Crossover
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Autore: Registe    17/11/2019    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 34 - Zexion (V)







I tralci di spine di Marluxia





La stanza era come l’aveva vista l’ultima volta; i libri erano ancora ordinati in maniera quasi maniacale, lo scrittoio illuminato dai raggi della luna che filtravano attraverso la vetrata e l’odore salmastro ancora pronto ad impregnarne ogni palmo. L’enorme letto era ancora dove lo ricordava, in un angolo sacrificato rispetto a qualsiasi altro mobile accatastato in mezzo a tutto quel bianco. Due anni prima aveva messo piede lì dentro nascondendosi dietro le spalle larghe del Superiore con gli occhi fissi sul pavimento; l’odore dell’abitante di quella stanza conteneva mille storie, parlava di guerra e di paura. Aveva osservato con curiosità una mappa del cielo appoggiata sull’enorme scrivania intarsiata chiedendosi come una creatura della famiglia demoniaca potesse trovare interesse in qualcosa che non fosse la mera magia selvaggia o la caccia agli esseri umani. In quel luogo il Superiore aveva deciso delle loro vite.
Zexion appoggiò le dita contro i volumi posti nella libreria bianca.
Non lesse i titoli.
Li sfiorò con i polpastrelli uno ad uno, da un’estremità all’altra dello scaffale.
Poi tornò indietro.
La maggior parte era in pelle di capra o vitello, di un profumo debolmente agre che riusciva a sopravvivere dopo aver trascorso oltre due secoli di silenzio tra le mura di quel Castello. Alcuni erano composti da pagine rilegate a malapena e tenute insieme da cuciture che probabilmente sarebbero saltate se vi si fosse soffermato troppo a lungo con la mano.
Amava i libri. Li aveva adorati fin da quando riuscisse a ricordare. Gli avevano sempre dato l’idea che vi potesse trovare tutto ciò di cui sentisse la mancanza.
Forse per quel momento si era ritrovato lì: aveva aperto il portale senza pensare a dove volesse davvero andare, guidato solo dal bisogno di potersi scrollare di dosso l’odore deformato di suo zio. Avrebbe potuto ritrovarsi in qualsiasi luogo esistente, anche ad un pianetino a migliaia di parsec dalla loro posizione, eppure parte del suo subconscio aveva tirato i fili della magia oscura fino a quel luogo.
Sentiva gli occhi di Saïx. Li sentiva su di sé insieme alle schegge di vetro dell’ampolla che gli aveva spaccato sulla faccia ed all’odore tossico di quel sonnifero.
Ogni parte del suo corpo si era intrisa dell’odore della sua morte, e con essa la consapevolezza di essere stato lui a causarla. Lui, e la sua scelta di difendere suo zio dalla più brutale delle morti. Si strinse ancora di più nel cappotto, fissando i volumi nella speranza che i titoli vergati in nero ed oro potessero catturare la sua attenzione quanto bastasse per non pensare anche solo per una manciata di minuti. Le lettere, però, sfuggivano dalla sua testa senza ancora che riuscisse a dare loro un senso compiuto, limitandosi a scintillargli davanti alle iridi ed a volare via. Aprì un tomo a caso, uno dalla copertina verdastra in apparenti buone condizioni, ma anche così i suoi occhi non lessero nemmeno una riga e lo ripose con rabbia.
Cercò di riprendere fiato e fissare il vuoto oltre la vetrata, ma nello scintillio gli parve di vedere il sorriso triste del Superiore.
Forse la verità era che aveva tradito tutti … senza aver salvato nessuno. Nessuno, nemmeno se stesso.
Respirò, ma non vi era un singolo odore all’interno del Castello che potesse considerare “amico” a parte quello che proveniva dalle lenzuola abbandonate e dai libri che lo fissavano, come se tutto il Castello volesse stringersi intorno a lui e fossero rimaste le mura di quella stanza a fargli da rifugio. Gli venne da piangere, ma le lacrime non arrivarono.
Si accorse di star pensando a Demyx ed alla sua espressione attonita quando li aveva lasciati indietro: lui e Luxord erano stati abbastanza furbi da non seguirlo in quel carnaio, e fu l’unico pensiero rassicurante nel turbine di quelli che gli serravano la bocca dello stomaco. Erano ancora nel loro vecchio mondo, probabilmente in attesa di una chiamata del Superiore che non sarebbe arrivata mai più.
Era suo dovere avvertirli. E sì, forse anche guardarli negli occhi e dare loro una spiegazione. Poi … “poi” qualcosa sarebbe accaduto. Qualsiasi cosa.
Fu a metà dell’apertura del portale oscuro che si voltò. Il nuovo arrivato si era teleportato nella sua stanza senza fare alcun rumore. “Andiamo da qualche parte, Zexion?”
Quell’odore.
Quanto lo odiava quell’odore. Portava la morte, e lo sentì diretto contro di lui.
Provò ad articolare qualcosa, ma dalla sua gola ne uscì soltanto un suono privo di forma; si voltò con tutta la lentezza possibile nella speranza di non incrociare ancora una volta quegli occhi blu.
“Se fossi in te chiuderei quel portale. Non mi piace che la gente mi si teletrasporti davanti, lo trovo un segno di pessima educazione”.
Il profumo di rosa del n. XI gli entrò dentro la testa. Fu come concedere ad un tralcio di spine di stringergli il cervello e si portò le dita alla testa per contenere il dolore. Il portale abortì in pochi istanti e con due falcate l’altro gli fu addosso. Zexion provò ad indietreggiare, ma l’altro lo afferrò per manica e lo spinse contro la libreria. Evitò un volume caduto per un soffio, ma non fece in tempo a riprendere fiato che la lama rosa della falce di Marluxia gli saettò contro la gola. “Non mi sono dimenticato della tua piccola soffiata al Superiore quando diedi a quei bastardi dei Durlyn quello che si meritavano. Certo, adesso non ci sono Xigbar e Xaldin dietro cui nasconderti …”
“Io non …”
La lama premette ancora di più. Dentro la testa qualsiasi cosa graffiava, ed i polmoni si contraevano come se qualcosa li stesse accoltellando.
“Non ti ho dato il permesso di rispondermi, n. VI. E vorrei un attimo di silenzio da parte tua, non vorrei che si creassero … malintesi” mormorò. Scostò la lama verso l’alto, ed il ragazzo fu costretto a sollevare il mento. “Sai, il Superiore aveva un debole per te. Eri il figliolo debole e stupido che scodinzolava ad ogni sua minima parola. Soffrirebbe persino nella tomba se ti facessi a pezzi adesso, ed in effetti sono parecchio tentato. A giudicare dalla tua espressione credo che nemmeno a quella vecchia mummia di Vexen importerebbe poi gran che”.
Provò a respirare, anche solo ad aprire la bocca, ma la falce intercettò anche quel minuscolo movimento. L’odore salmastro della stanza di Saïx venne totalmente annullato da quello dolciastro e feroce dell’uomo che aveva davanti. Tentò di ricacciare le lacrime, ma la lama sotto la gola non gli permise nemmeno quello. Non ebbe bisogno di aprire gli occhi per sentire quanto il suo pianto eccitasse il predatore. “Siamo alle lacrime del coccodrillo, Zexion? In effetti ti donano, magari un imbecille come Axel potrebbe persino commuoversi”.
Sorrise, e rimase in silenzio per qualche secondo.
Quando riprese la voce assunse un tono molto più dolce e mellifluo. “A proposito, sono quasi convinto che il nostro compianto Superiore sarebbe davvero molto addolorato se accadesse qualcosa anche ai numeri IX e X, o sbaglio? Illuminami, Zexion. Perché vedi … ora che le Stanze della Memoria sono aperte qualcuno armato di malvagie intenzioni potrebbe raggiungerli con un portale anche senza conoscerne l’esatta locazione. Magari qualcuno che troverebbe molto divertente l’idea di finire il lavoro”.
“Loro non …”
Li sentì crescere dal legno della libreria, ma l’arma rosa lo ricacciò indietro ed i due tralci gli furono al collo. D’istinto sollevò le mani per rimuoverli, ma se le ritrovò bloccate a mezz’aria.
I rami strinsero.
“Zexion, tu parli troppo per i miei gusti. Ti preferivo quando eri solo il pupazzo cerebroleso del n. IV. Gradirei finire di parlare …”
Il ragazzo aprì la bocca per prendere aria, ma la morsa si serrò e uscì solo un verso inarticolato. I polmoni gli andarono a fuoco per lo spasmo e anche gli odori si affievolirono.
“Lo Spirito del Castello è tornato al suo sonno dopo averci prestato i suoi poteri, ma ho intenzione di chiedergli una seconda volta. In maniera definitiva, s’intende. Lo Spirito si è dimostrato davvero ben disposto nei nostri confronti, direi che liberarlo sarebbe il modo migliore per ottenere la sua gratitudine, non trovi?”
Zexion si contorse dalla testa ai piedi, ma Marluxia non diede cenno di velocizzare la sua agonia. Con la mano libera giocherellò con i pendenti argentati della tunica, ma senza alcuna fretta. “Lo Spirito ci ha chiesto di cercare informazioni sull’Invocazione Suprema per risvegliarlo. Ho fatto delle ricerche, e la biblioteca non è stata avida. Il procedimento non è né rapido né semplice ma … credo che lavorando tutti insieme otterremo dei risultati sorprendenti. Dovremo coinvolgere una quantità notevole di persone estranee al Castello, ed i tuoi poteri potrebbero rivelarsi … utili. O almeno è quello che mi piacerebbe pensare. Tu sei d’accordo?”
L’aria gli venne meno. Il mondo divenne ovattato, ed il bianco della libreria divenne in pochi istanti grande come tutta la sua stessa vita.
Aveva quasi perso del tutto conoscenza quando i tralci che gli bloccavano i polsi ed il collo si ritrassero nel mobile; si portò le mani alla gola, afferrando l’aria un gorgoglio strozzato che nulla aveva della sua stessa voce. Dove i rami erano affondati contro la pelle ed i muscoli sentì un violento bruciore, ma nonostante il dolore sentì i suoi polmoni dilatarsi come se nulla vi fosse di più importante. Marluxia scostò la punta della falce quanto bastò per farlo cadere a terra, in ginocchio. Non vi era muscolo del corpo del ragazzo che non implorasse per un po’ d’aria, ma dopo i primi, disperati respiri gli odori tornarono. Davanti ai suoi occhi confusi comparve la forma di una rosa rossa e della mano che pigramente gliela agitava proprio davanti al naso, per schernirlo. “Sono felice che tu abbia deciso di accettare, n. VI. Sarei stato davvero dispiaciuto se avessi deciso di andartene, sai?”
Zexion non provò nemmeno a ribellarsi quando l’altro appoggiò il fiore proprio tra i suoi capelli, ogni minuscola parte di lui che ancora bruciava per riuscire a sopravvivere. Il buffetto che il n. XI gli appoggiò sulla guancia bruciava come mille fiamme infernali. “Ricordati, posso trovarti ovunque tu sia. E lo stesso vale per i numeri IX e X. Che io vada da loro, magari in compagnia di Larxen, dipende tutto da quanto farai il bravo bambino” sorrise, e tutto il suo profumo floreale si espande nella stanza come delle spore. Un portale si aprì alla sua destra, e vi entrò con il passo fermo, gli occhi che non lasciarono i suoi nemmeno per un istante “Appuntamento alla sala dei troni tra un’ora, Zexion. Mi raccomando, renditi presentabile. Hai davvero una brutta faccia”.
Inspirò, poi espirò.
Inspirò di nuovo, tre volte, finché nella sua gola la fame d’aria non venne placata.
Poi gridò, ma nessuno gli rispose.
 
 
 
Narratore: “Oddio, davvero ce l’abbiamo fatta? La prossima volta vediamo l’epilogo?”
Registe: “Sì, Narratore, stavolta sì. Anche se questo finale non ci piace per niente …”
Narratore: “Ah, a voi non piace? E che devo dire io, che mi sono sgolato per narrarlo. Beh, almeno sono felice di vedere per una volta Vexen e Zexion nella mer …”
Registe: “Narratore, sei insensibile!”
Narratore: “E voi due siete due inique tiranne che non accettano che i loro personaggi preferiti litighino. Fossero morti capire! Ma suvvia, una litigata ed uno schiaffo, placatevi! Va bene, amici lettori ed adorate lettrici, qui si va dritti con coraggio verso la fine. Non mancherò di deludervi nemmeno stavolta!”
  
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