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Autore: ChiiCat92    16/11/2019    0 recensioni
"Una cosa che Kadaj non sopportava era la pietà. Anche se in realtà non conosceva quella parola sapeva perfettamente individuarne i segni sulle facce delle persone.
Era pietà quella del fruttivendolo che gli aveva messo tra le braccine un sacchetto di mele, era pietà quella della signora che all'uscita del supermercato gli aveva dato un panino e una barretta di cioccolata. Pietà, pietà, pietà."
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aeris Gainsborough, Kadaj
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Advent Children
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16/11/2019


Caramelle



Una cosa che Kadaj non sopportava era la pietà. Anche se in realtà non conosceva quella parola sapeva perfettamente individuarne i segni sulle facce delle persone.

Era pietà quella del fruttivendolo che gli aveva messo tra le braccine un sacchetto di mele, era pietà quella della signora che all'uscita del supermercato gli aveva dato un panino e una barretta di cioccolata. Pietà, pietà, pietà.

A Kadaj non piaceva e soprattutto non ne aveva bisogno. Sapeva cavarsela perfettamente da solo.

Essere un bambino in un mondo pieno di pietosi adulti era difficile, tutti pensavano di sapere cos'era meglio per lui, tutti dicevano che lui non capiva, che era per il suo bene. Tutti giocavano con lui come fosse una realistica, calda bambola, e tutti poi lo abbandonavano.

Quando si era stufato di essere portato avanti e indietro, passando da una casa all'altra con snervante ciclicità, aveva preso le sue cose ed era scappato. Qualcuno gli aveva insegnato a calcolare il tempo, anche se non ne aveva totalmente la percezione, e poteva dire con certezza che erano passati cinque mesi da quando viveva da solo.

Non aveva idea se lo stessero cercando o se fossero contenti di essersi finalmente liberato di lui, ma non gli interessava. Non voleva una famiglia, non voleva fingere di amare, e non voleva essere costretto a vivere nella pietà.

Odiava, odiava quegli sguardi, odiava il calore che emanavano, odiava le attenzioni che ne scaturivano.

Scosse la testolina, i capelli argentei erano sporchi, i vestiti che indossava cominciavano a risentire della vita in strada. L'autunno scivolava morbido verso l'inverno. L'aria si era fatta più fredda, la notte arrivava prima e in fretta, le persone erano diventate diffidenti tutte avvolte nelle loro sciarpe e giacche.

Anche Kadaj aveva una sciarpa, un grande scialle blu di lana dentro cui si acciambellava di notte. Presto, però, non sarebbe più stato sufficiente a tenergli caldo. Doveva rendere il suo rifugio più confortevole.

Sporse il visino fuori dallo scatolone che era la sua casa e diede una guardinga occhiata fuori, nel vicolo. Aveva costruito il suo nido dietro un cassonetto in disuso in un vicolo tra due palazzi altissimi. Le finestre che davano sul vicolo erano tutte al altezze che gli facevano venire mal di testa e fili da bucato erano tesi da un lato all'altro come cordoni ombelicali di plastica. Di tanto in tanto qualche vestito cadeva giù, Kadaj aspettava un paio di giorni prima di impadronirsene: non poteva permettersi che qualcuno lo scoprisse, lì, nel suo castello di cartone, per cui doveva accertarsi che nessuno rivendicasse l'indumento prima di prenderlo per sé. Era così che aveva ottenuto la sciarpa, la cosa più pulita e fresca che gli era capitato di stringersi addosso da settimane. Strano che non l'avessero cercata, ma era certo che nessuno fosse entrato nel vicolo. Meglio per lui.

Piegò la sciarpa con attenzione, facendola diventare un cubetto morbido di stoffa e la spinse in un angolo dello scatolone, seppellendola poi con vecchi giornali. Poi uscì.

L'aria era frizzante e il cielo coperto di nuvole, forse avrebbe piovuto, anche se Kadaj sperava di no: il suo rifugio non era a prova d'acqua e lo sgocciolare continuo lo teneva sveglio, per non parlare del freddo e dell'umido. Doveva trovare un ombrello, avrebbe fatto al caso suo.

La missione di oggi era: un ombrello. Lo stomaco mandò un ringhio di dolore. E cibo, un ombrello e cibo.

Sgattaiolò fuori dal vicolo tenendo la testolina bassa. Aveva scoperto che se camminava veloce fissandosi i piedi la gente non lo guardava né si faceva domande. Domande tipo, cosa ci fa un bambino di sei anni da solo a quest'ora di notte? Perché è vestito di stracci? Perché è così magro?

Di solito lo lasciavano stare se sembrava sapere dove andare e cosa fare. Il trucco stava nel fatto che lui sapeva davvero dove andare e cosa fare.

Ogni giorno si svegliava presto e decideva quali erano le priorità. Quella persistente era ovviamente il cibo, che diventava difficile procurarsi senza insospettire gli adulti.

Kadaj aveva scoperto un panificio che tutte le mattine gettava nel cassonetto sul retro il pane avanzato dal giorno prima. Non sembrava una cosa legittima da fare dal momento che il fornaio si guardava intorno come un ladro prima di gettarlo, e per questo Kadaj era sicuro che non sarebbe tornato a controllare neanche se avesse qualche strano rumore.

In quel momento era diretto lì, a passo svelto, prima che qualcun'altro degli abitanti della strada si impossessasse del carico del cassonetto. Poteva succedere a volte, e gli abitanti della strada non erano pietosi come gli adulti. Potevano essere violenti e pericolosi.

Kadaj rabbrividì al pensiero, il pericolo non gli faceva paura, perché era un bambino coraggioso, ma gli metteva addosso un certo disagio.

Le scarpine in cui si ostinava a infilare i piedi cominciavano a fargli male, stavano diventando piccole per lui ma non aveva ancora trovato un posto dove trovarne delle altre, quindi stringeva i denti e continuava a camminare. Era importante avere scarpe ai piedi, scarpe vere, gli adulti potevano ignorare i dettagli più grossi, dandosi delle spiegazioni adeguate per non essere costretti ad agire, ma le piccole cose fuori posto li facevano scattare. E Kadaj non voleva che si interessassero a lui, che chiamassero la polizia, che lo costringessero a lasciare il suo rifugio.

Quando sentì il profumo del pane pizzicargli il naso lo stomaco gli si strinse dolorosamente, mentre la bocca si riempì di acquolina. Si guardò intorno, incerto, e poi si infilò nel vicolo. Sperò che nessuno l'avesse visto e il cuoricino prese a palpitargli in petto, il passo si fece frettoloso.

Il cassonetto della panetteria aveva sempre il coperchio chiuso, Kadaj era troppo minuscolo per sollevarlo agevolmente, per questo perse venti minuti buoni stando in punti di piedi su una cassa di plastica per tirarlo su.

Il pane vecchio di un giorno era buono come quello fresco, o comunque per lui lo era. Arraffò un paio di panini dolci che avrebbe mangiato subito, e un filone croccante che avrebbe tenuto per i prossimi giorni: quel tipo di pane si conservava bene. Non poteva prendere con sé troppa roba o sarebbe sembrato strano senza un sacchetto di qualche tipo, e la sua borsa di tela si era strappata qualche giorno prima, mentre scappava da una volante. Per pura gola prese una busta di plastica lucida piena di grissini, poi se la filò: aveva già rischiato abbastanza.

Uscì dal vicolo sbocconcellando un panino dolce, del tutto simile a quelli freschi che stavano esposti nella vetrina della panetteria, o a quello che aveva in mano un bambino come lui, appena uscito dal negozio, infagottato fino al collo con la mamma che lo trascinava.

Kadaj lo guardò con odio, un ringhio sulle labbra, mentre il bambino, nel suo lusso di bambagia, a malapena lo mise a fuoco.

Schizzò dall'altra parte, più velocemente che poté, nel timore che il bambino potesse dire alla madre di averlo visto.

Il cuore in gola, i piedi che pulsavano di dolore, sudore freddo contro il vento frizzante del mattino.

Quando i polmoni non riuscirono più a sostenere quella corsa era arrivato al parco. Non si era neanche accorto di aver preso quella direzione. Per un attimo godette dell'ombra degli alberi e della sicurezza che gli comunicavano le loro chiome scure contro il cielo. I rami erano strettamente intrecciati tra loro come mani di innamorati e Kadaj non poteva fare a meno di chiedersi che cosa sarebbe successo se avessero smesso di toccarsi. Sarebbero caduti? Sarebbero morti?

Lo starnazzare delle anatre attirò la sua attenzione. Aveva preso più pane di quanto potesse mangiarne da solo, magari poteva concedersi di gettare qualche briciolina agli anatroccoli, gli piacevano così tanto…

Camminò saltellando contento verso il laghetto. Un paio di vecchietti con sacchetti di pane raffermo sfamavano le anatre che si accalcavano tutte verso di loro in un frullare d'ali bianche. Erano come lui, cercavano di sopravvivere un altro giorno, di mangiare abbastanza per sentirsi, almeno una volta, sazie.

Si accucciò per terra, le ginocchia al petto, e pianino sbriciolò qualche grissino tra le mani, attento a non far cadere neanche una briciola. Un anatroccolo giallo si avvicinò a lui, starnazzando sottovoce. Sembrava indeciso se avvicinarsi o meno e allora Kadaj lanciò qualche briciola nell'acqua. L'anatroccolo si tirò indietro fischiando, spaventato, ma poi tornò ad avvicinarsi quando si rese conto che si trattava solo di briciole. Ne becchettò qualcuna, facendosi sempre più vicino, e Kadaj lo guardò con occhi sgranati di stupore.

« Ciao. » sobbalzò penosamente al suono di quella voce, un panino, e tutte le briciole, caddero nell'acqua. Il tonfo spaventò l'anatroccolo che nuotò via alla massima velocità consentita dalle zampette palmate.

Prima di arrabbiarsi per il pane perso, Kadaj alzò gli occhi.

Una ragazza vestita di rosa, profumata come un campo di fiori, gli stava sorridendo.

La guardò con diffidenza, soprattutto perché non scorse segni di pietà nei suoi occhi.

« Ti ho fatto cadere il pane, mi dispiace. » si scusò la ragazza.

Kadaj lanciò un'occhiata al panino che si gonfiava d'acqua. Presto sarebbe stato assalito dalle anatre più grandi, ancora impegnate con gli anziani. Si strinse nelle spalle, scuotendo la testa. Era una perdita fastidiosa ma non irrimediabile.

« Ecco qui, per farmi perdonare. » la ragazza gli porse una caramella dall'involucro colorato.

Battendo le palpebre Kadaj si chiese se fosse una trappola. Anche senza famiglia, senza madre, l'atavico, genetico terrore degli sconosciuti che offrivano caramelle era pressante in lui.

La lingua accarezzò il palato, cercando di ricordare quand'era stata l'ultima volta che aveva mangiato una caramella e allora la prese, quasi strappandola di mano alla ragazza.

Lei gli rivolse un sorriso dolce, ma lui non aveva intenzione di mangiarla lì.

« Mi chiamo Aerith, e tu? »

Le rivolse uno sbuffo in risposta, gli occhietti verdi corsero di lato per valutare le sue vie di fuga. Avrebbe potuto urlare se si fosse sentito in pericolo, qualcuno sarebbe accorso e avrebbe approfittato della confusione per scappare via.

Aerith apparve accondiscendente e si tirò su (fino a quel momento era stata piegata in avanti per essere quasi alla sua altezza).

« Ti va qualcosa da mangiare? Un panino al prosciutto, magari? » Kadaj sentì un sibilo sfuggirgli tra le labbra. Se la ragazza pensava che fosse stupido solo perché era un bambino si sbagliava di grosso. Poi lei le indicò il chioschetto di panini alle sue spalle. « Il mio ragazzo lavora lì, scommetto che ti sarebbe volentieri qualcosa. »

« Un ombrello. » disse lui, pragmatico. La carta della caramella scricchiolava tra le sue manine.

La ragazza sollevò le sopracciglia brune, sorpresa. Una strana richiesta per un bambino così piccolo, da solo, ed evidentemente denutrito.

« Sì, credo...credo che possa dartene uno. »

Kadaj scartò la caramella senza togliere gli occhi di dosso alla ragazza. Se la infilò in bocca portandola prima al naso per accertarsi della sua dolcezza zuccherina. Poi ebbe un brivido di piacere. La ragazza gli sorrise ancora.

« Vuoi anche qualche altra caramella? »

Il bambino rifletté. Con l'ombrello poteva anche smettere di andarsene a zonzo e pensare solo a riempirsi la pancia. La ragazza non sembrava pericolosa, il genere di pericolo di cui di solito erano avvolti gli adulti, in più non sembrava provare pena per lui, né pietà. Di solito non rischiava di parlare con qualcuno che avrebbe potuto denunciarlo alla polizia, ma al chioschetto vendevano hot dog, e lecca-lecca a forma di spirale.

« Sì. » rispose.

La ragazza annuì e lo precedette dandogli le spalle. Quello era il momento perfetto per scappare, dato che era distratta, ma Kadaj si disse che poteva rimanere un altro po'.

Il sapore della caramella era dolce in bocca.

   
 
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