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Autore: _Ella_    24/11/2019    8 recensioni
Se si potesse ripercorrere a tappe la propria vita, e scoprire uno ad uno tutti gli errori che si sono commessi, cosa si dovrebbe fare?
Accettarli, o cercare di rimediare anche quando sembra troppo tardi per farlo?
-
"Riuscì solo a pensare che un tempo, Sasuke avrebbe voluto questo.
E che lo avrebbe voluto anche lui.
"
[NaruSasu ; ambientata nell'arco temporale di "Boruto" (unico motivo per il quale sono citate le altre ship)]
Genere: Angst, Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sakura, Naruto/Sasuke, Sasuke/Sakura
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la serie
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No ma, seriamente, quanto tempo è passato? La mia ultima storia su questo fandom (per chi se lo chiedesse: Memento Mori, che ha ricevuto così tanto seguito che sto ancora piangendo in un angolo dalla gioia) risale ai tempi del Giurassico (non è vero, sono tipo tre mesi, ma mi sembrano molti di più), ed io non riesco a crederci che sia passato così tanto, perché avevo in mente altre duemila NaruSasu (tra cui questa), ma la fine della sessione estiva e l'inizio dei corsi mi hanno lasciata distrutta e disorientata. Stavo impazzendo, a non riuscire a scrivere: avevo la trama di questa storia in mente e provavo e riprovavo a buttarla giù ma niente. Niente di niente. Fino a giovedì, poi sono tipo impazzita ed ho scritto come se ne valesse della mia sopravvivenza: non volevo che passasse il weekend senza completare la storia e senza pubblicarla, perché una nuova settimana significa di nuovo corsi da seguire, e quindi avrei detto ciao per sempre al tempo per scrivere questa shot. Sono felice di esserci riuscita.
Vi erano mancati i miei sproloqui? No, bene, mi dispiace. Cercate di capirmi.

Passiamo alle cose importanti della storia:
1. Questa è un Art Attack una NaruSasu, e voglio che sia chiaro: è ambientata nel periodo di Boruto, ma l'ho pubblicato in questo fandom perché alla fine di Boruto non c'è proprio una sega, a parte gli accenni a ship come la NaruHina, la SasuSaku, e la presenza del figliame vario;
2. In questa storia, ci sono momenti in cui i due protagonisti avranno un considerevole gap d'età: tutto è mantenuto introspettivo, non palese e nei limiti della legge, ma insomma, se non è la vostra cup of tea, siete stati avvisati.
3. C'è l'happy ending; io ve lo dico: credeteci.

Penso sia tutto (mi ricorderò duemila cose dopo come al solito, ovvio, no?).
Perciò vi bacio come le vecchie zie ciccione, vi ringrazio in anticipo per aver letto, e vi assicuro che se lascerete una recensione il 2020 sarà un anno radioso, tipo che Kishimoto si renderà conto che la NaruSasu è l'unica vera coppia plausibile del suo manga. 
Alla prossima

 
 

14 days 
 

  • zero y.o.; 

Naruto si era ritrovato ad affrontare situazioni bizzarre, nel corso della sua vita; certo, quelle più considerevoli erano accadute tutte nel suo passato, quando era stato prima un ragazzino problematico e poi un adolescente esuberante.  

Era un jinchuuriki, per iniziare; aveva dovuto salvare il suo migliore amico da una serie incredibile di conseguenze alle sue scelte sbagliate; aveva vissuto con rospi per un breve periodo di tempo, aveva parlato coi suoi genitori defunti, aveva sputato dalla bocca un corvo, ed aveva sconfitto una divinità dopo aver scoperto di essere la reincarnazione di uno dei suoi due figli. 

Avrebbe potuto continuare, volendo. 

Adesso però aveva trent’anni, era il Settimo Hokage, era sposato con Hinata Hyuga, ed aveva due figli, Boruto ed Himawari, che amava con tutto se stesso; arrivato a questo punto, pensava che finalmente tutto sarebbe sempre andato nel verso giusto, ma incrociando lo sguardo rassegnato del suo sensei, nonché ex Hokage, Hatake Kakashi, Naruto dovette ricredersi. 

“È lui?” chiese, la voce più incerta di come avrebbe voluto. 

Kakashi annuì, stringendo tra le braccia un piccolo fagottino di morbide coperte. “Nessuno che l’abbia visto da neonato è attualmente vivo per poterlo confermare” disse, abbassando gli occhi sul viso del piccolo neonato dai capelli neri. “Stiamo aspettando i risultati degli esami del DNA per confermarlo, ma-” aggiunse, prima che Naruto provasse ad interromperlo, “non possiamo negare che la somiglianza con Sarada sia impressionante”. 

Kakashi gli spinse il neonato contro il petto per costringerlo ad afferrarlo, e Naruto strinse i denti, trattenendosi a stento dall’imprecare. Fissò il volto bianco del bambino, incrociò i suoi occhi scurissimi dal taglio a mandola: l’espressione pacata del suo viso, quasi annoiata ma attenta, era inconfondibile. Si chiese se stesse riuscendo a capire quello che si stavano dicendo. “Cazzo” sbottò, sorreggendo il neonato con un solo braccio, portandosi l’altra mano al volto, “penso proprio che sia davvero quel bastardo di Sasuke”. 

 

Quella mattina, Naruto aveva seguito la sua solita routine prima di andare in ufficio, ma con incollata addosso la soffocante sensazione che qualcosa non andasse come avrebbe dovuto; aveva giustificato questo suo malumore dando la colpa al tempo uggioso, ed aveva fatto colazione in silenzio, cercando di distrarsi col racconto di Himawari su quello che aveva sognato quella stessa notte (“Un unicorno! Voglio davvero un unicorno che sputa fuoco!”), ma c’era riuscito a stento. 

Aveva salutato Hinata con un bacio sulle labbra ed un peso nello stomaco che aveva attribuito alla cena mal digerita la sera prima, poi era corso in ufficio più in fretta che poteva, sotto la pioggia battente. 

Ad accoglierlo c’era stato Shikamaru Nara, persino più scocciato del solito: “ieri notte il capitano Uchiha è tornato dalla sua missione” aveva detto, senza nemmeno augurargli il buongiorno, e Naruto non aveva sorriso a quella notizia, perché il tono delle sue parole non gli era piaciuto affatto: “meglio se passi in ospedale, Settimo”. 

Non aveva aggiunto altro, e Naruto non aveva aspettato che lo facesse: quello che aveva trovato in ospedale, nella stanza indicata dall’infermiera, era stato il maestro Kakashi, con in braccio un bambino molto piccolo. 

Il ché li riportava al presente. 

Era chiaro che quella situazione fosse solo conseguenza di una strana tecnica ninja: Sasuke era rientrato dalla sua missione la notte precedente, e lo avevano accolto in ospedale con la febbre alta e segni di delirio. L’avevano tenuto d’occhio finché la temperatura non si era stabilizzata, ma il mattino seguente le infermiere avevano trovato nel suo letto un neonato che piangeva per la fame. 

“E adesso?” Naruto si accomodò sul bordo del materasso, sorreggendo tra le braccia il piccolo Sasuke, che stringeva tra le manine il tessuto morbido delle coperte. “Cosa facciamo, sensei?”. 

Lui in risposta sospirò, sorridendo sornione. “Strano, che a chiederlo sia l’Hokage stesso”. 

Naruto fece una smorfia. “Lo chiedo come allievo, come membro del Team Sette”. 

Kakashi si grattò il mento, facendo girare lo sguardo nella stanza. “Aspettiamo i risultati del test per avere certezza assoluta, poi cercheremo di capire di che tecnica si tratta, quale sarà il suo decorso”. 

Annuì, serio. “Bene”. 

“Ma intanto”, Kakashi infilò le mani nelle tasche, dirigendosi verso la porta. “Sarai tu ad occuparti di lui”. 

Naruto sbatté le palpebre, incredulo. “...io? Perché io?! E poi ci sono le infermiere!”.  

Sasuke, tra le sue braccia, sobbalzò ed iniziò a piangere. Kakashi roteò gli occhi. “Perché” disse, alzando il tono per farsi sentire mentre lui cercava di sedare il pianto di Sasuke, “Sakura è in missione; io non so averci a che fare, coi bambini, e tu sei quello che lo conosce meglio. In più, non sappiamo per quanto tempo resterà così, né se non ci saranno strane conseguenze: non possono occuparsene semplici infermiere”. 

Naruto grugnì, muto di fronte l’ovvietà della risposta: era la cosa più prudente da fare. “Sono l’Hokage, dovrei essere io a prendere le decisioni”. 

“Non lo sto dicendo all’Hokage” disse Kakashi, incrociando il suo sguardo. “Lo sto dicendo al mio allievo del Team Sette”. 

Sospirò. “D’accordo, sensei” disse, sistemando il corpicino di Sasuke contro il proprio petto: aveva l’improvvisa voglia di annusargli la testa per scoprire se odorasse come quella di tutti i neonati, o se fosse speciale anche in quello. “Ma vediamo di sbrigarci con le ricerche”. 

Kakashi inchinò il viso. “Certo, Hokage”, poi sparì, lasciandosi una nuvoletta di fumo alle spalle. 

Quando Naruto controllò il volto di Sasuke, fu sorpreso di trovarlo a dormire. 

 

Era passata circa un’ora dal suo arrivo in ospedale quella mattina; fuori continuava a piovere, ma Sasuke intanto si era svegliato, e Naruto era stato davvero molto sorpreso di scoprire che era uno di quei bambini calmissimi, che guardano in giro con gli occhi spalancati, che si lasciano sfuggire giusto qualche vagito per farti capire che hanno fame o sete, ma non piangono senza motivi validi per farlo.  

Chissà perché, Naruto l’aveva sempre immaginato capriccioso, ma era stato più che felice di ricredersi: Boruto ed Himawari erano stati due neonati tremendi, e doveva ammettere che Sasuke fosse davvero il bambino che tutti i genitori avrebbero potuto desiderare.  

“Era da un po’ che non mi costringevi a rimediare ai tuoi guai, Sasuke” borbottò, chinato sul letto mentre gli cambiava il pannolino (aveva chiesto alle infermiere di farlo, ma loro erano troppo impegnate, e quindi alla fine aveva dovuto. Sperava che Sasuke, il vero Sasuke, non fosse cosciente dentro quel corpo, perché se avesse avuto memoria del fatto che Naruto gli avesse pulito il culo, lo avrebbe ucciso con le sue mani – be', insomma, con quella rimasta), “e ti prego, non farmi la pipì addosso”. 

Con Boruto era successo un sacco, un sacco di volte. Troppe, per poterle contare. Ma Sasuke era davvero un maledetto bambino perfetto e prodigio come lo era sempre stato, perché se ne stava fermo ed aspettava con pazienza. Era così adorabile che Naruto quasi non ci credeva. Lo avrebbe mangiato di baci, potendo, ma la situazione era davvero troppo strana per lasciarsi andare a certe dimostrazioni di affetto. 

“Se non tornerai normale” continuò, infilandogli le gambine nella tutina pulita, “Magari potrei farti da maestro, sai? Sarebbe strano, davvero strano, ma ti giuro che sarò più puntuale di Kakashi, lo prometto – non che ci voglia molto, si intende” Sasuke cercò di afferrargli le dita tra le mani e lui glielo lasciò fare, sedendosi sul letto al suo fianco.  

Chissà come sarebbe stato. Magari sarebbe stato meglio per lui, no? Ricominciare da zero, senza nessun trauma, nessuna scelta sbagliata. Lui e Sakura si sarebbero presi cura di lui come dal primo giorno che era ritornato al villaggio. 

Naruto scosse la testa, cercando di cacciare via quei pensieri: avrebbero trovato un modo per riportarlo indietro a tutti i costi, quindi non c’era motivo di soffermarsi su certi ragionamenti. 

Alzò lo sguardo da Sasuke quando sentì dal corridoio un inconfondibile tacchettio farsi man mano più vicino, fino alla porta di quella camera: la vecchia Nonna Tsunade la spalancò, incrociando immediatamente il suo sguardo. “Scusa il ritardo, Naruto” disse. “Ci ho messo un po’ a rintracciarlo”. 

Inarcò un sopracciglio. “Rintracciare chi?”. 

“Me”. 

Naruto spalancò gli occhi, incredulo. “Lui? State scherzando?”. 

Orochimaru e la sua sinuosa presenza si fecero largo nella stanza, ma non prestò assolutamente attenzione a quello che aveva appena detto: i suoi occhi gialli erano fissi sul corpo neonato di Sasuke, che continuava a stringergli le dita tra i pugni con una forza, francamente, sorprendente.  

“Non sto scherzando affatto” disse Tsunade. “Non vorrai mica fare storie?”. 

Narutò strabuzzò ancora più fuori gli occhi. “Storie? Scusa se non sono tanto tranquillo ad avere Orochimaru nelle vicinanze di un Sasuke neonato”. 

Orochimaru sospirò, sorridendo tra il divertito e l’esasperato. “Rancori, Hokage-sama?”. 

“Io non-”. 

“Senza alcuna ombra di dubbio” lo fermò, lo sguardo serio adesso fisso nel suo, “sono la persona che meglio può riconoscere quella che potrebbe a tutti gli effetti essere una tecnica proibita, e per questo Tsunade ha ritenuto che la mia presenza qui fosse necessaria”. 

Naruto non voleva fare il bambino capriccioso, davvero, ma era una cosa surreale. Sospirò, abbassando gli occhi sul viso paffuto di Sasuke: lo avrebbe preso a calci anche per quello, ne era sicuro. 

Si fece da parte per lasciare spazio ad Orochimaru, restando comunque abbastanza vicino per tenere d’occhio Sasuke, che si lamentò quando fu costretto a lasciare andare le sue dita. 

Orochimaru restò in silenzio per un po’: sfilò a Sasuke i vestiti che Naruto gli aveva appena messo, iniziando a scrutare con attenzione il suo addome, i suoi polsi e le sue caviglie, iniziando a tracciare dei segni con le punte delle dita. Quando Sasuke iniziò a spazientirsi, prese a scalciare e piangere disperato a bocca larga, ma nemmeno questo lo distrasse dalla sua ricerca. 

“Allora?” a dirlo fu Tsunade, chiaramente indispettita da tutto quel silenzio. Naruto fu felice di non essere stato il primo a doverlo chiedere. 

“È una tecnica che veniva utilizzata affinché i guerrieri più forti potessero non morire mai: in genere li si faceva ringiovanire fino ai venti anni, così da avere di nuovo tutta la forza al massimo del potenziale”. 

“Un ringiovanimento, quindi?”. 

Orochimaru scosse la testa. “È più come riavvolgere il nastro: i ricordi di tutto ciò che è accaduto negli anni successivi all’età raggiunta, spariscono”. 

Naruto aggrottò le sopracciglia, confuso; si grattò la nuca, e tossì, cercando di non sembrare stupido tanto quanto si sentisse in quel momento. “Questo cosa vuol dire?”. 

“Vuol dire” il Sennin leggendario si allontanò di un passo da Sasuke, continuando tuttavia a scrutarlo, “che Sasuke non ha ricordi che non siano quelli dei suoi... primi mesi di vita, giudicando ad occhio”. 

Tsunade raccolse le braccia al petto, fissandolo con occhio critico. “Quindi, cosa puoi fare, Orochimaru?”. 

Naruto lo fissò, impaziente; non solo voleva una risposta, e la voleva subito, ma il pianto di Sasuke iniziava a far disperare anche lui. 

“Posso annullare la tecnica, in modo da far avvenire più in fretta la sua crescita, fino al raggiungimento della sua vera età”, Naruto, inevitabilmente, si trovò a sospirare di sollievo. “Potrebbe volerci qualche giorno, al massimo settimane”. 

“Perfetto!” Naruto sorrise. “Finalmente una buona notizia!”. 

Orochimaru si girò a fissarlo, facendo frusciare il tessuto della sua veste. “Voglio che una cosa sia chiara, Hokage-sama: ogni volta, Sasuke si sveglierà con una età diversa, ed ogni volta non avrà ricordi se non quello che è accaduto fino a quel momento esatto della sua vita: non servo io a ricordarti che potrebbe essere pericoloso”. 

Naruto annuì, serio. “Ci comporteremo di conseguenza”. 

“Molto bene”. 

Orochimaru si voltò di nuovo verso Sasuke, che non aveva smesso per un momento di lamentarsi; mise le mani in posizione avanti a sé, poi eseguì la tecnica. 

Naruto si chiese cosa avrebbe dovuto aspettarsi, nei prossimi giorni. 

 

Per i primi due giorni, non accadde assolutamente nulla; Sasuke restava un neonato con cui era abbastanza piacevole convivere e con cui Naruto si divertiva a giocare, mentre svolgeva tutti i suoi doveri da Hokage direttamente dalla stanza dell’ospedale. Siccome poteva essere pericoloso portare Sasuke in giro di giorno (non sarebbe di sicuro riuscito a passare inosservato), Naruto aveva ben pensato di farlo la sera, muovendosi in silenzio sui tetti, ricevendo in risposta vagiti entusiasti ad ogni salto: doveva essere il suo animo da ninja che si manifestava già a pochi mesi di vita. 

Anche quella sera rientrarono nella stanza dell’ospedale dalla finestra (ufficialmente, Sasuke non aveva il permesso di uscire) dopo una passeggiata durata a stento un’ora per evitare che potessero essere scoperti; Naruto sfilò Sasuke dal marsupio in cui l’aveva tenuto tutta la serata, sistemandolo sul letto, controllando che il pannolino fosse pulito e che le sue mani non fossero fredde: non lo erano. Sasuke era sempre così caldo che il primo giorno erano stati tutti convinti avesse la febbre, ma forse doveva essere una conseguenza del suo essere un Uchiha. Il fuoco era il suo elemento, dopotutto.  

“Bella Konoha, eh?” disse, sorridendo; il neonato lo fissò coi suoi occhi nerissimi e attenti, mentre lui sfilava via la giacca da Hokage e le scarpe, sistemandosi sulla poltroncina accanto al letto (si muoveva davvero troppo durante la notte, ed aveva il terrore di schiacciarlo, se avesse dormito insieme a lui). “Vorrei che da adulto continuasse a piacerti tanto quanto ti piace adesso” mormorò con un po’ di amarezza. “Ma immagino che certi ricordi facciano il loro sporco lavoro, eh, Sasuke?”. 

Gli scostò i capelli dalla fronte giusto prima che Sasuke afferrasse la sua mano tra le sue, portandosi le sue dita alla bocca, e Naruto sbuffò una risata, un po’ disgustato da quella sensazione umida e viscida di una bocca senza denti, ma estremamente intenerito, perché gli ricordava tutte le sue prime volte da padre, con Boruto. 

Si ritrovò a pensare che, contro ogni sua aspettativa, Sasuke era un bambino che ricercava davvero molto contatto fisico: considerando il Sasuke che aveva conosciuto nella sua vita, era facile capire perché ne fosse così sorpreso; in quei due giorni in ospedale era capitato spesso che, dopo un po’ di tempo a starsene sulle sue, Sasuke iniziasse a piangere solo perché voleva essere tenuto in braccio.  

Naruto doveva ammetterlo, ma si sentiva compiaciuto quando continuava a piangere se erano le infermiere a prenderlo, calmandosi solo e soltanto quando finalmente era con lui; Naruto non sapeva se fosse così perché, anche da neonato, Sasuke percepisse una sorta di familiarità nei suoi confronti, o se era dovuto solo al fatto che fosse stato lui ad occuparsi dei suoi bisogni da quando aveva aperto gli occhi, ma ne era lusingato: era sempre stato lusingato dalle attenzioni di Sasuke, e a quanto pareva non faceva differenza che fossero un adulto e un neonato o due ragazzini che finalmente si riconoscono a vicenda come compagni ed avversari. 

Sentì bussare alla porta, ed alzò lo sguardo dal viso rilassato di Sasuke, incrociando quello divertito del suo maestro. “Se Boruto ed Himawari ti vedessero, sarebbero davvero gelosi”. 

Naruto gonfiò le guance. “Sei qui per farmi una ramanzina sul fatto che non sto abbastanza coi miei figli, Kaka-sensei? Se non sbaglio sei tu quello che mi ha costretto a restare qui”. 

Kakashi scosse la testa, sollevando la sedia all’angolo della stanza per portarla accanto al letto, sistemandosi dall’altro lato rispetto a Naruto; era passato spesso in quei giorni, sia per tenergli compagnia sia per assicurarsi che sapesse davvero come cavarsela con un neonato (onestamente, dopo due figli, Naruto era abbastanza offeso di questa sua mancanza di fiducia). “Sei un Hokage, il villaggio è la tua priorità” disse, i gomiti poggiati sulle ginocchia, il viso rivolto verso Sasuke. “Lo dico perché alla fine tutti si ingelosiscono delle attenzioni che hai per Sasuke: è sempre stato così”. 

Naruto si ritrovò ad arrossire, ed abbassò lo sguardo. “Stronzate”. 

Il suo maestro iniziò a sghignazzare, rilassandosi con la schiena contro la poltroncina. “A dire la verità, è vero anche il contrario: mi ricordo le occhiatacce che vi mandava Sakura, quando eravamo in missione, o durante gli allenamenti. A volte avevo paura che prima o poi vi avrebbe presi a pugni fino a cambiarvi i connotati”. 

“Con me lo faceva” precisò. “Spesso”. 

“Eri la preda più facile”. 

Mhpf, solo perché teneva troppo ai connotati di Sasuke”.  

Risero entrambi, trattenendosi solo perché ormai Sasuke, quello neonato, sembrava essersi addormentato; Naruto aspettò di esserne proprio certo, prima di sfilare la mano, sistemando il corpicino caldo di Sasuke sotto le coperte, posizionando alcuni cuscini ai lati del suo corpo per essere sicuro che non si lanciasse giù dal letto durante la notte. “Ehi, Kaka-sensei, hai spiegato tutto ad Hinata, giusto?”. 

Il suo maestro annuì, alzando lo sguardo su di lui. “A dire la verità, le ho parlato ieri – ti viene in mente solo adesso?”. 

Naruto si grattò la nuca, alzandosi per andare a spegnere le luci, accedendo solo una piccola lampada che si era fatto procurare per riuscire a lavorare anche fino a tardi, visto quanto era impegnato durante il giorno con Sasuke. “No, certo che no... è che non ho avuto occasione di chiederlo, tutto qui”. 

Kakashi sospirò; rimboccò di nuovo le coperte a Sasuke, poi si alzò anche lui, dirigendosi verso la porta. “Di questo passo farai ingelosire anche lei, Naruto” disse, poi: “buonanotte, Hokage-sama. Non fare troppo tardi”. 

Naruto annuì, sedendosi alla scrivania. “Buonanotte, Kaka-sensei" rispose; guardò la sua schiena allontanarsi, controllò di nuovo che Sasuke stesse dormendo serenamente, e poi si mise al lavoro. 

 

  • seven y.o.; 

A svegliarlo, il mattino seguente, fu il tocco gentile di una mano sulla sua spalla; Naruto sbadigliò rumorosamente, alzando la faccia incollata sulle pagine di alcuni rapporti che non aveva nemmeno finito di leggere, e sperò di non averci sbavato sopra (di nuovo). Sfregò le mani sulla faccia e sugli occhi, soprattutto, cercando di mandare via la sonnolenza, poi, finalmente, mise a fuoco, e per poco non urlò. 

“Mi scusi, signore” in piedi accanto a lui, c’era Sasuke; un Sasuke ancora piccolo, ma abbastanza grande da poter camminare, e parlare. Ad occhio e croce, doveva avere al massimo sei, sette anni. “Io... perché sono in ospedale?”. 

Naruto non era pronto, per questo. Era stato pronto ad affrontare quella crazy bitch di Kaguya come se fosse nato per farlo, ai tempi, ma adesso non era pronto per questa semplice conversazione, non un attimo dopo essersi svegliato.  

Gli occhi di Sasuke, enormi e scurissimi come erano sempre stati fino ai suoi sedici anni, lo fissavano con incertezza, in attesa. Naruto lo scrutò a sua volta, e quando si rese conto che fosse praticamente nudo – ovvio, la tuta da neonato doveva essersi rotta durante l’improvvisa crescita notturna – si sfilò rapidamente il suo spolverino da Hokage, e ce lo avvolse dentro per coprirlo.  

“Io” tentò, alzandolo in braccio e portandolo fino al letto. “Sono... i-il tuo dottore. Sei... sei stato qui qualche giorno, sei stato poco bene”. 

“Oh” Sasuke lo guardò confuso, smarrito, poco convinto. “Io... non me lo ricordo, signore”. 

“È perfettamente normale” disse, sedendosi sulla poltrona per guardarlo dritto negli occhi. “I tuoi-” ...genitori? Era già successo? Questo Sasuke era quello di prima o dopo lo sterminio della sua famiglia? Naruto si morse la lingua. “Ho bisogno che tu risponda a qualche domanda, Sasuke-chan, per essere proprio sicuro che tu stia bene, d’accordo?”. 

Lui annuì, continuando a fissarlo con gli occhi spalancati e le labbra serrate. “Sai... sai dirmi quanti anni hai? E... qual è l’ultima cosa che ricordi?”. 

Sasuke si strinse di più nel tessuto bianco e rosso, socchiudendo gli occhi mentre ragionava. “Ho sette anni, compiuti il ventitré luglio scorso” disse. “L’ultima cosa che ricordo... ho salutato oto-san ed okaa-san per andare in Accademia, mi ci hanno accompagnato Shisui ed Itachi-niichan". 

Naruto deglutì: bene. Forse gestire le cose sarebbe stato più semplice. Si schiarì la voce, poi premette il pulsantino accanto al letto per chiamare le infermiere: dovevano assicurarsi che tutti i valori fossero a posto e, soprattutto, servivano vestiti adatti. “Hai dormito qualche giorno, Sasuke-chan. E... dobbiamo tenerti qui un altro po’, perché quello che hai potrebbe essere... c-contagioso, ecco. Ma tanto tu farai il bravo, no?”. 

Sasuke annuì, anche se il broncio che tentò di nascondere fu più che palese; aveva ancora le guance gonfie per la ciccia infantile, ed era adorabile. “Adesso arriveranno le infermiere per controllare che sia tutto sotto controllo, non ci vorrà molto” disse, sorridendogli, e Sasuke sembrò tranquillizzarsi un po’ soltanto per quello. 

“Va bene” disse, ed accennò un sorriso a sua volta. 

Naruto aveva l’impressione che con questo Sasuke non sarebbe stato difficile. 

 

Dopo vari accertamenti, essersi lavato ed aver indossato vestiti appropriati, Sasuke si mise a sedere sul letto, e dichiarò di avere una gran fame; Naruto si rese conto solo in quel momento che in effetti erano passate ore da quando si era svegliato, e che ormai l’orario di pranzo era più che arrivato: anche il suo, di stomaco, iniziava a brontolare. 

Si allontanò dalla scrivania, avvicinandosi al letto: Sasuke non stava male, non aveva senso che mangiasse cibo dell’ospedale, e Naruto, in primis, dopo due giorni non ne poteva già più. “Ti piace il ramen?” chiese, e rise quando Sasuke arricciò il naso; non che non si aspettasse quella risposta. “Cosa vorresti mangiare, allora?”. 

“Onigiri” disse, entusiasta. “E pomodori”. 

Naruto annuì, indossando il suo spolverino da Hokage, quello che una volta era appartenuto a suo padre, che aveva lasciato sulla poltrona. “Bene” disse, “tu fai il bravo, io torno subito”. 

Non avrebbe ucciso nessuno un po’ di cibo da asporto, no? 

Corse per le vie di Konoha senza fermarsi a salutare, chiedendo scusa a tutti quelli che cercavano di fermarlo; passò prima a prendere il ramen da Ichiraku, poi alla taverna per recuperare un bel po’ di onigiri e pomodori; erano giorni che non usciva per strada alla luce del giorno, e fu contento che dopo settimane di aria uggiosa ci fosse finalmente il sole, ma non riuscì a goderselo davvero: si chiese durante tutto il tragitto per quanto tempo Sasuke sarebbe rimasto così, bloccato in questa età, cosa avrebbe dovuto dirgli se avesse cercato i suoi genitori, o suo fratello, come avrebbe fatto se magari avesse richiesto qualche suo gioco, per sentire meno la mancanza di casa.  

Naruto aveva conosciuto Sasuke in Accademia, eppure non aveva ricordi di lui... così: solare, e spensierato. Era come avere a che fare con un Sasuke nuovo, e non aveva davvero idea di come doversi comportare: era strano. Per lui Sasuke era sempre stato orfano, sopravvissuto, solitario e silenzioso. La consapevolezza che il suo solito comportamento fosse una conseguenza ai suoi traumi, lo colpì con più chiarezza di quanto avesse mai fatto. 

Quando rientrò nella stanza (questa volta dalla porta principale) non fu nemmeno stupito di trovare lì il maestro Kakashi: aveva portato con sé qualche libro ed un paio di giochi, e Naruto fu felice di vedere che Sasuke sembrava essere perfettamente a suo agio ad avere a che fare con lui. 

“Sai, Namikaze-sama" Naruto si bloccò sull’uscio, confuso, bloccandosi proprio mentre stava per dire a Sasuke che potevano iniziare a mangiare. “Sasuke mi ha chiesto come mai il suo dottore indossa lo spolverino del Quarto Hokage, e come mai gli somiglia tanto”. 

Naruto sbarrò gli occhi, incrociando lo sguardo esasperato di Kakashi, come a voler dire “ma come fai ad essere così stupido?”; poi quello di Sasuke, un po’ imbarazzato, forse perché non avrebbe voluto che la sua curiosità fosse messa così a nudo. 

“Oh” balbettò, iniziando a ridere nervosamente. “È t-tu gli hai spiegato...?”. 

“Che eravate cugini. E che indossi il suo mantello, anche se sei un medico, per ricordarlo”. 

Deglutì. Si sentiva un idiota: l’Hokage che Sasuke ricordava era il vecchio Sarutobi, il Terzo. Non aveva pensato che andare in giro con lo spolverino da Hokage di suo padre avrebbe potuto creare problemi, ma a quanto pare Sasuke era sempre stato un ragazzino fin troppo sveglio. 

“Oh, e-esatto, sì, certo!” si grattò la nuca, poi corse alla scrivania per tirare fuori i loro pranzi, ed evitare di guardare Sasuke in faccia. “Ottimo spirito di osservazione, eh, Kaka-sensei?”. 

“Assolutamente” concesse, anche perché, in fin dei conti, era vero. “Sarà un ottimo ninja, un giorno”. 

Naruto si girò in tempo per vedere l’enorme sorriso che si fece spazio sul viso di Sasuke, prima che abbassasse lo sguardo sulle ginocchia, forse imbarazzato dai complimenti di quelli che erano per lui due perfetti sconosciuti. Naruto gli porse il cestino del pranzo, poi prese posto alla scrivania per mettersi a mangiare: aveva l’acquolina in bocca da quando era passato da Ichiraku. 

Dopo filò tutto liscio: Sasuke prima lo ringraziò per il pranzo, poi gli chiese se potesse raccontargli qualcosa del Quarto Hokage. Naruto fu più che felice di accontentarlo ma, alla fine, finirono entrambi per stare zitti, mentre Kakashi raccontava ad entrambi di quanto fosse stato incredibile il suo sensei. 

 

Un paio di giorni passarono in fretta; Sasuke trascorreva la maggior parte del tempo a leggere, ogni tanto chiedeva quanto altro tempo sarebbe dovuto restare lì in ospedale, e se i suoi genitori proprio non potessero andare a trovarlo. Qualche volta guardava incuriosito sulla scrivania di Naruto, e lui per distrarlo gli chiedeva se avesse potuto fargli qualche favore, come riordinare i fascicoli in ordine alfabetico e cose del genere. Sasuke non era particolarmente entusiasta, ma sembrava abbastanza annoiato da accettare qualsiasi compromesso. 

La mattina del terzo giorno, Naruto guardò nel letto aspettandosi di trovare un Sasuke cresciuto, ma invece trovò ancora il bambino di sette anni, in ginocchio sulla poltrona accostata sotto la finestra, per poter guardare fuori; aveva le braccia incrociate sul davanzale e la testa poggiata sopra, ed aveva l’aria di chi proprio non ne potesse più. 

“Ehi”, Sasuke nemmeno si girò a guardarlo, ma Naruto fu abbastanza sicuro che lo stesse ascoltando. “Pensavo... è una bella giornata, e... tu non puoi di certo perdere altri allenamenti in Accademia, dico bene, no?”, seppe di aver attirato la sua attenzione quando Sasuke alzò la testa, e si girò a guardarlo con curiosità ed un briciolo di sospetto. “Potremmo andare sul tetto, ad allenarci. Sono un ninja anche io, dopotutto, che ne dici?”. 

Sasuke saltò giù dalla poltrona, correndo subito ad infilarsi le scarpe. “Sono pronto!”. 

Naruto rise. Era di sicuro un sì. 

 

Sasuke era accasciato con la schiena per terra, la pancia all’aria, mentre riprendeva fiato ad occhi socchiusi; Naruto era seriamente stupito di quanto fosse bravo, per essere un bambino di soli sette anni: adesso, da adulto, e senza più nessuna invidia nei suoi confronti, capiva perché tutti non avessero fatto altro che tesserne le lodi. Era un prodigio, e guardandolo adesso era incredibile rendersi conto di quanta strada avesse fatto. 

“Sei stato davvero molto bravo, Sasuke-chan" gli disse, sedendosi per terra accanto a lui. “I tuoi maestri devono essere davvero molto entusiasti, dico bene? Ed anche i tuoi genitori”. 

Sasuke non rispose, non annuì nemmeno, ma aprì gli occhi, tenendo lo sguardo puntato sulle nuvolette bianche che correvano veloci nel cielo azzurro di quella mattina. “Non lo so” mormorò dopo un po’, incerto. “Mamma... okaa-san sembra contenta di me, in effetti”. 

Non l’aveva mai sentito parlare dei suoi genitori, prima di adesso. Si chiese che tipo di persone fossero, se avessero amato Sasuke abbastanza da farglielo bastare per tutta la vita. Non era giusto. Non era giusto quello che gli sarebbe successo tra qualche mese, un anno al massimo: questo bambino non meritava di vedere tutta la sua famiglia sterminata, non meritava di impazzire nel dolore e nella solitudine; Sasuke era sopravvissuto solo perché era riuscito ad aggrapparsi a qualcosa, e quel qualcosa era stata la vendetta. Perché nessuno gli era stato accanto? Perché nessuno li aveva aiutati, quando erano soli ed orfani, come se fosse colpa loro, come se lo meritassero?  

“Sai” Naruto lo guardò, poi si stese accanto a lui, con le braccia dietro la nuca, e si mise a fargli compagnia nel fissare le nuvole; era così tanto tempo che non faceva una cosa così. “Non mi hai ancora raccontato perché vuoi essere un ninja”. 

Il Sasuke che aveva conosciuto, voleva essere un ninja per riuscire a vendicarsi del suo clan, uccidendo suo fratello. Immaginava che il Sasuke di adesso avesse altri sogni, altre speranze, altri desideri. 

“Voglio diventare anche io come Itachi-niichan, un giorno” la sua voce era decisa, ma piena di ammirazione, di affetto; non l’aveva mai sentito usare quel tono, parlando di Itachi: quando erano ragazzini, era solo odio, ma da adulti, dopo essere ritornati a Konoha, ogni volta che Sasuke parlava di Itachi, lo faceva con malinconia, con rammarico. “È uno dei ninja migliori di Konoha, ed è l’Uchiha più forte di tutti!”. 

Naruto sorrise, intenerito. “Devi volergli molto bene, andate d’accordo?”. 

Sasuke annuì. “Purtroppo è sempre tanto impegnato con gli allenamenti, e lo studio, ma... ma ogni tanto riesce a trovare del tempo per me, per giocare assieme e per insegnarmi ad usare bene i kunai e gli shuriken – lui non lo dice, ma io mi sono accorto che è più bravo anche di papà”. 

Era incredibile come, alla fine, tutte le decisioni di Sasuke girassero intorno a suo fratello Itachi. Sospirò, sentendo un forte magone premere contro la gola. “Scommetto” dovette schiarirsi la gola, perché la sua voce quasi non venne fuori. “Scommetto che Itachi tiene a te più che a qualsiasi altra cosa, sai?”. 

Sasuke sospirò. “Lo so” mormorò. “Non vedo l’ora di andare a casa, Namikaze-sama...”. 

Non erano nemmeno passati cinque giorni, in totale: sentendo il tono triste di Sasuke, Naruto si sentiva già esausto. Quanto sarebbe stato difficile mentire, le prossime volte? 

“E in Accademia, invece? Hai già fatto degli amici?”. 

Lui stette un po’ a pensarci, poi: “non proprio” rispose. “C’è... c’è un bambino che gli altri prendono spesso in giro, perché non è proprio bravo a fare nulla. Però... però si impegna più di tutti loro. Sembra simpatico. Mi piacerebbe essere suo amico, lo vedo sempre solo”. 

Naruto chiuse gli occhi. Ci portò un braccio sopra. “Perché non provi?”. 

“Non sono bravo, a farmi degli amici” ammise, sembrava un po’ imbarazzato. “E poi... mi fissa sempre un po’ male”. 

“Non ti arrendere, con lui” si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, ne sentì l’amaro fino in gola. “Scommetto che in realtà ti ammira molto”. 

Avrebbe potuto essere tutto molto, molto più facile, se solo qualche adulto li avesse ascoltati, se avessero prestato loro davvero attenzione, se non li avessero lasciati a se stessi e alle loro paure. Forse non ci avrebbero rimesso sedici anni ed un braccio, prima di capire di essere molto più che rivali.  

 

  • twelwe y.o.; 

Naruto si era svegliato piuttosto presto, quel mattino: aveva controllato che Sasuke fosse ancora quello della sera precedente, si era lavato, rasato e vestito nei bagni comuni, poi aveva iniziato a girare per l’ospedale, per vedere se qualcuno avesse bisogno di lui, e per mandare a chiamare il maestro Kakashi: lui e Sasuke andavano piuttosto d’accordo (niente da stupirsi, comunque) quindi immaginava che avrebbe potuto lasciarlo un po’ con lui senza problemi, così sarebbe passato a casa qualche ora per salutare Hinata-chan ed i suoi bambini, prima di ritornare lì. 

Magari sarebbero anche riusciti a pranzare tutti insieme, così avrebbe avuto abbastanza tempo per raccontare loro tutti i dettagli di quello che stava accadendo; era più che sicuro che Boruto sarebbe morto dalla voglia di vedere Sasuke, e che l’avrebbe assillato per convincerlo a portarlo con sé in ospedale. 

Aveva appena ordinato un tè alla caffetteria dell’ospedale, di buon umore in prospettiva a ciò che aveva organizzato nella sua mente per quella giornata, quando percepì una improvvisa ed enorme quantità di chakra fuori controllo, e subito dopo qualcuno gridare dal corridoio: “Hokage-sama! Hokage!”, ma non ebbe neanche bisogno di sentirlo, perché si stava già dirigendo di corsa nella stanza di Sasuke. 

La prima cosa che lo raggiunse, appena arrivato all’ultimo piano, furono urla di dolore ed il bipare impazzito delle macchine; quando mise piede nella camera tutto fu fin troppo chiaro: Sasuke si contorceva sul letto, le mani premute sul collo, e Naruto seppe che si trattava del Segno Maledetto ancora prima di guardare i segni che avevano già ricoperto metà del suo corpo, perché la sensazione emanata da quel chakra l’avrebbe riconosciuta tra mille, anche tra cento anni: ci aveva avuto a che fare fin troppo da vicino. 

“Non riusciamo a calmarlo, Hokage-sama!” c’erano tre ninja-medico che tentavano di tenerlo fermo sul letto, un altro invece stava inutilmente cercando di iniettargli quello che probabilmente doveva essere un calmante. 

Fatelo smettere!” il grido di Sasuke era roco, gutturale, e Naruto era certo di non averlo mai sentito così sofferente e terrorizzato, in tutta la sua vita. 

“Fatevi da parte” ordinò: ci vollero cinque delle sue copie per immobilizzare Sasuke sul letto, mentre lui pensò a sigillare il marchio.  

Sperò che il maestro Kakashi fosse già sulla sua strada per arrivare all’ospedale, mentre Sasuke collassava privo di sensi, fradicio di sudore e pallido come se fosse ad un passo dalla morte. 

 

“Questo sigillo dovrebbe tenerlo buono per tutto il tempo che resterà in questo stato”. 

Il maestro Kakashi osservò con occhio critico l’incavo tra la spalla ed il collo di Sasuke, mentre Tsunade-sama, in piedi dall’altro lato, teneva le mani poggiate sulla sua fronte per abbassare in fretta la temperatura del suo corpo. 

Se Sasuke-kun vorrà, sì” fu il commento di Orochimaru, e Naruto a stento si trattenne dal lanciargli dietro un Rasenshuriken

“La tua presenza qui” sibilò, in piedi e con le braccia conserte al petto. “Non è né necessaria, né gradita, anzi: se Sasuke ti vedesse sarebbe solo peggio”. 

“Sono d’accordo” a dirlo fu Kakashi. “Orochimaru-sama, non saremmo in grado di trovare una spiegazione plausibile per giustificare la sua presenza, quindi la prego di sbrigarsi”. 

Lui annuì, e senza scomporsi si avvicinò al corpo tremante di Sasuke: scrutò con attenzione la cicatrice per diversi secondi, poi fece un passo indietro. “Sono piuttosto sicuro che, a questo stadio, sia appena stato inferto” spiegò. “Quella di stamattina deve essere stata la tipica reazione iniziale di rigetto”. 

Naruto fissò prima lui, poi il suo maestro, infine Sasuke. “Appena inferto? Questo vuol dire...”. 

“Si sveglierà credendo di essere stato trascinato via dalla Seconda Prova dell’Esame dei Chunin”. 

Naruto sospirò, passandosi le mani sul viso. Di sicuro non sarebbe tornato a casa, nei prossimi giorni. 

 

La cosa positiva della maschera che indossava il maestro Kakashi e dei suoi eterni capelli grigi, era che fosse impossibile dire, a conti fatti, se fosse invecchiato o meno: Sasuke dormiva ancora, ma una volta sveglio (se si fosse svegliato) non avrebbe avuto modo di notare quanto tempo in realtà fosse passato. L'unica cosa che distingueva il Kakashi di quando avevano tredici anni e quello di adesso era la mancanza del suo Sharingan, ma quello poteva tranquillamente essere risolto coprendo l’occhio con il copri-fronte come era già abituato a fare, quindi non un grande problema. 

Naruto, invece, era nervoso: aveva già messo via il suo spolverino, ma aveva comunque paura che in un modo o nell’altro Sasuke avrebbe potuto riconoscerlo; era irrealistico, certo: aveva quasi venti anni in più rispetto al Naruto che conosceva il Sasuke di quel momento, ed al massimo avrebbe potuto notare una somiglianza, ma mai indovinare che fossero la stessa persona. 

Sasuke aveva dormito un giorno intero. Era passata quasi una settimana da quando era tornato a Konoha, e tra poco sarebbe ritornata anche Sakura dalla sua missione: li avrebbe uccisi tutti per non averle detto nulla di quello che stava succedendo e, soprattutto, perché non le avrebbero permesso nemmeno di vedere Sasuke; era tremendo da dire, ma Sasuke non avrebbe mai sopportato la sua presenza finché non fosse stato abbastanza adulto (doveva davvero elencare tutte le volte in cui aveva cercato di ucciderla?), e da lì in poi probabilmente avrebbe anche iniziato a provarci con lei o qualcosa del genere, ed era tutto un grande no categorico. 

Naruto parlò dopo quella che gli parve un’eternità. Dovette schiarirsi la gola, prima di iniziare. “Non credevo... che il Segno Maledetto fosse stato così doloroso”. 

Kakashi alzò lo sguardo su di lui, gli sembrò molto stanco. Si chiese che effetto gli facesse dover rivivere di nuovo quel momento, quello in cui aveva perso definitivamente la fiducia e l’attenzione del suo pupillo in favore di qualcuno che gli aveva promesso potere infinito e vendetta certa.  

“Siete rimasti privi di sensi tutta la notte, dopo l’attacco di Orochimaru: Sakura si è occupata di voi, ma tu dormivi ancora, quando Sasuke si è svegliato”. 

Naruto sospirò. Ricordava benissimo quando aveva ripreso i sensi: Sakura coi capelli corti, gli altri team lì con loro, e nessuno aveva mai voluto dirgli quello che era successo. Lo aveva scoperto anni dopo, per puro caso, e non riusciva davvero ancora a figurarsi l’immagine di Sasuke che rompeva il braccio ad un avversario per il puro gusto di vederlo soffrire: Sasuke era stato stronzo, egoista, fuori di testa ed imprevedibile la maggior parte delle volte, ma mai crudele. Era quello che non riusciva a visualizzare. 

“Mi sono chiesto per anni... perché nessuno è intervenuto per interrompere l’Esame, se si sapeva che Orochimaru fosse lì” tenne la voce bassa, fissandosi la punta delle scarpe. “Perché nessuno ci ha aiutati, e perché...” deglutì, “perché vi siete comportati come se Sasuke fosse il problema, se sapevate ma non avete fatto nulla per aiutarlo”. 

Naruto aveva scoperto anche quello molti, molti anni dopo. Lo aveva scoperto quando aveva preso possesso dei documenti dell’Hokage, quando aveva potuto leggere tutti i segreti che erano stati nascosti, tutte le sottotrame tessute sotto le fondamenta di Konoha. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, non l’avrebbe mai detto a Sasuke, ma quindici anni dopo tutto quello che era accaduto, lui aveva capito. Era stato il passo successivo: aveva sempre capito il dolore di Sasuke, mai le motivazioni che l’avevano spinto a compiere i suoi sbagli; ma adesso, a trent’anni compiuti da un po’, da Hokage, non solo riusciva a capire anche quelle, ma le trovava inevitabili. 

“Avete tacciato come traditore un ragazzino di dodici anni che vi ha voltato le spalle perché finalmente qualcuno gli ha teso una mano per aiutarlo – nel modo più sbagliato possibile, certo, questo è vero”. 

Sentì il suo maestro sospirare pesantemente, e solo a quel punto ritornò a guardarlo, alzando gli occhi su di lui. “Non mi ero mai reso conto quanto fosse profondo il dolore di Sasuke, l’ho sottovalutato. Gli ho parlato, prima che andasse via, come se fosse un bambino disobbediente in preda ai capricci: avrei dovuto prendere molto più seriamente le sue parole e le sue intenzioni” accennò un sorriso incerto, ma era mortalmente serio. “Ti chiedo scusa, Naruto, in qualità di tuo maestro: quella volta ho fallito, e ne avete sofferto tutti e tre per troppi anni”. 

Naruto aveva trent’anni, ed era un Hokage, non avrebbe pianto per quelle parole, non avrebbe pianto per quello che avrebbe potuto essere e per quello che invece era stato, perché alla fine erano di nuovo tutti lì a Konoha, ed anche se Sasuke si sentiva come una formina di legno conservata nella scatola di un puzzle, era questa la cosa importante.  

Forse, se avesse avuto qualche anno in meno... se avesse avuto diciassette anni e fosse stato costretto a guardare Sasuke andare via di nuovo dal villaggio per redimersi da colpe che non erano interamente sue, allora Naruto, ascoltando le parole del suo maestro, solo in quel caso, avrebbe pianto. 

 

  • sixteen y.o.; 

Il giorno dopo, Sasuke non si era ancora svegliato, ma il suo corpo chiaramente non era più quello di un tredicenne; il suo braccio era ancora al suo posto, ed il Segno Maledetto era esattamente dove l’avevano visto l’ultima volta: quel Sasuke non era l’adolescente del dopo guerra, ma quello ancora allievo di Orochimaru.  

Naruto non si allontanò dalla stanza e non abbassò la guardia neanche per un istante, per tutto il giorno: Sasuke aprì gli occhi a poche ore dal tramonto, quando ormai Naruto era convinto che non si sarebbe più svegliato.  

Lui ci mise solo un attimo per rendersi conto di non essere nel suo covo, di non essere solo nella stanza, e Naruto percepì il pericolo sopraggiungere come un’onda in un tempo breve come un battito di ciglia; il suo corpo reagì prima che la sua mente potesse decidere cosa fare: lo trascinò sul pavimento, con la faccia rivolta a terra e le braccia strette dietro la schiena, così rapidamente che Sasuke riuscì solo a ringhiare frustrato, dibattendosi senza riuscire a liberarsi – a sedici anni era forte, fortissimo, ma non era niente in confronto a quello che era Naruto adesso. 

“Sasuke, cazzo, smettila di agitarti e stammi a sentire!”. 

Vide la cicatrice lasciata da Orochimaru infiammarsi, ed era già pronto ad usare il chakra di Kurama per tenerlo bloccato dov’era, ma non servì: Sasuke si pietrificò appena sentì la sua voce, e cercò di girare la faccia per guardarlo. “Na-Naruto?!”. 

Sospirò, senza lasciare la presa e comunque pronto al peggio, ma più rilassato di prima. “Sì, teme” confermò, “sono io”. 

Sasuke cercò di nuovo di scrollarselo di dosso, e Naruto lo lasciò fare solo perché non percepì più alcuna intenzione violenta provenire dal suo chakra.  

Si tirò in piedi, senza abbassare la guardia, mentre Sasuke si girava per guardarlo in faccia, ma restando seduto sul pavimento: i suoi occhi, rossi per lo Sharingan che aveva attivato, si spalancarono, increduli e confusi. Guardò lui per un lungo, lunghissimo momento, poi osservò la stanza, fino ad abbassare gli occhi sul proprio braccio attaccato alla flebo. “Che cosa cazzo succede, qui?”. 

Sasuke era davvero troppo sveglio per non rendersi conto che qualcosa non andasse – il fatto che si fosse svegliato in ospedale, trovandosi di fronte un suo coetaneo vecchio quindici anni di più, erano suggerimenti che il lato razionale della sua mente non poteva ignorare. 

“Ascoltami, d’accordo?”. 

Sasuke fece una smorfia stizzita. “Se non ti sbrighi potrei non restarmene più qui fermo a farlo, usuratonkachi”. 

Naruto sbuffò una risata: gli sarebbe proprio piaciuto vederlo tentare. “Una settimana fa sei stato colpito da una tecnica proibita” iniziò, chinandosi sulle ginocchia per guardarlo dritto negli occhi. “Questa tecnica ti ha fatto ritornare neonato, e da quel giorno ti stai svegliando ogni giorno in una fase diversa della tua vita, con i ricordi che hai avuto fino a quel momento”. 

Sasuke non sembrava particolarmente convinto della sua spiegazione, ma al tempo stesso doveva rendersi conto che fosse forse la cosa più plausibile per giustificare il fatto che lui, adesso, fosse un adulto. “Anche se tu senti di avere quindici o sedici anni, in realtà ne sono passati il doppio”. 

Sasuke disattivò lo Sharingan; i suoi occhi tornarono scuri come pece, ma non meno perplessi e confusi di prima. “... siamo a Konoha?”. 

Naruto annuì, tirandosi in piedi e porgendogli la mano per aiutarlo a fare lo stesso; Sasuke non l’afferrò, ma si aiutò sorreggendo il proprio corpo sul materasso, fino a sedersi sul bordo del letto. “Vestiti”. 

“Co-come?”. 

Sasuke lo fulminò con lo sguardo, fissandolo come se fosse un idiota. Naruto si trovò improvvisamente impreparato: era da anni, che non riceveva quell’occhiata da parte sua (almeno, non in maniera così seria). “Sono nudo: mi servono dei vestiti”. 

“Mi dispiace” alzò le spalle, senza distogliere lo sguardo. “Ma non ho intenzione di lasciarti da solo – chiama le infermiere” indicò il pulsantino al lato del letto, e Sasuke sbuffò, ma obbedì. 

Tutto sommato, sarebbe potuta andare peggio di così. 

 

Sasuke non aveva detto una parola, mentre le infermiere lo visitavano, né mentre si rivestiva, infilandosi il camice. Non aveva toccato la sua cena, si era alzato dal letto una volta soltanto per guardare fuori dalla finestra, e continuava a fissarlo con insistenza di tanto in tanto, come per accertarsi che fosse davvero chi diceva di essere.  

Naruto non aveva idea di cosa gli stesse passando per la testa, ma mai come questa volta avrebbe voluto che il maestro Kakashi fosse con lui: tutto questo silenzio lo stava snervando. Cosa pensava di fare? Una guerra di resistenza? Sasuke lo stava sottovalutando se pensava che avrebbe ceduto così facilmente. Doveva ancora farne, di strada. 

“Naruto”. 

Per un attimo non fu nemmeno convinto di averlo sentito davvero. Pensò che fosse l’eco nella sua testa dopo tutte quelle ore di silenzio, ma Sasuke lo fissava con insistenza, adesso, come in attesa di una risposta. 

“Sasuke?” chiese, incerto.  

Lui sospirò, abbassando lo sguardo. “L’ultima cosa che ricordo, è di avervi incontrati tutti nel covo di Orochimaru – sono andato a dormire, poi mi sono risvegliato qui. Per quello che ne so, potrebbe essere una strana tecnica di Orochimaru per qualche allenamento assurdo, ma pure usando lo Sharingan, non riesco a trovare niente che non vada, in questa realtà”. 

Naruto fece un mezzo sorriso, quasi compiaciuto: diffidente e scrupoloso fino alla fine. “Quindi, adesso mi credi?”. 

“Non ho scelta”; girò il viso verso la finestra, indicando fuori con la linea del mento. “Konoha è cambiata parecchio. Ho visto che ci siete... anche tu e Kakashi, sulla Montagna degli Hokage”. 

Annuì. “Era questo che stavi guardando, prima?”. 

“È morto?” si schiarì la voce, poi precisò: “Kakashi, è morto?”. 

“No” disse, avvicinandosi qualche passo al suo letto. “Ed è ancora il tuo maestro, comunque. Rivolgiti a lui come tale”. 

Contro ogni sua aspettativa, Sasuke rise: sbuffò una risata tra i denti e scosse la testa, alzando gli occhi su di lui. “Sei invecchiato, Lord Hokage. Adesso parli come il Terzo”. 

Naruto restò zitto, a bocca aperta. Poi rise anche lui. “Immagino che sia una caratteristica degli Hokage, allora” disse, grattandosi la nuca. 

“Alla fine ce l’hai fatta, mh?” quella di Sasuke non era una vera e propria domanda, e Naruto allora non gli rispose. “Orochimaru mi aveva detto che se non fosse fuggito avresti anche potuto ucciderlo, io non volevo crederci” si abbandonò con la schiena contro i cuscini, e chiuse gli occhi. “Non ci volevo credere che eri arrivato così lontano” e invece guardati adesso, era quello che non disse, ma anche con quindici anni di differenza, le parole davvero non servivano, tra di loro. Forse adesso era anche più semplice capirlo. 

“Avresti dovuto saperlo, che avrei cercato di riportarti a casa con tutte le mie forze, Sasuke”. 

“Non capisco ancora perché” ammise. “Ma alla fine devi aver avuto la meglio”. 

Naruto deglutì. Forse non avrebbe dovuto. Forse non aveva neanche un motivo valido per farlo, ma sentiva che era la cosa giusta da dire, in quel momento: Sasuke avrebbe dimenticato tutto di questi giorni, di quella notte, quindi perché non dire qualcosa che avrebbe potuto alleviare il peso nel suo petto, anche solo per adesso? “Sei... ritornato dopo aver portato a termine la tua vendetta” disse. 

Sasuke lo guardò con estrema attenzione. “Io... ho ucciso Itachi Uchiha?” nella sua voce c’era un’esitazione che non riuscì a decifrare. 

Annuì. Quello, in ogni caso, era vero. “Sì”. 

Lui non aggiunse altro, e restò in silenzio, guardando fuori dalla finestra fino ad addormentarsi; Naruto, invece, vegliò su di lui tutta la notte: non avrebbe mai detto a nessuno che aveva dovuto calmarlo, mentre piangeva durante il sonno. 

 

Fu in un breve momento di coscienza, che si rese conto di essersi addormentato: si tirò su di scatto e col battito del cuore a mille, terrorizzato dall’idea di aver perso d’occhio Sasuke per almeno un paio d’ore. “Cazzo” imprecò. 

Poi però incrociò i suoi occhi, e si sentì sgonfiarsi dall’ansia come fosse stato un palloncino. 

“Buongiorno, Hokage-sama. Iniziavo a non avere più sensibilità alle gambe, a dire il vero”. 

In quel momento, Naruto si rese conto di aver dormito (per quanto tempo? Quando si era addormentato?) sulla poltrona accanto al letto, ma con il busto ed il viso posati sulle cosce di Sasuke – che, intanto, con il vassoio poggiato sul ventre, faceva colazione come se niente fosse.  

Naruto sbadigliò, sfregandosi il viso. “Non chiamarmi così: è strano”. 

“Sai cosa è strano? Addormentarmi dopo aver rivisto te a sedici anni, e svegliarmi che ne hai trenta. Questo è strano”. 

Si trovò a sbuffare una risata, divertito, mentre prendeva la tazza di tè dal vassoio di Sasuke per prenderne un sorso. “Puoi davvero parlare così tanto?” aveva la voce ancora impastata, poi: “non l’hai avvelenato, vero?”. 

“No” prese un boccone del suo riso. “Forse avrei dovuto”. 

Naruto rise, di nuovo. Di certo non era come riavere Sasuke del tutto indietro, ma gli sembrava un compromesso piuttosto valido, tutto sommato.  

Di certo non poteva che definirsi sorpreso: non aveva pensato che avrebbe accettato così di buon grado questa situazione, né che avrebbe parlato con lui come se niente fosse. Una parte della sua testa gli suggeriva che, se era troppo bello per essere vero, allora forse non doveva crederci, né dargli fiducia, però Sasuke sembrava... sereno. Forse era questo il suo piano, all’inizio, prima che scoprisse tutto quello che c’era dietro? Uccidere Itachi e poi tornare indietro, a Konoha, e ridare vita al suo clan? 

Naruto prese l’ultimo sorso, poi gli ridiede la tazza ormai mezza vuota. Si tirò in piedi per stiracchiarsi, più esausto di quando era andato a dormire: erano davvero troppi giorni che era costretto a stare in quella stanza, che non faceva neanche due passi. Il suo corpo iniziava a soffrirne. 

“Non possiamo uscire, immagino, giusto?”. 

Naruto gli rivolse un’occhiata critica, soppesando le sue parole. Non poteva rischiare, ma... cosa c’era da rischiare, in effetti? Eppure c’era la parte più razionale del suo cervello, quella che era adibita alla sua figura di Hokage, che gli suggeriva che dare più libertà a Sasuke, in quella età specifica, avrebbe potuto essere significativamente pericoloso per il suo villaggio.  

“Mi dispiace. Non riesco a fidarmi abbastanza” ammise, perché non aveva intenzione di mentirgli più del necessario. 

Sasuke gli rivolse una lunga occhiata che Naruto non riuscì davvero a interpretare, poi scrollò le spalle, mise via il vassoio e si sistemò con la schiena sui cuscini. “Quanti giorni?” chiese. 

“Non ne sono mai passati più di tre, fin ora” disse, aprendo la finestra per far entrare aria fresca nella stanza. “Domani, al massimo dopodomani, potresti svegliarti in un’altra età”. 

Sasuke annuì. “Mi sarei aspettato di trovarci Sakura al mio capezzale, questi due giorni. Sei qui in quanto Hokage che sorveglia un possibile pericolo per il villaggio?”. 

“Credi di essere un potenziale pericolo per Konoha?”. 

“Non ho niente contro questo villaggio – non più del solito”. 

Naruto si sedette alla scrivania, facendo scrocchiare le articolazioni del collo e delle spalle: magari oggi avrebbe anche potuto rimettersi a lavorare, tutto sommato. “Allora sai che non sono qui per questo” disse, poi alzò gli occhi su di lui. “Perché, avresti preferito Sakura?”. 

Sasuke fece una smorfia più che eloquente, e Naruto si trovò a ridere. Chissà che faccia avrebbe fatto, se gli avesse detto che alla fine lui e Sakura avrebbero anche avuto una figlia assieme. 

 

Sia quel pomeriggio che il giorno seguente, Sasuke restò in silenzio se non per comunicare lo stretto indispensabile; Kakashi passò da loro entrambe le volte, e Sasuke non sembrò particolarmente a suo agio (coscienza sporca?) ma Naruto aveva la chiara impressione che tutto sommato gli facesse piacere: in fin dei conti, Kaka-sensei era stato il suo primo maestro, quello che gli aveva tramandato una tecnica di sua invenzione.  

Fu la sera di quel terzo giorno trascorso, che Sasuke si decise a parlare. Forse sapere che il mattino dopo non si sarebbe svegliato in quel corpo, e che non avrebbe conservato alcun ricordo di quello che era successo in quei giorni, gli dava il coraggio necessario per affrontare un discorso che era nella sua testa da chissà quanto. 

“Usuratonkachi” Naruto era seduto sul davanzale della finestra, fermo con lo sguardo su Konoha, quando Sasuke posò la mano sulla sua spalla per richiamare tutta la sua attenzione. 

Naruto si voltò, e lui arretrò fino a sedersi sul letto, lo sguardo serio, deciso, come se avesse bisogno di richiamare una forza che aveva paura sarebbe venuta a mancare; lui non gli sorrise, per incoraggiarlo, anzi: a Sasuke, i sorrisi di incoraggiamento avevano sempre e solo fatto incazzare. Quindi Naruto ricambiò il suo sguardo, e solo Dio sapeva quante volte si erano fissati così prima di distruggersi a vicenda e trovarsi a cuore scoperto. 

“Forse ho già fatto altre volte questo discorso, non posso saperlo. Ma so che ho bisogno di affrontarlo, ora e qui”. 

Naruto annuì, poggiato al bordo del davanzale, le braccia incrociate contro il petto. “Ti ascolto, teme”. 

Sasuke prese un lungo respiro. “Non c’è stato un giorno, in cui non abbia pensato di voler ritornare a Konoha; non in quel momento, perché prendermi la vendetta che il mio clan meritava è sempre stata la cosa più importante, ma... in futuro, se ne avessi avuto uno”. 

Naruto cercò di restare impassibile, perché quelle parole non c’erano mai state, per motivi ovvi: dopo aver ucciso Itachi, Sasuke aveva scoperto che in realtà era stata Konoha a volere lo sterminio del suo clan, e da quel momento in poi non si sarebbe mai più sentito a casa in nessun luogo. 

“Tu... tutto il Team Sette. Con voi... con voi per un po’ mi sono sentito come se avessi di nuovo una famiglia. Per un po’ mi sono anche dimenticato di Itachi, per questo... anche per questo sono andato via: avevo paura che mi sarei lasciato la vendetta alle spalle, e non potevo. Non potevo deludere così il mio clan”. 

Naruto sospirò, ed annuì. Quelle parole facevano male e bene allo stesso tempo: erano una mera consolazione, perché adesso sapeva che Sasuke li aveva lasciati alle spalle non perché li odiasse, tutt’altro. Ma era un ragionamento così assurdo che si sarebbe alterato, se non avesse avuto trent’anni e più pazienza di quanta ne avesse avuta in tutta la sua vita. Magari aiutava il fatto che ormai ci avesse fatto il callo, ai discorsi incoerenti di Sasuke. 

“So che non puoi dirmi niente del futuro” Sasuke si tirò in piedi, avvicinandosi a passi lenti, soppesati; a trovarselo di fronte così, Naruto si rese conto per la prima volta della loro profonda differenza di altezza: anche se era in parte seduto sul bordo della finestra, restava più alto di lui, e Sasuke doveva tenere il viso leggermente alzato per riuscire a guardarlo negli occhi. Era strano: Sasuke era sempre stato più alto di lui, anche se solo per qualche centimetro di differenza. “Ho bisogno di sapere... se tra noi due... se siamo riusciti a colmare le distanze”. 

“Vuoi sapere se siamo riusciti a tornare amici, Sasuke?”. 

Una cosa che gli era sempre risultata difficile, era riuscire a scorgere la linea di divisione tra la pupilla e l’iride dei suoi occhi scurissimi; a volte, in missione, quando il sole era molto forte e la luce accecante, Naruto riusciva a vederlo, perché l’iride di Sasuke tendeva più al grigio scuro che al nero, e allora le due zone risultavano distinte per qualche breve attimo.  

Adesso, ad esempio, come la maggior parte delle volte, Naruto non era in grado di capire il punto in cui finiva l’iride ed iniziasse la pupilla: le uniche luci che illuminavano la stanza erano quelle di Konoha, che entravano attraverso la finestra, e adesso si specchiavano negli occhi di Sasuke; Naruto riusciva persino a vederci la propria sagoma. 

“Voglio sapere” mormorò, senza distogliere lo sguardo. “Se sono riuscito a farti capire qual è il motivo per cui odio, quando ci definisci in quel modo”. 

Naruto stava per chiedergli cosa intendesse, ma non ne ebbe bisogno: Sasuke si alzò sulle punte, poi posò la bocca sulla sua, abbastanza deciso da non fargli credere che fosse un errore di calcolo, ma non aggressivo, anzi più morbido di quanto avrebbe mai potuto immaginare. 

Restò così pietrificato da non avere nemmeno la forza di allontanarlo: non riuscì a pensare che quel Sasuke avesse sedici anni e lui trenta, non riuscì a pensare che si stessero baciando contro una finestra e chiunque avrebbe potuto vederli.  

Riuscì solo a pensare che un tempo, Sasuke avrebbe voluto questo

E che lo avrebbe voluto anche lui. 

Quando sentì le sue labbra schiudersi contro le proprie, Naruto premette una mano contro il suo petto per allontanarlo: strinse tra le dita il tessuto leggero del camice da ospedale, lo fissò con gli occhi sgranati, sconvolti, fissi nei suoi. 

Sasuke gli afferrò il polso tra le dita per non permettergli di allontanarlo ulteriormente, ma Naruto non sarebbe mai riuscito a farlo più di quanto avesse già fatto. “Non ce l’abbiamo fatta, vero, usuratonkachi?”. 

Naruto deglutì: afferrò con la mano libera il bordo del davanzale, per cercare di controllare l’istinto che gli suggeriva di spingerlo sul letto. “Dimmi che stai scherzando”. 

Sasuke cercò di farsi di nuovo più vicino, e Naruto glielo lasciò fare, senza però sciogliere la presa intorno al suo camice. “Dovresti conoscermi abbastanza da sapere che non scherzo, mai”. 

Naruto chiuse gli occhi, per non dover guardare i suoi: ci avrebbe rivisto tutte le notti in cui aveva pianto la sua assenza, quelle in cui si era toccato pensando al suo corpo, il giorno in cui Sasuke si era lasciato di nuovo Konoha alle spalle e lui avrebbe solo voluto baciarlo e dirgli non andartene sta volta, ti prego, ma era riuscito solo a restituirgli il suo copri-fronte; ci avrebbe rivisto il momento in cui aveva deciso di accettare le lusinghe di Hinata per dimenticare un amore non corrisposto, e diventare tutto ciò che Konoha si sarebbe aspettato dal suo futuro Hokage: un marito ed un padre. 

Sasuke lo baciò di nuovo, ma questa volta fu Naruto a mettere in chiaro che in quel contatto non ci fosse niente di casuale: si era preso il primo bacio di Sasuke in Accademia, quando avevano dodici anni, ed era stato un errore che si erano sempre rinfacciati; si sarebbe preso anche il suo vero primo bacio adesso, come se avessero avuto entrambi diciassette anni e Sasuke fosse appena ritornato il villaggio dopo Pain ed Itachi, dopo Obito e Madara, dopo Kaguya e dopo il loro scontro quasi mortale.  

Lo baciò come avrebbe voluto fare anni fa e non aveva mai più fatto. 

Quanti se e quanti ma c’erano stati, nelle loro vite fino ad adesso?  

Sasuke lasciò andare il suo polso per afferrare con forza i capelli corti della sua nuca, e solo in quel momento Naruto gli afferrò i fianchi con entrambe le mani, proiettandoselo addosso; la palese differenza tra i loro fisici era destabilizzante: Sasuke era sempre stato suo pari, in tutti i momenti della loro vita. Naruto non aveva mai provato con lui la sensazione di poterlo controllare e manovrare come e quanto avrebbe voluto, e si sentì sbagliato, si sentì come se ne stesse approfittando.  

Lo allontanò, di nuovo, e le dita di Sasuke non riuscirono a tenere la presa sui suoi capelli corti, troppo corti rispetto a quelli del Naruto sedicenne a cui era abituato. “Sei un ragazzino, non posso” disse, il fiato spezzato. 

Sasuke fece una smorfia. “Allora avresti dovuto darti una svegliata prima dei trent’anni, usuratonkachi”. 

Gli lasciò l’ultimo bacio, prima di allontanarsi: Naruto non ricambiò né lo spinse via, questa volta, e gli sembrò un compromesso accettabile. Lo osservò mentre saliva sul letto e si sistemava sotto le coperte, girandosi fino a rivolgergli la schiena. 

Per la prima volta in quei giorni, si rese conto che sarebbe impazzito se non fosse uscito da quella stanza; la percorse a passi veloci fino alla porta, ma fu la voce di Sasuke a bloccarlo. 

“Promettimi” disse, con la voce ancora incerta e le guance rosse, “che ne parleremo, quando sarò ritornato adulto”. 

“Buonanotte, Sasuke” rispose invece, uscendo e chiudendosi la porta alle spalle. 

Naruto aveva sempre mantenuto le promesse, era sempre stato quello il suo credo ninja: fu per questo, che non riuscì a dirgli di sì. 

 

  • twenty y.o.; 

Naruto aveva cercato di svolgere il miglior lavoro possibile per il villaggio, anche sin da prima di essere ufficialmente Hokage: aveva seguito il maestro Kakashi nel suo lavoro giorno per giorno, aveva assimilato e rielaborato, fino anche ad azzardarsi di dare consigli.  

Era sempre stato un ragazzo irruento, il “ninja più imprevedibile di tutti”, a dire del suo maestro; forse era stato infantile su un sacco di cose (magari lo era ancora, per alcune di esse) ma aveva accumulato esperienza sia come ninja che come persona, e possedeva una empatia che molti altri non avevano: era cresciuto come orfano ed emarginato, aveva provato il dolore della perdita di legami costruiti con cura, aveva perdonato molte volte crimini atroci, perché aveva imparato sulla propria pelle, per riflesso, che la vendetta non era mai la scelta più giusta; si era costruito una famiglia e adesso sapeva cosa volesse dire essere marito e padre, ma non si era mai illuso di poter essere il migliore, perché in una famiglia “normale”, in fin dei conti, non ci era mai cresciuto. 

Naruto voleva solo che gli abitanti del suo villaggio riuscissero ad avere una vita molto più semplice di quella che aveva avuto lui, ed era per questo che aveva fatto costruire orfanotrofi adatti con personale all’altezza, ed ospedali che potessero essere quanto più accoglienti possibile, sebbene sperasse di ritrovarli sempre vuoti. 

Konoha era in pace, era in pace da anni, anche per merito suo: era per questo che gli orfani erano sempre più pochi (quelli di guerra, ormai, iniziavano ad essere degli adolescenti e degli adulti, non erano più dei bambini), ed era per questo che quel mattino, nella sala d’accoglienza in ospedale, c’era soltanto lui. 

Alla caffetteria aveva preso un tè, che aveva tenuto tra le mani e fissato così a lungo da farlo freddare; le infermiere lo avevano informato diverse ore fa che Sasuke era sveglio e cresciuto di nuovo, ma questa volta Naruto aveva lasciato che Kakashi lo sostituisse, perché non sapeva se sarebbe stato in grado di guardare Sasuke in faccia, non senza prendere un attimo di respiro. 

Naruto era felice, con Hinata, lo era sempre stato: era difficile che Naruto non fosse felice con chiunque, in fin dei conti, e lei non era niente meno che una moglie e compagna perfetta. Naruto amava i suoi figli, anche se a volte non sapeva molto bene come dimostrarlo, anche se a volte essere padre risultava più difficile che essere Hokage. 

Ma. 

Come sarebbe stata la sua vita, se lo avesse capito prima? Se fosse riuscito a scoprire da subito quello che Sasuke provava (o aveva provato?) per lui.  

Naruto si era reso conto tardi, davvero tardi, dei propri sentimenti. Era sempre stato ossessionato da Sasuke a livelli patologici ed imbarazzanti, ed era sempre stato sessualmente attratto da lui, ma non ci aveva mai davvero riflettuto: aveva sempre giustificato tutto dicendosi che gli voleva troppo bene, e che la tensione sessuale che percepiva in realtà fosse dovuta a quel continuo bisogno di affrontarlo in battaglia. Era stato un idiota (niente di nuovo) ed aveva capito tutto solo quando aveva sposato Hinata, e la mancanza di Sasuke al suo matrimonio gli aveva lasciato una voragine nello stomaco – aveva capito, e poi accantonato, perché Naruto era sempre stato uno che incassava ed andava avanti, e non aveva intenzione di deludere nessuno, soprattutto non per un sentimento che era sicurissimo non fosse corrisposto. 

Il Sasuke di sedici anni era stato chiaro. Ma quello di adesso? Quello di trent’anni, cosa provava? Era stata solo una cosa passeggera? Una parte di Naruto avrebbe voluto accantonare tutto, qualsiasi cosa, e non pensarci più. Era l’altra parte, quella che più lo preoccupava: quella che, in fondo, ci sperava ancora

Un tocco leggero sulla sua spalla lo distrasse, e Naruto alzò lo sguardo dal verde del suo tè, trovandosi di fronte l’eterocromia di due occhi che conosceva benissimo: Sasuke prese posto sulla sedia alla sua sinistra, l’espressione tranquilla, forse un po’ stanca, sbattendo le ciglia sull’occhio nero di Itachi e sul Rinnegan che aveva risvegliato durante la Quarta Guerra. 

“Quando il maestro Kakashi mi ha detto che era meglio che venissi a cercati, mi ha fatto strano” mormorò. “Non sono mai stato io quello a correre dietro l’altro”. 

Naruto lo osservò con attenzione, prima di arrivare alla conclusione che potesse avere al massimo venti, ventuno anni, non di più: i tratti del suo viso adesso erano ben definiti, ma non ancora maturati. 

“Qual è l’ultima cosa che ricordi?” gli chiese, sporgendosi verso il tavolino basso per lasciarci sopra il bicchiere di tè.  

Sasuke restò in silenzio per un po’, grattandosi il ginocchio lasciato scoperto dal camice dell’ospedale, poi lasciò riposare il suo braccio destro in grembo. “Stavo ritornando a Konoha” disse, “è stato giusto prima che...” Naruto lo guardò, in attesa: prima di che? Sasuke non era mai ritornato a Konoha, non a quell’età. Ma non terminò la frase. “Kakashi-sensei mi ha detto che prima di me, c’è stato il Sasuke di sedici anni. Ti ho fatto qualcosa?” lo scrutò, attento. 

Naruto sbuffò una risata, scuotendo la testa e rivolgendogli un sorriso sfrontato. “Tu? A sedici anni? Al massimo mi avrai fatto fare delle grandi risate”. 

Sasuke lo colpì col braccio integro, lasciandogli una gomitata nel costato. “Forse non sarei riuscito a vincere, ma ti avrei dato dei gran bei problemi, usuratonkachi”. 

Glieli aveva dati eccome, ma non quelli che credeva. “Ah, certo” sbottò, ironico. “L’unico problema che mi avresti dato sarebbe stato decidere in che modo umiliarti, Sasuke”. 

Lui grugnì, indispettito. “Forse, ma sono abbastanza sicuro di essere invecchiato meglio di te, usuratonkachi”. 

Naruto gli tirò i capelli per ripicca. 

 

Non c’era davvero necessità di tenere sotto controllo questo Sasuke: era adulto e consapevole di buona parte di ciò che era accaduto nella sua vita, abbastanza per rendersi conto che quello che gli avevano raccontato fosse vero; inoltre, aveva già affrontato i suoi demoni e le sue tensioni con Konoha, quindi non c’erano dubbi sul fatto che sarebbe rimasto in ospedale, senza creare alcun problema, aspettando che l’effetto della tecnica proibita facesse il suo decorso. 

Naruto ne approfittò per restarci assieme il minimo ed indispensabile, quel giorno: disse a Kakashi di voler recuperare un po’ di tempo con la propria famiglia, di voler portare a Sakura gli ultimi aggiornamenti, ma la verità era che fosse un codardo, perché stava letteralmente scappando. 

Affrontare Sasuke non era una novità, anzi era quello che gli era sempre riuscito meglio: se avesse dovuto prenderlo a pugni, Naruto non avrebbe davvero avuto problemi, avrebbe potuto cominciare anche adesso; ma non c’era nessun rimprovero da urlargli in faccia, nessun buon senso da far rinsavire, e allora Naruto non aveva davvero idea di cosa dover fare, o come doversi comportare. 

Fu di notte, mentre Hinata dormiva stretta con le braccia intorno al suo busto e lui non riusciva a chiudere occhio, che Naruto si disse che non sarebbe più scappato: non era un comportamento da adulto, né da Hokage, tantomeno da Naruto Uzumaki; sua madre e suo padre si sarebbero rivoltati nella tomba se avessero scoperto che aveva paura di parlare con Sasuke Uchiha, mentre l’Ero-Sennin lo avrebbe preso in giro fino alla morte. 

Si sciolse lentamente dall’abbraccio per non svegliare Hinata, posò i piedi nudi sul pavimento fresco, e prese un bel respiro, cercando di far chiarezza nella sua testa. 

“Ehi, Kurama” sussurrò, tra sé e sé. “Preparati, ci sono di nuovo problemi con gli Uchiha”. 

Il Kyuubi aprì pigramente un occhio, sbuffò dal naso, e mostrò le zanne, infastidito. “Per questo genere di cose, dovrai vedertela da solo, ragazzino”. 

Naruto sorrise divertito, poi finalmente si alzò in piedi. Kurama aveva ragione: era una cosa che riguardava solo loro. 

 

Quando entrò nella stanza di Sasuke dalla finestra, non si stupì né di trovarlo sveglio, né di non aver ancora fatto chiarezza nella propria mente; decise, a conti fatti, che non gli interessava: Naruto non era di certo mai stato conosciuto per il suo temperamento freddo e per le sue azioni lucidamente ponderate. Immaginava che avrebbe affrontato lo sviluppo in corso d’opera. 

Sasuke non si scompose per il suo improvviso ingresso in scena, semplicemente puntò gli occhi su di lui, in attesa; Naruto osservò il suo Rinnegan, si trovò a rabbrividire.  

“In questi giorni è stato strano... vedere i tuoi occhi come un tempo” mormorò, pensieroso. Non gli era dispiaciuto affatto, perché, riflettendoci, Naruto aveva sempre trovato il Rinnegan un po’ inquietante. Ma gli era mancato. Sanciva progressi che non avrebbero mai dovuto essere dimenticati. 

Sasuke accennò un sorriso divertito, inclinando leggermente la bocca. “I miei occhi. È stato strano solo per quello, Naruto?”. 

Scosse la testa, sbuffando anche lui una risata. “No, certo. Ho scoperto che da bambino avresti voluto essere mio amico fin dall’inizio: quella è stata la cosa più strana di tutte”. 

Sasuke aprì la bocca, punto nel vivo ed imbarazzato, poi la richiuse, e si fece più serio. “Naruto” la sua voce era profonda, lo era sempre stata, molto più della sua, anche quando erano ragazzini, ma il suo tono adesso era adulto, definitivo, così diverso da quello dei giorni scorsi. “Cos’altro hai scoperto?”. 

Si avvicinò al letto, a passi lenti, abbassando lo sguardo sulla punta dei suoi piedi solo per un attimo, poi tornò a guardarlo negli occhi. “Tu mi ami, Sasuke?” era terrorizzato, mentre lo diceva, aveva il cuore in gola. “Tu, adesso, nei tuoi ultimi ricordi: sei innamorato di me?”. 

La stanza era in penombra, ma non abbastanza da nascondere quanto poco ci mise il viso di Sasuke a diventare paonazzo. “Usuratonkachi, era per questo che avrei voluto ucciderti” disse, con la voce tremante. “Ed è per questo che non sono mai riuscito a farlo”. 

Naruto non distolse lo sguardo, mentre si sedeva accanto a lui, sul bordo del letto; posò il palmo sul suo fianco, perché aveva bisogno di sentire che era reale, tangibile, e perché aveva paura che potesse svanire da un momento all’altro come un sogno. In un altro momento, gli avrebbe detto che non ci era riuscito perché non aveva mai davvero avuto speranze, contro di lui. “Stamattina, hai detto che stavi per tornare a Konoha, ma non sei mai più tornato”. 

Sasuke lo guardò, confuso. “Non so cosa sia successo, non posso dirti perché non l’abbia fatto”. 

“Ma puoi dirmi perché volevi farlo”. 

Lo osservò mordersi il labbro, girare la faccia per non guardarlo come tutte le volte che era costretto a soffocare il proprio orgoglio mal volentieri. “Mi sono deciso a tornare perché volevo dirtelo: volevo finalmente dirti di essere innamorato di un idiota come te. Qualcosa mi dice che non l’ho fatto”. 

“Maledizione” imprecò, stringendo con rabbia la presa sul suo fianco. “Maledizione”. 

“Naruto” Sasuke afferrò il suo polso nella mano, lo strattonò per attirare la sua attenzione. “Che cosa è successo?”. 

Prese fiato. “Ti ho inviato una lettera: un invito al mio matrimonio con Hinata. Non ci sei venuto”. 

La stretta intorno al suo polso si allentò, e Naruto sentì freddo alla pelle quando le dita calde di Sasuke annullarono il contatto. Erano molto più calde ora di come non fossero state da bambino. “... hai sposato Hinata?” la sua voce era un sussurro, il suo sguardo era smarrito. “Hai sposato Hinata, Naruto?” chiese, questa volta più deciso, ferito, furioso. 

“Ho sposato Hinata, Sasuke”. 

Sasuke gli tirò un pugno in faccia con tutta la rabbia che aveva in corpo: Naruto sentì le mucose delle guance spaccarsi, ed il familiare sapore del sangue sulla lingua. Erano questo. Lui e Sasuke erano sempre stati questo, e finalmente, finalmente, riuscì a non sentirsi più fuori posto. 

Prese il viso di Sasuke tra le mani, e lo baciò.  

Lo aveva sempre immaginato così, il loro primo vero e proprio bacio: affamato, arrogante, col retrogusto ferroso del sangue e la voglia di assalirsi. Forse solo perché, a parte l’essere bocca contro bocca, non aveva niente di diverso da tutte le volte in cui si erano affrontati. 

Naruto presto si rese conto che anche il sesso, tra di loro, non aveva nulla di dissimile, ed in un certo senso non si sarebbe mai potuto aspettare altro: c’erano i suoi morsi sul collo di Sasuke, e le sue unghie ad affondare nelle sue spalle abbronzate, a graffiarlo fino a farlo sanguinare; c’erano gli imprechi a mezza voce ed il bisogno assoluto di annientarsi, mentre Naruto affondava tra le sue cosce, cercando di non fargli male perché non avrebbe voluto, cazzo, davvero non avrebbe voluto, ma facendogliene perché alla fine era con il dolore che Sasuke riconosceva l’appartenenza, soprattutto quella a Naruto. 

Non erano di nessun altro se non propri. 

Erano orfani ed erano cresciuti nell‘abbandono e nella solitudine, e solo odiandosi, sfidandosi ed accettandosi, prima come rivali e poi come compagni, avevano scoperto quanto intossicante fosse la presenza di un legame come quello che si era creato tra loro; solo tra loro, con nessun altro. 

Sasuke venne tra i loro stomaci sudati, mordendosi il palmo della mano per soffocare il gemito, contraendosi intorno alla sua erezione con così tanta forza che Naruto pensò che sarebbe stato costretto a restargli dentro così per sempre.  

Si rese conto, alla fine, che era quello che aveva sempre desiderato. 

 

  • thirty y.o.; 

Fu il mattino del quattordicesimo giorno dal suo ritorno a Konoha che Sasuke, finalmente, si svegliò nel suo corpo: non aveva alcun ricordo di tutto ciò che fosse accaduto in ospedale in quelle due settimane, ma seppe raccontare per filo e per segno tutto ciò che aveva affrontato in missione, anche il suo ritorno al villaggio, poi nient’altro. 

Se non avesse avuto la coscienza sporca, Naruto lo avrebbe preso in giro per essere stato un idiota tale da farsi fregare in quel modo con una tecnica proibita, gli avrebbe rinfacciato tutte le cose più imbarazzanti che era stato costretto a fargli o che gli aveva sentito dire, ma Naruto la coscienza sporca ce l’aveva, e allora poté solo uscire dalla stanza dell’ospedale con la coda tra le gambe, mentre Sasuke ricambiava l’abbraccio di Sakura, nascondendo un sorriso contro la sua spalla profumata di rose. 

 

“Promettimi che ne parleremo, quando sarò ritornato adulto”. 

Naruto non poteva.  

Aveva già ferito Sasuke una volta, non poteva tirare di nuovo fuori quel discorso, non adesso che sembrava felice con Sakura, non adesso che avevano una figlia: Sakura era sua amica ed era come una sorella, per lui, non poteva farle questo. Non poteva fare questo nemmeno ad Hinata, non così. 

Seduto con le gambe incrociate sul tetto dell’ospedale, Naruto si prese il viso tra le mani, sospirando pesantemente, trattenendo le lacrime sotto lo sguardo degli Hokage scolpiti nella roccia. Tra quelli, c’era anche il suo: Naruto era il Settimo, e si sarebbe comportato come tale, non avrebbe deluso i suoi predecessori, non in quel modo. Tutti loro avevano conservato segreti per il bene del villaggio e delle persone che lo abitavano, lo avrebbe fatto anche lui. 

Naruto Uzumaki era il Settimo Hokage del Villaggio della Foglia, ed era pronto a sopportare il peso di verità che avrebbe portato con sé nella tomba. 

“Ehi, usuratonkachi” Sasuke restò in piedi, al suo fianco, la mano portata alla fronte per ripararsi dai raggi del sole. “Il maestro Kakashi ha detto che potresti avere roba imbarazzante da raccontare” scrollò le spalle, come se non fosse neanche incuriosito. “Onestamente, non capisco quale sia la novità”. 

Naruto sbuffò una risata, digrignando i denti: il solito bastardo. 

Si asciugò gli occhi umidi e si alzò in piedi, di fronte a lui per guardarlo negli occhi, finalmente all’altezza che gli era ormai più familiare. Prese un lungo respiro, socchiuse le palpebre, poi fece un altro passo in avanti per annullare la distanza che c’era tra le loro labbra: quando allontanò il viso per osservare il suo, trovò i suoi occhi sgranati, le sue guance rosse come era stato sia per i sedici che per i ventuno anni.  

Naruto sogghignò, sfacciato. Sasuke accennò quel solito mezzo sorriso esasperato che faceva sempre quando non ne poteva più delle sue stronzate. “Sei sempre stato lento, usuratonkachi: questa volta ti sei superato”. 

“Vaffanculo, teme”. 

Naruto Uzumaki era il Settimo Hokage del Villaggio della Foglia, e la dolorosa strada che lo aveva portato fin lì era stata costruita su tutti gli errori commessi dai suoi predecessori: lui non avrebbe fatto il loro stesso sbaglio. 

Lui non avrebbe sottostimato o mentito ad un Uchiha. Non più. 

 

 

   
 
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