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Autore: ChiiCat92    16/11/2019    3 recensioni
"« Sarò molto chiaro con te: ho bisogno che fingi di essere il mio ragazzo per il pranzo del Ringraziamento. Un paio d'ore con la mia famiglia, puoi mangiare tutto il tacchino che vuoi, qualche smanceria ogni tanto, e poi ognuno per la sua strada, che ne dici? »"
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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15/11/2019


Fake Boyfriend



« Sarò molto chiaro con te: ho bisogno che fingi di essere il mio ragazzo per il pranzo del Ringraziamento. Un paio d'ore con la mia famiglia, puoi mangiare tutto il tacchino che vuoi, qualche smanceria ogni tanto, e poi ognuno per la sua strada, che ne dici? »

Mi fanno male le guance a furia di sorridere, il sorriso più largo e incoraggiante che riesco ad appiccicarmi sulla faccia. Il ragazzo seduto di fronte a me sgrana un po' gli occhi, il tempo di processare l'informazione, poi si alza e se la da a gambe.

E con questo fanno cinque ragazzi disposti a partecipare ad uno Speed Date ma non a venire con me a quello stracazzo di pranzo del Ringraziamento.

Fa niente, era anche brutto, il suo naso non mi convinceva fino in fondo.

Sbuffo e mi appoggio al tavolo. È unto per le schifezze che devono aver servito durante la serata. Considerando il motivo per cui il locale è pieno adesso non stento a immaginare la qualità del cibo: pessima, come gli avventori.

Devo essere veramente disperato per venire in una bettola del genere avanzando assurde richieste.

La verità è che io un ragazzo ho già detto di averlo. Non ne potevo più del cicaleccio di mia sorella, di mia madre, delle cugine (tutte disgraziatamente femmine nelle mia famiglia, a parte me), frementi per i preparativi del pranzo.

"Il tuo ragazzo ci sarà, JJ?"

"Finalmente ce lo presenterà!"

"Perché non ci parli di lui, JJ?"

Alla fine l'ho fatto, ho cominciato a parlare di lui. Inventandomelo da capo a piedi. Chiunque l'avrebbe fatto, continuo a ripetermelo per non sentirmi stupido. Volevo solo sfuggire alla delusione delle loro aspettative, e mi sono cacciato in un guaio più grosso.

« Sei proprio un coglione, JJ. » mi ritrovo a mugolare, gettando la testa all'indietro.

Poi avverto il rumore della sedia che struscia contro il pavimento lurido: qualcuno si è seduto al mio tavolo.

« Senti, amico, per stasera ho chiuso. » bofonchio, senza guardarlo. Avrei dovuto alzarmi anch'io quando l'altro ragazzo se n'è andato. Ho la nausea per il volteggiare di visi e corpi nella sala, è una danza di patetica disperazione e non voglio più farne parte.

« Io ci sto. » la voce è vellutata e gentile, troppo per appartenere a qualcuno venuto per uno Speed Date.

« Cosa? »

« Ci sto. A quella cosa del pranzo. Ci sto. »

Mi do il permesso di guardarlo, adesso.

Il ragazzo seduto composto, la gamba a cavallo, ha capelli scuri, portati indietro con una carezza di gel, che scoprono un viso leggermente asimmetrico ma per questo straordinariamente piacevole da guardare; gli occhi sono grigio ferro, così scuro da risucchiare la luce; un naso dritto, dai tratti arabi; la carnagione è color miele, eccitante da immaginare nuda. Un nodo mi stringe lo stomaco.

« Mi hai spiato, per caso? » non so neanche perché glielo sto chiedendo, forse per prendere tempo, o forse perché vedo spie della mia famiglia in ogni angolo della sala. E dire che ho scelto un locale nei sobborghi proprio per allontanarmi dalla movida che mia sorella e le sue amiche frequentano di solito.

« No, però la voce che cercavi un fidanzato finto si è sparsa per tutta la sala. »

Non è un caso che il mio sguardo incroci quello di un ragazzo che corre verso l'uscita come se avesse appena ucciso qualcuno. È il tipo di prima, è stato lui a dirlo in giro.

Di nuovo mi ritrovo a sbuffare, indignato da me stesso e dalla mia scarsa attenzione ai dettagli. Avrei dovuto offrire una ricompensa in denaro a chi decideva di aiutarmi. Anche se così sarebbe stato ancora più patetico. Non pensavo che sarei riuscito a toccare il fondo del fondo, devo aver raggiunto un qualche record.

« Sì, effettivamente cerco un...accompagnatore. » ho l'impressione di stare facendo un colloquio di lavoro. Le mani intrecciate sul tavolo, l'aria pretenziosa, come se il ragazzo qui non fosse la mia ultima (e unica) speranza. « E tu saresti disposto a venire con me al pranzo perché…? »

Lui si stringe nelle spalle, la più spontanea e divertente reazione che riesco a immaginare, tanto che mi sento sorridere, per la prima volta durante quella serata di merda, sinceramente.

« La mia famiglia non festeggia il Ringraziamento, e ne ho abbastanza di mangiare curry. Può andare bene? »

Allora i lineamenti del suo viso non ingannano, deve essere arabo o qualcosa del genere. Un orientale, sexy, esotico, a mia madre andrà di traverso il vino.

« Sì che va bene. » gli porgo la mano per stringere la sua, come a suggellare il contratto di lavoro. « Io sono JJ. Cioè, Jake Junior in realtà, ma tutti mi chiamano JJ, immagino che anche il mio fidanzato deve farlo. »

Lui sorride, gli viene fuori una bella fossetta sulla guancia quando lo fa. « Amahl. Quanto sono razzisti i tuoi? »

« Lavori in un ristorante kebab? »

« Sono ingegnere. »

« Perfetto. »


*


Sono un po' nervoso, nel senso che sto per vomitare, sudore freddo mi scorre copioso sulla schiena, e mi formicolano le mani. Questa è la definizione di "un po' nervoso", no?

Mi sembra di aver messo troppo profumo perché la nausea mi assale ad ondate.

Musica natalizia ad un volume da stordimento impregna tutta casa. Anche se la porta della stanza è chiusa riesco comunque a sentire le vibrazioni.

Jingle qua, jingle là, Santa Claus sta arrivando. Dio, vomiterò sul tappeto.

Mi guardo allo specchio un'ultima volta prima di gettarmi nella bolgia infernale che è questa casa stasera.

Ho le pupille così dilatate da far sembrare l'iride nera. Se non fossi un così bravo ragazzo (è quella che i parenti dicono essere la mia qualità migliore) si direbbe che mi sono strafatto di qualche droga, invece è solo la paura a ottenebrarmi i sensi.

Amahl è uno studente provetto, deve essere per questo che è diventato ingegnere di uno studio privato così in fretta e alla sua età. Ha memorizzato il nome di mia madre, delle zie e dei loro compagni, di mia sorella e del fidanzato, dei nonni, ad una velocità tale da stupirmi.

Nel giro di un pomeriggio sembrava davvero in grado di superare il pressure test della mia famiglia senza stillare una goccia di sudore.

È anche un discreto attore, e se la capacità di improvvisazione non lo abbandona all'improvviso potremmo farcela davvero.

Devo solo essere cauto e spiegare con delicatezza perché non ho mai parlato prima del mio fidanzato egiziano. Probabilmente la scelta migliore è insinuare la problematica razziale e tutta quella merda di "chissà cosa penserà la mia mamma". Già essere gay è dura, ma essere gay e uscire con qualcuno di diversa etnia e religione? Mamma capirai che mi sono trovato in imbarazzo con me stesso!

So perfettamente che mia madre è una di quelle con la frase "non sono razzista ma…" sempre sulla punta della lingua, quindi non oserà ribattere, non in presenza di Amahl almeno, e abbiamo in programma di rimanere appiccicati per tutto il tempo. Quando lui se ne sarà andato sarà libera di farmi tutte le domande che vuole: tanto non lo rivedrò mai più.

Siamo stati abbastanza chiari su quel punto, Amahl non cerca una relazione, e io devo concentrarmi sulla tesi. Questa sera sarà solo un gioco, poi chi si è visto si è visto.

Un respiro profondo, un rapido ripasso mentale ai dettagli della nostra relazione e sono pronto ad andare in scena.

Al piano di sotto è già tutto un chiacchierare che esclude gli uomini, in minoranza, raccolti in un angolo del salotto con bicchieri di whiskey in mano. Le donne ciarlano per lo più di cose che non possono permettersi, di cose che le infastidiscono, di cose che non hanno voglia di fare ma fanno per forza perché la società è sessista.

Quando mi vedono scendere le scale il volume del loro chiacchiericcio si abbassa.

Mia sorella mi guarda in tralice, gli occhi socchiusi come se cercasse di mettermi a fuoco. Prima che possa dirmi qualcosa, però, il campanello suona.

All'improvviso la nausea mi lascia e riesco a raggiungere la porta su piedi leggeri, come se stessi correndo sui carboni ardenti.

Amahl è vestito bene ma non troppo, con un dolcevita color crema e un completo grigio perla che si abbina ai suoi occhi.

Ci scambiamo una rapida, imbarazzata occhiata, poi sento le articolazioni sciogliersi e il mio corpo muoversi senza il mio controllo.

« Ciao amore! » cinguetto, gioviale. Mi alzo sulle punte per baciarlo, perché in piedi è più alto di me di almeno dieci centimetri, e poi gli prendo la mano.

« Ho portato una bottiglia di vino rosso, spero che vada bene. » dice lui, fingendosi timido. È così che sono i fidanzati quando vanno la prima volta a casa dei genitori, no?

« Ma certo! Vieni, diamola a mamma. »

Lo trascina dentro, lui non oppone resistenza.

Anche quando sboccia il caos intorno a lui riesce a padroneggiare la situazione. Sono i piccoli dettagli che lo rendono un finto fidanzato perfetto. Il modo in cui, di tanto in tanto, mentre parla con mia madre mi cerca con uno sguardo, anche quando non stanno parlando di me, come mi cinge la vita quando siamo vicini, discreto ma possessivo, come ride ricordando aneddoti che abbiamo inventato meno di due giorni fa ma che devono sembrare il vissuto di un anno di relazione.

Più lo guardo, più il profilo dritto del suo viso mi sembra familiare. Ho l'impressione che le cose che ci siamo inventati siano successe davvero.

Arrivo a chiedermi se sarebbe così se stessimo insieme davvero, o se il vero Amahl è tutta un'altra persona e non quella che abbiamo costruito per la mia famiglia.

Le domande imbarazzanti e indiscrete non mancano, ma Amahl non ha nessun legame emotivo con queste persone, né intende averle, e riesce a rispondere come se niente fosse, con simpatia e arguzia ammirabili

Mi arriva una gomitata mentre Amahl racconta di come ha ottenuto il suo lavoro allo studio.

Mi volto verso mia sorella, che mi guarda come se fossi un alieno.

« È un buon partito. » dice, forse invidiosa, considerando che il suo ragazzo non riesce e mettere insieme due neuroni neanche impegnandosi. Ma lei non l'ha scelto per l'intelletto, l'ha scelto perché è un meraviglioso esemplare di maschio americano.

« Lo so, grazie. » le rispondo, e così mi perdo la battuta di Amahl, che fa ridere la zia zitella più di quanto sia legittimo.

« State insieme da un anno? » indaga, con quei due occhi cattivi e scuri, sempre pronti a denudarti per la pubblica umiliazione.

« Non ci piacciono le etichette, ci siamo frequentati per un bel po' senza definirci una coppia. » come da copione, Amahl dirà lo stesso a mia madre mentre la aiuta a portare i piatti in cucina (il classico trattamento riservato ai fidanzati).

« Perché non mi hai detto niente? »

La mia sorpresa è del tutto sincera, non ho bisogno di simularla. « Amy, sinceramente a te non direi neanche che mi hanno sparato. »

Lei non si indigna, perché mi odia quanto la odio io, anche se la differenza tra noi è che io me ne sono fatto una ragione, lei non riesce a capire come mai non la trovi amabile e dolce come tutti gli altri membri della famiglia.

« Ma almeno questo avresti dovuto dirmelo. Abbiamo parlato di fidanzati prima d'ora, e anche quando usciva fuori la discussione tu non hai mai detto una parola. »

« Te l'ho detto. » sospirando, perché la trovo un po' stupida, forse frequentare David alla fine ha fatto instupidire anche lei. « Non era una vera relazione, ci siamo decisi da poco, okay? »

« Okay. »

Amahl mi prende la mano, che avevo lasciato sul tavolo, e intreccia le nostre dita. Non mi volto di scatto verso di lui perché sembrerebbe una reazione anormale, ma non mi aspettavo che lo facesse. Per di più l'ha fatto mentre discute con le zie, senza guardarmi, come fosse naturale tra noi. È davvero bravo, forse dovrei pensare di pagarlo sul serio.


Verso le 16, dopo il caffè e l'amaro, finalmente Amahl ha il permesso di alzarsi da tavola per andare a casa.

Lo accompagno alla porta ma ondeggio per il vino e il cibo.

La tensione si è diluita così in fretta da tramutare la nausea in fame in un attimo. Non penso di aver mai mangiato così tanto.

Satollo e soddisfatto mi sembra di essermi tolto un enorme peso dal petto, cammino a tre metri dal suolo. O forse è solo il bicchiere di liquore che parla.

So che tutta la famiglia ci fissa, per questo spingo Amahl fuori dalla porta, mentre lui sta ancora salutando con affetto, e la chiudo alle nostre spalle.

Sul patio, troppo esposti ad orecchie indiscrete, non diciamo una parola, ci teniamo per mano come adolescenti gongolando per la riuscita della giornata.

Lo accompagno lungo il vialetto, dove sembrerà che cerchiamo di salutarci con un po' di intimità, dal momento che sicuramente Amy ci sta guardando dalla finestra della cucina.

« Sei stato grande. » gli getto le braccia al collo. Dobbiamo anche fingere, ma almeno possiamo parlare. Lui mi cinge la vita, i petti schiacciati l'uno contro l'altro, il mio respiro è il suo.

« Tua madre cucina molto bene, ne è valsa la pena. »

« Dovresti tentare la carriera dell'attore, perché oggi ti sei meritato un oscar. »

« Grazie, grazie. » si sporge a baciarmi. Non è il primo bacio che ci siamo scambiati, alcuni sono stati rapidi e imbarazzati, altri più intensi, ma tutti distaccati. Questo...questo ha un sapore diverso, più intenso e con retrogusto di caffè.

Quando si allontana mi guarda, stordito, ma riesco a fingere che non sia successo niente.

« Spero che non ti abbiano offeso, sono stati abbastanza carini tutto sommato. »

« A parte lo stupore di tutti quando detto del mio master in multimedia e management. »

« Che dire, non sono razzista, ma… »

Scoppiamo a ridere e lui scioglie l'abbraccio. Allontanarmi da lui è strano. Mi manca già, mi mancherà per tutta la vita, la sensazione è così affilata che me ne sento trapassare.

« Allora...ciao? » non era così intenzionale l'inflessione interrogativa, me ne vergogno adesso.

« Sì, ciao. » risponde lui, atono. Muove qualche passo verso la sua macchina, le mani infilate nella giacca, e sto quasi per tornare in casa quando lui si volta. « Pensi di essere libero a Capodanno? »

« P-perchè? » non voglio che schiacci il moscerino della mia speranza, lo sento ronzare con insistenza e so quanto possa essere fastidioso.

« Avrei bisogno di un finto fidanzato per il cenone. »

Cerco di impedirmi di sorridere ma non ci riesco, le labbra mi rendono all'insù in automatico.

« Ci sto. »

La fossetta sulla guancia è adorabile.

Torno in casa con la testa leggera, e per una volta l'infinito parlare dei miei parenti non mi disturba.

Ho un finto fidanzato.


   
 
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