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Autore: AthenaKira83    24/11/2019    6 recensioni
Quando Magnus Bane, ex agente speciale della Marina militare statunitense, accetta di fare un favore al padre, di certo non si aspetta di dover fare da babysitter a uno scontroso, irritante, ma dannatamente attraente, agente di viaggi che non ha alcuna intenzione di rendergli facile il compito che gli è stato affidato.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alle otto in punto di un gelido lunedì mattina, Alec Lightwood aprì la porta a un uomo dall'aspetto losco, con il viso serio e cupo, seminascosto da un grande paio di occhiali da sole scuri, e talmente alto che sembrava occupare quasi tutto il suo pianerottolo.
Alec lo squadrò dalla testa ai piedi, diffidente. Dunque era lui l'agente speciale della Marina incaricato di proteggerlo? Sul serio? No, doveva esserci di sicuro un errore.
"Che cosa vuole?" ringhiò il moro, guardingo, per nulla intenzionato a nascondere il proprio entusiasmo nell'aver aperto la porta a un probabile criminale.
L'uomo davanti a lui si accigliò e si portò una mano sulla fronte. "Può abbassare la voce, per cortesia?" mormorò, massaggiando la pelle liscia e senza neanche un'imperfezione.
"Ma.. non stavo urlando." ribatté Alec, abbandonando il tono aggressivo e fissandolo spaesato.
"Sì, invece. E continua a farlo." sospirò lo sconosciuto, strofinando gli occhi sotto le lenti scure. "Cominciamo davvero bene."
Alec sentì l'irritazione tornare a serpeggiargli lungo il corpo e strinse con forza la maniglia della porta, indeciso: era meglio sbattergliela in faccia così, a muso duro, o prima tirargli un calcio all'inguine, sperando di fargli davvero male, e poi chiudere la porta, barricandosi in casa? Lo sconosciuto era alto, questo era vero, ma Alec era più muscoloso e sarebbe stato un gioco da ragazzi piazzargli un calcio deciso nei testicoli.
Il nuovo arrivato fece schioccare il collo a destra e a sinistra, con un gemito che Alec catalogò come indecente, poi avanzò di un passo, avvicinandosi pericolosamente al moro, sfilandosi gli occhiali e sbattendo più volte le palpebre, come se la pallida luce del giorno gli desse fastidio.
Era davvero alto, addirittura più di Alec che superava abbondantemente il metro e ottanta, e il moro si ritrovò a dover alzare lo sguardo per guardarlo in volto: una rarità, visto che solitamente era lui a spiccare su tutti e a dover sempre abbassare la testa per parlare con il proprio interlocutore.
Lo sconosciuto aveva un fisico asciutto e longilineo e indossava un pesante giubbotto di pelle nera con le borchie, mentre le gambe chilometriche erano nascoste sotto un paio di jeans strettissimi che gli fasciavano le cosce come una seconda pelle. Alec non si fissò su quel particolare. Assolutamente no.
Aveva la pelle di una deliziosa sfumatura color caramello e i capelli neri, le cui punte erano colorate di un rosso sgargiante, erano tenuti su da una generosa dose di gel. A giudicare dalla quantità spropositata di orecchini, anelli, braccialetti e collane che aveva addosso, doveva avere un debole per quella chincaglieria.. oppure faceva il venditore ambulante di quella roba, a tempo perso, e la indossava come modello. Chi poteva dirlo con sicurezza?
Quando sollevò lo sguardo, dal suo attento e minuzioso esame, e lo portò all'altezza degli occhi, dal taglio orientale e dalle lunghe ciglia nere, Alec si ritrovò davanti le due iridi più straordinarie che avesse mai visto: un verde-dorato così intenso da lasciarlo quasi senza fiato e che, ne era certo, faceva strage di cuori un giorno sì e l'altro pure. Quegli occhi, che gli ricordavano nitidamente una prateria irlandese inondata dal sole, erano semplicemente bellissimi, nonostante ora lo stessero fissando appannati e iniettati di sangue, come se il proprietario di tale magnificenza fosse andato a dormire molto tardi. O non ci fosse andato per niente.
Alec sbatté le palpebre più e più volte. No, era impossibile che quell'individuo, a metà strada tra un Dio greco, sceso sulla terra per mandargli completamente in tilt gli ormoni, e un delinquente della peggior specie, fosse l'uomo mandato da suo padre. Magnus Bane era un efficiente e integerrimo agente speciale della Marina Militare, non un probabile sexy serial killer con la barba sfatta e i postumi di una sbronza colossale!
"Che cosa vuole?" ripeté Alec, assottigliando lo sguardo, sempre più sospettoso.
Per l'angelo, e se le minacce rivolte a suo padre non fossero state per niente uno scherzo e quel tizio era piombato lì per fargli del male o, peggio ancora, per rapirlo o ucciderlo? Era un uomo bellissimo, ok, ma questo non precludeva di certo che potesse anche essere un pericoloso sicario! Improvvisamente desiderò di aver controllato dallo spioncino, prima di spalancare con foga la porta, e soprattutto si maledisse di non aver chiesto a suo padre una foto del cane da guardia che avrebbe dovuto proteggerlo, giusto per assicurarsi che quel tizio davanti a lui fosse davvero chi dovesse essere.
"Bella domanda." rispose l'altro, interrompendo i pensieri frenetici e deliranti del moro, con una voce profonda e roca che mandò un lungo e inspiegabile brivido alla colonna vertebrale di Alec. "Al momento, vorrei un paio di aspirine, una stanza buia e.. trovarmi ovunque tranne che qui."
"Per l'angelo, che battuta spiritosa!" ironizzò Alec, portandosi una mano al petto e stringendo maggiormente il pomello della porta con l'altra. "Le suggerisco caldamente di cominciare dal suo ultimo desiderio, allora." e detto questo, chiuse l'uscio. O almeno ci provò, perché lo sconosciuto fu più lesto di lui e infilò un piede tra lo spigolo e lo stipite. Alec ridusse gli occhi a due fessure. "Se non toglie subito quel piede, giuro che glielo spezzo!"
L'altro non si mosse di un millimetro. "Ricominciamo daccapo. Le va?"
"No." rispose Alec, contrariato, tornando a spingere con più forza contro la porta.
"Mi sta facendo male."
"L'avevo avvertita, no?"
"Lei è.." iniziò l'uomo, bloccandosi subito dopo, aggrottando la fronte. Si grattò la barba trasandata con una mano ingioiellata, mentre con l'altra prendeva un foglietto dal taschino del giubbotto per leggerlo. "Lei è il signor Alexander Gideon Lightwood?"
Alec decise di ignorare categoricamente il nuovo brivido che gli diede quella voce non appena pronunciò il suo nome per intero. "Ma che bravo! Ha fatto i compiti!" borbottò, sarcastico. "Bene, ora che abbiamo appurato entrambi che conosce il mio nome, anche se ha dovuto fare lo sforzo di pensarci e recuperare poi un pezzo di carta quando avrebbe potuto tranquillamente evitarsi la fatica leggendolo sulla targhetta sopra al campanello.." lo schernì. "Vede? Proprio qui!" continuò, indicando con un dito il nome scritto in stampatello su una targhetta dorata. "Cosa stavo dicendo? Oh, sì! Ora che si è assicurato di avermi davanti, può anche togliersi dai piedi!" sibilò, appoggiandosi allo stipite della porta con tutto il proprio peso, riprovando a sbattergliela sul naso.
Era sicurissimo che sarebbe riuscito a chiudere fuori di casa quel pazzo psicopatico, ma, ancora una volta, l'altro lo stupì e Alec sentì improvvisamente la porta muoversi contro di lui. Quel dannato Ercole sbronzo, e sicuramente sotto steroidi, aveva posato una mano aperta sullo stipite, spingendolo per evitare che gli si chiudesse in faccia, e gli bastò fare un piccolissimo sforzo per schiudere la porta di qualche centimetro. Come poteva essere più forte di lui? imprecò Alec, mentalmente. Lui era decisamente più massiccio di quel corpo esile, dannazione!
"Tenga giù le mani dalla mia porta!" ordinò, perentorio.
"Mi chiamo Magnus Bane e.."
"Non mi interessa!" tuonò Alec, interrompendolo e ingaggiando una lotta con quel tizio.
"..mi manda suo padre."
Quella voce bassa e roca, a causa dello sforzo che lo sconosciuto stava compiendo per non farsi sbattere la porta sul naso, sembrò accarezzare Alec come una piuma, tanto che il suo corpo si irrigidì in risposta. Trasse un respiro profondo, per calmarsi, ma fu un errore colossale: il profumo dell'uomo, un odore intenso e speziato che Alec non riuscì a decifrare, lo avvolse e gli invase i polmoni in modo così violento che, preso alla sprovvista, diminuì inconsapevolmente la forza che stava imprimendo sul pezzo di legno che stava spingendo, con l'unico risultato che la porta, sotto la pressione del marine, si spalancò di botto e andò a sbattere con forza contro la parete laterale dell'ingresso.
Il rumore secco rimbombò nella testa ancora annebbiata di Magnus, arrivando quasi a ucciderlo. Si portò entrambe le mani alle tempie, massaggiandole nuovamente. "Sialan [ndr. Dannazione].." farfugliò, sofferente.
Alec lo fissò, torvo, ponderando l'intera situazione: quel tizio era ovviamente reduce da una sbornia epocale, non ispirava la benché minima fiducia, emanava pericolo da tutti i pori e aveva più l'aria di un drogato in astinenza che di un militare. Sì, ok, era anche attraente, sexy e con una voce dannatamente eccitante, e forse era addirittura l'uomo più bello che avesse mai incontrato in vita sua, ma non era assolutamente questo il punto! Il punto era che, per fare un piacere a suo padre, aveva ceduto a scatola chiusa alle sue insistenze, ma qualcosa gli diceva che, se avesse dato un'occhiata a quell'affascinante ubriacone ambulante prima di ingaggiarlo, Robert Lightwood non sarebbe stato così felice di saperlo solo con lui, ventiquattro ore su ventiquattro.
Prese un bel respiro e lo fissò con lo sguardo più truce che riuscì a fare. "Se ne vada." ordinò, senza mezzi termini.
Il bel viso di Magnus si accigliò. "Mi scusi, eh, ma guardi che sono qui per fare un piacere a suo padre!" comunicò. "Credevo che le avesse spiegato la situazione." mormorò, dubbioso.
"Oh, sì, l'ha fatto." confermò Alec, facendo spallucce. "Solo che non mi interessa!"
"In che senso non le interessa?" chiese Magnus, sempre più confuso.
"Senta." sospirò Alec, strizzandosi con forza la radice del naso. "E' tutto un grosso equivoco, davvero. Non ho bisogno di lei. Torni da dove è venuto."
"Oddio, magari potessi." esalò Magnus, alzando gli occhi al cielo ed entrando nell'appartamento senza tanti complimenti.
"Oh, ma prego! Si accomodi pure e faccia come se fosse a casa sua!" esclamò Alec, indispettito, con un ampio gesto delle braccia.
Magnus sorrise, procedendo nel guardarsi attorno, con blanda curiosità, e Alec seguì il suo sguardo.
L'appartamento era minuscolo, vecchiotto e composto da una piccola cucina, un soggiorno, due camere da letto, un bagno e un minuscolo balcone. L'impianto elettrico era stato rifatto di recente, ma il pavimento di legno scuro aveva bisogno di una buona levigata. Sulle pareti, colorate di una calda tinta ocra e con qualche crepa qua e là che il colore non era riuscito a coprire del tutto, erano appesi diversi quadri e qualche foto era stata posta sopra ai mobili in legno di mogano. Un divano in tessuto rosso carminio, che aveva visto giorni migliori, era piazzato davanti a un piccolo televisore e a un tappeto colorato e un po' sfilacciato, mentre una poltrona sbilenca, che sembrava sul punto di rompersi da un momento all'altro e su cui vi erano stati buttati dei vestiti alla rinfusa, era stata relegata sotto la finestra che dava sulla strada.
Alec adorava la sua casa, che era sua, solo sua, e che non voleva dividere con nessuno.. men che meno con uno strano individuo dalla dubbia sanità mentale!
"Lei vive davvero qui?" chiese Magnus, sorpreso, continuando a guardarsi attorno con aria esterrefatta.
"Sì. Ha qualche problema?" rispose Alec, piazzandosi le mani sui fianchi e irrigidendosi tutto per quel tono che sembrava un insulto.
"Il divano è orribile e qualsiasi commento sulla poltrona sarebbe sprecato." argomentò Magnus, spietato, senza nascondere una smorfia. "Forse se la facesse sparire, il salotto migliorerebbe, ma non ne sono affatto sicuro." continuò, tamburellando l'indice sul mento, come se stesse prendendo in seria considerazione l'idea di buttare la poltrona giù dalla finestra. "Uhm.. no. Sono certo che farebbe prima a bruciare tutto. O a trasferirsi." concluse, scrollando le spalle.
Alec strinse le dita, arpionando i propri fianchi, irritato. "Bene, ora che ha potuto esprimere la sua discutibile opinione sul mio appartamento, può anche.."
"Non c'è niente da discutere, signor Lightwood." lo interruppe Magnus, alzando un indice con fare saputello. "Mi creda quando le dico che il suo salotto è davvero brutto!" esclamò, scuotendo piano la testa. "Oh! E comunque, che le piaccia o meno, io da qui non me ne vado."
"Come osa? Il mio salotto non è affatto brutto!" replicò Alec, indignato. "E non mi piace per niente l'idea di averla qui!" continuò, stizzito.
"Sì, beh, se crede che al sottoscritto diverta l'idea di vivere in questo tugur.. ehm.. in questo appartamento.." si corresse, virgolettando l'ultima parola con le dita. "..si sbaglia di grosso, cocco!" ribatté Magnus, ironico.
"C-cocco?" balbettò Alec, scioccato. "Come si permette?" tuonò, subito dopo, ergendosi in tutta la sua altezza. "Ho un nome, maleducato che non è altro! Non sono il cocco di nessuno, io! Chiaro?" sottolineò con fervore.
Magnus sorrise, trovando adorabili le gote arrossate di indignazione del ragazzo. "Ah. Quando è così, allora le chiedo scusa." mormorò, alzando le mani in segno di resa.
"Vada a farsi fottere."
"Uhhh, siamo un po' volgari, non trova?" chiese Magnus, piegando la testa, con un sorriso sornione. "Senta, signor Lightwood, è bene che si ficchi in testa una cosa: per qualche tempo io e lei dovremo vivere sotto lo stesso tetto. Questo." aggiunse, indicando il soffitto. "Quindi veda di essere un po' più gentile."
L'espressione impertinente con cui l'uomo gli fece quel discorsetto, irritò Alec oltre ogni misura. "Guardi che.." iniziò, mentre l'altro gli rivolgeva uno sguardo e un sorriso paziente, quasi stesse ascoltando le lamentele di un bambino. "..chiamo mio padre!" esclamò, con enfasi.
"Faccia pure. E lo saluti da parte mia." rispose Magnus, scrollando le spalle e voltandosi per dirigersi verso il divano.
Alec strinse i pugni. "Anzi, sa una cosa? Chiamerò il suo superiore per lamentarmi del suo operato!" lo minacciò, annuendo convinto. "Già! Ahn-ahn! Può scommettere che lo farò! Come la mettiamo adesso? Eh?" domandò, sfrontato.
Magnus si accigliò, mentre con l'indice e il pollice alzava leggermente un angolo di un cuscino del divano, esaminandolo attentamente, come se si aspettasse di veder spuntare fuori, da un momento all'altro, qualche bestiaccia strana. "Cioè vuole chiamare i proprietari della Fairmont Hotels and Resorts?" chiese, sovrappensiero, continuando a ispezionare minuziosamente il resto del sofà. "Buona fortuna!" ridacchiò, con un sorriso canzonatorio, lasciandosi finalmente cadere tra i cuscini del divano e allungando le gambe davanti a sé.
Questa volta fu Alec a rimanere spaesato. "Fairmont Hotels and Resorts?" chiese, con aria smarrita.
Magnus annuì, aggiustando il sedere, sul cuscino su cui era seduto, con un cipiglio concentrato. "Lavoro per loro. Testo i loro hotel di lusso in giro per il mondo e.. Dio, come diavolo fa a stare seduto su una roba del genere?" chiese, continuando a dimenarsi per trovare la comodità desiderata.
"Ma.. ma mio padre mi ha detto che lei è un agente speciale della Marina Militare e.."
"Ex." rispose Magnus, distrattamente, alzandosi per sprimacciare con energia il cuscino. "Demi Tuhan, è pieno di bitorzoli questo coso!"
"Cosa?"
"Questo affare deve essere buttato! Ecco cosa!"
"Lasci in pace il mio cuscino!" ordinò Alec. "E.. che significa ex?"
"Sono un ex agente speciale, signor Lightwood." precisò Magnus, osservando con aria truce il cuscino che proprio non ne voleva sapere di collaborare e diventare un minimo più comodo. "Sul serio, come accidenti riesce a sedersi sopra a questa robaccia?" chiese, rivolgendogli un breve sguardo ammonitore, mentre si piantava le mani sui fianchi.
"Lei.. lei è un ex militare?" chiese Alec, ignorandolo e sbarrando gli occhi a quella scioccante notizia.
"Ahn-ahn." rispose Magnus, tranquillo, ributtandosi, poco convito, nuovamente sul divano. "Ho lasciato il servizio più di otto anni fa." spiegò, asciutto, sbuffando a più non posso per la scomodità del divano. "Santo cielo, è come sedersi per terra, su tanti piccoli sassi!" protestò, dimenando nuovamente il sedere.
Alec trattenne il fiato. Suo padre l'aveva ingannato, quindi! O, peggio ancora, non era a conoscenza della china presa da quell'individuo, che non era più un militare!
Cercò di pensare velocemente a un modo per liberarsi di quell'individuo, che si stava agitando sul suo divano come se avesse un ragno infilato nelle mutande. "Chiamo la polizia e la faccio arrestare!" lo minacciò a un tratto, serio.
Magnus interruppe lo scontro con il divano e sorrise, scuotendo la testa. "E con quale scusa? La guardia del corpo assunta da papino non mi piace? Crede davvero che verrebbero? Andiamo!" ridacchiò, muovendosi un altro po'. Con un sospiro rassegnato, si afflosciò sullo schienale e sbuffando a più non posso maledisse il divano, calandosi gli occhiali da sole sul naso e incrociando le braccia al petto.
Alec batté un piede a terra, indispettito oltre ogni dire, e decise quindi di passare alle maniere forti pur di sbarazzarsi di quell'individuo irritante. "Senta, delinquente da strapazzo, alzi immediatamente il culo dal mio divano e se ne vada o le garantisco che la sbatto fuori a calci. E non sarà affatto piacevole!"
Magnus abbassò leggermente gli occhiali sul naso, mentre un lento sorriso divertito nasceva sulle sue labbra. "Sono un ex militare, signor Lightwood, mentre lei è un semplice civile. Pensa davvero di riuscire a mettere in atto la sua minaccia?"
"Vada a farsi fottere!" sibilò nuovamente Alec, dopo un lungo momento, stringendo i pugni lungo i fianchi.
Magnus scosse la testa. "Signor Lightwood, sul serio, dovrebbe rivedere il suo linguaggio. E' troppo scurrile." lo apostrofò, con fare paternalistico, tornando a inforcare gli occhiali. "E, tanto per essere chiari, mi è stato affidato un incarico. Resterò qui fino a quando sarà necessario. Che lei lo voglia o no."

Alec stava misurando la stanza a grandi passi e in lungo e in largo, mentre, con il telefono incollato all'orecchio, sibilava come un serpente a sonagli contro lo sfortunato malcapitato che si trovava dall'altra parte della linea e che aveva avuto la iella di rispondere. Stava fumando dalla rabbia.
Però, pensò Magnus, sprofondato nello scomodo divano che gli stava martoriando le natiche e la schiena, con le braccia incrociate al petto e la testa leggermente piegata di lato, mentre lo guardava con interesse, non era niente male. Anzi, a dirla tutta, abbigliamento da barbone a parte, era molto più che niente male!
Alexander Gideon Lightwood era un bocconcino inaspettatamente appetitoso e.. non era decisamente un moccioso!
Non se ne era accorto subito, preso com'era dalla forte emicrania che gli aveva martellato la testa da quando si era svegliato quella mattina fino a dieci minuti prima, quando finalmente era riuscito a buttare giù due pastiglie, ma ora che finalmente il dolore si era attenuato e la nebbia nella sua mente si era diradata, vedeva tutto più chiaramente e.. Dio, cosa non avrebbe potuto fare a quel sedere tondo e perfetto e a quella bocca peccaminosa!
Dewi gli aveva descritto il figlio di Robert Lightwood come un ragazzo fragile e bisognoso di aiuto, e Magnus aveva pensato di dover fare da balia a un individuo gracilino e petulante, con il moccio al naso e terrorizzato dalla sua stessa ombra. Invece, a giudicare dallo "spettacolo" che si stava godendo in quel momento, il moro era tutto fuorché una damigella in pericolo!
Alexander viveva da solo in un orrendo appartamento in un tranquillo quartiere di Manhattan e fisicamente era poco più basso di lui, ma più muscoloso e con delle spalle ampie e larghe, a cui ci si sarebbe attaccato volentieri per interessanti attività verticali e, soprattutto, orizzontali. Aveva una delicata pelle color alabastro, lineamenti del viso che uno scultore avrebbe volentieri immortalato su un blocco di marmo e sfoggiava una folta e disordinata massa di capelli neri come l'inchiostro, in cui moriva la voglia di infilare le mani per saggiarne la consistenza. I fianchi snelli e le gambe lunghe erano fasciati da un paio di jeans logori e stracciati, che Magnus non avrebbe usato neanche per fare la cuccia a un cane randagio, e un maglione dal colore indecifrabile, ma che, tirando a indovinare, una volta doveva essere stato nero, e.. demi surga, era un buco quel sfilacciamento sulla spalla?
Magnus scosse la testa e alzò lo sguardo per osservare la parte più incredibile di quel ragazzo, ossia i suoi meravigliosi occhi, che erano di un blu talmente vivido e intenso da desiderare di annegarci dentro e che ti fulminavano e ti lasciavano stecchito a terra con un battito di ciglia.
C'era poco da dire: Alexander Lightwood era davvero bello. Aveva un pessimo carattere, una lingua affilata come un rasoio e si vestiva come un senzatetto, certo, ma era innegabilmente attraente e sexy e.. Dio, quel sedere l'avrebbe mandato al manicomio, ne era certo! Magnus continuava a fissarlo avidamente, immaginando scenari, uno più sconcio dell'altro, in cui riusciva a mettere le mani su tutto quel ben di Dio, mentre il ragazzo, completamente ignaro della direzione del suo sguardo, marciava da una parete all'altra del salotto.
"In riunione?" esclamò Alec. "No, senta, devo parlare con lui. Adesso. Per cortesia, me lo passi e.. sì! Sì, mi ha capito benissimo! Voglio parlare con lui! Ora!" pretese, alzando di poco il tono della voce. "Cosa significa che non può proprio passarmelo? Senta signor.. come diavolo si chiama?" sibilò, arrabbiato. "Perfetto. Senta, David, o me lo passa subito o giuro che entro mezzogiorno lei sarà disoccupato. Sono stato chiaro?" minacciò, gelido. Poi una pausa. "Sì, resto in linea. Grazie."
"E' inutile." provò a dire Magnus.
"Stia zitto. Nessuno ha chiesto il suo parere." lo apostrofò Alec, girandogli le spalle e dando inconsapevolmente all'altro nuovamente modo di guardargli il sedere.
"Alexander, non riuscirai a liberarti di me." lo avvertì Magnus, allungando le gambe sul tavolinetto davanti a lui.
Visto che avrebbero vissuto insieme per chissà quanto tempo, aveva deciso che tanto valeva entrare in confidenza fin da subito e passare direttamente a darsi del tu, perché mantenere un certo distacco, quando avrebbero dovuto condividere gli stessi spazi, sarebbe stato impossibile.
Alec si girò per guardarlo, fulminandolo con lo sguardo. "Tolga subito quei luridi stivali dal mio tavolino!" ringhiò, feroce. "E non mi chiami Alexander!"
Magnus alzò le mani. "Ok. Ok. Non ti scaldare. Alex, allora?"
"Per lei sono il signor Lightwood!" pretese Alec, tornando a voltarsi, in attesa di una risposta dall'altra parte della linea. Fece un salto e gridò, sorpreso, quando si sentì sfiorare la pelle sulla spalla. "C-cosa fa?!"
Magnus lo fissò a bocca aperta. "Per tutti i diavoli! E' davvero un buco!"
"C-cosa???"
"Il tuo maglione ha un buco!"
"Stia lontano da me!" strillò Alec, puntandogli l'indice contro e allontanandosi bruscamente da lui.
Magnus scosse piano la testa, esterrefatto, poi tornò a sprofondare tra i cuscini del divano. "Un barbone! Ho a che fare con un barbone!" borbottò, scioccato.
Alec gli lanciò un'occhiata omicida, alzando il dito medio e sventolandoglielo contro con tutta la rabbia che gli ribolliva in corpo.
Magnus ridacchiò davanti a quel gesto infantile e gli fece a sua volta la linguaccia. "Tanto per la cronaca, guarda che ci ho già provato anch'io a sganciarmi da questa situazione assurda, ma è stato inutile."
Alec aggrottò la fronte. "Ci ha provato anche lei?" chiese, abbassando la mano.
"Non penserai che mi stia divertendo, qui, vero?" chiese Magnus, alzando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto.
Il pomeriggio prima, infatti, quando si era incontrato con suo padre per avere tutti i dettagli della "missione", Magnus aveva provato per più di un'ora a tirarsi fuori da quell'impegno, ma aveva fallito miseramente. Sua madre si era intromessa come suo solito ed era riuscita a impedirgli di scappare dalla città, con il primo aereo, per non fare più ritorno.
Alec lo guardò, sempre più confuso, e coprì con una mano il ricevitore del telefono. "Perché ha accettato di venire, allora?"
"Non ho accettato. Sono stato incastrato." precisò Magnus, intrecciando le mani dietro la testa.
"Incastrato?" ribatté Alec, incredulo.
"Fidati." lo rassicurò Magnus.
"E' proprio questo il punto. Io non mi fido. Di lei men che meno." scandì Alec, serissimo.
"Libero di farlo, ma sappi che, se avessi rifiutato l'incarico, sarebbe stata la mia fine. Capisci?" gli confidò l'uomo, con un sospiro, porgendo il labbro in un broncio infantile.
Alec lo fissò, impassibile. "Sta cercando di farmi pena? Sul serio?"
"Funziona?" gli chiese Magnus, con un sorriso malandrino, piegando la testa.
"No." rispose Alec, lapidario.
Magnus sospirò. "Andiamo, Alexander, non ti sembra di esag.."
"Le ho detto di non chiamarmi Alexander!" strillò Alec, esasperato. "Se proprio vuole essere poco professionale, mi chiami Alec." dichiarò, voltandogli poi le spalle, indispettito. "Sì? Pronto? Sì, sono ancora qui! Sì!" esclamò a un tratto, quando l'interlocutore ritornò da lui. "Come sarebbe a dire che non può proprio venire al telefono? Gli ha detto che sono suo figlio e.. Senta, David, lei.. Cosa? No! Non ho intenzione di prendere un appuntamento e.. Ohhh, lasci perdere, ok? Sì, sì, le ho detto di lasciare stare. Ci parlerò più tardi! Grazie e buona giornata." esalò, spazientito, chiudendo la conversazione e fissando, con palese ostilità, l'uomo che aveva preso residenza sul suo divano e che lo guardava di rimando con un enorme sorriso stampato sul volto.
"Che ne dici di ricominciare da zero?" gli chiese Magnus, alzandosi in piedi e porgendogli una mano. "Magnus Bane, piacere di conoscerti."
Alec incrociò le braccia al petto e fissò quella mano come se fosse un orribile mostro a tre teste.
"Andiamo, Alec, guarda che sarebbe molto più facile per entrambi se ti rassegnassi all'idea di avermi qui con te." lo sollecitò Magnus, con un sorriso.
"E se la pagassi il doppio di quanto le dà mio padre, per togliersi dai piedi?" chiese improvvisamente Alec, alzando lo sguardo e guardandolo speranzoso. "Giuro che non lo direi a nessuno! Lei potrebbe tornare alla sua vita di sempre e io alla mia."
Magnus lo guardò per un lungo momento, in silenzio, quasi stesse ponderando la proposta, e Alec rimase in trepidante attesa, con il fiato sospeso. Dopo un interminabile minuto, l'uomo scosse con decisione la testa. "Niente da fare. Noi due resteremo insieme fino a quando la faccenda delle e-mail minatorie non sarà sistemata."
Alec roteò gli occhi e sbuffò esasperato.
"Allora, che ne dici? Tregua?" propose Magnus, porgendogli nuovamente la mano.
Alec fissò di nuovo la mano tesa, mordicchiandosi il labbro inferiore, indeciso, valutando velocemente tutti i pro e i contro di quella situazione. Per il momento c'era ben poco che potesse fare e continuare a comportarsi come un bambino di cinque anni non sarebbe servito a niente, a parte rendersi ridicolo agli occhi dell'uomo davanti a lui. Dopo un lungo momento, sospirò, abbassò le spalle e, con aria rassegnata, gli porse la mano. "Tregua, ma a una condizione."
"Spara." rispose Magnus, stringendogli la mano.
"Non mi tenti." ironizzò Alec, con uno strano luccichio negli occhi, interrompendo il breve contatto che, incomprensibilmente, gli aveva fatto partire una scarica di adrenalina lungo tutto il corpo.
Magnus sorrise divertito. "Sai che cominci a piacermi?"
"Ohhh, stia zitto o potrei montarmi la testa!" rispose Alec, roteando gli occhi, con un accenno di sorriso storto sulle labbra. "Accetterò la sua presenza." riprese, poi, con tono ragionevole. "E le permetterò di venire a lavoro con me e seguirò tutti i consigli che mi darà per proteggermi. Durante il giorno."
"E di notte?"
"E di notte si toglie dai piedi." spiegò Alec, risoluto.
Magnus si massaggiò il mento, ponderando le parole dell'altro. "Sarei tentato, davvero, ma devi rivedere le tue condizioni."
"Perché?" chiese Alec, sbalordito. Gli sembrava un piano perfetto, per l'angelo! Perché quel rompiscatole non era d'accordo?
"Perché ho giurato di starti appiccicato come un francobollo fino a quando non sarai definitivamente al sicuro. Ed è esattamente quello che intendo fare."
"Ohhh, andiamo! Non è affatto necessario!" si lagnò Alec, allargando le braccia. "Non sono in pericolo!"
"Non faccio io le regole, dolcezza." sentenziò Magnus, scrollando le spalle.
"Non mi chiami dolcezza!" sbuffò Alec, spazientito. "Senta, questa casa è troppo piccola per due persone." spiegò poi, tentando di essere convincente. "Ci daremmo solo fastidio a vicenda!"
"Ho vissuto in condizioni peggiori." replicò Magnus, scrollando le spalle con un sorriso che la sapeva lunga.
"Non saprei dove farla dormire!" tentò, allora, Alec.
"Non hai due camere da letto?" chiese Magnus, con aria furba, inarcando un sopracciglio.
"No!" mentì spudoratamente Alec.
Magnus sorrise. "La camera degli ospiti andrà benissimo."
"Andrà bene per lei, ma non per me!" ribatté Alec, piazzandosi le mani sui fianchi.
"Pazienza. Il tuo parere, in questa faccenda, non conta."
"C-cosa?" esalò Alec, spalancando gli occhi, sorpreso. "Le ricordo che questa è casa mia!"
"Sì e io sono tuo ospite."
"Contro la mia volontà."
"Non è importante."
Alec sbuffò nuovamente esasperato. Era inamovibile, dannazione! "Detesto questa situazione." decretò, contrariato.
"E' una cosa che abbiamo in comune." affermò Magnus, scrollando le spalle e facendogli l'occhiolino. "Forse saremmo una buona squadra, se seppellissi l'ascia di guerra."
"Ne dubito fortemente!"
Magnus divenne serio. "Alec, credimi, sarei felicissimo di togliermi dai piedi.."
"E allora lo faccia, per la miseria!" gridò Alec, gettando la testa all'indietro per l'esasperazione.
"..ma ormai sono qui." continuò Magnus, ignorandolo e andando a sedersi di nuovo sul divano bitorzoluto. "E ci resterò per un bel po'. Rassegnati."
   
 
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