sparito in un
turbine
confuso di mormorii, risate e i petali dei pochi ciliegi del cortile
principale, macchie rosate nel bagliore del cielo terso: nonostante
l'aria
ancora pungente le labbra di lui erano state morbide e calde, decise,
sicure
contro le sue tanto da scioglierle il cuore.
Era sempre
stato così
con lei, fino all'ultimo. Attento e ponderato in ogni passo verso la
verde e
non perché la ritenesse troppo ingenua, Retasu sapeva
benissimo che Ryou la
considerasse una ragazza ben più forte delle apparenze,
addirittura
"intrepida", ma al contempo sembrava sempre convinto di poterla
ferite inavvertitamente e per questo pazientava, in attesa di scorgere
il
momento giusto.
L'uscita
giusta per
prenderle la mano.
La serata
giusta per
cingerle con decisione la vita con un braccio, certo che non sarebbe
svenuta.
Il momento
per
confessarle come trovasse adorabile il suo sorriso timido, o per dirle
sorridendo quanto gli piacessero i suoi lunghi capelli smeraldini o i
suoi
grandi occhi color mare.
L'attimo
perfetto per
baciarla.
Una premura
assoluta
che rifletteva l'infinito affetto del biondo per lei e che gli rendeva
impossibile anche il solo pensare di forzarla o di ferirla.
Retasu con
il senno
di poi si era convinta di essersi crogiolata troppo in quelle sue
attenzioni
riguardose, di aver lasciato con troppa superficialità che
la loro storia
maturasse lentamente anno dopo anno.
Il suo
evolversi
quieto era un'ancora di sicurezza ai cambiamenti esterni: l'ingresso al
liceo,
il part-time al Café che era diventato un lavoro vero e
proprio senza che se ne
rendesse conto, scuola e attività che si sovrapponevano
divorandosi il tempo in
compagnia delle ragazze. Si era domandata spesso come avessero fatto un
tempo a
gestire la propria vita e combattere all'unisono gli alieni, dopo di
allora le
sembrava sempre una
corsa ad ostacoli
riuscire a ricavarsi due ore di pace tutte e cinque vicine, ma
nonostante gli
impegni e le scelte di ciascuna il legame tra loro non si
andò mai sfaldando.
Benché gli ingaggi di Zakuro aumentassero e la idol passasse
da un servizio
fotografico ad un'intervista, sebbene Minto iniziasse a rimanere alla
scuola di
danza giornate intere, nonostante lei si giostrasse frenetica tra la
scuola, i
corsi preparatori e il club; neppure la partenza di Ichigo per
l'Inghilterra
riuscì ad allontanarle l'una dall'altra, anche se Retasu
avrebbe ammesso che la
mancanza della rossa si avvertisse pesantemente nella sala circolare
del Café.
La sua
storia con
Ryou era una sorta di costante, un caposaldo che la rassicurava sul
domani e le
inebriava la mente di felicità per ciascun bacio
più lungo, ogni contatto più
profondo, ogni abbraccio più intenso che le faceva esplorare
un millimetro di
più del corpo e dell'animo di Ryou.
Lui era la
sua
certezza e il suo affetto era il simbolo loro futuro, la certezza di
avere il
primo posto nel suo cuore.
Retasu
strinse la
tazza di tè con un rapido scatto delle dita, detestava
ricordare la crudeltà su
come la sorte l'avrebbe smentita e detestava la rabbia che in quelle
occasioni
le ribolliva sul fondo dello stomaco serrandole la gola e facendola,
assurdo,
quasi sentire in colpa.
L'estate
della
seconda liceo era stata particolarmente calda e asciutta, un clima
perfetto per
godersi l'afa della stagione senza soffrire godendosi le tiepide brezze
che
scuotevano gentili il verde rigoglioso del parco attorno al
Café. Keiichiro
aveva chiuso per una giornata aprendo sul prato un enorme ombrellone
bianco,
sotto cui aveva imbastito due tavoli di leccornie e bibite
rinfrescanti, per
festeggiare il sempre più raro raduno di tutto il gruppo.
Retasu per
l'occasione aveva inaugurato l'abitino smanicato comprato con Minto
alcune
settimane prima, uno dei suoi preferiti per tanti anni, compiacendosi
dei complimenti
che ricevette su di esso e soprattutto di quelli di Ryou, che l'aveva
ammirata
con un sorrisino lievemente malizioso congratulandosi mentre le aveva
accarezzato leggero la pelle nuda delle scapole.
Aveva
già iniziato a
sorseggiare il secondo giro di analcolico alla frutta quando Ichigo,
elegantemente in ritardo di un'oretta, aveva fatto la sua comparsa: il
familiare sorriso incorniciato dalla chioma rossa ormai lunga a
metà schiena
era rimasto identico dopo più di due anni, tuttavia la
felicità nel rivederla
dal vivo diede a Retasu l'impressione che fossero stati molto di
più. C'erano
stati soffocanti abbracci di gruppo, urla e risate e un serrato
interrogatorio
alla rossa sulle sue avventure inglesi – che sapessero
già tutto tra e-mail,
chat e videochiamate era irrilevante – sul fidanzato lasciato
oltremanica.
«
Sei scappata dai
doveri coniugali? – l'aveva punzecchiata Minto sorridendo
antipatica – O è lui
ad essere scappato da te? »
«
Sei sempre
simpatica come l'aglio sotto i denti. »
Aveva
sibilato la
rossa e poi, contenta, aveva stritolato la mora in un abbraccio e
Retasu non
aveva potuto evitare di ridere alle loro sciocche dimostrazioni di
affetto,
prima di stringere a sua volta la mewneko.
L'allegria
aveva
trascinato la giornata tra tramezzini, fette di torta, pasticcini,
gustosi
drink e pettegolezzi finché il sole non era calato
sull'orizzonte, l'aria era
diventata frizzante e Retasu era rientrata cercando il golfino che si
era
portata, in previsione di un party molto lungo.
La sala
principale del
Café era tranquilla, invasa dall'arancione rovente del
tramonto; la voce
squillante di Purin e il chiacchiericcio degli altri entravano appena
dai vetri
a cuore e Retasu li ascoltò sorridendo, camminando in punta
di piedi per non
spezzare quella magia, e si allungò svelta sul tavolino dove
aveva lasciato la
borsa e il coprispalle lilla in pendant con l'abito.
Sarebbe
uscita subito
se non avesse sentito la voce di Ryou provenire dal corridoio che
portava agli
spogliatoi. La verde rimase con la mano protesa sul tavolo, l'altra a
reggere
il golfino, domandandosi d'impulso con chi potesse parlare il biondo,
rientrato
per una capatina in bagno.
Forse
è al telefono. Qualche problema con il seminario di domani
all'università?
Ryou parlava
a voce
bassa, lentamente, ma a Retasu non sembrò un segno di
educazione verso gli
altri ospiti.
Che
sono tutti fuori…
Trattenne
appena il
fiato quando un tono più alto si alzò dal
corridoio e lei riconobbe poi
un'altra voce rispondere a quella di Ryou.
Fu con un
lampo vago che
la verde ricordò Ichigo precederla dentro un paio di minuti
prima, il suo
stesso problema con la brezza serale e chiedendo a gran voce a Minto se
potesse
prestarle qualcosa, la mora che la redarguiva in merito quando
già l'amica si
era trovata ad attraversare l'ingresso.
La voce di
Ichigo in
quel momento però era apparsa a Retasu molto meno pimpante,
un sussurro incerto
che a stento si udiva riecheggiare dal corridoio.
Retasu si
era detta
che probabilmente stavano discutendo. La rossa e Ryou litigavano spesso
e
volentieri per quanti anni passassero, la loro amicizia era
così, non dissimile
da quella tra Ichigo e Minto, un battibeccarsi continuo.
Però
non mi sembra stiano litigando.
Si era detta
che
origliare non era mai carino, né molto corretto verso una
sua cara amica e
verso il proprio ragazzo. Si era avvicinata comunque, sempre con passo
leggero,
un'inspiegabile nervosismo che le faceva sentire con chiarezza il cuore
nelle
orecchie.
«
… Scusami ho
esagerato. »
«
È stata… Solo una
piccola discussione. Abbiamo già risolto prima che prendessi
l'aereo. »
Ryou aveva
emesso uno
sbuffo sarcastico:
«
Ovviamente. »
Silenzio.
Retasu si
era avvicinata abbastanza da intravedere i due, il biondo nascosto
dall'angolo
che le stava dando le spalle, Ichigo appoggiata appena al muro opposto
con le
mani dietro la schiena che cercava di non guardare il ragazzo.
La verde si
era
trattenuta in disparte. Una parte di sé le stava dicendo con
forza di
avvicinarsi ed interrompere la loro conversazione qualsiasi essa fosse,
un moto
di inquietudine sordo che le ronzò nelle orecchie, ma al
contempo la strana
atmosfera tra i due le aveva bloccato le gambe.
Il silenzio
era stato
più allarmante dei mormorii. Ichigo aveva avuto un sussulto
improvviso e si era
voltata verso Ryou, dalla sua posizione Retasu aveva impiegato un
secondo in
più a capire che le aveva sfiorato una delle lunghe ciocche
amarena.
«
… Sto provando a
non tagliarli. »
Aveva detto
la rossa
e aveva allungato la mano per scostare quella di Ryou, quasi un
tentativo di
chiudere senza domande quel momento incomprensibile, ma il biondo
invece era
passato dallo sfiorarle i capelli al stringerle le dita, Ichigo che era
arrossita deliziosamente fissandolo confusa con gli occhioni castani.
Retasu non
avrebbe
voluto continuare a guardare.
Non avrebbe
voluto
vedere Ryou chinarsi a baciarla, né vedere l'amica tentare
un timidissimo
ritrarsi prima di abbassare le palpebre con un sospiro.
Retasu aveva
sentito
il gustoso buffet di Keiichiro diventare una poltiglia acida nello
stomaco e il
suo sentore nauseante le aveva invaso la bocca.
Lo schiaffo
di Ichigo
era schioccato appena Ryou si era allontanato e anche Retasu aveva
avuto
l'impressione di riceverlo. Sobbalzando, il corpo scosso da brividi
impercettibili, la verde si era ritratta e aveva ascoltato Ichigo
tirare su con
il naso:
«
Sei… Impossibile!
Incoerente! Tu…! Come hai
potuto?! – le parole della rossa avevano tremato come il suo
palmo ancora
sospeso – Io…! E non hai nemmeno pensato
a…! »
Aveva
strozzato le
ultime parole e il pallore sul volto di Ryou era stato un chiaro segno
di come,
farfugliamenti compresi, avesse capito bene di cosa – meglio,
di chi – stesse
parlando e solo in quel momento avesse realizzato il suo errore. Ichigo
si era
morsa il labbro ed era corsa in bagno, forse a sciacquarsi il viso
prima di
ripresentarsi agli amici, mentre Ryou era rimasto per qualche istante
fermo
dove si trovava con lo sguardo perso nel vuoto. Era stato con un
sussulto che
si era reso conto della figurina in penombra e Retasu non sapeva ancora
dire,
dopo tanti anni, se l'avesse spaventato di più la sua
semplice vista o il
vederla sciolta in lacrime.
Aveva aperto
bocca
per parlare, ma lei non gli aveva lasciato il tempo: era corsa di nuovo
in
salone, aveva afferrato la sua borsa ed era scappata via dall'uscita
sul retro
incurante dei laccetti dei sandali – quei sandali
così eleganti e raffinati,
con il tacco basso, un po' "fuori" dai suoi abiti soliti e perfetti
con il suo vestito nuovo – che le tagliarono le caviglie e le
irritarono la
pelle arrossata e pulsante durante tutto il viaggio della verde in
treno.
«
Puoi venire un
momento di sotto? »
Non aveva
protestato
né si era rifiutata di seguirlo benché avesse
davvero faticato a guardarlo in
volto senza piangere. Era la sola cosa che ricordava di quel week-end,
un
pianto dirotto e inconsolabile mentre evitava di rispondere alle sue
telefonate
o a quelle delle amiche, minimizzando la sua fuga dalla festa e
millantando
ogni sorta di scusa perché nessuno approfondisse, dalla
febbre al classico trucco
delle mestruazioni; aveva capito benissimo di non averla data a bere a
nessuno
appena aveva varcato la soglia del Café il
lunedì, ma nessuno aveva avuto
l'indelicatezza di insistere con le domande: se proprio lei non voleva
sfogarsi
forzarla avrebbe solo peggiorato le cose. Retasu aveva anche ignorato i
tentativi di contattarla di Ichigo, i più insistenti, il
bisogno di piangere
che urlava violento leggendo i suoi premurosi messaggi sullo schermo
del
cellulare.
La luce
degli schermi
del laboratorio sotterraneo le avevano ferito gli occhi più
del dovuto, mai
avrebbe capito come Ryou potesse continuare a volere usare la propria
strumentazione in una simile catacomba. Il biondo a differenza del
solito non
stava lavorando, ma poggiato con le mani alla scrivania era in piedi,
in sua
attesa, il volto sfatto da qualche notte di sonno più
agitato del consueto.
Retasu aveva
stretto
le labbra vedendolo, gli aveva letto in faccia il pentimento
più nero e la
cosa, incredibilmente e giustamente, le fece più rabbia che
tristezza.
«
Retasu, io… »
Aveva
sbuffato e si
era sfregato la frangia con stizza avvicinandosi alla verde a grandi
passi; lei
non era stata preparata a vederlo prenderle le mani tra le proprie e
baciarle più
volte le nocche, mormorando come Retasu non lo aveva mai sentito fare
da quando
lo conosceva.
«
Perdonami.
Perdonami… »
Lei in fondo
sapeva
che non avrebbe dovuto perdonarlo, che le cose non sarebbero state
più come
prima, che quelle scuse non avrebbero nascosto la verità che
la verde si era
vista sbattere in faccia. Al contempo però avrebbe voluto
dire perderlo,
rinunciare per sempre a lui.
Avrebbe
tanto voluto
tirare fuori la forza che i suoi cari dicevano sempre nascondesse nel
cuore,
avrebbe tanto voluto non abbandonarsi al pianto e al sollievo bugiardo
che
aveva provato accentando lo sconforto del biondo, permettendogli di
stringerla
e baciarla supplicando ancora il suo perdono.
Lo amava,
non poteva
farci nulla, lo amava con tutta la sincerità e la potenza di
un primo amore, lo
amava nei pregi e nei difetti, per il suo carattere contorto e il viso
da
modello di magazine da adolescenti.
Non voleva
rinunciarvi, non voleva arrendersi e lasciarselo sfuggire dalle dita da
un
giorno all'altro.
Perché
sapeva, era
certa, sicura come del sole al mattino, che Ryou l'amasse. Amava lei,
amava il
suo cuore e il suo fare impacciato, amava il suo volto gentile e le sue
forme
morbide sempre pudicamente custodite, amava la sua dolcezza, la sua
premura.
L'amava sul serio.
L'amava
così tanto da
non sopportare di farle del male, da non concepire il forzarla o fare
alcunché
lei potesse non volere. Probabilmente avrebbe accettato anche di
rinunciare a
lei, solo per amor suo.
Non per
Ichigo.
E quella
consapevolezza le aveva lacerato il cuore ogni giorno da quel maledetto
pomeriggio.
Il posto che
aveva
conquistato nella mente di Ryou non era mai stato sufficiente a
rendergliela
indispensabile, non al punto di ignorare il resto del mondo,
dell'etica, della
correttezza solo per averla.
Per Ichigo
sì. Per
lei lo avrebbe fatto.
Per lei
avrebbe
affrontato nemici mortali sotto forma di gattino. Avrebbe mentito,
taciuto,
nascosto. Avrebbe tradito chi aveva giurato di non ferire mai,
convivendo con
l'odio e il disprezzo per se stesso, solo per lei.
La partenza
di Ichigo
fu una minuscola speranza a cui Retasu si aggrappò con
l'incoscienza dei
disperati. Sapeva che sarebbe tornata, che Ryou avrebbe dovuto
affrontare di
nuovo la sua presenza e decidere davvero se rinunciare o proseguire, ma
fino ad
allora la verde cercò di non pensarci. Il bisogno feroce di
riottenere la
fiducia nel biondo lo lasciò ricoprirla di attenzioni, si
lasciò viziare alla
nausea quasi pretendendo tacitamente – provava vergogna al
pensiero, ma del
resto almeno quell'egoismo le si poteva concedere? – che le
riversasse addosso
tutto il suo amore giorno dopo giorno, un placebo dolcissimo su una
ferita che
non si sarebbe mai rimarginata.
Aveva
creduto sarebbe
bastato.
Aveva
creduto che la
quotidianità avrebbe vinto sulla lontananza.
Che fare
l'amore con
lui, lasciarsi travolgere da quel lato impetuoso ancora sconosciuto del
biondo,
imparare a scoprire il proprio mano nella mano avrebbe inciso nella sua
mente
solo lei. Il profumo, i gemiti, la pelle, le curve, il calore che lui
avrebbe
conosciuto e assaporato sarebbero stati solo i suoi, non una fantasia
su un
amore mai iniziato.
Poi Ichigo
tornava.
Pochi giorni, qualche settimana. A volte era sola, a volte no. Ma non
faceva
differenza.
Retasu aveva
cercato
di convincersi che i pomeriggi in cui Ryou non rispondeva ai suoi
messaggi
fosse sempre perché troppo occupato, e in effetti
riuscì nell'intento per lungo
tempo.
Di
certo è occupato.
Si diceva. Non tiene mai il cellulare
vicino, forse non ha tolto la modalità silenziosa? Si
diceva ancora, e per
lungo tempo quelle banali domande riuscirono a tenere a bada lo spettro
del
sospetto, sempre presente, sempre ancorato dietro la fiducia ricucita
malamente
che si sfilacciava un po' di più mese dopo mese, anno dopo
anno.
Per un po'
comunque
bastarono e lei non si domandò mai altro.
Né
dove lui
effettivamente fosse, né dove fosse Ichigo che aveva sempre
impegni più o meno
negli stessi momenti.
Né
del perché la
rossa evitasse di guardarla dritta in viso come aveva sempre fatto, o
perché
Ryou diventasse ancor più attento del normale quando si
rivedevano più tardi.
Lui era con
lei. Lui
tornava sempre da lei e benché Retasu in fondo si odiasse
per questo non
riusciva ad andarsene né a farlo andare via.
Un
giorno guarderà solo me.
La prima
volta che
quel pensiero le aveva attraversato la mente, guardando Ryou stringerla
più
forte per la vita come uno scudo tra sé e Ichigo, Retasu
aveva avuto un
violento moto di nausea.
Di
più. Voleva si
aggrappasse a lei di più.
Non come
un'ancora, non
come una barriera.
Voleva che
la
cercasse, la desiderasse unicamente per sé con la stessa
forza con cui cercava
di tenersi alla larga dalla rossa.
Guarda
solo me.
La proposta
di Ryou
di andare a convivere l'aveva irrorata di nuova fiducia.
Solo
me. Guarda solo me.
Sono
qui, ama solo me.
L'avevano
scelta
insieme, un po' periferica per gli standard del biondo, ma magnifica
per
un'amante della tranquillità come lei e più per
le sue tasche. Avevano scelto
assieme i mobili, come disporli per le stanze, ciascuna tazza e
cucchiaio,
perfino le tende, ogni tassello scelto insieme per il loro confortevole
nido.
Insieme.
Lui e lei.
Solo lui e
lei.
Poi Ichigo
tornava. E
Retasu, che aveva imparato a conoscere il poco che ancora non sapeva di
Ryou,
aveva capito che sarebbe presto diventato impossibile dirsi altre bugie.
Lei di Ryou
sapeva
tutto. I suoi riti mattinieri, la precisa miscela di caffè
che amava bere a
colazione, come sistemava gli abiti nell'armadio.
Quella
camicia azzurra, un po' pesante, che mette solo quando arriva lei.
I tic con le
dita
quando era nervoso, il sorriso sereno delle serate in casa, la lucina
divertita
negli occhi quando le rivelava una sorpresa inaspettata.
Lo
sguardo colmo di repulsione per se stesso con cui la guardava, dopo
aver visto
lei.
Il modo in
cui la
voltava verso di sé quando voleva fare l'amore. Il tono
più languido nelle sue
iridi chiare, che parevano diventare torbide
mentre si stendeva sopra di lei e le stringeva i seni
pieni, mordendoli
con delicatezza. Come si tendevano le spalle e il collo, come si
inarcava la
sua schiena mentre la prendeva con decisione, passionale come solo lei
sapeva
che fosse, continuando a chiamarla per nome tra i sospiri roventi.
Forse
stringe così anche lei. Forse dice anche a lei quanto sia
meravigliosa e sexy
in qualsiasi occasione, forse la stringe allo stesso modo, baciandola
le lascia
gli stessi segni rossi di labbra e denti, di vero e proprio assaporarne
la
pelle.
L'odore del
dentifricio che comprava sempre, del suo deodorante, del dopobarba.
Il
profumo di lei che gli resta addosso anche se fa la doccia.
Cose che
prima non
aveva mai notato. Cose che prima, per sua fortuna, era riuscita a non
vedere.
Retasu aveva
resistito quasi due anni.
Poi avevano
capito
entrambi.
Lei non
avrebbe più
potuto raccontarsi bugie, lui non avrebbe più potuto fingere
di non avere
priorità che non fossero lei.
Stavano
mangiando
cinese da asporto – una sua passione, retaggio degli anni di
lavoro chiuso in
laboratorio a consumare pasti pronti – e lei lo aveva visto
giocherellare con
il suo riso saltato, l'espressione neutra. Era difficile spiegarsi
perché
avesse sorriso nonostante il dolore al petto.
Era stato
come
arrivare sulla cima di un monte dopo una scalata lunga e sofferta: per
quanto
sarebbe potuta dimostrarsi ardua la discesa, non avrebbe mai gareggiato
con le
asprezze della salita.
«
Finiamola qui.
Credo sia meglio, non pensi? »
Ryou si era
limitato
ad alzare lo sguardo, sorpreso, riabbassandolo altrettanto velocemente
alla
vista del suo sorriso triste:
«
Quindi lo sapevi? »
«
Forse era più
comodo fingere il contrario. »
«
… Da quanto? »
Per un
secondo il
sorriso di lei aveva tremato più deciso e Ryou si era morso
la lingua, non
aveva di certo il diritto di arrogarsi altre domande.
«
… Credo che per
cominciare sia meglio la valigia grande. »
Lo aveva
aiutato a
fare i bagagli e a prendere le sue cose da cassetti e armadi con un
distacco
che il biondo non le avrebbe mai associato, ma non fu per puntiglio,
Retasu lo
fece per sopravvivenza: fare cose, una dopo l'altra, un passo per volta
e
tenere le mani e la mente impegnate era la sola maniera di non andare
definitivamente in pezzi.
Scelse
qualche
mobile, quelli che avevano comprato ma aveva scelto lei, e lui le
lasciò
l'appartamento. Era lui a dovere – e volere –
sparire più rapidamente
possibile, lei non aveva bisogno di affannarsi a cercare una nuova
sistemazione
solo per i suoi capricci e le sue colpe.
«
Puoi anche
rimanerci per sempre, se lo vuoi. »
Retasu aveva
risposto
con una scrollata di spalle.
Ryou era
uscito
definitivamente dalla porta un mattino di settembre grigio e freddo,
l'umidità
della pioggia della notte che penetrava nelle ossa; sul taxi che lo
aspettava
oltre il vialetto d'ingresso Retasu aveva avuto l'impressione di
scorgere
un'altra figura, probabilmente una chioma rossa, ma non era rimasta
fuori
abbastanza a lungo da vedere il biondo salire o il mezzo partire per
chissà
dove.
La verde
prese la
tazza ormai vuota e la sciacquò nel lavandino, osservando
poi in silenzio la
casa vuota.
Quel giorno
avrebbero
festeggiato il loro anniversario. Ogni tanto si chiedeva cosa facesse
il biondo
che non vedeva da un anno, come proseguissero le cose tra lui e la
rossa, poi
preferiva rimanere nel limbo fatto di spezzoni delle conversazioni con
le
amiche, le poche chiacchiere di circostanza alle sporadiche
rimpatriate,
fingendo che non le importasse della sua presenza. Non era ancora
pronta ad
affrontarlo di nuovo.
Le altre non
sapevano
la verità, mai gliel'avrebbe rivelata e aveva pregato Ryou
di non dire nulla:
la faccenda tra loro e Ichigo sarebbe rimasta tale, non serviva che il
biondo
spezzasse il cuore anche alle ragazze e rovinasse il loro rapporto con
la
rossa.
La storia
tra Retasu
e l'americano, alla fine, si era arenata, e il ragazzo era tornato sui
suoi
passi di adolescente; era la versione ufficiale che tutti conoscevano
– sebbene
la verde fosse convinta di non averla data a bere né a
Keiichiro né a Zakuro,
ragion per cui la mora si era fatta un po' più fredda verso
la nuova coppietta
– perciò lei sapeva che nessuno l'avrebbe
asfissiata troppo in quella data
particolare, concedendole un po' di solitudine.
Tra lei e la
sua
amarezza la casa era fin troppo affollata.
La verde
inspirò a
fondo e guardò fuori dalla finestra la sera avanzare serena,
sospirò ancora e
indossata la giacca decise di concedersi una gustosa cena a base di
carne al
quartiere coreano, per andare a dormire con la pancia piena e l'umore
magari
appena migliore.
Forse l'anno
dopo si
sarebbe alzata la stessa mattina volendo solo uscire di casa. Forse si
sarebbe
vista con qualcuno, magari avrebbe incontrato qualcuno. Forse non
avrebbe
ripensato a Ryou, al suo amore e a quanto fosse stata stupida e crudele
verso
se stessa al punto di detestarsi.
Forse,
l'anno dopo, i
ricordi avrebbero fatto meno male.
~ ☼ ~
Come
accennavo
all'inizio, un piccolo esperimento. All'inizio dovevo trattare le
vicende in
modo più "classico" spiegando gli eventi, però
alla fine mi sono concentrata
su un POV Retasu che ha generato un (vaghissimo) pseudo-flusso di
coscienza con
la punteggiatura ^^""… Se non son strane non le vogliamo xD!
Mi
sto rendendo conto
che sembra sia incapace di partecipare a contest senza creare cose
simil o
completamente tristi TwT… Qualcuno promuove un bel contest
"viva il fluff
fluffiamo a tutto spiano only Tarurin" per favore?! *piangnucola* Scusa
Reta-chan!
NOTA:
la dicitura
"what if?" ero incerta se metterla (visto che si tratta di eventi
successivi alla trama originale, quindi non ne modificano le basi), ma
visto
che faccio comunque qualche accenno ad eventi che succedono/non
succedono (a
seconda che si segua la trama del manga o dell'anime) ho preferito
essere
puntigliosa (siamo in gara stiamo attenti per benino che poi mi tirano
le
orecchie come l'ultima volta perché faccio bischerate nelle
intestazioni xP)
Ringrazio
tutti coloro
che vorranno leggerla e chi mi lascerà un pensiero, un bacio
a tutti e
Mata ne ~♥!
Ria