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Autore: Roberto Turati    23/11/2019    1 recensioni
Laura, Sam, Chloe e Jack sono quattro neo-laureati di Sidney che, dopo aver trovato un libro segreto firmato Charles Darwin che parla di ARK, un'isola preistorica abitata da creature ritenute estinte da milioni di anni, da un intrigante popolo, protetta da una barriera che altera lo spazio-tempo e che nasconde un "Tesoro" eccezionalmente importante, decidono di scoprire di più... andando su ARK. Ma le minacce sono tante, siccome l'arcipelago arkiano non è certo il più accogliente dei posti... però, per loro fortuna, non saranno soli nell'impresa. Fra creature preistoriche, mostri surreali, nemici che tenteranno di fermarli o di ucciderli per diversi motivi, rovine antiche, incontri da ogni luogo, da ogni epoca e da altri universi e gli indizi sul misterioso passato dimenticato di ARK, riusciranno a venire a capo di un luogo tanto surreale?
 
ATTENZIONE: oggi, il 30/06/2021, è iniziato un rifacimento radicale della storia usando l'esperienza che ho fatto con gli anni e la nuova mappa di ARK usata per l'isola del mio AU. Il contenuto della storia sta per cambiare in modo notevole.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Si rimise subito a correre, questa volta anche più veloce. Le venne da chiedersi da dove avesse mai tirato fuori tutta quell’atleticità, visto che non si era mai tenuta allenata come Sam. Ma che importanza aveva? Più in fretta scappava dallo yutiranno, meglio era. Tuttavia, sentiva di non essere abbastanza rapida: sentiva i passi del suo inseguitore nella neve avvicinarsi sempre di più e percepiva il suo respiro sul collo, anche se non era tanto sicura se fosse vero o solo una sensazione. Quando arrivò in prossimità di uno strano albero che si divideva a forbice in due piante gemelle, ebbe il coraggio di voltarsi e le si gelò il sangue: la grande bocca rossa e bavosa dello yutiranno era abbassata e spalancata a nemmeno due metri da lei e si avvicinava sempre di più. Per puro istinto, si tuffò di testa nella biforcazione dell’albero, sperando che ci rimanesse incastrato. Essendo snella a sufficienza, ci passò in mezzo senza problemi e si schiantò di pancia nella neve, lasciando un fosso di mezzo metro. Si coprì la testa con le mani, preparandosi al peggio, ma non successe niente. Sentiva lo yutiranno che ruggiva e si agitava infuriato, ma era ancora viva. Si alzò, guardò e, meravigliata, scoprì che aveva funzionato: il dinosauro aveva infilato la testa nela biforcazione, ma poi il collo era rimasto incastrato e ora strattonava con violenza all’indietro per liberarsi. Facendo presa con le zampe, scalciava via la neve e scavava profondi solchi.

Chloe non si trattenne oltre e riprese la fuga, notando di aver cominciato ad andare sempre più in discesa. Non smise mai di correre, anche se il terreno inclinato ora la costringeva a mettere i piedi di traverso e a frenare per non scivolare e inciampare nella neve. Ma si interruppe all’improvviso quando, inaspettatamente, la pineta si interruppe e davanti a lei apparve un vastissimo, spettacolare lago ghiacciato. Le rive erano basse banchine di neve, mentre tutto lo specchio d’acqua era una lastra di ghiaccio duro come cemento, più blu del cielo e così liscio da sembrare quasi tirato a lucido con la cera. Il primo istinto di Chloe fu aggirarlo per non farsi rallentare dagli scivoloni, ma poi si ricordò all’improvviso di un dettaglio importante: gli stivali della sua pelliccia avevano dei chiodini sulla suola proprio per camminare sul ghiaccio. Esitò lo stesso, ma quando sentì ancora il ruggito e i passi dello yutiranno non ebbe più modo di pensare: saltò sulla lastra di ghiaccio e vide che i chiodi sotto gli stivali erano semplicemente perfetti: si incastravano nel ghiaccio spesso abbastanza da impedirle di slittare, ma non al punto di non staccarsi più.

Procedendo ad ampie falcate, arrivò in fretta al centro del lago, ma sentì ancora il ruggito dello yutiranno: l’aveva inseguita anche lì, ma faceva più fatica di lei. Le sue grosse zampe scivolavano di lato sulla lastra appena le appoggiava e lui perdeva l’equilibrio. Nonostante ciò, anche se con più goffaggine e lentezza di prima, stava recuperando terreno e si avvicinava. Disperata, Chloe si guardò intorno e vide, in lontananza, un rinoceronte lanoso che guadava il lago come lei. Sperando di poterlo usare come diversivo, svoltò e iniziò ad avvicinarglisi, seguita a ruota dallo yutiranno. Quando fu a dieci metri, capì di aver scelto bene: lo yutiranno, potendo scegliere fra l’acciuga e l’aragosta, si dimenticò completamente di lei e attaccò il rinoceronte lanoso al suo posto. Chloe si allontanò di almeno quindici metri per stare sicura, poi non resisté alla tentazione di guardarli: lo yutiranno azzannò il rinoceronte al garrese, ma il mammifero muggì, si impennò e gli fece mollare la presa. Ferì il petto del teropode con una cornata, ma Chloe non stette a vedere come sarebbe finita: tornò a correre e, finalmente, raggiunse la sponda opposta. Ora, anziché proseguire in discesa, il paesaggio era piatto e la foresta più fitta di prima. Tornò a camminare solo quando smise di sentire i versi di entrambe le creature.

A questo punto, si fermò appoggiando la schiena ad un albero e, stremata, si coprì la faccia con le mani. Fece il punto della situazione: era sola, si era persa, era in mezzo alla neve e alle creature preistoriche assetate di sangue, Laura era morta e degli altri non c’era traccia. Era semplicemente spacciata. Ma poi, in lontananza, le parve di sentire qualcosa. Era così lontana da sembrarle quasi un’illusione, eppure le fece venire un’irresistibile tentazione di seguirla. Col cuore in gola e con tutti i sensi all’erta per non rischiare altri incontri spiacevoli, iniziò ad avvicinarsi lentamente. Seguiva quella fievole voce quasi ipnotizzata, non notando che la stava riportando al lago. Quando fra gli alberi la lastra di ghiaccio tornò visibile, notò una sagoma scura nel bianco. Era troppo piccola per essere lo yutiranno, quindi cos’era? Corse dietro un albero e spiò da dietro quello per vedere meglio. Rimase a bocca aperta e quasi morì di gioia: quello era Cupcake. E lo sapeva perché accanto a lui c’era…

«Oddio… Laura!»

Senza più pensare, si precipitò dall’amica e si fiondò su di lei, abbracciandola così forte che poteva. Pure Laura iniziò a stringersi a lei, ma per un altro motivo: senza la pelliccia, aveva così freddo che era diventata viola e aveva lo sguardo perso e vuoto, come uno zombi. Sentendo il calore di Chloe, ci si era incollata d’istinto.

«Oddio… sei viva! Sei viva!» farfugliava Chloe, con le lacrime agli occhi.

«…v-v-viva? Certo!» rispose Laura, con aria abbastanza stordita e coi denti che battevano.

«Oddio, sei gelida… tieni!»

Chloe, allora, si sfilò la pelliccia e gliela fece mettere, iniziando subito a stringersi e strofinarsi le braccia per la botta di gelo improvvisa.

«Facciamo a turno, va bene?»

«S-s-sì…»

«Cerchiamo di capire dove siamo…»

Chloe tirò fuori la sua fotocopia della cartina di ARK e osservò bene il Dente Ghiacciato. C’era un solo lago, a quanto pare, ovvero quello che aveva appena guadato. Quindi, se la montagna era ad Ovest e loro le stavano dando le spalle, stavano guardando verso Est, mentre il fiordo col villaggio dei Lupi Bianchi era a Nord.

«Forza, Laura, andiamo a Nord! Sperando di non incontrare mostri affamati…»

«D-d-d’accordo…»

Poi, per alleggerire il morale, Chloe fece una battutaccia su di sé che aveva imparato da Sam:

«Ti prometto che se succede e qualcosa va storto mentre scappiamo, io mi sacrifico per te: sono più appetitosa, vista tutta la polpa che ho davanti e dietro!»

«Eh... d-d-ai... c-carina, qu-questa!»

«Coraggio, andiamo!»

Si rimisero in viaggio, stando insieme sulla sella di Cupcake e facendosi regolarmente il cambio con la pelliccia. Chloe si maledisse per non aver pensato di portare quella di Laura con sé… peccato che fosse arrivato quello yutiranno a distrarla. Usavano principalmente la montagna e la posizione del Sole per capire se erano davvero dirette a Nord e, per una buona ora e mezza, tutto sembrò filare liscio, a parte il rischio di ipotermia. Ed ecco che giunsero ad un punto dove c’era stata un’altra valanga, molto tempo prima. Alla loro sinistra, tutto era completamente sepolto da tonnellate di neve compatta che formava un cumulo simile al versante di un colle. Ne spuntavano a malapena radici o cime di alberi travolti. Proseguirono stando sul fondo finché, in lontananza, iniziarono a sentire un gran fracasso di animali che combattevano.

«Ehi senti questo casino?» chiese Chloe.

«C-cosa pensi che s-s-sia?»

«Non lo so, ma è meglio se passiamo standone il più lontano possibile!»

«Concordo»

Quindi, iniziarono a fare un giro largo a Est, con l’intenzione di tornare a dirigersi in linea retta verso Nord dopo un pezzo.

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DIVERSI MINUTI PRIMA…

Dopo la valanga, Acceber si era offerta immediatamente di andare a cercare Laura e Chloe, in caso si fossero miracolosamente salvate. Mei-Yin e Nerva le avevano chiesto se voleva che la seguissero, ma lei rifiutò: tanto, pensò, era solo una ricerca, se avessero incontrato una creatura aggressiva Rexar l’avrebbe potuta benissimo aiutare o portarla via. Sam, invece, aveva insistito per venire perché voleva assolutamente aiutare a ritrovare le due amiche. Helena e gli altri gliel’avevano severamente proibito e intimarono di lasciar fare Acceber, che se ne intendeva di più, ma questa volta Sam rispose a testa alta che non gliene sbatteva niente. Più per panico che per rabbia, sbatté in faccia ad Helena di chiudere la bocca e andare a mettere il manufatto a posto. Lui andava, punto. Quindi, spronando Ippocrate, lo mandò a seguire Rexar, anche se era già svanito alla vista.

«Ma… uff!» sospirò Helena, sconsolata.

«Vuoi che lo trascini indietro?» le chiese Mei.

«No, farebbe peggio… stagli vicino. Lo si deve anche capire, in fondo…»

«Capito»

Quando Sam se la ritrovò dietro, le disse che non voleva tornare indietro. Si ammorbidì subito quando lei gli disse che lo stava solo seguendo in caso succedesse qualcosa. Intanto, a qualche decina di metri, Acceber aveva trovato la pelliccia di Laura. Chloe aveva dimenticato di prenderla, ma almeno così avevano dato modo al tilacoleo di cercarle. Rexar correva attraverso la pineta a passo spedito. Con la neve, faceva più fatica del solito a seguire gli odori, ma siccome quello di Laura era fresco riusciva comunque a stare sulla pista senza troppe difficoltà. A un certo punto, giunto ai pressi del grande lago congelato dell’isola nevosa, si fermò e prese ad annusare l’aria a testa alta, apparentemente irritato o spaventato da qualcosa. Acceber si allertò, ma quando scoprirono che l’odore estraneo era la carcassa di uno yutiranno che aveva avuto la peggio con un rinoceronte lanoso, si rilassò ancora. Quando attraversò il lago, sembrò perdersi; intanto, Sam e Mei iniziavano a loro volta a guadare. Il marsupiale, titubante, svoltò a destra. Il silenzio era assoluto… e lo fu finché la ragazza sentì uno strano fischio in lontananza che si avvicinava sempre di più. Quando il fischio finì, si trasformò in un tintinnio: il tintinnio di una freccia in ossidiana che era scesa dal cielo alla velocità della luce e si era conficcata nell’albero accanto al quale Rexar stava passando… a pochi centimetri dalla testa di Acceber.

“Cosa?!” pensò lei, terrorizzata, mentre il tilacoleo irrigidiva i muscoli e scopriva i denti al cielo, tenendo basse le orecchie.

Mei, invece, fece segno a Sam di fermarsi, siccome vide diverse sagome che, come se fossero apparse dal nulla, avevano cominciato all’improvviso a muoversi tra gli alberi. Era un branco di creature domate, e parevano avercela proprio con loro.

«Corri, tu! Credo che Ippocrate abbia sentito l’odore come la pantera rossa, quindi può provare a trovare le tue amiche. Penserò io a questi e ad assistere Acceber…»

«Sicura?»

«Sì. Sbrigati, prima che ci circondino!»

Sam, allora, spronò Ippocrate senza perdere altro tempo e si allontanò fra gli alberi dove non c’era nessuna di quelle creature ostili. Presto, sia la guerriera che Acceber furono accerchiate, ognuna a quaranta metri dall’altra e nel fitto del bosco. La figlia di Drof, che ormai era a sua volta nei pressi della slavina vecchia, impallidì e si sentì sprofondare in un incubo quando capì di chi erano. Rexar si girava continuamente e ringhiava alle bestie nemiche per tenerle a distanza. Si abbassò, tendendo gli arti, pronto a balzare all’attacco. Acceber, ancora in preda allo stordimento da panico, sentì con qualche secondo di ritardo il grido di un argentavis che piombava su di lei ad artigli protesi. Prima che Rexar potesse fare qualcosa, il rapace afferrò la ragazza al volo e la portò fino ad un pinnacolo roccioso che spuntava dalla slavina e lì la depositò. Acceber rotolò nella neve, ma si alzò di scatto e osservò l’argentavis far scendere suo fratello, che lo stava cavalcando.

«Vola!» ordinò Gnul all’uccello.

L’argentavis stridé e li lasciò soli, tornando dal resto del contingente. Quel branco non era il solito, non era per nulla possibile fargli attraversare il mare. Per questo ne aveva uno minore nascosto al Dente Ghiacciato. E ora che i dimorfodonti avevano ritrovato Acceber, l’aveva recuperato.

«Ci risiamo, sorellina» disse.

Acceber fu sconvolta dal cambio radicale nel modo di fare di Gnul: era passato da scherzoso e provocatorio a serio e freddo, tre volte più spaventoso.

«Non puoi farmi questo! Non ce la posso fare!» supplicò lei, tremante.

«Lo so. Neanche nostra madre ce la poteva fare. E io l’ho guardata morire… ma tu no»

«Senti, io capisco…»

«Invece no! Puoi dire che hai sofferto come me quanto vuoi, non sarà mai vero! Hai idea di come ci si senta? Quella bestia l’ha smembrata, l’ha dissanguata, ha cominciato a mangiarla mentre era ancora viva e urlava… e lei mi fissava mentre moriva! Riesci ad immaginare la sensazione?»

«Be’… io…»

«Visto? Nessuno potrà mai capirmi. Non ci è mai riuscito nessuno, non mi è mai servito a niente farli soffrire come lei e anche di più… ed è per questo che meriti di provarlo anche tu»

Quando disse questo, prese un coltello da macellaio dalla cintura e si avvicinò a piccoli passi. Al contempo, lei provò ad indietreggiare, ma si ritrovò presto sul bordo del pinnacolo. Gnul continuò il suo discorso, mentre in fondo al pendio Rexar e Mei affrontavano le creature come meglio potevano, anche se si stavano ritrovando in difficoltà:

«Quando ho organizzato la tua morte al Labirinto di Gole, ho deciso di non parlare di questo perché credevo che farti sapere cosa mi ha rovinato non avrebbe cambiato niente»

«Ma…»

«Ci ho pensato e ho deciso che, invece, tu meriti di sapere»

Continuò ad avanzare, mentre Acceber iniziò lentamente a rannicchiarsi in un disperato tentativo di sentirsi più riparata.

«So che non ho visto la stessa atrocità che è successa a te, ma puoi stare certo che la morte di nostra madre mi ha distrutta! Io facevo finta che tutto fosse sempre stato normale perché… odiavo l’idea che si vedesse che stavo male come non mi era mai successo!» esclamò lei, ormai piangente e isterica.

«Ah, quindi non solo ti illudi che soffrire e basta sia il peggio, lo nascondi pure! L’unico modo per mostrarti come mi sento io è farti morire come lei… e quello che hai al collo avrebbe dovuto essere un anticipo. Sei stata tu a creare questi otto anni di ritardo!»

Ormai erano a pochi centimetri di distanza…

«Credevo che fossi annegato! Ti ho avuto sulla coscienza per otto anni, anche se mi hai ferita più dentro che fuori!»

«Invece non solo non mi hai ucciso… hai condannato a morte più di ottanta persone»

«Cosa?»

Gnul-Iat si accucciò per fissarla ancora più da vicino. Il suo sguardo era ai limiti della follia e della rabbia repressa sul punto di essere buttata fuori, era terrorizzante.

«Sì! Io volevo solo te. Eri tu che dovevi imparare la lezione. Ma hai rovinato tutto… e siccome per diciotto anni non ho avuto il coraggio di riprovare, ho cercato di sfogarmi sugli altri. Non è servito a niente»

«Io non ho ucciso nessuno! Sei stato tu! Tu! Sei tu che hai perso la testa! Io non ho mai fatto del male!» strillò Acceber.

«Vedila come ti pare… sappi solo che grazie a questo ritardo io ho ucciso anche zio Odranreb! E per poco non sono riuscito a fare lo stesso a nostro padre»

Sentendo questo, Acceber si sentì morire dentro. Le lacrime iniziarono a scorrere ancora più abbondanti. Una piccola parte di lei, in fondo alla sua mente, sperava che Gnul la uccidesse da un momento all’altro, purché la sofferenza e la paura cessassero. Gnul prese qualcos’altro dalla sua cintura: un sacchetto di cuoio. Lo aprì e mostrò il suo interno alla sorella: Innesti della Maturità. Parecchi. Più di ottanta. Con ancora i pezzetti di carne delle vittime attaccati. A lei venne da vomitare. Vedendola così, Gnul strinse gli occhi:

«E con questo, siamo all'ultimo passaggio...»

Ma Acceber, all’improvviso, si sentì pervadere da una voglia irrefrenabile di ribellarsi, di opporsi a tutta quella sofferenza immeritata, di uscire da quell’incubo durato otto lunghissimi anni. Si rialzò coi muscoli di colpo pieni di energie e si fiondò sul fratello, cercando di investirlo… ma lui si alzò a sua volta, chiuse il pugno sinistro e la colpì sul petto con tutta la forza che aveva nel braccio, tutto in meno di un secondo. Acceber ebbe un singhiozzo convulso e cadde, coi polmoni che bruciavano e il respiro bloccato. Gnul le appoggiò un piede sulla spalla e la spinse all’indietro, facendola finire supina sulla neve. Girando il coltello verso il basso, la sovrastò e disse:

«Addio, Acceber. Sto finalmente per tornare in pace!»

«No!»

Gul-Iat, fulmineo, calò la lama e la affondò nel cuore della sorella. Acceber chiuse gli occhi e diede per certo di essere morta. E invece non le accadde nulla: la lama si spezzò in due appena toccò il suo petto e Gnul fu sbalzato all’indietro da una forza invisibile, finendo a gambe all’aria.

«Cosa?» farfugliò lei, confusa.

«Cosa?!» ringhiò lui, frustrato.

Guardò la lama. Com’era successo? Perché? Non importava: in un modo o nell’altro, Acceber doveva morire. Tornò subito da lei, che era ancora a terra, e abbatté un poderoso cazzotto al suo viso. Ma le sue nocche si scontrarono con qualcosa di duro come la pietra e rimbalzarono. Con un’esclamazione di dolore, Gnul se le guardò: sanguinavano. Acceber lo stava fissando da terra, a occhi sgranati, disorientata quanto lui.

«Ma che succede?!» gridò lui, furioso.

La colpì ancora, ancora, ancora e ancora, le tirò anche un calcio, ma dovette fermarsi perché si stava rompendo le ossa da solo. Acceber notò un luccichio insolito sotto i suoi occhi. Guardò: la piccola pietra rossa della sua collana in Elemento a forma di astronave che Diana le aveva regalato due anni prima brillava. Non capiva: non era mai successo. C’entrava qualcosa con quello che stava succedendo? Prima che si facesse altre domande, Gnul gridò di furia e, afferratole il cappuccio della pelliccia, la buttò giù dal pinnacolo, poi saltò giù a sua volta. Caduti sulla neve fresca della frana, l’inutile pestaggio continuò, mentre Acceber cercava invano di scappare.

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Per fortuna, pochi degli esemplari di quel contingente erano dinosauri: per almeno due terzi erano mammiferi e uccelli. Dunque Mei non faceva tanta fatica a ferirli con la spada e poteva aiutare Hei a tener loro testa senza ritrovarsi da solo contro tutti. Tagliò la zampa ad uno smilodonte, trafisse il cuore di un diatrima, tagliò la gola di un metalupo dopo che questi era riuscito ad atterrarla… il velociraptor nero, da parte sua, saltava sulle bestie nemiche, le mordeva e graffiava per sfiancarle e poi le finiva con un potente morso alla gola. A un certo punto, però, fu colpito alle spalle e ferito di striscio da un metaorso, ma la padrona venne a soccorrerlo quasi subito e infilzò il cranio del plantigrado. Collaborarono per abbattere un carnotauro, dopodiché fecero in modo che un mammut trafiggesse un deodonte con le zanne per sbaglio, mentre cercava di colpire loro. Ma, all’improvviso, un pegomastax che si era intrufolato nel campo di battaglia inosservato le saltò addosso e le morse la mano, costringendola a mollare la spada, e gliela portò via. La combattente stava per inseguirlo, ma sentì una voce familiare:

«Abbiamo un combattimento in sospeso, Regina delle Bestie!»

Mei si voltò, mentre d’un tratto le creature cessarono l’attacco in seguito ad un fischio. Si misero in cerchio ed ecco che apparve Sotark, in sella ad un barionice e con una clava chiodata in mano.

«Sarebbe uno scontro impari…» lo provocò Mei.

Il gigante scese a terra e gettò l’arma. Alzò le mani e affermò che ora non lo era più. Se voleva proprio lottare, pensò la Regina delle Bestie, per lei andava bene. Era questione di sopravvivenza, in fondo.

«D’accordo. Era da tanto che non mostravo le mie vere capacità senza armi…» lo punzecchiò.

Avrebbe usato la differenza di agilità fra lei e l’avversario per uscirne vincitrice: aveva già provato altre volte, in Cina e anche su ARK. Quindi si mise in posa difensiva e lui pure, mentre si avvicinava. Sotark iniziò con un paio di finte, ma Mei non fece una piega: voleva abituarsi al suo stile, prima di esporsi. Avanzando, il socio di Gnul-Iat provò a convincerla ad attaccare, ma lei era impassibile. Sotark perse la pazienza e attaccò per davvero; Mei schivò scivolando via. Sotark colpì ancora, costringendola ad abbassarsi per non farsi toccare: l’imponenza di Sotark era ingannevole, perché nonostante l’aspetto goffo e rigido era agilissimo. Continuò con una raffica di pugni; Mei si fece portare al limite del cerchio, mettendosi in modo che un colpo l’avrebbe spinta in bocca alle creature affamate, che non aspettavano altro. Sotark ci cascò e la guerriera gli diede un assaggio di quello che sapeva fare: invece di schivarlo, si scagliò su di lui, scivolò sotto il suo braccio ancora teso e gli colpì il lato della coscia tre volte, destro-sinistro-destro. A quel punto, balzò via prima del contrattacco. Per quanto soddisfatta, decise di non godersi troppo quel piccolo successo e di rimanere concentrata. Sotark si massaggiò la gamba, che era stata colpita a tre nervi diversi, e la fissò ringhiando come un cane. Ora muoveva l’arto un po’ male… Mei aveva fatto pratica per anni per imparare quali punti facevano davvero male, e aveva centrato in pieno. Sotark avanzò cautamente, la guardia alta, pronto a scattare. Sarebbe stato tutto più facile se fosse stato spavaldo come prima… attaccò all’improvviso e Mei sentì lo spostamento d’aria del suo pugno due volte, prima di rispondere con un gancio alle costole. Sotark si allontanò premendosi il petto, dolorante. I suoi colpi successivi furono più misurati, quasi timorosi: si teneva pronto a difendersi. Mei-Yin capì che toccava a lei prendere iniziative: fece tre finte ambigue, l’ultima lo mise in difficoltà. A quel punto, la Cinese corse da lui e sferrò una raffica di colpi… stomaco, stomaco, gamba, fianco, schivata, stomaco, costole, schivata, schivata, ginocchio. Si allontanò roteando su se stessa con una grazia incantevole: era fluida e snodata come una vera ballerina.

«Unngh…» grugnì Sotark, con una smorfia.

L’ultimo colpo al ginocchio era stato micidiale e le schivate dell’avversaria lo frustravano molto. Lui era molto più forte, ma lei era brava nel prendere la mira e colpire i punti giusti con la massima precisione. In una sfuriata improvvisa, si gettò a peso morto su di lei, ma ottenne solo un pugno in mezzo agli occhi, che lo rintronò. Ora era troppo. Mandò al diavolo la lealtà e fischiò, ordinando al barionice di attaccare Mei e mangiarle la testa. La guerriera, colta alle spalle, stava per essere finita, ma Hei si accorse di tutto in tempo e si gettò ad artigli tesi sul teropode anfibio, placcandolo. I due dinosauri rotolarono nella neve, verso il margine del cerchio. Il barionice provò ad azzannare Hei da sdraiato, ma mancò e il velociraptor gli bloccò la testa con le zampe anteriori, prima di tagliargli la gola coi denti. Questa piccola distrazione costò caro a Mei: Sotark riuscì finalmente a colpirla in faccia appena si voltò. Il colpo fu così potente da farle sputare sangue e farle scricchiolare la mandibola. Cadde in ginocchio sulla neve, con la vista annebbiata e guardando le gocce di sangue che macchiavano la neve. Si rialzò subito, per evitare altre sviste.

«Sei disgustoso! Non hai onore!» esclamò, oltraggiata.

«Non mi interessa, non più!» sibilò Sotark, infuriato.

Mei schivò un colpo per miracolo e provò a rispondere, ma era più lenta a causa del colpo. Sotark bloccò il suo pugno e strinse la presa sulla sua piccola mano.

“Oh, no!” pensò Mei, capendo di essere intrappolata.

Sotark alzò il pugno libero e, mettendoci tutta la sua forza, lo abbatté sul gomito della Regina delle Bestie come un martello. Il dolore fu immediato e devastante e le strappò un grido. Le ossa scricchiolarono molto forte. Un altro colpo le avrebbe rotto il braccio… Hei non poteva aiutarla, perché le creature erano tornate a combattere…

«Sei stata sconfitta, Regina delle…» iniziò ad annunciare Sotark.

Ma, prima che finisse la frase… una lancia in metallo piovve dal cielo e gli infilzò il costato, perforò il suo dorso e si incastrò nel suolo. Mei fu lasciata andare e si allontanò, massaggiandosi il braccio martoriato. Sotark fissò la lancia con sguardo perso, pronunciò flebilmente un nome femminile... e si spense. Mei guardò dietro di sé, allibita, e vide che altri due velociraptor erano venuti ad aiutare Hei: Alba e Usain. Di lì a poco, dalla foresta arrivò Nerva, che la aiutò ad alzarsi: la lancia era la sua ritrovata picca romana.

«Gaius… sei venuto anche tu?»

«Quel miserabile è stato sleale con te perché non tollerava la sconfitta. Meritava una morte vergognosa come quella che gli ho dato» affermò il centurione, poggiandole una mano sulla spalla.

«Mei! Stai bene?» chiese Helena, apparsa a sua volta, controllandole il braccio.

«Sì, mi fa solo male questo e mi gira la testa… non dovevate sistemare il manufatto?»

«L’abbiamo fatto, più in fretta che potevamo. Poi abbiamo deciso di tornare da voi, per non perdervi!»

Mentre i tre parlavano, gli animali nemici smisero di combattere e si radunarono attorno al corpo del padrone deceduto. A quel punto, si guardarono perplessi e, pur esitando, si dispersero: svanirono nella foresta, ciascuno prendendo la sua strada.

«Se il gigante era qui, vuol dire che c’è anche il fratello omicida dell’indigena. Dobbiamo trovare subito lei e i ragazzi!» affermò Nerva.

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Ippocrate corse un po’ arrancando, un po’ scivolando, lungo il pendio della vecchia valanga per seguire l’odore ed evitare il contingente nemico allo stesso tempo. La neve fresca era cedevole e rallentava, il velociraptor aveva perdite d’equilibrio tali che Sam doveva tenere le gambe strette sui suoi fianchi e le redini tirate fino a farsi venire i crampi. Ma entrambi perseverarono a denti stretti e, alla fine, trovarono Laura e Chloe, a cavallo di Cupcake.

«Ragazze! Siete vive!» esclamò, al settimo cielo.

Fregandosene della neve friabile, scese da Cupcake e le raggiunse per abbracciarle. Le abbracciò alla vita, perché loro erano sulla schiena del pachicefalosauro, ma sempre di un abbraccio si trattava.

«Sì, ce l’abbiamo fatta, Sam! Ammettilo, ti sei spaventato per noi, eh?» lo punzecchiò Chloe.

«Certo! Parecchio!»

«Cavolo… se lo ammetti, vuol dire che ti è quasi venuto un infarto!» commentò Laura, che stava iniziando a scaldarsi.

Chloe stava per confessare di essere scoppiata a piangere prima di ritrovarsi inseguita dallo yutiranno, però furono interrotti: dei mucchietti di neve più dura iniziarono a scendere dall’alto e li sorpassarono, solleticando le loro gambe. I tre ragazzi impallidirono all’idea di una nuova valanga, visto che erano in un campo minato da quel punto di vista, ma successe altro. Ad un tratto, rotolando, scalciando e urlando, due palle di pelliccia che si contorcevano finirono in mezzo a loro. Quando si alzarono, una li riconobbe e corse dietro di loro quasi come se cercasse protezione, l’altra rimase ferma e strinse i pugni, con una faccia pregna di follia.

«Acceber!» esclamarono loro.

«State attenti! Quello è Gnul-Iat!» avvertì la ragazza.

I tre lo fissarono, a occhi sbarrati.

«Quindi tu sei il malato di mente che fa le firme sui colli, eh?» chiese Sam, con finto sarcasmo per nascondere la paura.

«Sì, sono io… bel nome che mi hai trovato, sorellina – ringhiò Gnul, a denti stretti – Voi dovete essere alcuni degli stranieri con cui l’ho vista tempo fa… state a sentire, sto avendo un momento piuttosto snervante, quindi fatevi subito da parte e potrei anche pensare di uccidervi per ultimi!»

Il velociraptor si mise accanto a Sam, scoprì i denti e fece ondeggiare le penne con fare minaccioso, mentre Cupcake muggì con tono di sfida. Sam, incoraggiato dal supporto delle due bestie, lo provocò:

«Tsk, chiunque saprebbe fare quella minaccia! Come penseresti di fare? Sei disarmato... e tra l’altro sei pure un grissino! Ti facevo più alto…»

Effettivamente, nonostante il fisico definito e asciutto e la pelliccia che lo “ingrossava”, Gnul era notevolmente più minuto di lui, a momenti lo era quanto le ragazze.

«E poi non mi puoi toccare, Gnul! Sono diventata invincibile, anche se non so come sia successo!» aggiunse Acceber, superando in parte la paura e facendosi avanti, mostrandogli la collana TEK.

Gnul-Iat, sempre più furioso, non ci vide più. Urlò e si gettò su di lei, ma Sam si mise in mezzo e lo sorprese con un destro sul naso. A scuola aveva fatto tanti di quei pestaggi che ormai era temprato… Gnul-Iat sussultò, ma si riprese subito e rispose con una ginocchiata allo stomaco così rapida che nessuno la vide arrivare. Sam, colto alla sprovvista, cadde in ginocchio mentre Gnul camminava lentamente verso la sorella. Ippocrate emise un verso intimidatorio e gli si scagliò addosso. Il Ladro di Impianti, però, gli cavò un occhio con due dita prima che lo raggiungesse e fermò l’assalto. Cupcake provò una testata, ma fece la stessa fine: Laura e Chloe finirono a terra.

«Aspetta! Aspetta…» esclamò Acceber.

«Vediamo se sei al sicuro anche dalla neve…» ammiccò il pazzo.

Avendo capito che i suoi attacchi rimbalzavano solo se erano dei violenti impatti, le afferrò con calma ma alla svelta le caviglie e strattonò, facendola finire pancia all’aria. La girò prima che si alzasse e… le premé la faccia nella neve, iniziando a soffocarla. Acceber si opponeva e scalciava, ma lui la sovrastava e bloccava.

«Fermo!»

Chloe prese un bastone incastrato nella slavina e glielo sbatté in testa. Gnul allentò la presa, Acceber si liberò e lo respinse. Ai limiti della pazzia, Gnul gridò che li avrebbe uccisi tutti a mani nude e stordì Chloe con una testata, lasciandole un livido in mezzo alla fronte. Sam tornò alla carica e lo placcò. Gli avvolse il torso con le braccia e iniziò a stringere, tenendolo fermo. Mentre erano ancora a terra, Ippocrate volle approfittarne per attaccare con un’artigliata… ma Gnul-Iat si sforzò di rotolare e si fece scudo con Sam, a cui fu quindi graffiata la schiena. Urlando, il rosso lasciò andare Gnul per il dolore e gli fu tirato un calcio alle costole. Laura, volendo rendersi utile, fece una palla di neve e, pur sentendosi una stupida, gliela tirò in faccia appena i loro sguardi si incrociarono. Mentre Gnul era accecato, Acceber gli venne incontro e lo colpì in faccia in un improvviso lampo di coraggio: era il momento di affrontare i suoi demoni. Guardò Laura con gratitudine, mentre Cupcake atterrava Gnul con una spallata. A quel punto, a Laura venne un’idea: ad ogni passo che facevano, venivano giù mucchi di neve in quantità allarmanti, quindi forse se avessero esagerato…

«Trovate un albero e aggrappatevi!» ordinò.

«Cosa?»

«Fatelo e basta!»

Quindi, titubanti, tutti si abbracciarono ad un pino lì accanto che sporgeva dalla slavina e Laura iniziò a pestare con forza i piedi per terra e saltellare, invitando Cuppy ad imitarla. La neve che scivolava si triplicò e capirono il suo intento: voleva seppellire Gnul con un’altra valanga. Quando il fratello di Acceber si alzò, la ragazza e il dinosauro ottennero quello che volevano: si sentì una sorta di tuono nelle profondità del pendio e un enorme blocco di slavina si staccò dal resto, com’era successo in cima alla montagna. Laura corse al pino, Ippocrate ci saltò sopra e Cupcake lo afferrò col becco. Gnul-Iat, prima che potesse fare qualsiasi cosa, sentì il terreno venire a mancare sotto i suoi piedi e iniziò a venire giù con tutto il resto.

«No! Non vale! La mia uccisione... me la paghere...» urlò, prima di scomparire sotto quintali su quintali di neve.

La valanga scese ancora di più di dov’era prima e finì con l’estendersi fino al lago ghiacciato. Fu uno sforzo tremendo stare aggrappati al pino, specialmente per Sam che aveva la schiena ferita, ma sopravvissero. Erano immersi nella neve fino alla vita, ma riuscirono a districarsi senza problemi. Stremati e col cuore a mille, tutti si sedettero e si guardarono.

«Uao… c’è mancato poco, eh?» commentò Chloe.

«A chi lo dici…» disse Sam.

«Voi… mi avete protetta! Avete rischiato per me! Grazie, grazie infinite!» mormorò Acceber, commossa.

«Era il minimo che potessimo fare per la nostra fantastica guida… e amica» rispose Laura a nome di tutti, sorridendo.

Pochi minuti dopo, furono raggiunti da Helena e gli altri, alquanto sorpresi e preoccupati per la valanga. Quando gli fu raccontato tutto, rimasero stupiti e si complimentarono sinceramente per la bravura dei ragazzi a salvarsi da soli da una minaccia come Gnul-Iat… certo, la cosa era resa più facile dalle opportunità date dal territorio e dall’assenza del contingente, ma era comunque cosa non da poco. E per Acceber fu il massimo avere la franca ammirazione della Regina delle Bestie, così come per Laura lo fu averla da Helena. Dunque, ora che il nuovo manufatto era sul piedistallo, il tassello di mosaico era stato preso e si erano pure salvati, restava solo una cosa da fare: chiedere il prossimo manufatto ai Lupi Bianchi. Come promesso, si sarebbero riposati e ripresi dal freddo con una bollente zuppa di radici tipica del Dente Ghiacciato… senza equiseto, ovviamente.

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«Ehi, guarda quanta roba interessante che hanno qui, Doris! È meglio delle raccolte da mercatino delle pulci di quello stupido collezionista in Germania!» commentò Mike, passeggiando nel mercato con le mani dietro la schiena e Doris che osservava tutto stando in modalità furtiva sulla sua testa.

Dopo le nuove decisioni che avevano preso sulla strategia, avevano accompagnato i documentaristi al villaggio delle Frecce Dorate, il primo in cui erano stati, perché a Mike sembrava il posto più sereno in cui rilassarsi e aspettare che i loro concorrenti finissero di sgobbare coi manufatti per loro. Così, mentre Vicky e i suoi colleghi facevano delle preziosissime interviste agli Arkiani, molto utili per dare ancora più autenticità alla loro opera, l’uomo con la bombetta dava un’occhiata più da turista al villaggio. Ad alcune bancarelle si vendevano oggetti ornamentali che somigliavano ai braccialetti e collanine arabi, ad altre degli attrezzi agricoli e da lavoro, armi, selle… quello che emozionava di più Mike era il fatto che erano tutte cose normali, però adattate alla vita su ARK: gli aratri erano enormi perché dovevano trainarli dei dinosauri, le selle avevano forme molto specifiche per adattarsi ale varie specie… sembrava di stare in un museo. Ma ciò che che lo soddisfaceva davero era pregustare tutta la fama che avrebbe ottenuto presentando ARK al mondo. Ad un certo punto si fomentò e, come tutte le volte in cui si fomentava, iniziò a recitare un monologo da teatro perdendosi nei suoi sogni:

«Immagina tutto quello che creeremo, Doris! La televisione impazzirà per l’isola preistorica, Internet impazzirà per questo! Diventerà il più grande distributore di soldi di sempre, per noi e chiunque saprà approfittarne!»

«Mike…» provò a richiamarlo Doris.

«Vedo già tutti gli alberghi, i ristoranti, i safari, i fiumi di turisti, i parchi naturali, i musei, i film a tema…»

«Mike…»

«È una gallina dalle uova d’oro, Doris! Anzi, è la gallina dalle uova d’oro! Ci basta solo raggiungere quello che cerchiamo, andare via da qui e…»

«Mike, stai attirando parecchia attenzione sconveniente» riuscì finalmente a dire la bombetta.

Mike, tornato coi piedi per terra, si rese conto che tutti i presenti lo stavano guardando con delle espressioni confuse e imbarazzate. Allora, impallidendo, si aggiustò il cappello giusto per fare qualcosa, si schiarì la voce e disse con fare altezzoso:

«Be’? Che avete da guardare? Sono un attore, ho un pezzo importante che non ho modo di interpretare perché sono finito qui, ma voglio allenarmi lo stesso per quando tornerò a casa! Sì, io un giorno tornerò a casa, anche se c’è una barriera invisibile in mare! Non è che ho scoperto dei passaggi alternativi in mezzo a delle rovine, proprio no… eh, nella vita non si può avere tutto, che ci volete fare? Buona giornata, non avete visto né sentito niente!»

Quindi, morendo dall’imbarazzo, si allontanò dal mercato camminando veloce e, raggiunte le prime case, andò in riva al lago. Si sedette su una panchina sulla sponda e si calmò.

«Dannazione, ho fatto un discorso appassionato da cattivo dei film ad alta voce… l’ultima volta è stata a Mosca, ma è passata una vita! Come ho potuto riprendere? Che vergogna…»

Poggiò Doris accanto a sé sulla panca e si mise a osservare mugugnando il lago. La bombetta estrasse visore e zampe da ragno e rimase ferma accanto a lui per qualche minuto. Mike non si accorse che stava eseguendo una scansione chimica dei paraggi… alla fine, rilevò qualcosa di inaspettato, molto interessante.

«Mike, ho appena rilevato una traccia chimica mai trovata prima…» avvertì.

«In che senso?» chiese lui, incuriosito.

«È molto simile ai segnali che ho rintracciato fino ad adesso»

«Oh! Allora c’è un manufatto? Dove?»

«A poche decine di metri da noi. Triangolando meglio le coordinate… a non più di trenta metri»

«Cosa? Anche se i mocciosi hanno già portato via quello di questo villaggio? Ma che strano…»

«Infatti non può essere uno dei manufatti: la traccia è altamente più concentrata e distinta. È indubbiamente qualcosa di diverso. Suggerisco di indagare, fintanto che i nostri collaboratori documentaristi sono assenti e noi siamo liberi di agire»

«Oh, buona idea! Ogni indizio guadagnato è un passo che ci avvicina al Tesoro!»

Così, facendosi guidare dalla bombetta, Mike seguì il lungolago fino ad una semplice casetta in legno con una rimessa di barche accanto, probabilmente l’abitazione di un pescatore. Doris gli indicò che la fonte della traccia proveniva dalla stanza che si vedeva dalla finestra più a destra, a ridosso del lago. Stando basso, Mike riuscì ad avvicinarsi furtivamente (anche se era in bella vista) al davanzale, appiattì la schiena al muro come nei film d’azione e, sempre credendosi silenzioso e quatto come un ninja quando era l’esatto opposto, sbirciò dentro: sembrava la normalissima camera di un bambino. Chiese a Doris dove fosse la traccia e la bombetta gli indicò un oggetto sul comodino, accanto ad una candela. Mike non aveva mai visto niente di simile: sembrava era una strana sfera di rame, grande poco più di una palla da tennis, ormai ossidata e verde, ma non arrugginita. Era più pesante di quello che sembrava e un solco la divideva in due parti uguali. Attraverso una sorta di piccolo oblò di vetro su uno dei lati si poteva vedere che all’interno della sfera c’era un bizzarro liquido denso come miele e azzurro, addirittura fluorescente.

«Pare che il segnale provenga da quella sostanza sconosciuta» analizzò Doris.

«Interessante… prendiamola!»

Mike, senza pensarci due volte, si tuffò di testa nella stanza dalla finestra aperta, schiantandosi a peso morto sulle assi di legno del pavimento. Con un gemito, si alzò e si spolverò la giacca, sentendo la voce di Doris che lo avvertiva per qualcosa, ma era troppo concentrato sull’obiettivo per darle retta.

“Oh, vieni da papà!” pensò, ridacchiando, mentre afferrava il globo di rame.

Ma, appena si voltò, capì cosa stava dicendo Doris: nella stanza era appena entrato un ragazzino di cinque anni che adesso fissava Mike con aria confusa. Non spaventata, non sconvolta per l’apparizione improvvisa di uno sconosciuto straniero in camera sua, no: confusa. L’aspetto goffo e comico di Mike contribuiva a non fare paura come effetto immediato, c’era da dirlo. Mike, rimasto pietrificato, a bocca aperta e a occhi sbarrati, mosse gli occhi un po’ a destra e un po’ a manca, prima di fare un sorriso imbarazzato e azzardare un:

«Ehm… ciao»

A quel punto, si aspettava che il bamboccio corresse fuori urlando in preda al panico per allertare i genitori. In tal caso Doris, già pronta e nascosta dietro la finestra, avrebbe provveduto a controllargli il sistema nervoso e indurlo a lasciare perdere. Ma il ragazzino non fece assolutamente nulla, non si preoccupò per niente. Anzi, con un tono molto educato e gentile, più una punta di curiosità e ingenuità, domandò:

«Allora quella palla strana è tua, straniero coi baffi?»

Mike, lì per lì, rimase interdetto e balbettò qualche sillaba senza senso. Ma poi, capendo l’occasione, la colse e rispose:

«Sì! Certo, è mia! Oh, quanto ero preoccupato, credevo di averla persa per sempre! Grazie per averne avuto cura, ragazzino indigeno, scusa se sono entrato senza chiedere… ma sai, è importantissima per me!»

«Allora sai a che serve?»

L’uomo con la bombetta rimase ancora interdetto:

«Oh… no, quello no. Però ci sto lavorando!»

«Va bene. La porta è di là» concluse allora il bimbo, facendo per andarsene.

Mike, non resistendo, chiese:

«Ma tu non hai dei genitori che vengano qui a… non so, farmi la pelle perché sono entrato all’improvviso?»

«Sono dagli Squali Dipinti a pesca, torneranno fra due giorni» spiegò serenamente il ragazzino.

Mike era spiazzato da come gli parlava tranquillamente, come se fosse un vecchio amico, anche se non si erano mai visti: non se l’aspettava. Sorrise: l’ingenuità e la semplicità dei bambini sapeva sempre meravigliare. Ma poi si accorse di un’altra cosa che cambiò tutto: il bimbo parlava con tono apatico e depresso, distaccato, e soprattutto aveva un occhio nero. Qualcosa dentro Mike fu toccato, gli tornò alla mente la sua dura infanzia da strada di Seattle: non poté fare a meno di intenerirsi…

«Senti, io non sono un tipo a cui piace impicciarsi, ma… che hai fatto all’occhio? I bambini non dovrebbero mai essere violenti!» chiese, con un sorriso per una volta cordiale e non provocatorio.

«Ho litigato con un amico perché mi prendeva in giro, diceva che faccio pena a non voler diventare un pescatore come i miei genitori e io gli ho detto che i suoi fanno schifo perché fanno i calzolai, allora mi ha picchiato. Poi è arrivata la sua mamma e ha detto che aveva ragione lui…»

Mike sentì una lacrimuccia che gli saliva, mentre Doris continuava a fissare con pazienza e di nascosto dietro la finestra.

«Pensavo di fare il cacciatore da grande – continuò il ragazzino – Ma se faccio così schifo… forse dovrei fare come diceva la mamma del mio amico, lasciar perdere e fare il pescatore anch’io…»

A sentire questo, Mike non si trattenne e, balzando di fronte al bambino e fissandolo negli occhi, gli escamò:

«No! Io lo so bene, ti diranno tutti di “lasciar perdere”, ma tu non lo fare! Al contrario, lascia che la tua rabbia ribollisca dentro di te tutta la vita e ti faccia fermentare bene bene tutto il potenziale da malandrino che hai! L’odio è la guida migliore: è quello che faccio io mentre cerco di diventare più ricco di tutti, infatti il giorno in cui lo sarò la farò vedere a tutti quanti! Ascolta le mie parole, ragazzino: non lasciar perdere!»

Infine, per fare il misterioso, si avvolse nella sua giacca di pelle, fissò il bambino ancora un secondo con un sopracciglio inarcato e il volto coperto a metà… e uscì dalla casa alla velocità della luce, lasciando il ragazzo con un’espressione disorientata.

«…eh?» biascicò, rimasto da solo.

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«Ti sei esposto ad un grosso rischio» lo rimproverò Doris, mentre andavano verso l’uscita del villaggio per non avere più occhi indiscreti addosso.

«Pffff, era un marmocchio, niente di pericoloso»

Uscirono dal cancello meridionale, sotto lo sguardo incuriosito delle guardie, e si addentrarono in una macchia alberata per nascondersi. Quindi Mike iniziò a rigirarsi la palla di rame tra le mani e si chiese cosa potesse essere, con quell’inquietate liquido dentro. DOR-15, allora, si offrì di fare una scansione più precisa per poter ricostruire la “storia” dell’oggetto, ovvero la storia di tutti i suoi utilizzi fino a quel momento.

«Cosa? Sai fare questo?» chiese Mike, sorpreso.

«Sì»

«Un’altra cosa che il tuo creatore non mi ha detto… questa cosa comincia a farsi stressante!»

«A dire la verità questo te l’ha detto»

«Ah, sì?»

«Sì, quando mi ha presentata a te. Ma tu hai scambiato il dettaglio per una battuta e l’hai dimenticato»

«Aaaaah, adesso sì che mi ricordo! Fa comunque strano, però»

Doris estrasse le braccia meccaniche e cominciò a rigirare freneticamente la sfera tra le dita di metallo, mentre la scandagliava muovendo il visore su e giù.

«Per curiosità… esattamente com’è che fai a ricostruire… qualunque cosa abbia detto?» chiese Mike, fissando il cappello come ipnotizzato.

«Esaminando la disposizione e il livello di decadimento delle impronte digitali su un oggetto non identificato, posso ricostruire il modo con cui viene usato, ma lo scopo può essere supposto» spiegò Doris, interrompendosi un secondo.

«Sembra fenomenale! Ma scusa, perché il professor Melville ti ha dato questa funzione? Mi sembra un po’ troppo da spionaggio per un cappello-domestico…»

«Durante la mia progettazione, ha considerato anche l’opzione di mettermi al servizio delle forze di polizia»

«Uh, ho capito»

«E questo è anche il motivo per cui io e DOR-15-B siamo in grado di manipolare il sistema nervoso centrale: poteva tornare utile a tirare fuori la verità negli interrogatori e a rendere i cani da fiuto più facili da comprendere»

«Geniale! Ma torniamo a noi… cos’è questa palla?»

«Ci sono quasi»

Finalmente, terminò la scansione ed espose il resoconto:

«L’ultimo utilizzo di questo oggetto risale ad almeno tre mesi fa. Le impronte digitali più recenti sono quelle del ragazzino di poco fa, ma lui non ha scoperto il modo in cui il vecchio proprietario, nella fattispecie un maschio di etnia non identificata di circa quarant’anni, lo usava. E, a quanto pare, per utilizzarla occorre fare questo...»

Spinse qualcosa che Mike non vide e la sfera si divise in due parti uguali, rivelando una boccetta di vetro in cui c’era il liquido. Poi si aprì e, costringendo Mike a sobbalzare all’indietro con un’esclamazione da donnicciola, riversò il fluido per terra, facendolo diventare una pozzanghera blu in pochi secondi.

«Argh! Ma che roba è? La melma radioattiva di qualche film di fantascienza?» farfugliò Mike, sconvolto.

Doris esaminò la pozza:

«Ha la traccia chimica dei manufatti, non ho mai percepito questo segnale in modo così nitido. Tuttavia, la sua struttura molecolare ricorda più una sostanza aeriforme che una liquida. In parole semplici, se la toccassimo la attraverseremmo come se fosse aria»

«Davvero? Voglio provare…»

«Mike, sei consigliato di prestare attenzione, potrebbe rivelarsi…»

Fu interrotta da uno stridulo grido effeminato e terrorizzato: Mike, mettendo il piede nella pozza con troppa decisione, ci precipitò dentro come un pozzo, lasciando senza parole entrambi. Prontamente, Doris lo seguì, dopo aver messo la sfera al sicuro dentro di sé.

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Mike aveva fatto una caduta di tre metri e ora era lungo disteso in una prateria di erba gialla e secca che si estendeva a perdita d’occhio da tutte le parti, fino all’orizzonte. Il Sole splendeva alto nel cielo, rovente, il clima era molto secco. La pozzanghera, ora dalle fattezze di un portale a mezz’aria sopra le loro teste, svanì in un baleno, evaporando come la pozza che era. Mike, stupefatto, si guardò in torno a occhi e bocca spalancati:

«Dove… dove diamine siamo, Doris? Non è più l’isola… oddio! Il teletrasporto esiste! Che razza di scoperta! Ti rendi conto di quanti soldi ci faremo a presentarlo al mondo? È fatta! Però... che posto è questo, dicevo?»

«Concedimi un istante»

Doris si alzò in aria ed eseguì una scansione geografica dell’ambiente, facendovi quindi dei calcoli satellitari per triangolare la loro posizione. Per avere un quadro completo, verificò anche la distanza della Luna dalla Terra e della Terra rispetto al Sole per determinare la data. Il risultato lasciò Mike di nuovo senza parole:

«Ci troviamo in Africa centrale, nella Rift Valley. È il 10.000.000 avanti Cristo circa, il che significa che siamo nella zona di origine dell'Australopithecus africanus»

«La culla dell’umanità, eh? Quindi è un… viaggio nel tempo?»

«Non è un'ipotesi da escludere»

«Davvero? Allora… accidenti! È la scoperta del millennio… l’ennesima!»

«Esamino di nuovo la sfera… a quanto pare, presenta una tastiera che serve a manipolare la pozza del fluido. A quanto pare, la sostanza ha la capacità di collegare due luoghi, ma non dello stesso universo… ciò che il proprietario scriveva con la tastiera indica chiaramente che abbiamo fatto un viaggio fra dimensioni parallele. L’ho potuto dedurre dalle citazioni e i riferimenti eseguiti coi tasti, che non lasciano alcun dubbio, in quanto si nominano caratteristiche che sulla Terra come la conosciamo non ci sarebbero mai»

«Non ci credo…»

«È così, i dati non possono che dire la verità»

«Ma allora… cos’ha questa dimensione? È tutta Africa ed è il passato? Non ho capito bene…»

Ma, prima che Doris rispondesse, sentirono delle vocette acute e dei versi striduli in lontananza. Guardarono nella direzione del rumore e, a venti metri di distanza…Videro delle creature che non avrebbero mai saputo nemmeno lontanamente immaginare. E ora li stavano osservando, in un piccolo gruppo, che gridavano e gesticolavano a tutto spiano. Erano così bizzarre, grottesche e surreali che potevano essere scambiate per degli alieni, anche se a prima vista Mike non li avrebbe comunque definiti tali. Cos’erano? Che intenzioni avevano nei loro confronti? In che versione della Terra erano capitati? Cos’era quella sfera, per essere accomunata ai manufatti dei Pre-Arkiani? Chi poteva mai essere il suo proprietario?

«Oh, mio Dio!» esclamò Mike, puntando il dito contro le creature e tremando dalla testa ai piedi, facendo ondeggiare i baffi come giunchi al vento.
 

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ANGOLO AUTORE

Un sincero ringraziamento a Rickypedia04, che ha disegnato la fanart dello scontro tra lo yutiranno e il rinoceronte lanoso che avete visto all'inizio del capitolo.

   
 
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