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Autore: MoeniaDea    23/11/2019    1 recensioni
Negli anni '80, due ragazzi cambiano nome e scappano in Irlanda. è la loro breve storia su cosa vivono in un altro paese, dopo la fuga per un (possibile) desiderio infantile.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Scappiamo in Irlanda!»
Così aveva esordito Dafne in quel pomeriggio silenzioso di settembre. Faceva caldo, la luce entrava dalle fessure della persiana illuminando il pulviscolo, e il fumo di sigaretta si disperdeva nell’aria. Erano sdraiati sul letto, ancora nudi dopo aver fatto l’amore, tra capelli scompigliati e lenzuola sudate.
Lei si alzò sul fianco e lo fissò, con gli occhi luminosi e ripetendo quel desiderio. – Scappiamo in Irlanda!
Lui rise. – Senza alcuna motivazione?
- Sì, per il puro piacere di farlo.
Apollo si tirò su. – Mi sento in dovere di farti ragionare: a 23 anni, studenti e disoccupati, come pensi di poter vivere in un altro paese?
- Guarda che un lavoro lo troviamo. Mica andiamo in città a vivere, ci servirà poco per campare. – Lui alzò un sopracciglio dubbioso, attendendo che lei continuasse. Dafne si alzò e gli diede un bacio mentre cercava le sue mutande e la maglietta. – Tu prendi tutti i tuoi risparmi, i tuoi libri preferiti e le cassette che ti piacciono. Mettili in borsa con qualche vestito adatto al clima, tanto il resto lo compreremo là. Io penso alla casa.
Apollo alzò le spalle, ancora indeciso sulla sensatezza di quell’azione. – E come pensi di fare?
- Chi ha fatto vacanze-studio in Irlanda?
- Tu.
- Allora un paio di chiamate e avrò casa, macchina e se siamo fortunati anche un miliardo di lire.
- Non credo abbiano le lire là.
Lei gli fece una linguaccia. – Il solito precisino.
 
Tre giorni dopo, erano su una vecchia Jeep sulle strade costiere del sud dell’Irlanda. Passando tra paesini e enormi prati verdi, abitati da rocce solitarie, cespugli e bianche case basse, arrivarono fino alla loro destinazione. Era una casetta come molte altre, bassa, il tetto di pietra, le porte ed infissi verde smeraldo. La casa era appartenuta ai nonni di un’amica di Dafne, e non c’erano problemi a lasciargliela in affitto, siccome loro vivevano in città e non la usavano se non alcuni fine settimana. Parcheggiarono sul piccolo spiazzo ghiaioso davanti alla costruzione.
Prima di partire, lei aveva deciso che dovevano cambiare nome. Dopo averci pensato cinque minuti, prese un libro a caso dalla libreria: Le Metamorfosi di Ovidio. Sulla copertina, la statua di Bernini Apollo e Dafne. Lei decise che quelli erano i loro nuovi nomi. Apollo accettò, nonostante i forti dubbi su quello che stavano facendo.
Attorno alla casa, sul fianco di una collina, c’erano solo campi di erba verde e rigogliosa. Poco distante, sulla cima della collina vicina, regnava una chiesa in pietra abbandonata, risalente al Medioevo. Dietro all’abitazione vi era un piccolo capanno con dentro la legna per il camino.
In casa vivevano i due gatti degli anziani ormai morti, il maschio rosso di nome Merlin e la femmina bianca di nome Morgane. Fino a quel momento venivano curati da una signora del posto, ma ora era il turno dei due giovani. A parte poche accortezze prese dai proprietari, la casa era rimasta intoccata dallo scorrere del tempo. Pochi vecchi elettrodomestici, una caldaia per l’acqua calda e una bombola di gas per i fornelli nella piccola cantina.
Apollo si informò per trovare un lavoro, e lo trovò in una piccola libreria nella cittadina vicina, già più frequentata. Era un piccolo locale stipato in ogni angolo di librerie e libri, profumando di carta, legno e caffè, ed era gestito da un anziano ex-professore del liceo che parlava fluentemente latino, lanciandosi ogni tanto in citazioni colte. Dalla radio sul bancone al fondo uscivano le note della Gazza Ladra di Rossini.
Dafne, invece, volle aspettare, cercando di godersi al meglio il luogo.
Una settimana dopo, si erano totalmente sistemati, e quel venerdì sera venne un temporale.
 
Un vento freddo soffiava dal mare, muovendo le fronde dei cespugli e gli alti steli d’erba sulla collina. La luce iniziava a filtrare tra le scure nuvole, ormai scariche dopo la furia del temporale, destinate ad allontanarsi e dissolversi nell’entroterra.
Il sole si stava alzando oltre l’orizzonte. Sulla collina, la vecchia chiesa medievale regnava sul prato verde florido. Vicino aveva un campanile basso e massiccio, dal tetto a punta e con la base ottagonale. Le pietre erano state posate durante il Medioevo, e il corso del tempo aveva tuttavia permesso che rimanessero al loro posto.
Apollo camminava sul sentiero, verso l’edificio. Quando vi arrivò, passò per l’ingresso senza più porte, e camminò nella navata scoperta al cielo, ormai chiaro nella luce del mattino. Tra le lastre di pietra del pavimento crescevano piante ed erbacce, e al fondo ciò che rimaneva sull’altare di pietra erano le incisioni ormai consumate e quasi irriconoscibili. Gli anfibi di lui passarono sulla pozzanghera e giunsero alla lastra di pietra. Su di essa erano poggiati fiori di campo appena raccolti, ancora bagnati per la pioggia. Lui li raccolse e si guardò indietro. Solo Dafne poteva averli lasciati, o meglio dimenticati, in quel posto.
Lui uscì e tornò verso casa. Il salotto era ammobiliato con vecchi mobili di legno in stile povero, e le uniche tracce di modernità in quell’ambiente erano le lampadine scoperte, una vecchia radio a transistor e i due walkman abbandonati sul tavolino di fronte al divano. Il lettore di lui era ancora acceso, aveva appena finito di riprodurre una musicassetta di Guccini.
Mentre tornava a casa, lui cercò lei, ma non la vide da nessuna parte. Entrando, si tolse gli stivali sporchi di fango ed entrò nel tinello. Prese da un mobile una scodella scheggiata, e tirò fuori dal piccolo e vecchio frigo una bottiglia di latte fresco, comprato la mattina al paese.
Lui uscì di nuovo, rimanendo sull’uscio, e si sedette sui gradini, posando la scodella e riempiendola di latte nello stesso istante in cui si avvicinarono i due gatti. Questi bevvero con calma, per poi stendersi vicino al ragazzo. Merlin si fece coccolare, e lui fissava ipnotizzato come le sue dita sparissero e ricomparissero nel folto pelo color tramonto.
Arrivò l’ora di pranzo, e solo allora Dafne ritornò a casa. In mezzo all’erba, apparve vestita di jeans e una camicia di lui, i capelli legati in una treccia e in spalla una busta di tela gonfia. Entrò in casa, e svuoto il contenuto sul tavolo: verdure, formaggi e uova, dei tagli grassi di carne, tutto dentro a fogli di carta di giornale. Lei lo fissò e sorrise. Amava passeggiare da sola, perdersi e tornare pronta a condividere le sue emozioni con lui.
Mentre si muovevano coordinati nel piccolo e vecchio tinello, sotto lo sguardo dei due gatti, lei raccontava delle persone, degli angoli tra le case, del porticciolo poco distante, e lui sorrideva ascoltando.
Dopo pranzo, si chiusero in camera a fare l’amore, per addormentarsi tra le lenzuola sudate. Si svegliarono per colpa di alcuni gabbiani che erano appollaiati sul tetto a far schiamazzo. Tra una risata e un’imprecazione, li fecero fuggire tirandogli delle pietre.
I due ragazzi tornarono in casa, buttandosi sul divano a leggere ognuno il proprio romanzo preferito, e leggendo all’altro le frasi che più il lettore preferiva, e passando così il resto del pomeriggio, ignorando pure la musica in favore delle loro voci.
Al tramonto, lame di luce arancione entravano nel tinello attraverso delle tendine a scacchi, e tagliando l’aria dove danzava il pulviscolo. La lampadina che pendeva dal soffitto si accese in occasione della cena, mentre i due gatti tornarono sul davanzale ad osservare i due amanti ed attendendo il loro pasto.
La notte, seduti sugli scalini dell’entrata, Apollo e Dafne fissarono il cielo puro e senza luci di città. Le stelle, lontane ed antiche, brillavano nel buio profondo, e la loro luce insieme a quella di una pallida falce di luna crescente illuminava i due, chiusi in un abbraccio sotto ad un vecchio plaid consumato, come due gatti innamorati.
 
Dopo un mese in terra irlandese, anche Dafne aveva trovato lavoro presso il fioraio del paese. Entrambi lavoravano di giorno, ma alle sei di sera erano già a casa, e questo cambio di orari li aveva posti in difficoltà all’inizio coi loro ritmi. Ogni tanto andavano al pub del paese, ed usavano il telefono pubblico in solo caso di necessità.
Un giorno, giunse una lettera dall’Italia. Era un martedì piovoso, Apollo rientrò dalla libreria e trovò Dafne che era già rientrata, accompagnata dalla proprietaria del negozio. Era seduta al tavolo in salotto, davanti aveva una busta aperta e tre fogli ricoperti di una scrittura fitta. Lei fissava il vuoto, una lacrima cadeva dall’occhio. Lui si tolse anfibi ed eskimo, e corse da lei. Prese i fogli e iniziò a leggere: a casa, i loro genitori si erano scontrati, e sorprendentemente il padre di Dafne e la madre di Apollo erano d’accordo con la loro scelta, difendendoli. Era firmata dal padre, e raccontava ogni evento. Chiedeva solo di venir contattato quanto prima, appena la lettera fosse giunta a casa loro.
- Come hanno avuto il nostro indirizzo?
- L’ho lasciato a papà, in caso ci fossero problemi.
Ad Apollo scappò un mezzo sorriso. – Non eri tu quella che voleva scappare da tutto e tutti per farsi una vita nuova?
- Sì, ma non sono così incosciente da partire senza un piano di riserva.
Lui sospirò. – Sinceramente, non me lo aspettavo.
Lei sorrise cacciando le lacrime, si alzò e lo abbracciò. – Sorpresa! – Poi guardò dietro di lui. – Ora metti in ordine che inizio a cucinare qualcosa, e prendi della legna per il camino.
Apollo eseguì.
 
I mesi continuarono a passare, ma qualcosa iniziò a cambiare in quell’equilibrio. I due innamorati credevano di essere ancora felici insieme, ma Apollo iniziò a notare una certa inquietudine negli occhi di Dafne. Lei iniziava a parlare sempre meno, rispondeva a monosillabi o in maniera scontrosa quando lui le faceva troppe domande.
Un giorno che la libreria era chiusa, cercando di capire cosa stesse succedendo, Apollo si recò in paese. Da fuori il fioraio, vide una ragazza dai lunghi capelli rossi entrare nel negozio, per uscire poco dopo con Dafne, mano nella mano, entrambe ridenti. Apollo sentì una fitta all’altezza dello stomaco, ed a sentirsi male. La gelosia stava avvelenando la sua mente.
Decise di seguire le due donne, ma ormai le aveva perse di vista. Quella sera, quando Dafne rientrò a casa, le disse solo di essere passato in paese e averla vista con la ragazza per un momento, nascondendo il pedinamento. – È solo un’amica, mi era venuta a parlare.
Apollo accettò quella versione, non potendo fare altro. Ma le settimane passarono, e Dafne si stava sempre più allontanando. Lui stava male, ma lei ignorava quel sorriso finto che nascondeva la realtà dei fatti.
 
All’inizio del loro quinto mese in Irlanda, Dafne sparì. Apollo la vide alzarsi, prendere un borsone e uscire. Era ancora addormentato, pensava fosse solo un incubo, ma quando si svegliò del tutto capì che era la realtà.
Uscì di fretta di casa. Stava piovendo. Corse prima alla chiesa abbandonata e poi al paese, ma di lei nessuna traccia. Chiese agli abitanti, senza alcun risultato. Il fiato gli mancava, i polmoni bruciavano per l’aria fredda del mattino, la vista iniziava a sfocare, e la gelosia bruciava, lasciandosi dietro solo un denso fumo nero, che come inchiostro in acqua, colorava tutto di tinte scure.
Tornando a casa, trovò sul tavolo una busta: la aprì.
Era una lettera di Dafne, Apollo la lesse, per poi accasciarsi a una sedia e piangere. Fuori, tra le nuvole, spuntò un raggio di sole.
 
Caro Apollo,
quando leggerai questa lettera, io sarò già in viaggio. Sì, sono con quella “amica” con cui mi vidi insieme. Non ti dirò il suo nome e dove andremo. Ti amo, ma non potevo più sopportare tutto questo. Scegli tu se rimanere qua o tornare a casa.
Addio, Dafne.
 
Rimase in quella casa, vivendo da solo, ed attendendo il suo ritorno. Ma in cuor suo, sapeva che ormai lei era andata via per sempre, diventata un albero d’alloro come la ninfa, e lui, come il dio, non poteva fare altro che piangerne la scomparsa.
   
 
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