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Autore: Lady Chryseiss    19/11/2019    0 recensioni
"Esisterà certamente qualcuno felice di vivere nel caos, nello smog, circondato da cemento e piccioni; ma forse è felice così perché non ha mai potuto sentire sulla pelle la purezza del bosco d’inverno."
Non tutti gli esseri umani pensano secondo gli stessi schemi mentali. Non tutti gli esseri umani sono portati alla socializzazione e al piacere di relazionarsi l'uno con l'altro. Non a tutti gli esseri umani viene facile trasformare le proprie sensazioni in pensieri definiti, i pensieri in parole dal senso compiuto e poi trovare la voce per pronunciarle.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. Non parlare agli sconosciuti
 
Ho dato fuoco ad un’abitazione. Una villetta singola non troppo grande, non troppo bella, una come tante. Insignificante. La cosa rilevante è che era rivestita interamente in legno. Fu quello a darmi l’idea improvvisa del fuoco. Cosa sarebbe accaduto? Non lo sapevo. Non potevo saperlo, avevo dodici anni. Anche se forse avrei dovuto tener conto delle conseguenze dei miei gesti, e forse avrei dovuto prevedere che non sarebbero state rosee. Quello anche un preadolescente definito ottuso l’avrebbe dedotto. Ma io non ero stupido, tutt’altro. Solo che non sono mai stato bravo a riflettere e a ragionare sul mio comportamento. L’impulsività è sempre stata la mia principale caratteristica, e a proposito di questa, mia madre era solita lanciarsi in catastrofiche previsioni del mio futuro se non l’avessi tenuta a bada. Mio padre non sprecava troppe parole, si limitava a darmi del pazzo e sembrava rallegrarsi quando le conseguenze dei miei gesti avventati gli davano ragione.
 
Del giudizio dei miei genitori non mi è mai importato molto. Non mi è mai importato molto del giudizio di nessuno.
 
Seconda caratteristica per cui sono famoso: l’assenza di empatia.
Mi piacerebbe eliminarla del tutto; non c’è cosa più fastidiosa dell’empatia. Io sono io, qualcosa di ben definito e separato dal resto del caos che mi circonda, non comprendo perché il percepire le emozioni degli altri, il mettersi nei loro panni sia considerato positivo. Per me è qualcosa di repellente. L’umanità è repellente. In quell’incendio non è morto nessuno, la casa era vuota, e le fiamme sono state domate velocemente. Hanno avuto solamente fortuna. Solo perché la mia consueta impulsività non mi ha dato modo di sviluppare un piano un po’ più strutturato che mi avrebbe permesso di ferire qualcuno, o almeno di distruggere tutta la casa. Perché l’ho fatto? Perché l’umanità mi disgusta. Ero arrabbiato, sconvolto dall’idiozia di un uomo che aveva escogitato uno stratagemma per farsi dare dei soldi, ma non era stato abbastanza astuto da far sì che il suo gioco reggesse fino alla fine. Non era poi così importante, perché i soldi era riuscito a fregarmeli. Tutta colpa dell’empatia. Lo vidi una mattina seduto su una panchina lungo la strada che separava casa mia dalla scuola media che all’epoca frequentavo. Aveva l’aria abbattuta. Teneva i gomiti puntellati sulle ginocchia e la testa abbandonata tra le mani. Gli abiti erano logori e infangati, assolutamente inadatti al pungente freddo di inizio dicembre. Mi fermai a osservarlo. Notai che stava tremando. Dovette accorgersi del mio sguardo insistente, perché alzò il volto verso di me e i suoi occhi scuri incontrarono i miei.
-Che hai ragazzino?- chiese.
-Niente- risposi. Effettivamente il mio non era stato un comportamento educato. Decisi di andarmene. Mia madre mi ripeteva sempre di non parlare agli sconosciuti quando ero più piccolo, e ogni tanto me lo raccomandava ancora prima di uscire.
-Aspetta- mi fermò. -Ce li hai degli spiccioli?-
-Spiccioli?-
-Sì, spiccioli, monetine.-
Il buon senso mi disse di rispondere negativamente e continuare per la mia strada, ma la mia ingenuità di preadolescente definito ottuso mi portò a domandare il perché ne avesse bisogno.
-Non ho più una casa. Mia moglie mi ha lasciato e non posso più vedere i miei bambini. Ho bisogno di mangiare, sono quattro giorni che non mangio-
Rimasi in silenzio a fissarlo per qualche istante. Aveva un’espressione supplichevole. Quello che sentivo dentro lo stomaco mi spaventava. Una creatura grigia e tonda che saliva verso il centro del petto e sembrava volersi fare strada verso l’esterno, liberandosi coi denti. Decisi di credergli, quindi estrassi dalla tasca i soldi che i miei genitori mi avevano dato per il pranzo, una decina di euro, e glieli allungai. L’uomo li agguantò con una velocità che mi fece sussultare, stringendomi la mano.
-Grazie ragazzino. Buona giornata- si alzò e se ne andò deciso, come se sapesse esattamente dove andare. Pensai che quel modo di fare fosse dato dalla fretta di mangiare. Continuai per la mia strada, diretto a scuola, dove il resto della mattinata si svolse con la quotidiana tragica solitudine di un preadolescente definito ottuso e con una grave carenza di amici.
Ne uscii vivo, ma affaticato, devastato emotivamente. Io non volevo parlare, interagire, esistere, ma ero costretto a farlo. E quello che vidi sulla via del ritorno fu ciò che mi devastò ancora di più: l’uomo che avevo incontrato sei ore prima. Poco lontano da dove avevamo parlato, stava discorrendo fittamente con un ragazzo vestito di nero, con un berretto verde bosco. Ricordo di aver pensato che fosse un bel colore. Camminando tenni lo sguardo sui due, indeciso se salutare. “Non parlare agli sconosciuti”, ripeté la voce di mia madre nella testa. Prima di superarli, notai che l’uomo consegnava al ragazzo col berretto verde bosco dei soldi. I soldi che una volta erano stati miei. Il ragazzo non consegnò nulla in cambio; semplicemente se ne andò, così come l’altro. Non capii, ma sicuramente non aveva comprato del cibo. “Non aveva così bisogno di mangiare, allora”, pensai. La cosa mi fece infuriare.
 
Presi a camminare frettolosamente, immerso in pensieri che potessero giustificare quel comportamento, quello dell’uomo sconosciuto che avevo voluto aiutare e il mio. Perché ero così arrabbiato, così deluso? D’altronde io non sapevo niente, avrei anche potuto aver frainteso qualcosa. Superai casa mia senza nemmeno accorgermene, arrivando in una zona residenziale della cittadina di provincia in cui non ero mai stato. Mi resi conto di aver camminato troppo. Alla mia destra si trovava un vialetto lungo il quale si dipanavano numerose villette rivestite in legno, con un piccolo giardino, senza traccia di cancellata o recinzione, tutte uguali. Qualcuno le definirebbe carine. Per me erano assolutamente anonime. Da qualcuna di queste si vedeva del fumo uscire dal comignolo, il che mi fece dedurre che all’interno si trovava un accogliente fuoco acceso in un camino o in una stufa. Fuoco, legno, idea. Non ricordo dove recuperai i fiammiferi, probabilmente erano uno dei miei tesori sepolti sul fondo dello zaino. Percorsi il vialetto d’accesso alla casa più vicina, come se desiderassi suonare il campanello, accesi un fiammifero e lo infilai in una fessura del legno, insieme ad una manciata di foglie secche per far sì che il fuoco avesse la possibilità di attecchire. Me ne andai, senza voltarmi a guardare l’incendio divampare.
 
   
 
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