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Autore: Soul Mancini    24/11/2019    5 recensioni
[Queen / Guns N’ Roses – Steven Adler x Roger Taylor]
A seguito di un tentato furto, Steven Adler, diciannovenne abituato alla vita di strada, viene arrestato dalla polizia e incarcerato per una notte; gli agenti in servizio sperano che il ragazzo riveli i nomi dei suoi complici, ma lui non ha nessuna intenzione di tradire i suoi amici.
Essere in stato d’arresto porta Steven a riflettere sulla sua vita e la sua situazione, ma soprattutto a posare lo sguardo sull’affascinante poliziotto dagli occhi azzurri che l’ha arrestato, in servizio per tutta la notte.
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Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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zalva
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So think of me and get on your way





Stavolta sono veramente nei guai: non avrei mai pensato di essere arrestato e finire sulla volante della polizia, non per una stronzata del genere almeno. Sono sempre stato un individuo particolare e irrequieto, ho combinato non so quante bravate nella mia vita, ho rubacchiato qua e là, imbrattato muri e non sono mai stato beccato. Fino a oggi.
Osservo le vie – quelle che ormai, da navigato ragazzo di strada quale sono, conosco a memoria – che scorrono fuori dal finestrino e mi domando quando potrò calcarle di nuovo, quanto questo stato di arresto si prolungherà. In genere me la cavo bene con le parole e la persuasione, devo solo sfoggiare il mio sorriso e il mio fascino per convincere la polizia a rilasciarmi, ma non posso negare che sotto stress tendo a cedere e non rispondere delle mie azioni. Devo mantenere la calma, sì, devo prendere dei respiri profondi e convincermi che la situazione non è poi così grave come sembra.
Sposto lo sguardo sull’agente che staziona sul sedile del passeggero, colui che mi ha arrestato, che si è presentato come agente Meddows-Taylor: avrà all’incirca una trentina d’anni o poco più, porta i capelli biondi non troppo corti e ordinati e sotto l’uniforme blu scuro sembra avere un fisico asciutto. A essere sincero, essere in stato d’arresto in compagnia di un tipo del genere non è affatto male, devo ammettere che è piuttosto carismatico e di bell’aspetto.
“Ragazzino, che hai da sogghignare?” mi apostrofa proprio l’agente che stavo osservando di sottecchi, lanciandomi un’occhiata in tralice dallo specchietto retrovisore.
Solo adesso mi rendo conto che ho messo su un sorrisetto idiota, così cerco di tornare serio e scuoto il capo. “No, niente…”
“Stai pensando a un modo per farla franca?” mi domanda ancora l’agente, voltandosi appena per potermi osservare meglio.
Quegli occhi chiari, così duri e imperscrutabili, lo rendono ancora più affascinante… ah, ma che mi prende? Non posso pensare delle cose del genere su uno sbirro, lui è il mio nemico!
Sorrido. “No, anche perché mi hai ammanettato e… cazzo, questi affari danno fastidio!” esclamo, facendo tintinnare appena le manette che mi serrano i polsi.
“Invece a quel pover’uomo dava fastidio il fatto che gli stessi per rubare la macchina. Quindi, come la mettiamo?” ribatte Meddows-Taylor, rimettendosi dritto sul sedile.
“Andiamo, era solo uno scherzo, tra l’altro non è stata nemmeno un’idea mia” cerco di sminuire la cosa, utilizzando un tono di voce allegro e conciliante. Dopotutto questo biondino mi sta simpatico, se riesco a ingraziarmelo riuscirò a uscire indenne da questa situazione.
“Ah, sì? Quindi avevi dei complici, interessante” commenta il poliziotto alla guida dell’auto, un tipo anonimo che non ho avuto il tempo di guardare in faccia.
Ecco, mi sono fottuto con le mie stesse mani, non dovevo fare accenno al fatto che fossimo un gruppo di persone. Le regole della strada sono chiare: mai infamare e fare il nome dei propri fratelli quando si finisce nei guai.
“No, beh, non intendevo quello” borbotto, mordicchiandomi il labbro inferiore.
Vedo Meddows-Taylor sorridere in maniera quasi impercettibile, forse pensa che sarà un gioco da ragazzi farmi confessare la verità.
“Come ti chiami?” domando, giusto per sviare il discorso.
Il biondo lancia un’occhiata esasperata al suo collega, sbuffa e ribatte col suo solito tono burbero: “Sei serio, ragazzino? Te l’ho detto prima: agente Meddows-Taylor”.
“Di nome, intendo.”
“Che te ne importa?”
Mi stringo nelle spalle. “Era giusto per fare conversazione.”
Sospira. “Mi chiamo Roger, se saperlo ti fa stare meglio. Invece i tuoi complici come si chiamano?” insinua.
È arrivato il momento di fare il finto tonto: anche se non mi sta osservando, sbatto le ciglia un paio di volte per assumere un’espressione innocente. “Quali complici?”
“Che spiritoso.”
Il silenzio torna a regnare nell’abitacolo e si prolunga fino a quando non giungiamo presso una grigia struttura che, immersa nell’oscurità della notte, ha un’aria spettrale e sinistra.
“Penso che ti converrà confessare, se non vuoi trascorrere una notte in cella” afferma l’agente Meddows-Taylor, prima di scendere dall’auto.
Ovviamente vengo scortato fino all’entrata dell’edificio, proprio come un temibile criminale: il poliziotto biondo mi fa scendere dal veicolo e, stringendomi i polsi dietro la schiena, si posiziona dietro di me e mi incita ad avanzare, mentre il suo collega che era alla guida ci fa strada.
Non so cosa mi stia succedendo, ma sentire Roger dietro di me, così vicino da percepire il suo respiro pesante tra i capelli e il calore del suo corpo, e poi le sue mani strette attorno ai miei polsi insieme alle manette, talmente forte da farmi quasi male… tutto questo mi sta facendo uscire di testa, provo l’istinto di abbandonarmi all’indietro e incollarmi a lui.
È davvero paradossale, un ragazzo di strada che subisce il fascino della divisa… ma non ci posso fare niente.


Questa cella è vuota, terribilmente vuota e triste. È la prima volta che trascorro la notte in carcere e spero che sia l’ultima, detesto tutto ciò.
In fondo ho soltanto diciannove anni, non ho commesso un vero e proprio reato e sono stato collaborativo: dopo aver fornito le mie generalità e i miei dati anagrafici, ho raccontato per filo e per segno la vicenda; certo, non ho rivelato chi sono i miei complici e mai lo farò, ma non possono trattenermi per questo, tanto non servirebbe a niente perché non lo rivelerò mai.
È solo un peccato che a interrogarmi non sia stato l’agente Meddows-Taylor, mi sarei divertito un sacco con lui.
Sospiro e mi passo una mano tra i capelli biondi, ancora più scarmigliati del solito, e le dita mi si impigliano tra le lunghe ciocche annodate. Sono davvero in un pessimo stato: i vestiti sgualciti, le scarpe in tela sudicie e consumate, il corpo troppo magro e dalle ossa sporgenti… questa vita di strada non mi fa affatto bene, sto fisicamente cadendo a pezzi e so che, continuando di questo passo, non andrò avanti per tanto. Forse dovrei cercare di risalire e salvarmi la pelle, prima che anche la mia anima venga corrotta; non posso essere finito in prigione a diciannove anni. Se oggi la passassi liscia, quante possibilità avrei di scamparla di nuovo? Combinerò qualche altra stronzata e sfuggirò alla polizia una, due, tre volte… ma poi, quando mi prenderanno di nuovo, che ne sarà di me?
Scruto per l’ennesima volta le pareti spoglie e scrostate, la finestrella alta sbarrata da una grata e ascolto il silenzio surreale di quel luogo, interrotto solo da echi e rimbombi lontani nei corridoi oltre la porta; non voglio vivere in carcere, non voglio rischiare che il mio futuro sia racchiuso tra queste quattro mura.
Al solo pensiero, il cuore impenna nel mio petto e sento mancare il respiro.
“Steven Adler.” Una voce familiare e tonante si propaga fuori dalla mia cella e il mio nome riverbera in maniera sinistra. È il mio poliziotto. Cosa vorrà da me?
Mi lascio sfuggire un sorriso mentre la porta della stanza si apre.
Roger fa il suo ingresso nella stanza e mi lancia uno sguardo severo e minaccioso, che io ricambio con altrettanta intensità; l’uniforme blu scuro mette in risalto la sua bellissima pelle chiara, riesce a essere attraente anche sotto quella luce artificiale e ostile.
“Ehi, Roger” lo saluto con un cenno, restando comunque rannicchiato sulla scomoda sedia in plastica che ormai mi ospita da chissà quante ore.
“Allora, hai intenzione di confessare qualcos’altro? Ci hai riflettuto?” domanda bruscamente, richiudendo la porta alle sue spalle per poi incrociare le braccia al petto.
Scuoto appena il capo. “È stata una mia idea, ero da solo” ripeto per l’ennesima volta.
“Sai che potresti restare in carcere per intralcio alle indagini?”
Abbasso lo sguardo.
“Non è stata una tua idea, vero?” Mentre mi pone questa domanda col suo solito tono fermo, Roger fa qualche passo verso di me.
No, non è stata una mia idea, è vero: sono stato soltanto una pedina, mi sono offerto volontario per provare a rubare quell’auto… ma l’idea era del gruppo, l’auto era per il gruppo. Io da solo non riuscirei a fare niente, né in positivo e né in negativo.
“Steven.” Inaspettatamente il tono di Roger si addolcisce, forse sta cercando di persuadermi. “So che non è stata una tua idea, è inutile fingere. Ho abbastanza esperienza alle spalle per riconoscere quelli come te, che mentono per proteggere i loro amici e lo fanno fino alla fine, ma mi devi credere se ti dico: quest’alleanza tra di voi è destinata a finire presto. Quelli che tu stai proteggendo, se finissero in una situazione del genere, non farebbero altrettanto con te, quindi ti conviene confessare prima che…”
Sollevo il capo di scatto e gli lancio un’occhiata offesa e ferita. “Non è vero, non lo farebbero mai. Tu non li conosci.”
Nessuno deve permettersi di insultare i miei fratelli.
Roger sogghigna. “Chi dovrei conoscere? Di chi stiamo parlando?”
Mi mordo il labbro inferiore; ci sono cascato di nuovo, ho detto troppo.
L’agente ammorbidisce lo sguardo, i suoi profondi occhi azzurri sono puntati dritti nei miei. “Tu non vuoi stare qui, eh Steven? Non lo meriti.”
Quelle parole, per quanto ovvie, mi colpiscono profondamente e il mio cuore perde un battito, mentre avverto un fastidioso pizzicore agli angoli degli occhi. Per scacciare e nascondere le lacrime, mi metto in piedi e mi volto, dandogli le spalle e serrando gli occhi con forza. “Se mai dovessi fare i nomi dei miei complici e mi ritrovassi fuori da qui, sarei completamente solo, senza amici, senza una famiglia. Sei come tutti gli altri sbirri: non è vero che conosci queste situazioni, tu… voi non sapete un cazzo, non avete idea di cosa significa vivere così. Sarò un criminale, ma mai un infame” affermo con trasporto, cercando di mantenere la mia voce ferma e sicura, ma la rabbia e la frustrazione che montano dentro me la incrinano e la distorcono, le ultime parole vengono fuori strozzate. Non posso impedire a una lacrima di rigarmi il viso e sono felice di dare le spalle a Roger, sarebbe troppo umiliante mostrarmi a lui in tutta la mia debolezza. Forse… forse perché, dopotutto, mi importa quello che lui pensa di me, ci tengo a fare una bella impressione, nelle possibilità e i limiti di un delinquente in stato d’arresto.
Eppure, mentre comincio a tremare per la tensione e scaccio bruscamente quella goccia salata dalla mia guancia, spero con tutto il mio cuore che Roger mi si avvicini e mi abbracci, mi calmi e mi consoli. Voglio le sue attenzioni, il suo calore e soprattutto un punto fermo a cui potermi appigliare, adesso che il mondo mi sta crollando addosso per la milionesima volta durante la mia breve vita.
“Steven, girati. Guardami.” Roger muove qualche altro passo verso di me e mi sfiora appena la spalla. Nella sua voce non c’è traccia della solita ostilità, è come se per un istante si fosse liberato dal suo ruolo di poliziotto burbero.
Ci impiego qualche secondo a prendere coraggio, ma infine mi volto r mi costringo a sostenere il suo sguardo, giusto per scorgervi le sue emozioni. Lo trovo inaspettatamente limpido, sincero, intenerito; il suo è lo sguardo di un padre che sta per parlare a un figlio.
Un’altra lacrima mi scorre sul viso e stavolta non posso fare niente per nasconderla.
“Steven, tu non appartieni al mondo della strada, questa non è la vita adatta a te e devi assolutamente uscirne in qualche modo. I buoni soccombono, lo sai? Anch’io un tempo ero così, tu… sei proprio come me da giovane” mormora.
“Cazzo, come faccio?” mugolo, tirando su col naso come un bambino. Mi vergogno immensamente e sento il viso andare in fiamme.
“No, non ti devi vergognare. Senti…” cerca di consolarmi lui, posandomi una mano sul braccio. Incredibile, fino a poco fa mi sbraitava contro e mi sommergeva di domande, ora mi si rivolge come fossi un cucciolo terrorizzato e non più un accusato di tentato furto.
Averlo così vicino, sentire la pressione della sua mano attraverso la giacca leggera che indosso, mi fa perdere la testa: senza neanche rendermene conto, mi fiondo tra le sue braccia e mi aggrappo a lui, cominciando a singhiozzare senza controllo e stringendomi al suo petto. So che sto sbagliando e che ora mi respingerà, del resto è un poliziotto in servizio e si è appena ritrovato uno sconosciuto addosso, ma avevo bisogno di sentire per un istante quella sensazione di sicurezza e calma che solo lui, col suo atteggiamento integro, mi ha saputo trasmettere.
Ma Roger non mi spinge via e, dopo qualche istante di esitazione, mi avvolge in un affettuoso abbraccio e mi stringe a sé, accogliendo le mie lacrime e il mio disperato bisogno d’affetto. Mi ci voleva questo suo gesto per rendermi conto di quanto sono fragile.
“Ehi, Steven, è tutto okay” mormora, cullandomi dolcemente e accarezzandomi i capelli con movimenti veloci e fuggevoli. Ha un che di rude e maldestro, qualcosa di talmente genuino da farmi commuovere.
Nonostante la drammaticità del momento, non posso fare a meno di pensare che ci sono riuscito, oh sì! Sono tra le braccia di questo schianto, in un modo o nell’altro ci sono arrivato, e il mio corpo ne gioisce: la pelle mi si infiamma, ogni muscolo prende a guizzare e un istinto viscerale e irrefrenabile mi suggerisce di approfittare della situazione. Cerco di trattenermi, ci provo in tutti i modi, mentre pian piano i singhiozzi si affievoliscono e le lacrime si asciugano sulle mie guance.
Roger ancora mi tiene stretto a sé, mi sussurra di stare tranquillo e pare instancabile, non molla la presa finché non mi sente più rilassato e calmo. Il contatto con lui è come un sedativo, riesce a farmi scordare perfino del luogo in cui siamo e della mia situazione in bilico; è il genere di persona che ti ubriaca con la sua presenza, come se all’improvviso i contorni del mondo si cancellassero e i colori iniziassero a girare tutti insieme.
Sciolgo la nostra stretta per poterlo guardare negli occhi e, in preda alla dolce follia che quest’uomo riesce a instillare in me, scatto in avanti e premo le mie labbra sulle sue, frantumando i rigidi confini che definiscono i nostri ruoli e le nostre differenze.
Roger è caldo e accogliente, anche stavolta non mi respinge e anzi, affonda le dita tra i miei capelli per attirarmi più vicino e prorompe con foga nella mia bocca, impossessandosene con voracità e arroganza, come se gli fosse sempre appartenuta.
Lascio giocare insieme le nostre lingue mentre mi aggrappo con forza alla sua giacca blu e alle sue spalle.
Quando ci separiamo, respiro affannosamente e ho la fronte imperlata di sudore, ma sul mio viso è tornato il mio solito sorrisetto impertinente, segno che il momento cupo di prima è passato.
“Però! Sai il fatto tuo, ragazzino” ansima Roger, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Non vedo l’ora di replicarlo” affermo in tono malizioso.
Lui continua a far scorrere le dita tra i miei capelli con fare distratto e mi guarda con un’espressione indecifrabile. “Già, sei proprio uguale a com’ero io” riflette tra sé e i suoi splendidi occhi azzurri vengono percorsi da un lampo di nostalgia.
Sorrido e poi mi sporgo nuovamente verso di lui per intrappolargli le labbra in un bacio rovente, che mi carica di eccitazione. Anche stavolta Roger ricambia e mi stringe a sé con possessività, così mi accorgo che anche lui mi desidera.
Quando, a corto di fiato, siamo costretti a staccarci nuovamente, aggrotto le sopracciglia. “Staremo esagerando?” domando con poca convinzione.
“Qui sono io che comando e sono io a decretare quando si esagera” dichiara in tono autoritario, ma il suo sguardo è ammiccante.
Mi allontano di qualche passo, scombussolato, e mi accomodo sull’unica sedia presente nella stanza. Sono stordito e la realtà mi piomba addosso con forza: ora che ho baciato questo poliziotto, cosa succederà? Sono ancora in stato d’arresto, ma forse c’è un modo per poter sfruttare questo strano legame a mio favore… o forse Roger mi vuole soltanto comprare e corrompere, è per questo che ha ceduto così facilmente.
Lui mi si avvicina e si apposta alle mie spalle, poi prende a giocare con i miei capelli; rabbrividisco ogni volta che i suoi polpastrelli arrivano a pochi millimetri dalla mia nuca, senza mai sfiorarla. “Ci stai pensando?” mi chiede.
Socchiudo gli occhi, sempre più ubriaco della sua presenza. “A cosa?”
“A quello che ti ho detto prima. Non sto scherzando, Steven: mi dispiacerebbe che tu commettessi lo stesso errore che commettono in tanti, che ti rovinassi con le tue stesse mani. Dal primo momento, da quando ti ho arrestato e da quando ho incrociato per la prima volta i tuoi occhi… insomma, mi sono accorto che in te c’era qualcosa di buono.”
Inclino il capo all’indietro in modo da posarlo sul suo petto. “Mi stai comprando?”
“Ti sto salvando.” Mi posa un dito sulle labbra e ne traccia teneramente il profilo.
Mugolo appena e gli afferro la manica, strattonandola per farlo chinare; lui subito mi asseconda e le nostre labbra si incontrano per l’ennesima volta. Quando il bacio si interrompe, Roger mi trascina via dalla sedia e mi abbraccia stretto, facendomi seppellire il viso nell’incavo del suo collo. Io vi poso le labbra con delicatezza e annuso il suo odore mascolino e pungente che mi fa girare la testa, mentre lui con movimenti frettolosi e rudi mi accarezza i fianchi.
“Steven.” Mi lascia un bacio sopra l’orecchio. “Non mi hai risposto.”
Mi allontano da lui e un’idea mi balena in testa, così sorrido e lancio a Roger uno sguardo infuocato. “E se, per esempio…” comincio, facendo un passo verso di lui, “tu mi rilasciassi in cambio di un po’ di divertimento?” Gli poso una mano sul cavallo dei pantaloni, dove la sua eccitazione pulsa con vigore, e mi lecco le labbra con fare malizioso.
A quel contatto, gli occhi di Roger si socchiudono appena e lui è costretto a inspirare bruscamente; posso leggere il desiderio sul suo viso, forse potrebbe davvero cedere.
E sarebbe fantastico, mi basterebbe realizzare uno dei miei sogni erotici per tornare a essere libero.
Ma lui riprende il controllo della situazione, mi afferra per le spalle e mi allontana da sé, fissandomi dritto negli occhi. “Razza di puttanella, pensi che mi venderei così?” mi rimprovera, ma la sua voce è venata da un pizzico di malizia.
Sospiro. “Non ti piacerebbe?”
“Cazzo se mi piacerebbe, ma questo non c’entra niente col tuo rilascio!”
Sono esasperato, non so più che fare e cosa pensare.
“Sai cosa devi fare, Steven.” Roger lascia scorrere le mani dalle mie spalle fino alle braccia e infine mi stringe le mani. “So che non confesserai mai i nomi dei tuoi complici, non ha senso parlarne. Potrei mettere una buona parola per te, ma tu mi devi fare una promessa: che cambierai, che lascerai quest’ambiente malsano che ti ostini a chiamare casa. Se questa volta ti lascerò andare, non voglio mai più incontrarti in questa situazione. È chiaro?”
Sbatto le palpebre un paio di volte, incredulo. Non posso credere che abbia parlato con tale trasporto e sentimento, come se… se tenesse davvero a me.
Deglutisco a fatica, profondamente colpito, e decido che sì, ci voglio provare. Sono meglio di questo povero carcerato che si è ritrovato in questa cella con gli abiti consunti, sono meglio di quel teppista dalla chioma bionda che sguscia nell’oscurità della notte. Non lo faccio solo per avere la libertà di uscire da questa cella, ma anche per la libertà di essere una persona migliore.
Se Roger crede in me, nonostante mi conosca da così poco tempo, forse lo dovrei fare anch’io.
Annuisco con gli occhi lucidi. “Te lo prometto” affermo, la voce rotta dall’emozione.
Roger sorride – è la prima volta che glielo vedo fare – e mi attira a sé, stringendomi in un abbraccio e lasciandomi un fugace bacio tra i capelli.


Cammino sotto la leggera pioggia primaverile, con la giacca stretta attorno al corpo e le scarpe in tela mezzo rotte che si inzuppano d’acqua. Sono le nove del mattino e io sto morendo di fame e di sonno, questa notte in carcere mi ha distrutto.
Mi lascio alle spalle la struttura che mi ha ospitato, ma ciò che ho vissuto lo porterò sempre con me, nel mio cuore e nella mia memoria.
Alla fine Roger l’ha fatto, ha insistito per il mio rilascio ed è riuscito a ottenere ciò che voleva. L’ultima volta che ho incrociato i suoi occhi li ho trovati pieni di aspettative e di speranze, di fiducia nei miei confronti e di sincero affetto. Mi mancano già, quei meravigliosi occhi chiari.
Non so se riuscirò a mantenere la promessa che gli ho fatto, non so se ne sarò in grado o se la vita di strada mi inghiottirà così come mi ha sputato fuori e catapultato tra le braccia di quello splendido poliziotto biondo. Mentre cammino per il marciapiede fradicio, ho i capelli pieni di pioggia e la testa piena di sogni e paure.
Comunque andrà, non posso che essere grato a Roger, l’unico che ha saputo capire di cosa realmente avessi bisogno, quando nemmeno io me ne accorgevo: un po’ di affetto. Forse è presto o forse è stupido, ma sento che il mio cuore gli appartiene.
Mi auguro soltanto che, se mai ci dovessimo incontrare di nuovo, le manette non simboleggino il mio stato d’arresto…
Sogghigno tra me mentre ci penso e non posso impedire al mio cuore di accelerare i suoi battiti, sincronizzandosi al ticchettio della pioggia.



♠ ♠ ♠


Prompt 32 (della chalenge Slot Machine!):
Un personaggio a vostra scelta finisce in carcere per una notte. Si innamora di 6 (Roger), il poliziotto che l’ha arrestato.

Prompt 4 – lista Citazioni (della Infinity Prompt Challenge):
«È il genere di persona che ti ubriaca con la sua presenza, come se all’improvviso i contorni del mondo si cancellassero e i colori iniziassero a girare tutti insieme.»
– Lauren Oliver, Before I Fall


Alloooora… come giustificare questa cosa surreale a cui vi ho appena sottoposto? Eheheheh ^^”
Facciamo che prima di tutto spiegherò la genesi di questa shot: un pomeriggio mia madre stava guardando CSI New York in TV, serie che io non seguo, ma a un certo punto ho cominciato ad ascoltare distrattamente e ho sentito due cose che mi hanno colpito: c’è un agente/detective Taylor (che mi ha subito fatto pensare a Roger) e uno dei sospettati della puntata si chiamava Steve (che mi ha fatto pensare a Steven). Così, facendo due più due, mi è poi tornato in mente questo prompt della challenge di Juriaka che avevo inizialmente scartato ed è scattata la scintilla per questa storia folle su una ship piuttosto folle (ma che qualcuno ha pure finito per shippare per colpa mia… ehehm, vero Carmaux? XD).
Non chiedetemi come sia possibile e cosa mi sia preso, perché non ve lo so spiegare :P
Piccole notine per spiegare a tutti ^^
Roger si chiama “agente Meddows-Taylor” perché il suo nome intero è, appunto, Roger Meddows-Taylor.
Ho rispettato la vera differenza di età tra i due personaggi: Rog è nato nel ’51, Steven nel ’65, dunque hanno quattordici anni di differenza (in realtà tredici e mezzo). A parte questo, tutto il resto è frutto della mia immaginazione, come in una storia AU che si rispetti :)
Le immagini che ho messo in cima dovrebbero rispecchiare più o meno il mio immaginario in questa storia, per esempio quella di Roger è dell’84 – niente uniforme, ma vabbè, fate finta che ce l’abbia XD
E infine, il titolo della storia è un verso tratto dal testo di “Last Cup Of Sorrow”, fantastico brano dei Faith No More *-*
Grazie di cuore per aver letto ed eventualmente apprezzato, un grazie particolare a Juriaka e Harriet per i prompt super ispiranti e… beh, a mia madre per la puntata di CSI :’D
Alla prossima, spero di avervi intrattenuto con una piacevole lettura!!! ♥

   
 
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