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Autore: Vanclau    17/11/2019    1 recensioni
È quando l'oscurità si fa più fitta che la luce risplende più fulgida. Proprio per questo, nell'ora più tetra dell'umanità, sette fiaccole ardono intense come guide degli uomini; sette spade, sette ragazzi uniti da un destino comune, sette Altari del passato che riemergono nel futuro per scrivere un'altra volta le pagine dei libri di storia.
Genere: Fantasy, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La giovane riaprì lentamente gli occhi e tornando ad ascoltare la voce dell’insegnante, pur sapendo che oramai aveva perso del tutto il filo del discorso. Ultimamente le capitava fin troppo spesso di addormentarsi in classe o sui mezzi pubblici, sentendosi addosso una stanchezza dovuta alle numerose notti insonne di quell’ultimo periodo.

Thea ci provava seriamente ad addormentarsi dopo cena, ma i continui incubi continuavano a farla risvegliare in maniera costante per tutta la notte, e quello era il risultato. Ancora non ne capiva l’origine, pur avendo cercato di informarsi su internet e dalla sua psicologa, apprendendo che un incubo poteva essere causato da qualche avvenimento traumatico, brutti ricordi o un film particolarmente pauroso e dipendendo anche dal suo carattere. Thea però non le sembrava di aver mai vissuto esperienze che le avevano causato un qualche trauma e i film horror tendeva a evitarli non essendo il suo genere preferito, quindi proprio non riusciva a spiegarsi le immagini di morte e distruzione che continuavano a popolare i suoi sogni. Alle volte, le era stato detto, non doveva per forza esserci un motivo come accadeva con qualsiasi altro sogno, ma il ritrovarsi costantemente nello stesso orribile scenario per diverse notti consecutive le aveva messo addosso una sensazione di inquietudine cui non era abituata.

Per un attimo le era sembrato che l’insegnante si fosse voltata a guardarla, come accorgendosi del suo pisolino, ma senza dire niente in proposito; intimamente Thea la ringraziò, sapendo che essere tra gli studenti con i voti più alti della classe le poteva portare quei piccoli privilegi. Non che fosse sua abitudine dormire in classe, e cercava sempre di prestare la massima attenzione ai professori, ma per quel che ogni notte si ritrovava a passare si convinse che un po’ se lo poteva permettere.

Quando anche l’ultima lezione della giornata finì, Thea si preparò per uscire dall’istituto e andare all’ennesima visita dalla psicologa, forse il momento di quelle giornate che più le produceva sentimenti contrastanti in fondo all’animo. Da una parte si ritrovava sempre in imbarazzo ad ammettere che fosse in cura da una psicologa, e cercava di tenerlo nascosto il più possibile, dall’altra la donna sulla cinquantina le stava simpatica con il suo carattere allegro e gioviale, e anche il modo in cui aveva predisposto lo studio le piaceva molto. Inoltre, per quello che era il suo sogno nel cassetto, anche dover andare dalla psicologa almeno tre volte a settimana le era fonte di grande ispirazione. Thea era fatta così, riteneva che ogni possibile esperienza, brutta o bella, imbarazzante o eccitante, potesse aiutarla a raggiungere l’obiettivo che ormai da un paio d’anni si era prefissata.

La prima cosa che notò quando uscì all’aria aperta fu il vento che doveva essersi alzato durante la mattinata e di cui non aveva potuto rendersene conto con le finestre dell’aula chiuse e nessun albero che potesse intravedersi; era un vento freddo, fin troppo per trovarsi quasi a metà Giugno anche per un Paese che l’anno precedente, e solo grazie al riscaldamento globale nel quale si ritrovava da diverso tempo l’intero pianeta, aveva sfiorato a malapena i venti gradi in Agosto. Guardò il display del cellulare, dove oltre all’ora locale figurava un’altra cifra che andava a indicare la temperatura di Copenaghen. Leggere quel “nove” espresso in gradi la lasciò sorpresa, non riuscendo a ricordare un anno dove a Giugno avesse mai fatto così freddo, ma cercò di non pensarci stringendosi meglio nel cappotto viola e infilando le mani, già guantate con spessi guanti di lana, nelle tasche. Faceva freddo, doveva ammetterlo, e non riusciva a spiegarsi per quale motivo quelle basse temperature la preoccupassero tanto.

La meteorologia non era mai interessata granché a Thea, che a malapena guardava le previsioni del tempo la mattina giusto per sapere se dovesse portarsi un ombrello, ma non era la prima volta che si sentiva in qualche modo preoccupata per eventi che solitamente non avrebbero dovuto suscitare in lei simili sensazioni, e ancor più inspiegabile era che fino a quel giorno non si fosse mai sbagliata a preoccuparsi, come avesse uno spiccato senso del pericolo, anche quando non la riguardava direttamente. Quando era piccola, ricordava benissimo, si era svegliata di notte infilandosi nel letto dei suoi genitori, le lacrime che non volevano fermarsi, impaurita da qualcosa che non sapeva cosa fosse. Sua madre aveva pensato a un incubo, cercando di rincuorarla, ma in cuor suo Thea sapeva che si tratta di qualcos’altro e la mattina dell’indomani aveva scoperto che il padre della sua migliore amica era morto per un infarto fulminante; due anni prima, invece, aveva avuto una strana sensazione mentre si trovava a scuola, sentendosi preoccupata per qualcosa di non ben definito e dopo essere tornata a casa aveva scoperto che quella mattina un aereo partito da meno di un’ora era scomparso nel nulla; dopo sei mesi, nuovamente, una percezione di profonda tristezza la portò a farle lacrimare gli occhi facendole scoprire che il mezzo era stato finalmente ritrovato sul fondale dell’oceano, completamente in pezzi e senza sopravvissuti. Anche per altri avvenimenti si era ritrovata ad avere strane percezioni, facendola giungere alla conclusione che non poteva trattarsi di una semplice coincidenza. Questo era quel che più la spaventava per quei sogni, temendo che in qualche modo fossero collegati a quella sua particolare “capacità”, come l’aveva definita. Non le era però mai capitato addirittura di vedere il futuro, e anche se credeva nell’esistenza del soprannaturale riteneva impossibile che la sua capacità la portasse a essere addirittura una veggente.

Arrivò davanti il portone del palazzo che ospitava lo studio senza neanche accorgersene, fermandosi prima di passare oltre ed esitando sulla soglia. Più volte si era chiesta se dovese parlarne con Birgit, la sua psicologa, scartando di continuo l’idea e limitandosi a dirle di avere dei semplici incubi. Già si era ritrovata a dover essere presa in cura per la sua bipolarità, che spesso le causava improvvisi scatti d’ira, e non voleva dare altre preoccupazioni ai suoi genitori sul suo stato mentale.

Fece un lungo respiro, varcando il portone e suonando al campanello dello studio. Come di consueto, a parte lei, Birgit e la sua assistente, la ragazza sulla ventina che le aveva aperto, non c’era nessun’altro. Thea stessa aveva chiesto alla psicologa di poter andarci in momenti dove ci sarebbe stata meno gente, senza riuscire a nascondere un pizzico di vergogna per dover andare a quelle sedute, però la donna si era dimostrata immediatamente disponibile ad accontentarla nei limiti del possibile.

«Ciao Thea!» la salutò in maniera allegra l’assistente, che pareva averla presa parecchio in simpatia, forse per via della passione per i libri che condividevano.

«Ciao Karen» rispose lei senza riuscire a celare un tono lievemente sorpreso nel tono della voce. Non per il carattere, che per Thea a volte era pure un po’ troppo eccentrico, della ragazza ma perché non si aspettava di trovarla da Birgit. «Non dovevi andare in vacanza con il tuo ragazzo?» le chiese infatti con una lieve curiosità nella voce.

Karen sorrise con fare tranquillo, un aspetto che invece Thea le invidiava. Riusciva sempre a mantenere il suo buon umore, anche di fronte a situazioni dove invece lei avrebbe pianto. Da quanto ricordava le aveva visto scendere alcune lacrime solo in un’occasione, quando qualcuno le aveva rubato una collanina che le era stata regalata da sua nonna. Fu solo grazie alle particolari percezioni di Thea che la ritrovarono insieme al fidanzato di Karen stesso, un giovane di ventidue anni del quale era difficile capire se fossero più ampie le sue spalle o la sua gentilezza; quella era stata la prima e unica volta che aveva dato seriamente retta alle sue percezioni, forse perché teneva davvero tanto a Karen e non poteva vederla piangere.

A Thea il ragazzo era stato subito simpatico e quando c’era anche lui nello studio, cosa rara purtroppo, già sapeva che in qualche modo avrebbe passato gran parte della seduta a ridere, facendo anche arrabbiare la povera Birgit che probabilmente si pentiva ogni giorno di aver permesso a Karen di poter ricevere di tanto in tanto una visita al lavoro dal ragazzo.

Birgit, Karen e Jan, il fidanzato di Karen, erano gli unici che avrebbe mai voluto incontrare in quello studio, anche se purtroppo ciò non era sempre possibile e alcune volte si era ritrovata altre persone che stavano lì per chiedere un rapido consiglio o la prescrizione di qualche farmaco, probabilmente tutti pazienti di Birgit stessa.

«Abbiamo dovuto rimandare di una settimana la partenza perché Jan ha ricevuto una proposta di lavoro e domani ha il colloquio» fu la risposta di Karen prima che la portasse verso la stanza dove Thea avrebbe trascorso l’ora successiva parlando di argomenti di quotidianità e rispondendo a delle semplici domande. Alla fine le loro sedute si erano ridotte a quello, quando non c’erano particolari eventi che potevano scatenare la sua bipolarità di cui parlare, anche se negli ultimi giorni anche i suoi incubi erano diventati fonte di discussioni, e la curiosità in merito espressa da Birgit aveva molto sorpreso Thea. Alla fine li aveva descritti come semplici brutti sogni di cui ricordava poco o nulla al risveglio, anche se in realtà le immagini che erano sempre le stesse e la loro nitidezza le facevano ricordare quasi tutto, e di conseguenza non si spiegava tanto interesse da parte della psicologa.

La donna dai corti capelli che avrebbero dovuto probabilmente essere castani con qualche striatura di grigio ma che invece erano stati completamente tinti di bianco sedeva dietro una scrivania scrivendo qualcosa al computer quando alzò lo sguardo e vide Karen e Thea sulla soglia della porta. Andando loro incontro dopo aver preso qualcosa dal cassetto allungò una mano davanti a Thea. «Ciao!» la salutò mostrandole il palmo dove erano poggiate tre caramelle incartate di gusti diversi. «Ne vuoi una?»

Thea respinse gentilmente l’offerta, ritrovandosi con lo stomaco chiuso al pensiero delle ultime notti insonne e suscitando uno sguardo preoccupato in Birgit, che sapeva quanto alla ragazza piacessero i dolci.

«Ancora un’altra notte in bianco?» chiese iniziando a guardarla con occhio clinico e quasi annuendo in risposta alla sua stessa domanda, forse notando lo sguardo vagamente stanco di lei.

Thea annuì andando a sedersi sulla poltrona dopo aver salutato Karen, la quale aggiunse che doveva dopo parlarle in merito al nuovo libro che stava leggendo e che forse poteva interessarle. Rimasta sola con Birgit, che intanto si era seduta su una sedia accanto alla poltrona, guardò la sua psicologa. «E mi sono di nuovo addormentata in classe» ammise con aria colpevole.

«Mi sembra naturale» fu la risposta. «Anche se i tuoi incubi non ti lasciando prendere sonno la notte alla fine il tuo fisico non regge durante la giornata successiva. Ricordi qualcosa questa volta?»

Thea mentì scuotendo la testa. «Però quando mi addormento in classe non ho incubi» aggiunse.

«Forse perché non ti addormenti profondamente, restando comunque abbastanza vigile da poterti risvegliare appena senti qualcosa di inconsueto, come qualcuno che ti tocca la spalla o una voce che ti chiama. In sostanza non entri nella fase REM del sonno, quella accompagnata dai sogni.»

Thea le diede credito, e infatti altre volte le era capitato di svegliarsi quando qualcuno la richiamava o quando l’autobus su cui s’era appisolata annunciava l’arrivo in una qualche fermata. «Non c’è un modo per cui io possa evitare questi incubi?» chiese infine. Iniziava a essere stanca di dover trascorrere intere notti sveglia, e quelle visioni le facevano troppa paura, considerando gli eventi passati.

«Potrei prescriverti qualche sonnifero, certo, ma ci sono diversi effetti collaterali da tenere a mente e per una ragazza di quindici anni non mi sembra il caso una soluzione tanto drastica.»

Thea annuì, rendendosi conto che quella doveva proprio essere l’ultima opzione possibile per evitare altre notti in bianco. «E cosa mi consigli per non avere più incubi?»

Birgit parve pensarci per un attimo. «Ci sono diversi modi per conciliare il sonno e i sogni, anche se la loro efficacia dipende anche dagli individui e potrebbero servire alcuni tentativi» iniziò a spiegare appoggiandosi allo schienale della sedia e accavallando le gambe. «Ascoltare della musica rilassante, leggere e provare alcune tisane calmanti come la camomilla potrebbe aiutare. Gli incubi possono derivare soprattutto da stati di ansia e stress, oltretutto, quindi potresti anche aver accumulato eccessivo stress in questi giorni.»

Thea ripensò agli ultimi avvenimenti e non le venne in mente nulla che poteva averla stressata in qualche modo, anche se doveva ammettere che si impegnava anche fin troppo per mantenere una media alta a scuola, motivo per cui tendeva a sentirsi dispiaciuta quando otteneva voti inferiori alle sue aspettative. Lo spiegò alla sua psicologa, che annuì. «Anche questo potrebbe spiegare gli incubi. Considerando la tua media scolastica potresti chiedere ai tuoi genitori di rimanere un paio di giorni a casa senza pensare allo studio e limitandoti ad attività per te rilassanti, come leggere o scrivere. Qualche tempo fa mi avevi detto che ti piaceva scrivere, no?»

«Sì» ammise Thea arrossendo leggermente. Non si vergognava ad ammetterlo, ma non osava neppure ancora definirsi una vera e propria scrittrice e credeva di dover migliorare molto. Fino a quel giorno le era capitato di pubblicare qualche breve storia online, ricevendo anche diversi commenti positivi e qualche critica costruttiva. Il suo sogno, però, era quello di riuscire a pubblicare qualcosa con qualche casa editrice, ma ancora non osava provare a inviare nulla non sentendosi pronta.

Continuarono a parlare per il resto dell’ora, passando per diversi argomenti fino alla domanda che oramai Thea si aspettava sempre quando andava nello studio. «Ci sono stati eventi che ti hanno provocato rabbia dall’ultima volta che ci siamo visti?»

«No, e non ho avuto altri scatti d’ira» rispose lei con una punta d’orgoglio, anche se pure questo le dava da pensare. La sua bipolarità era nettamente diminuita dall’inizio degli incubi, cosa cui non aveva ancora accennato a Birgit perché prima voleva esserne assolutamente certa, come il senso di angoscia provocato da quei sogni le impedissero anche di provare altre sensazioni come la sua inspiegabile rabbia. Era comunque convinta che prima o poi la psicologa se ne sarebbe accorta, o avrebbe pensato che le mentisse, quindi pensava di far trascorrere quella settimana prima di parlargliene.

Terminata la seduta, Thea ringraziò dirigendosi verso l’uscita e notando Karen alle prese con la lettura di un libro che riconobbe come un testo dell’università, ricordandosi che Karen diceva di saltarsi una sessione di esame per il viaggio imminente. «Alla fine dai un esame questa settimana?» le chiese avvicinandosi alla giovane.

«Ne approfitto per portarmi avanti» rispose lei quando si sentì il suono del campanello, che lasciò un attimo perplessa la ventenne. «Per almeno un’ora non c’erano altri appuntamenti» commentò lei andando ad aprire e cambiando espressione sulla soglia della porta. Thea corrucciò la fronte, per poi aprirsi in un ampio sorriso quando un giovane di bell’aspetto dai corti capelli neri e gli occhi verdi dietro un paio d’occhiali entro salutandola. Vestito in maniera casual, spiccava come unico ornamento un piccolo orecchino sull’orecchio sinistro.

«Jan!» Lo salutò lei andandogli incontro e abbracciandolo. Era forse l’unica persona con cui si slanciasse in quegli eccessi di affetto, che ormai a stento riservava anche ai suoi genitori. Thea era figlia unica e Jan per lei non era solo un amico, ma ormai rappresentava il fratello maggiore che non aveva mai avuto, e il rapporto con lui era ancora più stretto di quello che aveva con Karen.

«Ciao Thea!» disse lui in risposta, cingendola con le braccia. In seguito a quel gesto, Thea poté notare che il ragazzo stringeva un pacchetto tra le mani, portandola a guardarlo con occhi curiosi.

Jan non smise di sorridere, mostrandoglielo ancora incartato. «Non ho dimenticato chi compie gli anni la settimana prossima» esordì quando la ragazza lo prese. «Se fossimo partiti come avevamo previsto te lo avrei dato proprio al tuo compleanno, ma visto che non ci potremo vedere ho pensato di passare a consegnartelo oggi, ma tua madre ha detto che stavi da Birgit.» Sembrava piuttosto imbarazzato nel dirlo, forse perché sapeva quanto Thea si vergognasse quando la cercavano a casa e sua madre, a volte fin troppo sincera, non esitava a dire che sua figlia stava dalla psicologa. Thea comunque non gli stava dando troppo peso, essendosi trattato di Jan, e ringraziò mantenendo un ampio sorriso. «Penso di non aver mai corso così tanto in moto» aggiunse guardando Karen con aria colpevole.

«E con la fortuna che hai ti avranno fatto almeno tre multe» rispose lei battendogli un paio di volte la mano sulla spalla.

«Avevo paura di mancare Thea!» si giustificò lui.

Thea li guardò divertita, poi si concentrò sullo scartare il pacchetto che, dalla consistenza, pensava di aver già intuito di cosa si trattasse. Come si aspettava era un libro, ma quel che la colse di sorpresa fu il nome dell’autrice. Gli occhi che le si illuminarono per la felicità vennero portati in quelli verdi di Jan. «Come sapevi che mi sarebbe piaciuto?» chiese. Katrina Krogh era la sua scrittrice preferita, autrice di libri che passavano dal fantasy al fantascientifico, spesso con l’inserimento di diverse indagini degne del miglior giallo e la appassionavano ogni volta. Quel romanzo era l’ultimo che aveva pubblicato e da quanto ricordava non aveva mai neanche accennato alla sua scrittrice preferita con Jan o Karen.

Il ragazzo la guardò con sguardo colpevole. «Veramente ho chiesto consiglio a tuo padre» ammise con un piccolo tentennamento.

Karen e Jan conoscevano i suoi genitori, aveva stretto un così bel rapporto con loro che un paio di volte li aveva anche invitati a casa sua, forse gli unici amici con cui ci fosse mai riuscita a parte Ellen, la sua migliore amica e, fino all’incontro con i due fidanzati, probabilmente anche l’unica. Non che non andasse d’accordo con gli altri suoi coetanei, ma il rapporto a scuola tendeva a essere un po’ troppo distaccato e si limitava agli aiuti con lo studio che dispensava più qualche breve uscita dove finiva sempre con il mettersi in disparte, troppo timida anche solo per provare a inserirsi nelle discussioni altrui. Non sembrava che questo suo atteggiamento desse fastidio agli altri, così come a volte le era capitato anche di ricevere delle dichiarazioni, ma era Thea stessa a odiarsi per il suo carattere troppo chiuso in se stesso senza riuscire mai veramente ad aprirsi. Di recente aveva anche iniziato a declinare qualche invito a uscire con altre ragazze, mentendo sulla salute di sua madre che aveva bisogno d’aiuto a casa avendo l’influenza e implorando il genitore di coprirla fingendosi davvero malata se qualcuno avesse chiesto di lei. Sapeva che sua madre l’avrebbe accontentata, nella sua breve vita aveva sempre cercato di non farle mancare mai niente, anche se non si era risparmiata con le domande. E quello era stato il momento in cui le aveva confessato degli incubi, asserendo che si sentisse troppo stanca per uscire e preferiva rimanersene a casa, anche se si poteva definire una mezza verità.

Con il suo regalo ancora stretto tra le mani, Thea salutò animatamente i due ragazzi e Birgit, che nel frattempo si era affacciata probabilmente incuriosita dalle loro voci, uscendo e iniziando la sua camminata verso la stazione dell’autobus per poter tornare a casa. Non vedeva l’ora di mettersi a leggere e provare a scrivere qualcosa sulla nuova storia che aveva in programma, forse la più complessa cui avesse mai pensato, e della quale non aveva ancora bene in mente un reale svolgimento. Il fantasy era senz’ombra di dubbio il genere cui eccelleva nei suoi racconti, perdendosi nella creazione di mondi fantastici che la isolavano dalla realtà e immedesimandosi in quei personaggi incredibili che erano nati nella sua testa. Metteva sempre una parte di sé in quel che creava, che fossero paesaggi rispecchianti il suo stato d’animo mentre scriveva o personaggi che condividessero alcuni suoi lati caratteriali; in questo modo sentiva quelle storie più sue e personalizzate.

Non dovette attendere molto l’autobus, sul quale salì trovando un posto dove sedersi e già cominciare a sfogliare quel libro che teneva gelosamente come il più prezioso dei tesori. Non era molto abituata a ricevere regali di compleanno a differenza dei soliti libri che le regalavano Ellen e i suoi genitori e i vari vestiti che le compravano gli altri suoi parenti; ormai il suo compleanno neanche lo festeggiava più se non uscendo con l’amica per mangiare fuori, e sorbendosi costantemente le sue ramanzine sul doversi trovare prima o poi un fidanzato e altri amici con cui condividere quel giorno o rischiava seriamente di rimanere sola tutta la vita; Thea, come suo solito, le rispondeva che finché aveva lei non le interessava di avere altri amici, o fidanzarsi, anche se da qualche giorno aveva pensato di invitare Jan e Karen, rimanendoci un po’ male quando la ragazza le aveva annunciato la posticipazione della sua vacanza. Con quest’ultimo pensiero in testa chiuse un attimo gli occhi, il libro ancora appoggiato sulle ginocchia e aperto alla prima pagina, addormentandosi.

 

Morte. Distruzione. Fuoco. Fiamme che divampavano ovunque e avvolgevano l’intero quartiere di una città non riconosciuta, con gli sfortunati abitanti che cercavano una via d’uscita da quell’inferno, gridando di terrore. Un bambino piangeva dinnanzi al muro di fuoco, abbracciato a un uomo, invocando la madre e un nome che non riconosceva, mentre lei da semplice spettatrice se ne rimaneva impotente a guardare.

E poi lo vide.

Un giovane dai capelli biondi usciva dalle fiamme portandosi sulle spalle una bambina, mentre una ragazza si lasciava trascinare dal braccio di lui, incapace anche di camminare. Dietro, la misteriosa apparizione di una bella donna la cui chioma dorata sembrava aver imbrigliato la luce del sole stesso, riflettendola sul giovane e aprendo le fiamme al suo passaggio. Il ragazzo senza nome, infine, cadde a terra stremato e immediatamente soccorso da altre persone che constatarono come tutti e tre fossero sopravvissuti, ignorando completamente la presenza eterea che, invece e in un modo che le parve alquanto misterioso, sembrò notarla e sorriderle, arrivando anche a parlarle.

«Non rinnegare ciò che sei e ciò che potrai essere, giovane Thea.» La sua voce non pareva provenire dalla bocca che si muoveva a malapena, ma ridondava tutto intorno a Thea, come una lontana eco. «Fai tesoro di questo e ricorda come il coraggio può portare la luce anche dove c’è solo oscurità.» Nel pronunciare quelle ultime parole, la donna indicò il ragazzo che intanto pareva essersi ripreso e veniva praticamente trattato da eroe, sebbene il suo sguardo fosse quasi perso nel vuoto mentre parlava con l’uomo e il bambino, i quali si misero a piangere abbracciando la piccola appena salvata. A quel punto Thea ipotizzò che la bambina era la sorella del bambino, e che sua madre doveva essere morta invece nell’incendio.

Quando tornò a guardare la figura con la speranza di poterci parlare, essa era scomparsa e pian piano la visione seguì lo stesso destino dissolvendosi.

Svegliatasi quando l’autobus si fermò, Thea non si era neanche resa conto del suo essersi addormentata e per poco non perse la fermata, scendendo quando le porte si stavano richiudendo e andando verso casa. Salite le due rampe di scale, ancora preoccupata per quello strano sogno così diverso dai suoi soliti incubi, entrò salutando sua madre che si apprestava a preparare la cena con il televisore aperto su un canale dove stava andando in onda l’edizione speciale di un telegiornale, mostrando le immagini di una città che Thea riconobbe come Londra. Le scritte che andavano in sovrimpressione dove stava parlando il giornalista riportavano: “Misterioso incendio nel quartiere londinese di Southwark, da definire il numero di morti e dispersi, si pensa alla causa dolosa.”

Mentre scorrevano le immagini di chi era riuscito a scampare alla tragedia, il libro scivolò dalle mani della ragazza, incredula dinnanzi a quel che stava vedendo. A parte qualcuno più fortunato, quasi tutti gli edifici della zona erano ridotti a un cumulo di macerie e i danni si potevano vedere anche sul Tower Bridge, fin dove le fiamme erano divampate; a essere intervistata era una ragazza dai lunghi capelli rossi che viveva proprio in quel quartiere, stringendo la mano a un giovane biondo che Thea non faticò a riconoscere, lo stesso ragazzo del suo sogno. E anche lei, che era stata chiamata semplicemente Victoria M. non poteva che essere la ragazza salvata da lui.

Thea cadde in ginocchio, pietrificata da un terrore che non credeva potesse essere reale, mentre il giornalista passava al giovane che venne chiamato Julius, il fidanzato di Victoria, facendogli gli elogi per il coraggio mostrato nel salvare lei e la bambina più alcune domande sui motivi di quel rischio. Thea però non stava quasi più ascoltando, tenendosi le mani sulla testa e balbettando frasi sconnesse tra loro sull’impossibilità di quanto le stava accadendo. Prima di quel giorno una parte di lei aveva sempre voluto credere di avere un vera e propria capacità, un sentimento infantile maturato in quegli anni di continue percezioni e dalla sua passione per il fantasy che amava leggere, ma mai si era resa conto di quanto avrebbe potuto spaventarla se quella possibilità si fosse concretizzata, e forse pur non ammettendolo inconsciamente si stava dicendo che fossero solo coincidenze; prima di quel giorno, dopotutto, non aveva mai realmente visto nulla, ma solo percepito la morte del padre di Ellen o l’aereo disperso. Urlò tutta la sua paura in un unico e alto grido, evidentemente spaventando la madre che lasciò la cucina precipitandosi da lei con aria atterrita e abbracciandola, chiedendole cosa non andasse, ma Thea faticava anche solo a comprendere le sue parole, la testa piena di quelle visioni. Perché se l’incendio era stato reale, quanto dei suoi incubi si sarebbe verificato?

   
 
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