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Autore: Cossiopea    18/11/2019    3 recensioni
Il passato è un concetto strano.
Ciò che è stato non sarà. Ogni singolo istante di vita, ogni minimo respiro un secondo dopo è già dimenticato, lasciato scorrere verso quella landa della nostra memoria da cui possiamo ripescare i ricordi...
Il passato.
Sono rare le volte in cui qualcuno non rimpiange ciò che è stato, quasi uniche le volte in cui qualcuno è felice della sua vita.
Io non dovevo morire. Non posso.
Hanno provato a rinchiudermi dal mio passato, hanno tentato di farmi dimenticare... hanno sbattuto il mostro in gabbia, un mostro che ogni giorno si lancia contro le sbarre ringhiando e reclamando la sua libertà.
Non posso morire, non posso fuggire...
Sono un tassello dell'equilibrio cosmico, la potenza di una stella rinchiusa in un frammento di universo...
Genere: Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Guerra, sangue, dolore...

Una coltre di fumo, fuoco che arde senza mai spegnersi, la certezza che tutto giace nelle mani del male; un fato più crudele della morte.

Sente questo mentre si leva in aria sbattendo le ali possenti, lasciando che il calore dell'inferno e la rabbia immacolata distruggano quel poco di cuore che le pulsa nel petto.

Gli occhi sono braci che scintillano nella nebbia della battaglia, i denti una schiera di lame affilate come rasoi pronte a uccidere, gli artigli che desiderano solo infrangere la carne e bagnarsi di sangue.

La sua risata si propaga per la landa desolata che è il campo di battaglia, un suono che scaccia la speranza, che soffoca anche i cuori più puri e si infiltra negli animi coraggiosi innestando la paura.

Jillkas, terrore dell'universo, portatrice di miseria e di orde di morti, Demone della paura con un buco al posto del cuore.

Troppo potente anche per essere considerata immortale, troppo potente per essere sconfitta...

 

Mi svegliai con un urlo.

Sentivo in bocca l'amaro sapore del sangue per essermi morsa la lingua con le zanne.

Le coperte del letto erano ridotte a brandelli per averle graffiate con gli artigli.

Il buio della notte era appena rischiarato dalla luce che emanavano i miei occhi fiammeggianti e una famigliare ma al tempo stesso orribile energia mi attraversava il corpo come volesse incenerirmi.

Sentivo prudere la schiena e le guance bagnarsi di lacrime mentre, lentamente, i denti e le unghie si arrotondavano e i miei occhi smettevano di brillare.

Quell'immonda sensazione di potere che mi divorava l'anima sbiadì dentro di me fino a sparire del tutto, lasciandomi nuovamente sola con le tenebre.

Continuai a piangere in silenzio, senza riuscire a bloccare lo scorrere inesorabile delle lacrime.

Sono un mostro... pensavo mentre immergevo il viso tra le mani per poi scuotere la testa con vigore Sono un essere ripugnante che non merita di vivere...

Per chissà quante volte avevo tentato il suicidio dopo il fatto. Quante volte, nella speranza di mettere fine agli incubi, a ciò che ero, avevo tentato di tutto per togliermi la vita e smettere di soffrire...

Ma ogni volta che ero pronta per gettarmi da un'altura, ogni volta che mi ritrovavo con un coltello stretto nel pugno pronta a finire ogni cosa, il Demone dentro di me urlava e i miei occhi fiammeggiavano mentre la solita e incomprensibile energia mi attraversava il corpo facendomi gettare la lama a terra o allontanare dalla finestra.

Era come se il mio essere fosse costantemente diviso in due, sempre la stessa storia, sempre e comunque io ma in due modi diversi, come il riflesso in uno specchio.

Ero io che volevo morire e far cessare il dolore ma ero io che ogni volta mi opponevo a me stessa e mi impedivo di andare fino in fondo... Ero io ad aver ucciso Zack... Ero io il Demone...

Un singhiozzo più forte degli altri mi scosse il corpo mentre le tenebre mi stringevano sempre più nel loro abbraccio di ombra.

Jillkas pensavo mentre quel nome mi faceva vibrare le viscere Jillkas...

Ero io, ciò che ero stata e che ora stavo tentando di cancellare dalla mia vita. Un Demone senza un'anima il cui unico scopo è uccidere e far soffrire coloro che non possono difendersi. Strappare l'amore a morsi dalle famiglie, percuotere la terra e dimezzare i cuori in un unico colpo, trangugiando vite senza essere mai sazia...

Ero io.

Il passato non si può cancellare, non potevo nascondere ciò che ero stata e ciò che ancora ero. Un mostro.

Sentii le zanne premere sulla lingua, ma ignorai il dolore e mi imposi si non pensare al sangue che mi riempiva la bocca; di non pensare al fatto che, in realtà, quel sapore mi piaceva.

 

La cucina era il posto peggiore della casa.

Troppi odori, troppi colori, troppe cose che portassero alla gioia e alla vita.

Era in quella stanza che il Demone spingeva di più e ogni volta io dovevo ingoiare il sangue procurato delle zanne e lottare contro me stessa per non mostrarmi all'uomo e alla donna che non ritenevo più genitori.

Mangiavo in silenzio, senza guardarli negli occhi per paura che cogliessero la sfumatura scarlatta e sopportando il dolore che mi costava reprimere gli artigli.

Il cibo era insapore mentre lo masticavo e ingoiavo. Semplice materia senza quella fragranza che dona piacere agli esseri umani... Io non ero umana.

-Jill?

Il fatto che Susan (la donna da cui ero nata ma che non era mia madre) avesse nominato il mio nome mi fece sussultare.

Un fiotto di sangue eruppe dalla lingua mentre me la infilzavo con le zanne e quel sapore ferroso si mischiava al cibo che avevo in bocca. Ignorai il dolore che adesso mi pulsava tra i denti e mi imposi di mantenere lo sguardo sul piatto e non alzarlo su Susan.

Percepii, come un leggero brivido lungo la schiena, gli sguardi che la donna si scambiava con il marito visto il mio silenzio, poi tornò a posare gli occhi su di me e posò la forchetta con un leggero tintinnio metallico.

-Jill, ci abbiamo pensato- disse quindi mentre io ingoiavo altro sangue e mi imponevo di non impazzire e saltarle addosso -non possiamo continuare a fare come se non fossimo una famiglia.

È sempre stato così... Non potei non pensare Voi non vi siete mai curati di me, mi avete abbandonata, rinchiusa come un animale...

-Non lo siamo infatti- mormorai inghiottendo l'ultimo boccone e stringendo con forza la forchetta quasi volessi spezzarla.

Nonostante non la stessi guardando seppi che Susan era impallidita.

-Jill, noi volevamo chiederti scusa- disse, quasi in un sussurro.

-Cosa?- il mio corpo ebbe un sussulto.

I miei occhi scattarono su di lei senza che riuscissi a fermarli e nel mio sguardo passò un lampo scarlatto mentre io trattenevo l'impulso di uccidere, che ora ribolliva dentro di me come un istinto represso.

Susan si irrigidì sotto quello sguardo.

-Ci dispiace per come ti abbiamo trattata- intervenne a quel punto suo marito, Paul.

Con uno scatto il mio collo ruotò verso di lui.

-Non vorrete dire sul serio?- la mia voce non sembrava neanche più mia, tanto era satura di rabbia -Volete chiedermi scusa?- feci. Il mio corpo ebbe un altro spasmo -Dopo anni di isolamento, dopo tutte le lacrime che ho versato, i tentativi di togliermi la vita... voi mi chiedete scusa?!- adesso stavo urlando.

-Avevamo paura- farfugliò Susan, intimorita dai miei occhi infuriati. Deglutì -Jill, tenta di capirci: ci hai tolto uno dei nostri figli, hai strappato Zack da questo mondo che avevi solo sette anni...- la sua voce si spense.

-Chiunque ti avrebbe temuto- fece Paul, abbassando lo sguardo -E noi... non sapevamo cosa fare.

Sentii i miei occhi riempirsi di lacrime. Un misto di rabbia, delusione, terrore...

La mia bocca si ridusse a una sottile linea.

-Siete solo dei traditori!- gridai -Mi avete isolata dal mondo, costringendomi a vivere solo della mia paura, lasciandomi in preda ai miei dubbi e impedendomi di vivere- sibilai -E ora, dopo otto anni di elusione, di pura sofferenza, in cui mi avete lasciata marcire nella mia cella buia, vi ritrovo qui, a chiedermi di perdonarvi per avermi abbandonata?! Per aver rinunciato a vostra figlia, una bambina che avete lasciato a sé stessa e ignorato, chiudendola a chiave in una prigione di disperazione?- scossi la testa mentre lacrime bollenti mi discendevano le guance -Certe cose non si possono perdonare...

La coppia rimase pietrificata mentre io abbassavo lo sguardo.

-Jill, noi...- tentò Susan dopo un istante di immobilità.

-Silenzio!- la interruppi, con una voce vibrante e potente, che non mi apparteneva -Silenzio...- ripetei poi, il tono ricolmo di tristezza -Non ho bisogno di una famiglia- aggiunsi dopo un secondo, alzandomi da tavola mentre i due sussultavano.

Sapevo che mi temevano.

Lo avevano sempre fatto e non avrebbero mai smesso.

Quella sera si erano azzardati a comunicare con la bestia, varcando territori inesplorati senza davvero conoscere ciò a cui andavano incontro... e ne erano inesorabilmente usciti sconfitti.

-Grazie per il pasto- mormorai prima di dirigermi a passo lento verso la mia camera, lasciando marito e moglie a fissarmi terrorizzati; lasciandoli a guardare il mostro allontanarsi con il cuore che ancora batteva nel timore di essere strappato via dal petto...

   
 
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