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Autore: Vanclau    17/11/2019    1 recensioni
È quando l'oscurità si fa più fitta che la luce risplende più fulgida. Proprio per questo, nell'ora più tetra dell'umanità, sette fiaccole ardono intense come guide degli uomini; sette spade, sette ragazzi uniti da un destino comune, sette Altari del passato che riemergono nel futuro per scrivere un'altra volta le pagine dei libri di storia.
Genere: Fantasy, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La voce della guida continuava a risuonare tra le quattro mura del museo praticamente deserto, mantenendo la stessa tonalità per ogni frase, tanto da renderla probabilmente la cosa più noiosa che Julius avesse mai sentito. Il ragazzo neanche riusciva più ad ascoltarla, finendo spesso con il distrarsi mentre lo sguardo vagava senza meta tra i vari dipinti appesi alle pareti, e soffermandosi solo un po’ di più sulla spada arrugginita che giaceva quasi abbandonata nella propria teca.

La donna, il cui compito sarebbe stato quello di spiegare alla scolaresca tutto quel che potevano vedere all’interno della stanza dove si trovavano, non aveva sprecato una sola parola per quell’arma, come se non esistesse, ma più gli occhi di Julius finivano sul vetro che separavano la lama dai visitatori più ne sembrava attratto, e di certo la reputava più interessante di tutto il resto.

Il colpo arrivò così inaspettato che per poco non gli scappò un urlo per la sorpresa e il dolore al fianco, lì dove per un singolo istante gli si era impiantato il gomito della ragazza che gli stava di fianco e alla quale Julius riservò un’occhiataccia. «Guarda che mi hai fatto male!» disse in un sibilo sperando che nessuno a parte la diretta interessata lo sentisse.

«Se non stai più attento, il professore si arrabbierà di nuovo» fu la pronta risposta sussurrata di Victoria. «E se non ti interessa potevi anche rimanertene a casa.»

«Se avessi potuto lo avrei fatto» borbottò lui di rimando, tornando a guardare la guida che continuava imperterrita a parlare, ma senza che riuscisse veramente a capire cosa stesse dicendo. Ormai aveva completamente perso il filo del discorso.

«E conoscendoti te ne saresti rimasto a giocare con il computer, come tuo solito.»

Julius si limitò a sorridere, sapendo che in fin dei conti era la verità. Victoria lo conosceva fin troppo bene, e del resto era una cosa anche comprensibile siccome erano ormai fidanzati da due mesi. Julius ancora faticava a credere che fosse passato tanto tempo, quando per tutti i suoi diciassette anni di vita non aveva mai veramente suscitato l’interesse di nessuna ragazza, né si era mai impegnato per apparire più affascinante. Non che non si curasse del proprio aspetto, ma le relazioni non gli erano mai veramente interessate, almeno finché Victoria non era arrivata nella sua scuola appena tre mesi prima. Era stato un vero e proprio colpo di fulmine, tanto che neanche lui inizialmente aveva capito cosa realmente provasse nei confronti della ragazza dai lunghi capelli di un rosso talmente acceso che al vento potevano apparire come fiamme danzanti, e di certo non capiva cosa Victoria avesse trovato in lui per sceglierlo come proprio fidanzato. Non era né il più bello della scuola né il più intelligente, detestava lo sport e praticare praticamente ogni attività fisica, e gli unici veri campi in cui eccelleva erano i videogiochi e le leggende. Appassionato da sempre a entrambi, si poteva definire quasi il classico nerd che conosceva tutto su tutti i giochi per pc e console usciti, così come non c’era leggenda della quale non avesse appreso nulla. Sicuramente tali passioni non lo avevano reso il più popolare tra i ragazzi, eppure Victoria per prima, appena trasferitasi, gli si era avvicinata e dopo un mese stavano già insieme. La vita era davvero strana, aveva pensato Julius in quel momento.

Julius aprì la bocca per parlare, ma un colpo di tosse alle sue spalle lo bloccò. «Bene, se Klein e Morrison hanno finito la loro litigata da sposini, potremmo anche continuare la gita.» La voce del professor O’Brian risuonò ironica alle orecchie del ragazzo, che si passò quasi involontariamente la mano destra tra i corti capelli biondi prima di voltarsi verso l’uomo, sentendo su di sé gli sguardi divertiti dei suoi compagni di classe che decise di ignorare.

«Ci scusi professore, stavamo solo decidendo i dettagli del matrimonio» fu la risposta pronta, alla quale alcuni ragazzi non riuscirono più a trattenersi scoppiando a ridere. Non tutti, però, e la cosa dispiacque un po’ a Julius che rincarò la dose. «E dovevamo decidere a chi mandar l’invito, lei sarebbe interessato?» A quell’ultima domanda, anche i più seri non riuscirono a trattenersi dall’emettere diversi suoni divertiti. L’unico a non sembrare minimamente toccato dal sarcasmo del ragazzo era proprio O’Brian.

«Molto divertente Klein. Se non è di disturbo ai preparativi del matrimonio, che ne dici di vederci più tardi a scuola? Ovviamente solo se il grande giorno non è oggi.»

Julius Klein sospirò. «Dovrei controllare la mia agenda ma credo di essere libero.» Nel dire quelle parole si voltò verso Victoria che, durante tutto il proseguire della discussione era sempre più arrossita, tanto che le guance parevano aver assunto la medesima colorazione dei capelli. Julius trovò divertente quell’espressione imbarazzata, mentre la ragazza sembrava avere l’intenzione di volatilizzarsi nel nulla.

La visita al museo riprese normalmente, almeno per i compagni di classe di Julius, mentre quest’ultimo continuava a non prestare attenzione alla guida continuando a perdersi in diversi pensieri per la maggior parte sconnessi tra loro, finché finalmente non decisero di passare a un altro punto dell’edificio facendolo camminare di fianco alla teca che tanto aveva suscitato il suo interessa. L’iscrizione del cartello descriveva brevemente la spada limitandosi a dire che era un’arma risalente alla fine del quinto secolo e null’altro, sorvolando sull’identità del suo proprietario.

L’anno di appartenenza non sorprese più di tanto il giovane, che ovunque si voltasse poteva vedere dipinti che ritraevano particolari avvenimenti proprio di quel periodo, eppure l’anonimato della lama e la sua condizione gli davano da pensare, e per molti motivi diversi.

«A quanto pare sei nei guai questa volta» commentò con tono ironico Victoria quando furono fuori dal museo alla fine della gita, e dopo aver salutato gli altri ragazzi mentre ognuno prendeva la sua strada verso casa. «Non credo che riuscirai a cavartela solo con il tuo sarcasmo.»

Julius sospirò. «Non capisco come tu faccia sempre a cavartela in questo modo.» Incrociò le braccia e chiuse gli occhi come se stesse realmente tentando di trovare una risposta a quella domanda, al motivo per cui solo lui era stato convocato dal professore. Quando riprese a guardare la ragazza, sembrava avesse avuto una qualche sorta di illuminazione e le si avvicinò. «Non è che per caso mi tradisci con O’Brian?»

Victoria scoppiò a ridere. «Credi davvero che io possa tradirti?» disse cercando di tornare seria, senza troppi risultati positivi.

«Eppure sono sempre io quello che viene convocato dal professore, tu riesci sempre a evitarlo. Ci deve essere un motivo!»

«Forse è solo perché anziché mostrarti dispiaciuto non fai altro che rispondere con il tuo solito sarcasmo, non credi?»

«Dici che è solo per questo? Eppure tutti mi trovano divertente!»

«Non saprei dirti se ridono per le tue battute o se invece ridono semplicemente di te» commentò lei posandogli una mano sulla spalla. «Ora comunque ti conviene andare o il professore sarà ancora più arrabbiato.»

Julius alzò le spalle sconsolato, prima di salutarla e prendere la strada verso la scuola. Tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans, digitando rapidamente il numero di casa. «Nonno? Sono io, oggi farò un po’ tardi» comunicò rapidamente con l’unico familiare che gli era rimasto al mondo. Ormai viveva con suo nonno da circa cinque anni, da quando i suoi genitori erano morti in un incidente d’auto, e sin dai primi anni della sua adolescenza era stato un punto di riferimento per il ragazzo. La sua passione per le leggende gli era stata trasmessa proprio da quell’uomo e dai suoi innumerevoli racconti.

«A quanto pare il professor O’Brian vuole parlarmi a scuola, forse questa volta l’ho proprio fatto arrabbiare» continuò a spiegare. «Comunque torno per cena.» Finita la chiamata, ripose il cellulare e guardò davanti a sé con occhi risoluti. Sapeva già di cosa l’uomo gli voleva parlare, non era difficile da intuire, e già sapeva come rispondergli.

 

O’Brian sedeva comodamente su una poltroncina nera il cui colore stava sbiadendo, leggermente girata rispetto al tavolo ovale situato al centro della piccola aula dove gli insegnanti solitamente restavano quando non avevano lezioni da svolgere; sulle gambe il libro che era stato appena chiuso quando Julius era entrato dopo aver bussato un paio di volte sulla porta già aperta per annunciare la sua presenza. Non c’era nessun altro a parte loro due, seppur non bisognava stupirsene considerando l’orario delle lezioni già terminato, e il ragazzo era convinto che il professore già sapeva che si sarebbero trovati da soli per poter parlare di argomenti che non potevano e non dovevano essere ascoltati da altri.

«Allora?» fu la semplice domanda posta dall’uomo che, sebbene stesse raggiungendo solo la quarantina, sembrava più vecchio con i capelli già quasi completamente grigi se non per qualche striatura dell’originale color nero pece.

Julius non ebbe neanche bisogno di interrogarsi su quel che intendesse O’Brian con quella sola parola espressa con tono interrogativo. «Non saprei» iniziò a dire senza riuscire a trattenere una lieve indecisione. «Potrebbe essere, ma potrei anche sbagliarmi. I ricordi sono sempre più confusi e le sue condizioni non aiutavano certo nell’impresa.»

O’Brian sospirò. «Julius» disse con un tono di rimproverò misto a un qualcosa di simile alla rassegnazione. «Hai davvero prestato attenzione o hai solo perso tempo con Victoria?»

A quelle parole Julius si sentì colpito nell’orgoglio. «Non sottovalutare la mia serietà» disse guardando il suo interlocutore con occhi di sfida. «Credo ci siano buone possibilità che sia quella, ma senza aver avuto modo di vederla bene da vicino, o anche solo toccarla, non posso dirlo con assoluta certezza.»

«Capisco» commentò l’uomo. «Vorrei ringraziarti per il tuo aiuto, anche se la mia iniziale richiesta rimane valida, e spero tu voglia accoglierla.»

Julius infilò la mano destra nella tasca dei jeans e scrollò le spalle con fare disinvolto e veramente poco interessato. «E la mia risposta non è cambiata, non voglio immischiarmi in questa faccenda.»

«Non mi hai ancora dato una motivazione per il tuo rifiuto.»

«Non credo ci sia molto da motivare, vorrei semplicemente che la mia vita non venisse completamente stravolta da tutto questo.» Dopo aver finito di parlare si voltò per avviarsi verso l’uscita, fermandosi solo al sentire di nuovo la voce dell’uomo.

«Forse credi di non essere all’altezza di quanto ti si richiede?»

Julius non rispose, uscendo dall’aula senza più sentire la voce di O’Brian, sperando che tale gesto facesse capire all’uomo che non voleva più saperne nulla di quella storia. Aveva adempiuto alla promessa fatta, quel che poi sarebbe accaduto non gli interessava.

Raggiunse Victoria che lo attendeva fuori dall’edificio con due caschi in mano; Julius ne prese uno e tirò fuori le chiavi del motorino, togliendo la catena e infilandosi la protezione sulla testa, imitato dalla ragazza. «Ti ha di nuovo rimproverato, dunque?» chiese lei con un sorriso divertito.

«Ormai ci sono abituato.» Non gli piaceva mentire a Victoria, avrebbe voluto che tra loro in quella improvvisa relazione che si erano ritrovati ad avere non ci fossero segreti, ma non poteva e non voleva coinvolgerla. Sinceramente non sapeva neanche se gli avrebbe creduto, cosa di cui dubitava fortemente; persino lui faticava ancora a crederci, anche se la realtà gli era stata praticamente sbattuta in faccia all’inizio di quell’anno scolastico, quando O’Brian era arrivato come nuovo insegnante. Dopo aver messo in moto il mezzo e aver sentito le braccia di Victoria che gli avevano circondato i fianchi, accelerò immettendosi sulla strada per accompagnarla a casa.

Mentre sentiva il vento sferzargli il viso e il rumore del motore in parte attutito dal casco che gli copriva le orecchie fu quasi certo di aver sentito una voce giungere da un luogo remoto. Non apparteneva a Victoria e gli sembrò quasi di udirla non con le orecchie ma con la mente, come fosse un ricordo arrivato all’improvviso, dimenticato da molto tempo e riemerso solo in quell’istante. La voce, difficile stabilire se fosse maschile o femminile, diceva solo una parola: «Excalibur.»

 

L’editoria cartacea era un’industria che stava lentamente morendo, sempre più sostituita da e-book e altre nuove invenzioni nel campo elettronico che sembravano mirate al non costringere gli appassionati di lettura a portarsi dietro grossi volumi se volevano leggere qualcosa, ed Edgard comprendeva molto bene la continua ricerca del progresso che il genere umano da sempre perseguiva. Si trovavano nel venticinquesimo secolo, d’altronde, e sia in campo scientifico che in quello spaziale l’umanità aveva fatto passi da gigante arrivando a sviluppare tecnologie che poco più di un secolo prima sarebbero parse quasi da fantascienza; lui stesso aveva scelto di seguire un corso di laurea come quello dell’Ingegneria Aerospaziale e, un giorno magari, entrare nella NASA con la speranza di vedere da vicino tutto quel che per il momento poteva solo leggere in articoli di giornale e di diverse riviste scientifiche. Però, nonostante il continuo progresso che da oltre due secoli continuava per il genere umano, alcune vecchie abitudini erano rimaste invariate, o almeno così accadeva per il quasi ventenne parigino che comunque si ritrovava a preferire il cartaceo ai vari sistemi tecnologici per leggere un romanzo o sfogliare una rivista. Gli piaceva sentire la carta sotto i polpastrelli mentre sfogliava le pagine, la cui ruvidità fungeva per lui anche come una sorta di antistress quando era nervoso per un qualsiasi motivo.

Mentre rincasava dopo aver seguito alcune lezioni e visitato una libreria, con il suo nuovo acquisto sotto braccio già pregustando l’idea di isolarsi completamente nella lettura, si alzò improvvisamente un inusuale vento freddo per quel periodo di fine primavera, come se tutto il freddo che quell’inverno non c’era stato si fosse riversato in un unico luogo, costringendo il giovane a fermarsi e stringersi meglio nel leggero giacchetto di jeans che vestiva sopra a una t-shirt bianca con il simbolo di una band rock che aveva iniziato ad acquisire notorietà proprio in quegli ultimi mesi.

Guardò il display del cellulare, voltandosi verso la direzione da cui il vento sembrava soffiasse e sospirò. «Sembra che ormai il tempo stia per finire» fu la sua semplice affermazione. «Forse è il caso di accelerare i tempi» terminò quel breve monologo accelerando il passo fino a raggiungere il portone del condominio dove aveva preso un piccolo monolocale in affitto e che riusciva a pagarsi lavorando part-time con le consegne a domicilio di una pizzeria del quartiere. Appena entrò nell’appartamento la prima cosa che riuscì a notare fu la finestra aperta e le luci spente, inusuale per uno che era solito sia chiudere tutto sia dimenticarsi di spengere le luci, e come si aspettava una figura già si trovava seduta sull’unica sedia della stanza, un bicchiere vuoto dove prima poteva esserci stata della birra tenuto da una mano tremante, difficile stabilire se per l’età avanzata che dimostrava o per quanto rischiava di accadere.

«Mi chiedevo quando ti saresti ripresentato» lo salutò Edgard, aggiungendo a quelle parole un breve cenno della mano come se fosse nella normalità ritrovarsi qualcuno in casa pur vivendo da solo.
   
 
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