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Autore: mikimac    24/11/2019    5 recensioni
Sherlock e John sono sposati e vivono insieme. Possono dire di avere raggiunto un rapporto equilibrato e appagante per entrambi. Fino al giorno in cui la Donna appare nelle loro vite. E nulla sarà più come prima.
Omegaverse. Omega John Watson. Alfa Sherlock Holmes.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Mpreg, Triangolo
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- Questa storia fa parte della serie 'Fotografie'
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E che il gioco abbia inizio
It’s beginning to look a lot like Christmas” iniziò a cantare la voce calda di Bing Crosby, accompagnato dall’Orchestra Sinfonica di Londra. Le allegre note della canzone invasero il silenzio calato nel salotto del 221B di Baker Street, sovrastando i rumori di Londra. Non si sentiva provenire nulla nemmeno dal piano di sotto. Probabilmente la signora Hudson e Phillip Holmes avevano convinto i bambini a mangiare. Forse avevano acceso la televisione, ma la musica copriva ogni altro suono. Chiunque fosse entrato in quel momento nel salotto del 221B avrebbe capito che stava succedendo qualcosa di anormale, che non aveva nulla a che fare con l’atmosfera natalizia suggerita dalla voce di Bing Crosby. Una tavola rotonda era stata accuratamente apparecchiata per festeggiare la Vigilia di Natale, ma piatti e bicchieri erano ancora puliti. Intonsi. Su un albero decorato, posto accanto al caminetto, le luci si accendevano e si spegnevano, alternandosi in un gioco colorato e illuminando pacchetti variopinti e di diverse dimensioni, disposti ordinatamente ai piedi dell’abete e pronti da aprire, ma non c’era nessuno che li tastasse o li studiasse, curioso di sapere che cosa contenessero. Musica natalizia usciva dalle casse delle stereo, in una sequenza infinita, facendo da sottofondo al silenzio, ma ignorata da chi si trovava nel salotto. Tutto suggeriva una felice Vigilia di Natale in famiglia, eppure le cinque persone nella stanza si stavano studiando, guardinghe, in attesa che qualcuno facesse la prima mossa.
Irene Adler spostava lo sguardo fra i quattro uomini, soffermandosi più a lungo quando i suoi occhi azzurri si posavano sul più giovane degli Holmes. Mycroft e Greg osservavano la donna come se fosse stata una bomba da disinnescare. Cercavano di capirne la reale pericolosità e il modo più sicuro per renderla inoffensiva. John non riusciva a nascondere la propria invidia e la propria tristezza. Invidia perché quella donna aveva conquistato il cuore di Sherlock. Tristezza perché, invece, lui aveva fallito e a pagarne le conseguenze sarebbe stato anche il bambino che portava in grembo. Il volto di Sherlock non tradiva alcuna emozione. Era una maschera imperscrutabile. Dopo la gioia mostrata per l’improvvisa comparsa di Irene, il consulente investigativo si era chiuso in uno strano mutismo. Non era intervenuto nemmeno quando la signora Hudson, in modo chiaro e diretto, si era offerta di buttare Irene fuori di casa.
Chiunque fosse entrato nel salotto del 221B di Baker Street avrebbe capito che l’atmosfera natalizia era stata gelata, per lasciare il posto a una sfida, che avrebbe cambiato il destino delle cinque persone che si trovavano al suo interno.

E che il gioco abbia inizio

“Bene bene. Siamo tutti qui. Ditemi, cari Alfa, siete certi che i vostri Omega siano in grado di concorrere a questo gioco? Perché i partecipanti non sono persone tenere e delicate. Non esistono regole. Una volta che si è deciso di giocare, non ci si può più tirare indietro. Si deve arrivare fino alla fine, qualsiasi sia il prezzo da pagare,” esordì Irene, con un sorriso ironico sulle labbra rosse.
“Io sono un poliziotto, signora…?” Ribatté Greg, in tono secco.
“Io so benissimo chi sia lei, detective ispettore Gregory Lestrade Holmes, amato consorte di Mycroft Holmes, l’uomo di ghiaccio, per cui ha messo al mondo due figli, Eileen e Neil. Lavora a Scotland Yard, occupandosi prevalentemente di omicidi e facendosi aiutare dal suo caro cognatino, Sherlock, meglio conosciuto dai suoi uomini come lo strambo. Sono stata brava?” Rispose Irene, sardonica.
Mycroft si spostò davanti al marito, come se lo volesse fisicamente proteggere dalla donna: “Evidentemente ha preso informazioni su di noi, prima di contattarci per ricattare la Corona. Dobbiamo giocare? Va bene. Però, facciamolo a carte scoperte. Che cosa vuole, veramente?” Domandò, in tono tagliente.
“Oh, ecco l’Alfa che esce allo scoperto. Mi meraviglio che non ti sia esibito in ringhi e suoni gutturali, per difendere il tuo prezioso Omega. Sappi, caro Mycroft, che non sono interessata al tuo maritino. Io sono lesbica. Anche se sarei proprio curiosa di fare qualche giochino con lui. Penso che mi divertirei. Che ne dici, Greg? Manette e frustino non ti attirano nemmeno un po’? Ovviamente usati su di te. Oppure ci sei abituato? Mycroft mi sembra proprio il tipo di Alfa capace di usare corde e fruste sul proprio partner per riuscire a eccitarsi,” ribatté Irene, in tono canzonatorio.
“Per lei è tutto solo un gioco, vero?” Chiese John, in tono stanco.
“Ed ecco intervenire l’altro Omega. Il piccolo e insignificante dottor John Watson Holmes. Davvero, John, non capisco che cosa ci trovi Sherlock in te. Sempre che lui provi qualcosa per te, cosa che io non credo possibile. Sei ordinario. Banale. Mediocre. Non puoi eccitarlo intellettualmente. E sessualmente… Senza offesa, ma spero che sotto quell’orrido maglione tu nasconda qualcosa di veramente fantastico. Sherlock merita di avere accanto a sé qualcuno che sia speciale,” rispose Irene, con voce velenosa.
“Come lei?” Sibilò John, controllando a stento la rabbia che provava.
“Perché no? Io posso stuzzicarlo sia intellettualmente che sessualmente. Sarei una compagna perfetta per Sherlock. Con me non si annoierebbe mai,” Irene scrollò le spalle con noncuranza.
“Non ha appena ammesso di essere lesbica? Sherlock non dovrebbe entrare nel suo campo di competenza,” rimarcò il dottore, con ironia.
“Esistono sempre delle eccezioni, caro John. Sherlock è intelligente. Sexy. Saremmo una coppia stupenda. E avremmo dei figli bellissimi,” insinuò Irene, in tono maligno.
“Non hai risposto alla domanda che ti ha posto mio fratello. Non ci hai ancora detto che cosa tu voglia veramente da noi,” intervenne finalmente Sherlock, come se fosse completamente indifferente alla discussione fra la donna e suo marito.
“Dimmi, Sherlock, sei riuscito ad accedere al mio cellulare?” Domandò Irene, con un sorriso enigmatico sulle labbra rosse.
Sherlock estrasse lentamente il telefono dalla tasca dei pantaloni: “Chissà perché, ma sono certo che se io fossi riuscito a sbloccare il tuo cellulare, lo avresti saputo.”
“Bravo. Come dicevo, non sei stupido. Però non sei nemmeno così intelligente, come ti hanno descritto. Hai avuto nelle tue mani quel telefono per tre settimane. Il tempo sufficiente per trovare la password e scoprirne il contenuto. Eppure non ci sei riuscito. Mi dispiace annunciarti che la tua missione è fallita e che questo mette fine al gioco. Almeno per il momento,” ridacchiò Irene, in tono trionfante.
“Quindi era solo un test. In questo cellulare non c’è nulla di importante,” constatò Sherlock, con una calma e tranquillità, che stupirono gli altri tre uomini.
“Infatti. Quindi me lo puoi riconsegnare. Grazie per il gradito divertimento e a mai più rivederci. Salvo che tu non voglia godere della mia compagnia nel tuo letto. Nel qual caso, posso fermarmi ancora un po’,” trillò la donna, allungando una mano.
Sherlock le afferrò il polso con una mano, mentre con l’altra selezionava una lettera sul cellulare: “E se io avessi capito la password, ma avessi solo aspettato che tu tornassi qui per capire quali fossero le tue intenzioni?” Chiese in tono sibillino.
Irene impallidì visibilmente: “No… non è possibile… perché avresti atteso tanto a lungo per accendere il cellulare? Potevano esserci informazioni di vitale importanza. No. Ti stai prendendo gioco di me. Non hai capito la password.”
“Invece so quale sia e ho aspettato fino ad ora, perché so che tu ci hai mentito fin dall’inizio. In questo telefono ci sono delle informazioni importanti, ma sono sicuro che non siano di vitale importanza. Sono solo un piccolo assaggio di ciò che hai raccolto per la vera mente criminale, che si cela dietro a questo piano. Sono certo che ci sia qualcuno che stia tirando le fila di questo intrigo e che quel qualcuno non sia tu,” rivelò Sherlock, sfiorando un’altra lettera.
“Io non obbedisco a nessuno. Stai solo cercando di salvati la faccia. Lasciami andare e dammi il mio telefono. Mettiamo fine a tutto, prima che tu ti copra di ridicolo,” sibilò Irene, senza riuscire a celare una nota di panico nella voce.
Sherlock non si lasciò impressionare. Gli angoli delle sue labbra si piegarono in un lieve sorriso sarcastico: “Devo ammetterlo. All’inizio mi hai ingannato. Pensavo che il piano di ricattare la famiglia reale fosse tuo, ma poi ho capito che loro non erano il tuo vero bersaglio. Sembravi più interessata a mettere zizzania fra me e John, piuttosto che farti pagare per non divulgare fotografie compromettenti di qualche principessa irresponsabile. Così ho capito. Tu sei indubbiamente una donna molto bella, intelligente e furba, ma non conduci il gioco e stai obbedendo a degli ordini. Sei solo una pedina, Irene. Sai quando ne ho avuto la prova definitiva? Quando hai creduto che io non avessi trovato la password per sbloccare il tuo telefono. Tu non eri semplicemente felice. Eri sollevata. Perché, se sei il capo di te stessa?” Domandò Sherlock, digitando su un altro tasto.
Gli occhi azzurri di Irene si riempirono di terrore: “Ti prego… no… non capisci… il mio capo non ammette il fallimento. Io ho garantito che non avresti mai capito la password… non puoi avere indovinato… no…” la voce della donna si spense in un mormorio atterrito. Con uno scatto disperato si lanciò verso la mano in cui Sherlock teneva il cellulare, ma il consulente la sollevò, portando il telefono fuori dalla portata della donna.
“Io non indovino le cose, Irene. Io le deduco. Le capisco. Ti ho sentito il polso, Irene. Sei brava a bluffare, ma nemmeno tu puoi controllare i battiti del tuo cuore,” Sherlock digitò ancora sulla tastiera e girò lo schermo del cellulare verso la donna. Sul piccolo video si era composta la scritta: “I’m SHER locked”
“Nooo,” si lamentò Irene, con gli occhi lucidi.
Sherlock premette l’invio e il cellulare si sbloccò, quasi per magia. Una singola lacrima solcò una guancia della donna: “Tu non sai che cosa hai fatto,” sussurrò piena di sgomento.
“Dimmi chi è il tuo capo. Ti prometto che ti proteggeremo,” Sherlock sollecitò la donna, afferrandole saldamente il polso.
“Nessuno può proteggermi. Non esiste un posto dove io possa nascondermi senza che…,” la frase fu troncata prima che Irene potesse terminarla. Un rumore di vetri infranti precedette di qualche secondo il fiotto di sangue che schizzò sul viso e sulla camicia bianca di Sherlock. John si buttò a terra, proteggendosi istintivamente il ventre. Mycroft abbracciò Greg e lo trascinò sul pavimento, mettendosi sopra di lui. John Lennon cominciò a cantare “So this is Christmas”, accompagnato da un coro di bambini, mentre Sherlock prendeva fra le braccia il corpo senza vita di Irene e la stringeva a sé, urlando la sua rabbia disperata.

Natale era trascorso. Erano le prime ore del 26 dicembre, quando John aprì la porta del proprio studio, alla clinica, e ne accese la luce. L’ufficio era ordinato, come sempre. La scrivania era sgombra. C’erano solo il computer, la tastiera e il mouse. Con un sospiro, John entrò e sfilò dalla tasca del giaccone una piccola scatola avvolta in una carta colorata, con un fiocco rosso sopra. Si chiuse la porta alle spalle e aprì il primo cassetto della scrivania, riponendovi il pacchetto regalo. Non si era ancora tolto il giaccone, che la porta si spalancò. Nel vano si stagliò la figura in sovrappeso di Mike Stanford, il cui viso non riuscì a celare un’espressione di sollievo: “John! Stai bene! Tutti i giornali e i notiziari parlano di ciò che è avvenuto nel tuo appartamento. Perché non mi hai risposto? Non so quante volte ho tentato di telefonarti,” sbottò, in tono di preoccupato rimprovero.
“Mi dispiace. Sono stati giorni convulsi. Mycroft ha fatto portare i bambini, la signora Hudson, suo padre e me a casa sua, scortati dai suoi uomini. La villa era più sorvegliata di Buckingham Palace. La signora Hudson, Phillip ed io ci siamo occupati dei bambini. Abbiamo voluto che trascorressero un Natale quasi normale. Eileen si è molto spaventata e aveva paura che potesse accadere qualcosa anche ai suoi genitori, mentre Neil non ha praticamente capito che cosa fosse successo.”
“Sì, certo. Lo ho immaginato. Tu stai bene?”
“Sì. Io sto bene. Nessuno è stato ferito. È morta solo lei,” mormorò John.
“Sherlock come sta? Gli hai detto del bambino?”
John sollevò uno sguardo furioso sull’amico: “Certo, come no! Senti, Sherlock, mi dispiace, almeno un po’, che la donna di cui ti eri innamorato sia morta fra le tua braccia, ma consolati. Non tutto il male viene per nuocere. Stiamo per avere quel figlio per cui sei stato costretto a sposarti con me e che tu non volevi. Con Irene fuori dai giochi, ti puoi accontentare di noi. Siamo il tuo premio di consolazione,” sbottò in tono sarcastico.
“John…” sussurrò Mike, addolorato per l’amico.
L’Omega scosse la testa e si passò una mano sul viso e sui capelli: “Scusa. Non è colpa tua se la mia vita è un disastro. Non vedo mio marito dalla Vigilia di Natale, quando cullava quella donna e ripeteva ‘mi dispiace’ all’infinito. Greg è venuto qualche volta alla villa, per accertarsi che i figli stessero bene. Mi ha detto che Sherlock sta fisicamente bene, ma che si è buttato anima e corpo nella missione di scoprire chi fosse il capo di Irene Adler, per fargli pagare la sua morte. Lui non mi ha mai chiamato. Non mi ha cercato. Non mi ha chiesto di partecipare alle indagini. non risponde ai miei messaggi. Non so quando lo rivedrò. Se lo rivedrò. Non so come e quando riuscirò a dirgli del bambino. Non so nemmeno se continueremo a rimanere sposati. Davvero, Mike. È stato un magnifico Natale,” concluse, in tono amareggiato.
“Mi dispiace. Non è giusto. Dovreste condividere la gioia per la gravidanza. Sherlock dovrebbe starti accanto e prendersi cura di te…”
“Non ho bisogno che Sherlock si prenda cura di me! – lo interruppe John con veemenza – Voglio che Sherlock mi ami quanto lo amo io e che sia felice per questo bambino come lo sono io, perché rappresenta il coronamento del nostro amore!”
Nella stanza calò il silenzio. Era stato strano ammettere ad alta voce i sentimenti che provava per il marito. Era come se avessero assunto un aspetto concreto e reale. Quell’amore, però, era stato svelato alla persona sbagliata e questo lasciava un gusto amaro nella bocca di John.
“Sono sicuro che andrà tutto bene. Sherlock risolverà il caso e tornerà da te. Sarete felici, John. Il destino non vi avrebbe donato un figlio, se non avesse voluto che diventaste una vera coppia,” sorrise Mike, rassicurante.
“Sei troppo ottimista, Mike. Il destino non è mai così generoso. Forse mi ha concesso questo bambino, proprio perché sarà la sola e unica cosa che potrò avere da mio marito. Sarà quel che sarà. Se sarà necessario, io amerò questo bambino per entrambi,” sospirò John, rassegnato.
“Ti fermi un po’ al lavoro?” Domandò Mike.
“Sì. Sono venuto a sistemare alcune pratiche. È l’unico modo che ho per distrarmi un po’. Più tardi prendiamo qualcosa insieme?” Propose John, con un sorriso di scusa.
“Volentieri. A più tardi,” salutò Mike e uscì.
John prelevò alcune cartelle cliniche da una cassettiera e si sedette alla scrivania. Iniziò a sfogliarle e a valutare gli esiti di esami e referti di visite. Non sapeva quanto tempo fosse trascorso, quando un odore non familiare gli fece alzare la testa. Sulla soglia della porta c’era una ragazza dai biondi capelli tagliati in un caschetto corto, che doveva avere più o meno la stessa età del medico. Occhi azzurri vivaci e intelligenti osservavano John con attenzione, mentre un sorriso accattivante si formava sulle labbra colorate con un rossetto leggero: “Buongiorno, dottor Watson. Non sapevo che oggi sarebbe venuto a lavorare o la avrei raggiunta prima,” esordì, con voce melodiosa e dolce.
John la guardò interdetto e sorpreso. Non la aveva mai vista prima e non capiva chi potesse essere. Anche il suo odore era strano. Un po’ troppo forte per un Omega, ma troppo delicato per un’Alfa: “Lei sarebbe…?” Chiese, interdetto.
Sul viso della donna si formò un’espressione stupita: “Non la hanno informata? Kathy è stata trasferita al reparto di cardiologia. Io sono la sua nuova infermiera. Ho tanto sentito parlare di lei, dottor Watson, e non vedo l’ora di cominciare a lavorare insieme. Sono sicura che andremo d’accordo e che faremo un lavoro fantastico,” spiegò con tono entusiasta.
John sorrise e si alzò dalla sedia, andando verso la nuova infermiera e allungando una mano: “Mi fa piacere che sia contenta della sua nuova assegnazione. Spero di non deludere le sue aspettative. Come lei sa già, io sono John Watson. Lei è…?”
La donna prese la mano che le era stata porta e sorrise con calore: “Il mio nome è Mary Morstan.”






Angolo dell’autrice

Non ci vuole molto genio per capire a chi appartenga la sesta fotografia, vero?
Spero che nessuno sia troppo deluso dalla morte di Irene. So che è un personaggio apprezzato, ma avevo proprio bisogno che sparisse definitivamente. In questa serie non ricomparirà. È veramente morta. Non è stata miracolosamente salvata all’ultimo secondo.

Grazie a chi sia arrivato fino qui a leggere.
Grazie a chi abbia segnato la storia in qualche categoria.
Grazie a paffy333 per il commento allo scorso capitolo.

La prossima storia ripartirà dove si è fermata questa. Chi sia curioso di sapere che cosa accadrà, non deve fare altro che tornare qui la prossima settimana.

Ciao!
   
 
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