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Autore: Melanto    25/11/2019    5 recensioni
[Midquel di 'Malerba']
Gli elementi principali dell'ikebana sono tre, chiamati in modi differenti e sintetizzabili in: Paradiso, Uomo e Terra.
Preso nel mezzo, tra ciò a cui appartiene e la fede da ritrovare, l'Uomo si curva e dibatte alla ricerca di un equilibrio ideale. Ma la ricerca può essere guerra, e se dopo tante sconfitte c'è chi riesce ad assaporare la pace delle prime vittorie, allo stesso modo c'è chi, dopo aver passato una vita intera a dominare, inizia a soccombere sotto il peso delle sconfitte nascoste.
Questa raccolta è fatta di vittorie e disfatte diluite nel Tempo, ma senza dimenticare...
...che non è il tempo a perdersi, siamo noi a perderci nel tempo.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Mamoru Izawa/Paul Diamond, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mori no Kokoro - Il Cuore della Foresta'
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Jikan - #1

Nota Iniziale: e si ricomincia :3

In questo periodo natalizio ormai ben più che alle porte, anche se siamo ancora a novembre, ecco iniziare anche questa raccolta che, di fatto, è una raccolta di MISSING MOMENTS :3

‘Malerba’ e la sua flora, ma soprattutto fauna (XD) sono tornati per tenervi compagnia nelle prossime NOVE SETTIMANE e mezzo! :D
Ritroverete i personaggi cui (spero) vi siate un po’ affezionati e affronteremo eventi che nella storia principale erano stati lasciati in sospeso o comunque messi da parte.

 

Come sapete, il XXX° capitolo e l’Epilogo affrontavano due salti temporali di una certa importanza: 2 anni (gli ultimi di prigione per Shuzo) e 6 anni (che si chiudono con l’esecuzione di Daidouji), per un totale di OTTO anni.
Questa raccolta coprirà una parte delle vicende avvenute in questi vuoti narrativi (circa i primi quattro anni, mentre gli altri quattro si immagina siano trascorsi abbastanza lisci XD, poveri figli!).

 

Iniziando dalla shot #1: temporalmente, si colloca subito dopo che Akio ha comunicato a Shuzo la sentenza contro l’assassino di suo fratello, Tate Daidouji. Shuzo ha già trascorso un anno in carcere e deve affrontare il secondo, prima di poter finalmente lasciare Fuchu da uomo libero.

Ma qui siamo altrove, qui siamo a casa Morisaki.

Il tempo comincia a scorrere.

 

Buona lettura :3

 

 

 

 

 

 

Jikan

- La Terra, l'Uomo e il Paradiso -

 

 

 

 

- #1: La Terra (sia le mie braccia attorno a te) -

 

 

 

Akio era rientrato dopo l’ora di pranzo. Sulla strada, aveva avvisato che avrebbe mangiato fuori e che, per quel giorno, non sarebbe tornato al lavoro, ma avrebbe sbrigato delle faccende dallo studio di casa.

Yumeko aveva pranzato da sola, in un’abitudine che non le pesava più come un tempo, e quando suo marito aveva messo piede nell’ingresso era accorsa per avere notizie dell’incontro con Shuzo e, soprattutto, come avesse preso la notizia della sentenza di Daidouji.

Quando il giudice l’aveva letta, non si era sentita sollevare né aveva provato piacere. Semplicemente, non le era importato: suo figlio era morto, che morisse anche chi l’aveva ucciso non gliel’avrebbe fatto riavere. Per Akio era stato diverso; sul viso gli aveva letto emozioni contrastanti: collera e poi soddisfazione, ma non aveva commentato, tenendo come sempre ogni pensiero per sé. Quando lei aveva provato a indagare, nella speranza che si confidasse almeno un po’, la sola risposta che aveva avuto era stata un laconico: giustizia è fatta.

Di Shuzo, invece, era stata preoccupata. Temeva che una reazione forte potesse metterlo nei guai in carcere. Akio l’aveva rassicurata.

«È tutto a posto,» aveva detto, «ne era contento ma si è trattenuto. Non ha fatto scenate.»

«Cosa ha detto quando ti ha visto?»

Su quella domanda, Akio aveva tentennato.

«Non ha fatto i salti di gioia, ma mi ha ascoltato.»

Una stretta di spalle, una frase che diceva tutto e niente e poi aveva chiuso il mondo fuori dallo studio dove si trovava ancora adesso, nonostante fossero quasi le cinque.

Yumeko non aveva avuto bisogno di sentirselo dire a chiare lettere che, in realtà, la situazione non era stata così normale come aveva tentato di farla passare. Shuzo non era tipo da mordersi la lingua per sottrarsi alle discussioni, e Akio aveva solo cercato di evitarle una preoccupazione; anche questa era stata una certezza che, per le ore successive, si era fatta bastare, rifugiata tra le cose di Yuzo per sentirne ancora l’odore e la presenza. Spesso si era detta che avrebbe dovuto riprendere in mano la vita che aveva interrotto alla morte di suo figlio, recuperare i vecchi interessi; ci stava pensando seriamente da qualche settimana, ma non sarebbe stato facile quanto laborioso. Se fosse stata di nuovo in grado di prendersi cura di sé stessa a trecentosessanta gradi, smettendo di essere un’anima vagante e solitaria per casa, sarebbe stata anche in grado di prendersi cura di quel marito troppo silenzioso e quel figlio troppo disperato.

Tornare a vivere.

Era un pensiero strano per chi, effettivamente, su quella terra già camminava e respirava. Passava dall’essere una condizione fisica per divenire uno stato mentale. E con la mente aveva accarezzato varie possibilità, quali riprendere a insegnare la cerimonia del tè, il bon ton tradizionale, la vestizione del kimono o magari… magari aprire le vecchie tradizioni per accogliere il nuovo che aveva attorno, e insegnare a titolo gratuito presso i centri di recupero dei ragazzi in difficoltà. Rendersi utile, dopo essersi dedicata sempre e solo alla sua famiglia e agli eventi mondani del Morisaki Group, chiusa nel giro delle donne che contano di Nankatsu e dintorni. Non c’era più nulla, di quella vita altolocata, che le interessasse davvero e la sua famiglia aveva imparato a reggersi da sola su equilibri tutti storti che tentavano di raddrizzarsi con le loro sole forze. Forse, alla sua famiglia, lei non serviva più così tanto.

Yumeko ci pensava mentre sfogliava, per l’ennesima volta da che aveva avuto accesso al computer di Yuzo, le foto che il ragazzo conservava tra cartelle più o meno segrete.

Le mise in slideshow, sorridendo con l’amore nel cuore e le lacrime agli occhi, soprattutto quando spuntavano quelle in cui Yuzo e Shuzo erano insieme.

E risate.

Perché ogni volta il suo figlio ribelle aveva dei capelli terribili e il suo figlio obbediente li guardava con smorfie buffissime.

Ne aveva così tante, ma le aveva centellinate per trovarne sempre di nuove con cui lasciarsi sorprendere. Come quel video che partì nello slideshow.

Yuzo reggeva il cellulare e il suo viso fu la prima cosa che comparve. Adolescente giovanissimo, pieno di sogni e speranze, una vita che sembrava infinita e una bellezza che pareva non potesse sfiorire nemmeno dopo mille anni.

“E i Morisaki Twins sempre insieme. Boo-ya!”

“Non sono un cazzo di Morisaki, piantala.”

“Per me sì.”

“Per faccia di merda & soci no, quindi non ripeterlo, m’urta il cazzo!”

Yuzo mimò con mille smorfie un ‘caratteraccio!’ che le strappò una risatina, anche se aveva gli occhi lucidi e sentiva la commozione stringerle la sommità del naso.

Shuzo aveva i capelli legati con un codino alla samurai di colore bianco platino, mentre sulla nuca la rasatura castana spiccava con il decoro di una serie di V con il vertice in alto. Tagliava delle verdure e aveva un cerotto verso la fine del sopracciglio, accanto alla coda dell’occhio. L’alone di un livido era netto e intenso, e la punta rossa di una crosta sfuggiva all’adesivo. Un altro era sulla sommità del setto nasale; stesso copione e stessi colori.

“E comunque, la pianti un po’ di stare sempre a fare video? Che cazzo devi documentare? La mia vita?!”

“Al più è la nostra, e comunque voglio un ricordo! È la cena di Capodanno!”

“Ti prego. Fratello. Puoi mentire a chi ti pare, compreso quell’idiota dell’amico tuo, ma con me non attacca. Credi che non lo sappia che questi video sono per la mamma?”

“Ma non è vero!”

“Bugiardo. E anche pessimo. Mi pigli per coglione?”

Nonostante fosse un video vecchio di anni, Yumeko si mortificò per l’espressione di rimprovero che Shuzo rivolse al fratello e l’attimo dopo al display del cellulare, come guardasse proprio lei dritto negli occhi.

Yuzo sostenne lo sguardo del fratello per qualche istante, poi appoggiò il telefono sul ripiano e Yumeko vide la telecamera assumere un’inquadratura deformata che dal basso riprendeva entrambi i figli. Shuzo teneva gli occhi sul tagliere, sminuzzava delle zucchine; Yuzo era al suo fianco, dava le spalle al mobile e lei poté scorgerne solo la nuca e le spalle.

“Potresti farle una telefonata…”

“No.”

“Andiamo, che ti costa? Solo per dirle che stai bene. Pochi minuti. È Capodanno, le manchi.”

“Se ne farà una ragione.”

“Non può. È la mamma. Credi davvero che lei sia felice di non averti a casa? Sei un imbecille se lo pensi.”

“Non me ne frega un cazzo, Yuzo. Può anche strapparsi i capelli o battersi il petto, le cose funzionano così. Lei pensasse ad Akio, altrimenti va tutto a puttane.”

“Io vorrei solo che le cose-”

“Non si sistemeranno, okay? Fattene una ragione pure tu, non sei più un moccioso.”

“Ha parlato il grand’uomo che al primo problema o mena o scappa. Davvero, hai così tanta maturità che ti esce pure dal culo.”

“Ehi! Vuoi litigare a Capodanno? Ne sei sicuro? Pensaci.”

Rimasero in silenzio per i secondi successivi, meno di dieci, in cui Shuzo lanciò il coltello sul tagliere e Yuzo girò il viso dall’altra parte. Ma fu proprio il figlio ubbidiente a fare il primo passo: con la testa cercò la spalla del fratello che non si sottrasse, ma gli circondò subito il petto con il braccio, da spalla a spalla, e poggiò il viso nei capelli corti di Yuzo.

Sapevano discutere con forza, e offendersi anche pesantemente, ma alla stessa velocità tornavano a essere uniti, come se quel contatto fosse vitale tanto quanto l’aria per gli anfibi. Così i suoi figli, che senza l’altro non riuscivano a stare, e la boccata d’ossigeno era lo spazio che separava l’ultima invettiva dalla successiva comprensione.

“Non voglio litigare…”

“Nemmeno io. Cambiamo argomento? Altrimenti mi distraggo e ho karaage e kakiage da friggere. Sono cose serie, queste.”

“No, per carità! Ma… a proposito: e Ike?”

“Ike lo sa che non deve venire a rompere il cazzo quando sto con te.”

“Non dovresti trattarlo così. Sembrerà assurdo, ma ti è legato.”

“Chi?! Ike?! Legato?! Ma piantala! Ci divertiamo e basta, di che impegno parli? Tsk! Impegno, dice… ma sentitelo.”

Yuzo si volse, assunse un’espressione più seria, tanto da incrociare le braccia al petto.

“Senti, parlando di Ike e della mamma… io stavo pensando di dirle che sono gay.”

“Sì, certo.”

“Dico sul serio.”

“…davvero?”

Shuzo si fermò, dopo che aveva riafferrato il coltello. Tornò a posarlo per poter guardare in viso suo fratello.

“È mamma. Non si arrabbierebbe, lo so.”

“Anch’io, e non è lei il problema. Il problema è Akio, perché lei glielo direbbe.”

“…veramente, pensavo di farlo io. Dirlo anche a lui.”

Yuzo abbassò lo sguardo sul ripiano, cincischiò con una zucchina mezza tagliata. Poi tornò a guardare Shuzo.

Yumeko portò una mano al petto. Il cuore batteva forte, tra ansia e amore per i suoi figli e dispiacere per non aver dimostrato loro di potersi fidare fino alla fine.

Shuzo sbuffò una mezza risata di scherno.

“Vuoi scatenare la terza guerra mondiale? Quello che ho vissuto io non t’è bastato? Vuoi sentirti… ricoprire di merda? È questo che vuoi? Perché è questo che avrai! Akio non te la farà passare, stai scherzando?! E quello stronzo di suo padre?! Sei pronto a diventare la nuova vergogna della famiglia? A essere estromesso dai pranzi, dalla minka, a sentirti emarginare. E come ti chiameranno? Magari deviato o direttamente frocio. Perché i Morisaki non perdonano se sgarri dalla loro strada, lo hai capito o no? Non perdonano un cazzo, ti tagliano fuori! E a casa sarà un inferno! Vuoi questo? Essere messo alla porta anche tu? Se è tutta una scusa per venire a vivere con me, cazzo, non c’è bisogno di sparare così alto. Io sarei felicissimo di averti qui, ma poi non potresti finire il liceo e con il calcio come faresti?”

“I-io…”

“Se volessi dirlo a qualcuno, dovresti cominciare da quel coglione del tuo amico Izawa. Cristo, tanti anni che ti conosce e ancora non ha capito che stravedi per lui. Porca puttana, che cazzone!”

Yumeko aveva di nuovo gli occhi lucidi e le dita stringevano la stoffa sul petto. La disamina di Shuzo era stata così precisa e tagliente da averle aperto uno squarcio profondo che superava vestiti e carne. Faceva così male che neppure Yuzo fu in grado di replicare, rimanendo a testa bassa e a mordicchiando l’interno della guancia.

A quei figli non erano riusciti a dare nemmeno un briciolo di fiducia nei loro confronti, li avevano privati del coraggio di tentare, strappato le ali dalla schiena e fatte in mille piume. Li avevano mutilati, quei figli, anche nella fiducia in loro stessi. L’unica consolazione che ebbe, fu che almeno tra loro quella fiducia fosse invece stata centuplicata. Lo vide nell’abbraccio di Shuzo verso suo fratello, dopo che erano rimasti di nuovo in silenzio. Un abbraccio stretto stretto, che cercava di infondere tutta la protezione che lei e Akio non erano stati in grado di trasmettere.  

“Vorrei solo evitarti l’inferno che ho passato io, perché non voglio che tocchi anche a te. Akio ti direbbe delle cose orribili e nessuno, questa volta, potrebbe trattenermi dall’andare a prenderlo dove si trova per farlo a pezzi.”

“Non voglio questo. Vorrei che fossimo una famiglia normale…”

“La normalità ce la siamo giocata da tempo, e l’abbiamo pure persa.”

“…”

“…ehi! Ma quel coso sta ancora registrando?!”

“Non l’avevo spento?”

“Ma ha registrato tutto? Vedi di cancellare ‘sto video e non mandarlo a mamma! Te le suono a passo di valzer se lo fai!”

“Ti voglio bene, fratello, ma adesso friggi quel kakiage! Ho fame!”

Yumeko vide l’immagine cambiare ancora, ballare mentre Yuzo afferrava il cellulare e lo portava più vicino. Poteva vederlo con nitidezza adesso: nel rivolgersi a Shuzo sorrise come non aveva mai sorriso neppure a lei.

Il video si interruppe su di loro, sempre vicini, sempre uniti, e nella bocca, invece del solito sapore agrodolce che le restava alla fine di ogni video, si allargò un sentore d’amaro e acido. Bruciava nella gola.

Avevano deluso tutte le aspettative di quei ragazzi. Lei, Akio, le loro famiglie. Li avevano costretti a montare bugie su bugie come castelli traballanti; che fossero con gli altri, che fossero tra loro. Era così dura da accettare. Era dura perché non sembrava esserci un rimedio, un modo per fare ammenda, per tirare giù quelle impalcature di sfiducia piene di specchietti per allodole.

Yumeko sollevò la testa dopo averla tenuta calata sulle mani. Le responsabilità disattese non si rifuggivano, ogni errore doveva essere affrontato a testa alta. Non erano proprio i Morisaki a dirlo? Fronteggiare tutto con coraggio.

E l’unico modo con cui avrebbe potuto abbattere l’ennesimo muro di menzogne era solo con la verità. Dopotutto, non erano sempre le mamme quelle che affrontavano i papà quando i figli avevano bisogno d’aiuto?

 

«Ti concedi una pausa? È pronto il tè.» Yumeko fece capolino che mancavano una decina di minuti alle cinque del pomeriggio. Aveva bussato, ma non aveva atteso una risposta prima di farsi avanti.

Akio sollevò la testa dai documenti sparsi sulla scrivania, e altri aperti in .pdf sul monitor acceso del computer. Strinse leggermente gli occhi per riuscire a metterla a fuoco e solo in quel momento si accorse di essere stanco. Accennò il sorriso di chi aveva bisogno di una pausa e sfilò le lenti da vista, lasciandole sul tavolo.

La sua mattinata non era stata facile e aveva ancora ben nitida l’immagine del pianto liberatorio di Shuzo e della richiesta di non tornare. Un cedimento improvviso, poi di nuovo le mura per mantenere la distanza. La soddisfazione per la sentenza era stata offuscata dall’ennesimo incontro risolto in un rifiuto.

Akio sentiva come se qualcuno l’avesse colpito alle ginocchia e, nonostante fosse stato preparato a ricevere il colpo, fosse caduto lo stesso. Ci avrebbe rimesso un po’ e si sarebbe rialzato, per un nuovo tentativo, ma dopo ogni caduta la fiducia veniva meno e la forza per tornare in piedi anche. Il peso del suo corpo, invece, raddoppiava. Lo sentiva di piombo, e tirare su la gamba era come spostare una montagna.

«Ci sto», disse, cercando di nascondere tutto il resto. Lasciò gli occhiali sulla scrivania e si alzò.

«Bene. Volevo approfittarne per parlare un po’ dei nostri figli. Non lo abbiamo mai fatto per bene, senza urlarci addosso.»

Akio accennò un sorriso colpevole, mentre il peso dei suoi passi aumentava di una mezza tacca.

Sul tavolo della cucina il tè non era ancora stato servito, ma le yunomi erano disposte ordinatamente ai capi opposti della teiera.

Lui prese posto, Yumeko scelse quello di fronte. Opposti, come le due tazze, per potersi guardare dritto negli occhi. Con calma e quei movimenti sempre precisi e raffinati – le dita tutte unite nel tenere fermo il coperchio della teiera mentre versava, le braccia che assumevano angolazioni a dir poco geometriche e movimenti netti che parlavano di regole insegnate al corpo affinché le riproducesse sempre uguali e perfette – servì il tè per entrambi; le tazze piene fino a un centimetro e mezzo dal bordo.

L’odore del matcha era familiare, il suo colore intenso.

Akio guardò, attraverso quella giada liquida, il fondo della yunomi.

«Non andrò più in carcere. Aspetterò che Shuzo esca.»

«Perché?»

Lui sollevò la spalla sinistra, sciolse un sorriso che tirò solo un lato della bocca. «Mi ha detto di non tornare. Non voglio minare la tranquillità delle sue visite; che almeno ne associ qualcosa di buono, deve trascorrere ancora un anno lì dentro. Una volta fuori avrò altre occasioni.»

Ma mentre prendeva quella decisione, fin da quando aveva lasciato il carcere, aveva provato una smania tale, nel pensare che non l’avrebbe visto per così tanto tempo, che lo aveva scosso: aveva vissuto anni senza saperne nulla, senza cercarlo, senza neppure parlargli al telefono e ora l’idea di non poterlo andare a trovare in prigione gli sembrava inaccettabile.

Aveva vissuto per circa quindici anni come se si fosse dimenticato di avere un altro figlio, e ora che lo costringevano a non vederlo non avrebbe voluto fare altro che parlare con lui. Togliendosi il velo dagli occhi e dal cuore, tutti i desideri e pensieri inespressi nel corso del tempo erano venuti a battere cassa nello stesso momento.

Akio sollevò lo sguardo e lesse sul viso di Yumeko un’espressione crucciata.

«È meglio così, credimi. Meglio per lui.» Portò la tazza alla bocca e bagnò le labbra con il tè bollente. «Pensi faccia ridere che sia proprio io a parlare del suo bene?»

«No, non lo penso. Sei suo padre.»

«Avrei dovuto ricordarmelo prima.»

«È vero. Ma arrivati a questo punto conta che tu lo abbia ricordato. Non importa se prima o dopo. Stai cercando di fare il padre come avresti dovuto e io sto cercando di fare la madre che si sarebbe meritato di avere.»

«Sei stata una brava mamma.»

Lo pensava davvero; aveva visto quanto avesse cercato di essere presente con entrambi, e anche quando era Shuzo a mandarla via, lei faceva di tutto per esserci, fosse stato anche per rimanere fuori della porta della camera. Yumeko però scosse il capo.

«Non come avrei dovuto. Abbiamo sbagliato tutti e due. Ora non mi resta che provare a rimediare come posso. Per questo volevo parlarti dei nostri figli…»

Akio tornò ad abbassare lo sguardo sulla tazza. Prese un sorso più corposo di tè. Yumeko gli era parsa diversa dal solito. Non avrebbe detto severa, perché non lo era mai stata in passato, ma di certo aveva un’aria seriosa che gli smosse l’animo.

«Qualcosa in particolare?»

«Sì. E preferirei non girarci intorno, perché sarebbe inutile. Non ho più motivo di indorarti la pillola. Inoltre, da qui a qualche anno lo capiresti anche da solo, quindi meglio darti il tempo di abituarti all’idea. Sei sempre stato poco incline ai cambiamenti.»

Akio la osservò prendere fiato, e si rese conto che non aveva mai abbassato lo sguardo da che si erano seduti al tavolo.

«Shuzo è gay.»

 

Yumeko aveva deciso fin da subito che avrebbe trattato la faccenda separatamente, per ciascun figlio, in modo che Akio da un lato non si distraesse e dall’altro accusasse un colpo alla volta.

Decidere di partire da Shuzo le era risultato ovvio, perché se suo marito voleva davvero cercare di ricucire un rapporto con lui, allora era meglio se si fosse trovato subito davanti questa realtà per vedere come avrebbe reagito. Lei se n’era già fatta un’idea ed era pronta a rispondere con durezza, ma dopo i primi, calcolati istanti di sorpresa, Akio rimase in silenzio: yunomi tra le mani, occhi sgranati e bocca aperta di un filo. Più che infuriato, pareva stordito.

«Oh.»

«È così.»

Akio ci pensò ancora, sempre con quell’aria smarrita che non accennava a far partire l’attacco, le urla, la rabbia. Spostava lo sguardo dalla tazza a dei punti indefiniti della stanza. Poi strinse gli occhi, in cui balenò una sorta di illuminazione.

«Quindi… Aspetta, ma per caso… lui e Mamoru…»

«Non credevo te ne fossi accorto.»

«A dire il vero, non ci avevo pensato fino a che non mi hai detto che… In quest’ottica diventa quasi ovvio.»

Fu il turno di Yumeko di sentirsi stordita, perché l’attacco e le urla che stava aspettando tardavano ancora e, a giudicare dall’espressione di suo marito, non si sarebbero fatte vedere neppure in seguito.

«E… i suoi genitori lo sanno?»

«Sì. Con Rina parliamo spesso dei ragazzi e, quando è presente, interviene anche Hisoka.»

«A loro sta bene?»

«Certo.»

Akio annuì, fece cadere gli occhi su un punto non meglio precisato e alla fine accennò col capo con maggiore decisione.

«Okay.»

Yumeko lo fisso, sbatté le palpebre più volte, immaginando che quella fosse una sorta di allucinazione e l’espressione calma che gli leggeva in viso venisse soppiantata in un attimo da una furente.

«Okay?» fece eco.

«Sì, è okay.»

«E non ti arrabbi? Non sbraiti qualcosa sull’onore o sulla vergogna del buon nome di famiglia?»

Yumeko cercava di vedere suo marito da una qualsiasi prospettiva che le facesse capire cosa gli passasse per la testa, perché fino a qualche anno prima sarebbe stata in grado di prevedere ogni sua mossa, mentre adesso era un’incognita che parlava per rebus. A volte poteva aprirsi e gettare fuori una quantità indigesta di notizie sul suo mondo interiore, ma poi tornava a serrarsi in silenzi lunghi cui si era abituata e frasi che avevano imparato a non ferire, ma che spesso le solleticavano il naso con l’odore della menzogna.

«Forse prima lo avrei fatto. Avrei risposto davvero così.» Akio increspò appena le labbra solo da un lato. «Ma adesso… Il nome della famiglia? È da un anno che io e papà non ci parliamo, del nome dei Morisaki non m’importa niente e, in fondo, non si tratta di gang, prigione o gente pestata a sangue.» Allargò le braccia e sollevò le spalle, il sorriso divenne più ampio, ironico e rassegnato agli eventi che li avevano travolti. «Che sia omosessuale è la cosa più normale che tu mi abbia detto di nostro figlio. Magari fossero stati questi i problemi con Shuzo, sarebbe stato tutto risolto da tempo e noi non saremmo mai… non così, almeno.»

Anche se continuava a rimanere di troppe poche parole, quelle che Akio aveva iniziato a dire erano davvero diverse dal passato. Stava cambiando costantemente, un passo alla volta e con i suoi tempi, che potevano sembrare lunghi, ma rivelavano modifiche concrete. Quella era l’ennesima che le aveva messo davanti: Akio accettava suo figlio con tutte le differenze e difficoltà. Lo accettava perché non rinnegava più l’appartenenza che nutriva nei suoi confronti né il possesso.

«Sono davvero sorpresa.»

«Già… a volte anch’io mi sorprendo di quanto possa essere semplice dire la cosa giusta, quando in passato non ne ho azzeccata nemmeno una.»

«Non guardare sempre al passato. Guarda avanti.» Yumeko poggiò le mani sulle sue ancora attorno alla tazza. Le strinse per qualche istante e poi le ritrasse. «Stai cercando di avvicinarti a Shuzo, anche se ti rifiuta. Io queste cose le vedo, sono importanti e le apprezzo davvero.»

Akio abbassò lo sguardo sulla yunomi e fece per portarla alle labbra, ma Yumeko non aveva finito e adesso arrivava lo scoglio più grande: se lui fosse stato capace di abbattere anche quello, se fosse stato capace di sopportarne le conseguenze allora avrebbe potuto davvero covare una piccola speranza che la sua famiglia riuscisse a trovare finalmente un equilibrio stabile.

«Anche Yuzo era gay.»

Akio sollevò il capo di scatto, poggiò la tazza sul tavolo con un colpo secco che fece saltare tre gocce di tè oltre il bordo.

«No.»

«Sì.»

«No, ti ho detto!»

«E io ti sto dicendo di sì.»

«No, non è possibile! L’avrei saputo! Lui me l’avrebbe-»

«Cosa? Detto? Credi che te ne avrebbe parlato, Akio? Davvero? Tu sei quello che ha picchiato suo fratello, ricordi? Che lo ha disconosciuto, rifiutato, messo nella condizione di andarsene di casa. Tu sei quello che li ha costretti a vivere separati, sei proprio convinto che sarebbe venuto da te? Che si sarebbe fidato di te? Su quali basi?»

«Te lo ha… detto lui?»

«No. Non si fidava neanche di me. Siamo stati dei genitori orribili, Akio. Orribili. Perché abbiamo permesso ai nostri figli di non avere fiducia in noi. Che Yuzo fosse gay l’ho capito da sola, col tempo, e poi Shuzo me lo ha confermato.»

«Com’è possibile… Io lo vedevo, lui usciva sempre con i suoi amici, usciva sempre con…» Una nuova illuminazione nello sguardo di Akio, che generò una reazione dolorosa. «Non dirmi che anche lui… per Mamoru…»

Con il mento poggiato nella mano, Yumeko rispose con un sorriso, e poi gli raccontò della triste storia d’amore di suo figlio Yuzo, di un finale che non c’era mai stato e di come la tristezza fosse passata da una mano all’altra, da un cuore all’altro, tramandata da Yuzo a Mamoru, che aveva capito troppo tardi di ricambiare quel sentimento mai confessato e che per cercare di liberarsi di un simile peso aveva costruito il Mori no Kokoro come dono d’amore.

Akio ascoltò tutto senza interromperla mai, entrambi si dimenticarono del tè che smise a poco a poco di fumare. Yumeko toccò tutti i tasti più dolenti e gli raccontò anche di quel video che l’aveva convinta a metterlo davanti alla verità che ancora ignorava. Akio non diede pace alle proprie mani, se le passava sul viso, si copriva le labbra, cercava qualcosa da dire ma non la trovò e quando lei ebbe finito, rimase in silenzio, con lo sguardo fisso in un punto imprecisato per una decina di secondi.

In Yuzo, Akio aveva riversato tutto quello che non era riuscito a dare a Shuzo, raddoppiato il suo amore e le aspettative, raddoppiato l’orgoglio per quel ragazzo tanto diligente e bravo e che sarebbe diventato un campione. Per Akio, Yuzo era sempre stato tutto, e gli alti e bassi che tra loro avevano conosciuto – come conseguenze del rapporto con Shuzo – li aveva dimenticati in fretta ogni volta.

Yumeko sapeva di avere inflitto un duro colpo alla concezione molto idilliaca del rapporto che credeva di avere con suo figlio, per questo non si stupì quando lo vide alzarsi.

«Se mi cerchi sarò nello studio.»

Ma non c’era traccia della durezza che aveva sempre caratterizzato suo marito quando la vita e gli eventi gli mettevano davanti i loro imprevisti più subdoli. Non c’era la testa alta, non c’era la reazione, non c’era l’essere forte, tutti cari ai dogmi dei Morisaki. Le spalle di Akio erano curve mentre lasciava la cucina, il suo passo incerto e il capo chino.

«Anche questa è andata…» sospirò, quando si trovò di nuovo sola e con la mente volò ai suoi figli. «Ci perdonerete mai per aver sbagliato tutto?»

 

Akio raggiunse il salotto solo perché il suo corpo conosceva quella casa a menadito. Dentro provava una sensazione strana: uno sfarfallio continuo tra cuore e polmoni e poi nella testa. I piedi andavano avanti, ma non li percepiva. Lo spazio sembrava correre, lui era troppo lento e il fiato troppo corto. C’erano formiche bianche davanti agli occhi, tante formiche che mangiavano la vista. Una sensazione di caldo improvviso e soffocamento lo portò a spuntare i primi bottoni della camicia, ma non bastò.

Anche Yuzo era gay.

No! Non è possibile! L’avrei saputo!

Akio raggiunse la vetrata del salotto appoggiandosi sul basso tavolino con tutto il suo peso. Il respiro era affaticato, la testa leggera, il petto pesante.

La cornice che spostava di continuo gli cadde sulle mani. Aggrappò gli occhi al retro di color marroncino. Poi la sollevò e Yuzo sorrideva con il diploma stretto nella mano; in piedi, al suo fianco, si circondavano le spalle a vicenda.

Che cazzo gli hai fatto?!

Gli esplose all’orecchio, nemmeno Yuzo fosse lì accanto e glielo avesse appena urlato da distanza ravvicinata… come quella volta.

 

«Le mani addosso a mio fratello non ce le metti, hai capito?!»

«Ascolta-»

«No, cazzo! Non mi toccare! Che schifo di uomo sei?!»

«Che modo di parlare a tuo padre?!»

«Padre?! Che picchia i figli a sangue?! Vuoi picchiare anche me? Dai, fallo! Forza! Provaci! Provaci!»

«Vedi di darti una calmata, ragazzino!»

«Sì, esatto, sono un ragazzino! Lo siamo tutti e due, te lo sei scordato?! Shuzo è un ragazzino come me e tu sei un vigliacco!»

«Yuzo… non fate così… vi prego, non fate così…»

«E come dovremmo fare, mamma? Hai visto come lo ha ridotto?! Lo guarda come fosse spazzatura, ma siamo tutti e due figli suoi! Perché lo trattate in questo modo?! Che cosa vi ha fatto di male?!»

«Niente, tesoro mio, niente…»

«Se mi ascoltassi invece di gridare come-»

«No! Io non ti ascolto più. Tu con me hai chiuso. Non toccare mai più mio fratello, o sarò io a toccare te!»

 

Non si rivolsero la parola per mesi mesi. Yuzo non gli rispondeva, non lo guardava in faccia, e quando se ne andava nella serra aveva imparato a chiudere la porta, proprio come faceva Shuzo. Si comportava allo stesso modo e, forse, anche peggio: Shuzo aveva opposto comunque sempre un certo ardore nei loro scontri, come se andasse a fuoco, mentre Yuzo lo trattava con una freddezza che divorava le ossa. Era stato difficile, surreale e aveva temuto davvero che tutto si spezzasse definitivamente.

Che anche Yuzo, come Shuzo, smettesse di rispettarlo, si cacciasse nei guai, rovinasse la sua vita.

Il timore di fallire era un’altra volta appostato dietro l’angolo.

Poi si erano confrontati, avevano ripreso a parlarsi, il clima in casa si era calmato senza le tensioni con Shuzo – che restava chiuso in riformatorio. Qualcosa, dentro di lui, gli aveva sussurrato di continuo che dietro al confronto con Yuzo ci fosse la mano di quel figlio tenuto a distanza che era convinto di odiare e di essere odiato con la stessa forza, e che invece non aveva mai smesso di amare anche se lui, davvero, veniva odiato. Un odio pari al suo amore. Sentimenti così forti che avrebbero finito con l’ucciderli a vicenda, prima o poi.

Ma i suoi occhi, ora, erano su Yuzo, su quella foto di diploma che sembrava dire che la tempesta era stata lasciata alle spalle e quindi non c’era nulla da temere. Suo figlio era il ragazzo migliore del mondo: bravo, generoso, con il successo a portata di mano. Un ragazzo che lo abbracciava e sorrideva perché tutto andava bene, perché era felice.

E invece, d’improvviso, Akio fu in grado di vedere tutte le bugie nascoste dietro quel sorriso.

Nessuna felicità, nessuna serenità. Il successo, sì, ma pagato come?

Yuzo lo abbracciava sorridente, ma non aveva alcuna fiducia in lui, gli aveva nascosto le difficoltà e i pensieri più duri. Gli aveva nascosto l’altra faccia della medaglia, quella buia, premuta contro il petto, aveva mostrato solo l’oro che rendeva tutti felici e soddisfatti.

Ma che ne era stato di suo figlio? Chi era stato davvero? Quanto aveva sofferto?

Akio strinse con forza la cornice. L’immagine di Yuzo vacillò, si appannò e infine venne affogata dalle lacrime che aveva negli occhi, perché non aveva mai capito niente e aveva visto solo ciò che aveva voluto vedere. Aveva lasciato che gli mostrasse solo la superficie bella. Specchietto per le allodole della sua serenità.

«È colpa mia… è colpa mia, mi dispiace tanto. Mi dispiace, non ti ho mai capito… non vi ho…»

Serrò i denti, ma le lacrime precipitarono come goccioloni di pioggia estiva. Akio immerse il viso contro il vetro della foto, la tenne stretta più che poté, e si piegò come un salice. Nel petto il cuore faceva male, ma era un dolore concreto e niente più sfarfallava nella sensazione di essere sull’orlo di disfarsi: lui era tutto intero e a essersi disfatto era quel cuore che non si era solo spezzato ma sbriciolato davanti alla salma dagli occhi chiusi e dalla pelle fredda. Intera era anche la sofferenza. Ne sentì il peso sulle spalle, sulla schiena, lo sconfisse poco alla volta perché era martello e lui un chiodo arrugginito.

«Io sarei sempre stato orgoglioso di te… sempre, sempre, sempre…»

Akio toccò il pavimento con le ginocchia. Attaccato a quella fotografia che era ciò che gli rimaneva di Yuzo, tutta la propria colpa, e la tenne stretta come l’abbraccio della Terra stringeva suo figlio, ora. Gli aveva rubato il posto e non gliel’avrebbe restituito mai più. A lui aveva lasciato solo un cuore in polvere, il vuoto e un sorriso di mille bugie.

 

 


 

 

Note Finali: …e si riparte da qui. Da questo padre che non ha mai mostrato davvero quanto fosse distrutto per la morte di suo figlio, e che ci prova a recuperare con l’altro, ci prova… ma è difficile (Shuzo la rende difficile, e non gli si può dare torto).

E poi arrivano quelle scoperte che un po’ ti troncano le gambe nel momento in cui pareva ti stessi rimettendo in piedi.

Akio è un personaggio che cade, dopo aver passato una vita sempre in piedi, dritto e fiero.

Ma questo è l’inizio, siamo ripartiti dal punto più basso: la Terra, uno degli elementi principali dell’ikebana. Sono proprio questi tre a fare da sottotitolo alla raccolta il cui nome, ‘Jikan’, significa TEMPO.

E il tempo è ciò che passa sopra, sotto e dentro i personaggi.

Bentornati al Mori no Kokoro. <3

 

 

   
 
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