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Autore: Emmastory    15/11/2019    5 recensioni
Dopo essersi unita al suo Christopher nel sacro vincolo del matrimonio, Kaleia è felice. La cerimonia è stata per lei un vero sogno, e ancora incredula, è ancora in viaggio verso un nuovo bosco. Lascia indietro la vecchia vita, per uscire nuovamente dalla propria crisalide ed evolvere, abituandosi lentamente a quella nuova. Memore delle tempeste che ha affrontato, sa che le ci vorrà tempo, e mentre il suo legame con l'amato protettore complica le cose, forse una speranza è nascosta nell'accogliente Giardino di Eltaria. Se avrà fortuna, la pace l'accompagnerà ancora, ma in ogni caso, seguitela nell'avventura che la condurrà alla libertà.
(Seguito di: Luce e ombra: Essere o non essere)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Capitolo XXXII

Gli spiriti della foresta

Il vento si era calmato, la tempesta era cessata, e ora c’eravamo solo noi. Christopher ed io, entrambi sul ponte che portava al Giardino. Troppo triste per sorridere, rimasi a guardare mentre altri rosei petali cadevano, e ad occhi bassi, ascoltavo il costante e continuo sciabordio dell’acqua del fiume. Veloce, la corrente trascinava con sé quei poveri petali strappandoli alla vita, e per un solo istante, mi pentii di aver usato la magia. A dire il vero non avevo scelto di farlo, era sfuggita al mio controllo a causa delle mie emozioni, che ora cupe e non più positive, sembravano avere effetto su qualsiasi cosa avessimo intorno. Grazie al cielo la natura non soffriva, e in silenzio, non osavo parlare, concentrando l’energia magica altrove, verso il mio centro, così che anche accidentalmente, non potesse più far danni. Sospirando mestamente, spostai lo sguardo dal letto del fiume al viso di Christopher, che con la sua mano sulla mia, a sua volta sembrava non aver parole. “Non vuoi proprio restare?” mi chiese, premuroso e sicuro che una passeggiata fra quell’erba mi avrebbe fatto bene. “No.” Risposi soltanto, negando con la testa e tornando a osservare il paesaggio che avevo di fronte. Semplice, colorato, pieno di vita e sempre uguale, come in una fotografia. Da qualunque angolo la osservassi, sempre la stessa. Acqua che scorreva, rane che gracidavano, di tanto in tanto qualche coniglio e il suo simpatico zigare, ma ora come ora, solo il cupo silenzio dell’attesa scandito proprio dai suoni della natura. Non riuscivo a crederci. Era il mio elemento, fonte di vita mia e del mondo intero, ma nonostante tutto non riuscivo a gioirne. Presa dallo sconforto, abbassai ancora gli occhi, fissandoli sul legno del ponte che tuttavia non percorrevamo. Fermi nello stesso punto da quelle che sembravano ore, sia io che Christopher non abbiamo davvero voglia di muoverci, e l’aver assistito a una sorta di tragedia non aiuta. Ora come ora, il pensiero di Sky e Noah separati continua a tornarmi alla mente, e dopo un tempo indefinibile, da parte mia una sola decisione. “Andiamo a casa, dai.” Poche parole sussurrate a un vento fermo, a bassa voce così che solo il mio amato potesse sentirmi, un desiderio che lui non ebbe cuore di negarmi. Annuendo, mi prese per mano, e tristi e sconsolati, ripartimmo.  Fra un passo e l’altro, cercai di alleggerire quella così cupa quiete abbozzando un sorriso, e come se mi leggessero il pensiero, anche i miei bambini fecero lo stesso, ma per uno sporadico momento, mi parve di vedere qualcos’altro. Una luce come tutte le altre volte, certo, ma stranamente di un colore diverso dal solito. Non azzurra, non rosea, ma rossa. Seppur spaventata, tacqui quella scoperta, e istintivamente più vicina a Christopher, camminai più piano. Per quanto ne sapevo, il Giardino attorno a noi era pieno di meraviglie, e negatività o meno, avevo intenzione di godermelo. Sforzandomi di apparire tranquilla, volsi nuovamente lo sguardo altrove, e fu allora che li vidi. Fiori dai petali color dell’oro, un albero dai frutti rossi e succosi simili a lamponi, e poco più in là, in una buca sapientemente scavata nel terreno da uno dei tanti animali selvatici che lo popolavano, provviste di ogni tipo, dai frutti alle foglie, forse già mangiucchiate o forse conservate per un pasto futuro. A giudicare da ciò che osservai, probabilmente il bottino di un jackalope, di una volpe, o forse di un semplice e affamato coniglio. A quella vista, sorrisi,e solo allora, un ricordo di Bucky mi si affacciò nella mente. Padre da ormai qualche tempo, aveva ben sei cuccioli a cui badare, e tenuta sveglia dai miei pensieri, potevo giurare di aver sentito lo scalpiccio delle sue esili zampette propagarsi per tutta la foresta. Avanti e indietro, avanti e indietro, continuamente, e solo per dare il meglio di sé nel prendersi cura della sua famiglia. Attenta quanto lui, la compagna Darlene lo aiutava come poteva, e pur non avendola mai vista lasciare il nido se non per brevi periodi, potevo immaginare che prendersi cura di ben sei piccoli non fosse uno scherzo. Pensosa, ipotizzai che avessero ormai raggiunto i due mesi, e che stavano lentamente imparando cosa fossero l’indipendenza e l’autonomia, carpendo ogni lezione possibile proprio dai genitori, adulti esperti nell’arte della sopravvivenza. Nati ad Eltaria, i piccoli erano fortunati, e al solo ricordo dei loro squittii, mi lasciai sfuggire una risata. Confuso, Christopher si fermò a guardarmi, e in risposta scossi il capo, lasciando cadere l’argomento. Senza dire altro, ripresi a camminare, e tornata all’unico sentiero nel bosco che ci avrebbe ricondotti a casa, sentii il mio ciondolo agitarsi e poi brillare, e i miei poteri farsi subito più intensi. Stando ai miei trascorsi, non era la prima volta che succedeva, ma almeno allora, non sapevo cosa quel picco di energia significasse. Stordita da quell’improvvisa tensione, mi appoggiai a lui in cerca di supporto, e veloce, Christopher mi cinse un braccio intorno alle spalle. “Tranquilla, sarà il cambio d’ambiente.” Disse, il tono calmo e rassicurante. Sorridendo debolmente, accettai quelle parole senza proteste, e poco dopo, nel fitto della foresta che era e sarebbe stata la mia dimora, un suono basso e soffocato, al mio udito vagamente simile ad un pianto. Avanzando lentamente, mi portai un indice alle labbra non chiedendo che silenzio, e proprio lì, nella parte più fitta della boscaglia, qualcosa di totalmente inaspettato. L’uno accanto all’altro, due esemplari di Arylu. Un adulto e un cucciolo, uniti in una sorta di commovente abbraccio destinato a sciogliersi come neve al sole, specialmente quando con un altro passo scoprii la verità. Colpita, stentai a crederci, ma guardando meglio, notai subito del sangue. “Santo cielo, Chris, guarda…” sussurrai, sconvolta. Incuriosito, anche lui seguì il mio sguardo, e con muto sconcerto, mi lasciò la mano. “Poveri, una madre e il suo piccolo. Come credi sia successo?” non potè evitare di chiedere, incredulo. “Non lo so, ma di sicuro non è naturale, poche ferite sanguinano tanto.” Risposi appena, più concentrata sul cucciolo che sulla madre. Tenero e indifeso, restava vicino al suo corpo senza vita, e mossa a compassione da quel tentativo di risvegliarla da un sonno che non comprendeva, ricacciai indietro alcune lacrime, e avvicinandomi, provai a parlargli. “Ciao, piccolino. Mi dispiace, sai? Immagino che ti proteggesse, ma ora che non c’è più, se vuoi posso essere io la tua mamma.” Biascicai appena, parlando gentilmente e accarezzandogli il pelo dalle focature azzurre. A quell’ultima parola, l’animaletto drizzò le orecchie, e agitando la coda, cercò rifugio fra le mie braccia. Non avendo frequentato una scuola come ora facevano Lucy e sua sorella, non c’era molto che sapessi sulle creature magiche diverse da quelle naturali come scoiattoli o volpi, ma avevo sempre sentito dire, sia dalle anziane che da mia madre Eliza, che per ognuna arrivava presto o tardi il momento di scegliere, e a quanto sembrava, quel piccolo e dolce Arylu aveva scelto me. Felice, dischiusi le labbra in un sorriso, e rimettendomi in piedi, mi battei una gamba per richiamarlo a me. Incerto, il cucciolo si guardò indietro, e con gli occhietti fissi sulla madre che gli appariva addormentata, si esibì in un goffo ululato simile a un lamento, e voltandosi, decise di seguirci. Di lì a poco, un tempo apparentemente fermo riprese a scorrere, e tornati a casa solo al calare del buio, Chris ed io ci preparammo per andare a letto, e dopo la cena, già al sicuro sotto le coperte, indicai al cagnolino un posto in cui dormire. Una cuccia improvvisata da un cuscino che non avremmo usato, e che presto avremmo sostituito con una vera e propria. Poco prima di chiudere gli occhi, ci abbracciamo e augurammo la buonanotte, ma ore dopo, nella più tetra oscurità, mi risvegliai sentendo una voce. “Come ti sei permessa…” mormorò, in tutto simile al sibilo di un serpente. “A-A fare cosa?” chiesi, emulando quel tono e sperando che il mio ora dormiente Christopher non riuscisse a sentirmi. “A restare con lui tanto a lungo, giovane fata. Abbiamo chiuso un occhio sulla tua insistenza, ma adesso guardati. Non solo innamorata, ma perfino incinta, in attesa di un miracolo che nessuno spiegherà mai. Siamo stati pazienti, ma ora che vuoi coinvolgere altre creature noi non siamo più d’accordo.” continuò, per poi concludere quella frase con un ennesimo sussurro. Impietrita, guardai la mia immagine riflessa nello specchio, e pur non notando nulla di diverso dal normale, non mancai di accorgermi di quella stessa luce. Rossa, sinistra, forse perfino malvagia, che mi gelò il sangue nelle vene. Disgustata da ciò che vidi, scossi la testa infinite volte, e poi, tenendomela fra le mani, piansi. “No… no… non hanno fatto niente! La colpa di tutto questo è mia, non loro! Non sono neanche nati, abbiate pietà! Di loro e di Chris, ve ne prego!” risposte che diedi con la voce spezzata e rovinata dalle lacrime, e che per poco non si trasformarono davvero in grida disperate. Tristissima, mi scossi nei singhiozzi, e allarmato, lo stesso Christopher finì per svegliarsi. “Kia, stai… stai piangendo? Che succede?” azzardò, confuso e stranito dal sonno. Muta come un pesce, provai ad aprire la bocca e parlare, ma prima che potessi farlo, riecco quella dannata voce, a cui ora parevano essersene aggiunte altre. “Sì, Kaleia, che è successo? Avanti, prova a spiegarglielo. È tuo marito, tu lo ami, non dovrebbe essere difficile, vero? Lasciaci indovinare, hai paura?” diceva, prendendosi gioco di me in quella posizione di così vulnerabile stallo. Scuotendo il capo, tentai di scacciarla, e senza volerlo, ricorsi anche ad uno scoppio di magia che illuminò a giorno la stanza, e svegliato da tanto rumore, anche il dolce Arylu ai piedi del mio letto parve mettersi in ascolto. Seduto composto, ma a labbra ritratte in un ringhio sordo. Come Christopher, che ancora mi fissava senza capire, anche lui cercava di proteggermi, ma che fare? Come spiegare a lui, a entrambi, quello che era appena accaduto? Ero certa che sarebbero rimasti lì a guardarmi, a chiedersi di cosa stessi parlando, o a dubitare della mia sincerità. Attonita, guardai Chris, e respirando a fondo, mi decisi. “Tesoro, io… noi dobbiamo…” biascicai, non trovando le parole adatte a esprimermi. “Kia, calma. Respira e sta calma. Sono qui e ti ascolto, non c’è nessuno, vedi?” rispose lui, posandomi una mano sulla spalla e incoraggiandomi mentre tremavo come una bestiola spaventata. “Ti sbagli, Chris, ti sbagli. Sono le voci, sono tornate e mi hanno parlato, e forse faranno del male ai bambini. Dobbiamo andar via di qui, capisci? Restare è pericoloso, non posso permettere che…” lunga e interminabile, una risposta e una spiegazione che diedi solo in parte, poiché improvvisamente, lui riuscì a zittirmi. A mia completa insaputa, un bacio aveva già unito le nostre labbra, e arrendendomi a lui, lo lasciai fare senza oppormi. Il nostro fu un contatto dolce, sincero, colmo della passione che ci univa e che non mancavamo di mostrare, di fronte alla quale mi scioglievo ogni volta. “Kaleia, tesoro, basta. Ho sentito abbastanza, va bene? La situazione è grave, ma c’è ancora qualcosa che possiamo fare.” Mi disse non appena ci staccammo, serio come mai prima. “Ossia?” azzardai, con il cuore in tumulto e le membra funestate dai dubbi. “Provare a contattare Marisa. Mi avevi già parlato di queste voci, e per quanto ne so lei e sua madre sono le uniche a parlare agli spiriti della foresta.”  

 
   
 
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