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Autore: GladiaDelmarre    22/11/2019    30 recensioni
Una serie One Shots che parlano di missing moments.
Ognuna di queste associata ad uno dei cinque sensi: vista, gusto, olfatto, udito, tatto.
E forse, alla fine, esisterà anche un sesto senso, quello che serve a comprendere la vita e le sue ragioni.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sense of Life '
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Londra, 1852


(ascolta)
 
 
A Crowley non serviva bussare. Era un demone.
Non gli piaceva farlo e non lo avrebbe fatto. Inoltre, aveva sempre goduto nel sorprendere gli altri mentre si occupavano dei loro affari privati. Gli dava una sorta di potere, perchè per qualche secondo poteva spiarli, non visto, e imprimersi nella mente dettagli che – non si sa mai – sarebbero potuti sempre tornargli utili.
 
Quella volta non badò molto al fatto che l’angelo – come sempre – fosse trasalito al suo arrivo. Lo faceva sempre. Immancabilmente, anche quella volta era col naso in uno degli innumerevoli libri che accumulava nella sua libreria a Soho.
 
Il demone aveva una borsetta in pelle rigida sottobraccio. La posò con delicatezza sulla scrivania di Aziraphale.
“Angelo” disse “Sono tornato”.
“Sono un paio d’anni che non ci vediamo, Crowley. Dove sei stato?” gli rispose l’uomo biondo, mentre si alzava dalla scrivania, posando il libro che aveva tenuto in mano fino a qualche attimo prima.
 
Crowley lo osservò. Aziraphale era immutato ed immutabile, come lui d’altronde.
Sorrideva, come se fosse davvero lieto di vederlo.
 
“Sono stato in America. Ero curioso sai. Ho viaggiato un pò e sono stato ad Harvard, con tutti quei cervelloni”.
“Capisco. Vuoi un the?” gli chiese l’altro, affabile. Era in assoluto la sua bevanda preferita, la beveva ad ogni ora del giorno e della notte, dato che non dormiva quasi mai, ma non disdegnava il vino, che invece Crowley preferiva di gran lunga.
“Non bevo quella robaccia, se non sono costretto”.
“Beh io sì. Siediti sul divano, arrivo tra poco. Poi mi racconterai del tuo viaggio” gli rispose.
 
Crowley si sedette. Sentiva l’acciottolio della teiera e delle tazze provenire dalla cucina e, molto più piano, il crepitio appena udibile di un fuoco acceso. Teneva di nuovo tra le mani l’astuccio di legno ricoperto di pelle scura.
 
Aziraphale arrivò poco dopo, portando un vassoio con una teiera e due – DUE – tazze. Sbuffando, Crowley si allungò a prenderne una, mentre l’altro si lasciava andare ad un sorrisetto soddisfatto.
Crowley bevve in silenzio, sorseggiando quella bevanda che, suo malgrado, aveva il potere di riscaldarlo dall’interno,
 
“Ti ho portato una cosa. Un regalo per te” disse poco dopo, aprendo l’astuccio.
Al suo interno, un curioso strumento che Aziraphale non riusciva ad identificare. Sembrava qualcosa di medico, ma non ne capiva l’uso. Si trattava di una specie di tubo allungato in metallo, con una delle due estremità che si allargava come la campana di una tromba. L’altra estremità si divideva in due, con una V fatta di stoffa resinata che fungeva da giunto ad altri due tubicini ricurvi, più sottili. Questi, a loro volta, terminavano con una forma arrotondata. Aziraphale lo rigirava tra le mani, non comprendendo le ragioni (nè tantomeno l’uso) di quel curioso regalo.
 
“Grazie Crowley. Hem…Cos’è?” gli chiese, incuriosito.
“Uno stetoscopio. E’ una cosa che usano i medici, un brevetto nuovo”.
“Non ne ho mai sentito parlare. Gli umani sono sempre pieni di nuove idee! Come funziona?”.
 
Crowley sorrise leggermente con una delle sue solite smorfie e non rispose.
 
Poi si avvicinò ad Aziraphale. Gli si sedette vicino, sfiorandolo appena con la coscia contro la sua. Aziraphale non era scuro di averlo visto mai così da vicino. Avrebbe potuto contargli le ciglia, se solo si fosse preso la briga di farlo. O magari le lentiggini che aveva sul naso. Poteva sentire il suo respiro leggero. Per una manciata di secondi fu tutto quello che riuscì ad ascoltare. Spinto dal timore per quella vicinanza così inusuale, odiando la sua stessa voce, gli chiese “Caro, non vuoi rispondermi? A che serve?”.
 
Il demone aveva poggiato i suoi occhiali scuri sul bracciolo del divano, dimentico di loro in quel momento, e lo guardava con le iridi gialle dorate, allargate, a coprire la maggir parte della sclera. Poi, in silenzio, si sciolse la cravatta di seta scura che teneva sempre strettamente annodata al collo. Aziraphale rimase come paralizzato, senza sapere esattamente come comportarsi. Era assolutamente inappropriato come comportamento, ma per qualche motivo non riusciva a dirgli nulla. Qualche strano fenomeno gli aveva seccato la lingua e bloccato in gola le parole.
 
Crowley sciolse anche i primi bottoni della camicia, scoprendo un lembo di pelle chiara costellata di lentiggini, con una leggera peluria rossiccia, appena accennata.
 
Aziraphale a quel punto si riscosse e fece per alzarsi ma il demone lo bloccò, mettendogli una mano sul petto. L’atmosfera si fece tesa, palpabile. Il silenzio era assordante, come un vuoto che faceva pulsare le orecchie di entrambi.
 
Le mani di Aziraphale erano rimaste inerti ed inoperose sul suo grembo, insieme allo strumento che stava esaminando prima che Crowley si sbottonasse la camicia.
 
Fu lui a rompere il silenzio “Angelo, prendilo, metti questi nelle orecchie” gli suggerì, porgendogli lo stetoscopio con due mani. Aziraphale sistemò lo strumento nel modo indicato dall’amico e lo guardò con fare interrogativo “E adesso?”.
 
“Adesso ascolta”.
 
Crowley prese l’altra estremità dello stetoscopio, quella con la forma a campana, e se la poggiò sul lato sinistro del petto. Dapprima Aziraphale non sentì nulla. Poi, abituandosi al fastidio di quei tubicini che gli premevano nelle orecchie, iniziò a sentire un suono ripetuto, cavo, vagamente umido.
 
Un lampo di comprensione gli attraversò la mente. Alzò lo sguardo, con gli occhi un po’ lucidi dall’emozione.
“E’ il tuo cuore?” chiese. Crowley annuì.
 
Aziraphale ascoltò con più attenzione. Lo sentiva più forte adesso. Si concentrò sui pieni e i vuoti, sul loro ritmo, come incantato. Poggiò una mano accanto alla testina e con quella percepì la vibrazione corrispondente sul petto magro del demone. Socchiuse gli occhi, facendosi cullare dal suono ancora per un po’, poi si tolse le olivette dalle orecchie, porse lo stetoscopio al demone e gli sorrise di nuovo, mentre gli occhi gli si circondavano di minuscule rughe d’espressione.
 
Si tolse lentamente la fusciacca in tartan beige che usava come cravatta, sciogliendo il complicato nodo che la teneva e sbottonò la camicia bianca, fino a scoprire anche lui una parte del petto.
 
Crowley guardava la pelle serica, quasi translucida di Aziraphale, mentre lui arrossendo leggermente lo invitava a sua volta ad ascoltare il suo cuore.
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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