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Autore: Spoocky    25/11/2019    2 recensioni
Missing moment fra "Duello nel Mar Ionio" ed "Il Porto del Tradimento": l'equipaggio della Surprise affronta le conseguenze dello scontro con le navi turche. Una battaglia che ha segnato tutti profondamente, in modi diversi.
La versione precedente di questo racconto è stata pubblicata con il titolo "Words and Scars". Il titolo è una citazione dal paragrafo iniziale de "Il Porto del Tradimento" che ha ispirato questo racconto.
Genere: Angst, Guerra, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing moments in Patrick O'Brian'
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Disclaimer: contesto e personaggi appartengono agli aventi diritto, non guadagno nulla da questa pubblicazione se non gli ortaggi che mi lanciano i lettori e che costituiscono il mio unico sostentamento dato che, ripeto, non guadagno nulla da questa pubblicazione.

Buona Lettura ^^


Pullings non riprese conoscenza per diverse ore: rimase disteso nella sua branda, senza muovere un muscolo e respirando a malapena. Il torace gli si alzava ed abbassava con discreta costanza, ma i movimenti erano erratici e superficiali.
Inchiodato al suo capezzale, Stephen sorvegliava le sue condizioni con ansia crescente: le pulsazioni erano ancora deboli e troppo rapide, tanto che sempre più spesso si trovava ad afferrare la mano pallida del suo paziente per tastarne il polso. La cute, prima gelida e sudata, andava scaldandosi con una costanza inquietante, finché il termometro si settò sui 102° Fahrenheit[1].
L’esperienza gli diceva che il giovane aveva appena subito un duro colpo e che aveva bisogno di tempo per riprendersi, che gli avrebbe fatto solo bene riposare qualche ora. D’altro canto temeva che il coma si prolungasse fino a sfociare nell’agonia, quindi osservava con inalterata concentrazione ogni movimento del giovane, prestando attenzione ad ogni cambiamento.

Ai quattro colpi della guardia del pomeriggio[2] , finalmente Pullings riaprì l’occhio e chiese un sorso d’acqua con voce flebile. Per non sforzare la sua mascella danneggiata e non provocargli il vomito, gli bagnò le labbra con una garza prima di introdurvi il cucchiaino.
Debole com’era, il ferito accolse quel misero sollievo senza un fiato: rimase disteso immobile, le palpebre semichiuse, lasciandosi imboccare come un bambino. Quando Stephen ripose il cucchiaio nella tazza schiuse le labbra con l’intenzione apparente di dire qualcosa, ma venne travolto da un brivido e sprofondò con la testa nel guanciale.
In un impeto di pietà, Stephen gli rimboccò addosso le coperte e posò la mano appena sopra il bendaggio per accomodargli il capo sul cuscino, che non dovesse poi avere a soffrire per aver tenuto troppo a lungo il collo in una posizione scomoda. Stava per ritornare all’immoto silenzio della sua veglia quando un bussare nervoso scosse la porta.

Era talmente teso che sobbalzò sulla sedia ma si ricompose in un batter d’occhio e riuscì a dissimulare del tutto la propria inquietudine nell’invitare l’ospite inatteso ad entrare.
Il cipiglio perennemente imbronciato di Preservato Killick gli parve anche più corrucciato del solito quando fece capolino oltre la porta reggendo un vassoio.
Mugugnando un saluto, il famiglio s’introdusse nell’angusta cabina e depose una fondina ancora fumante sul minuscolo stipo che faceva da comodino prima di borbottare: “Ecco qui, Eccellenza: un bel piatto di minestra. E sarebbe che non è mica la solita minestra secca. Nossignore: questo qui è proprio un bel piatto di minestra fatto come si deve, con anche i pezzettini di gallina bollita dentro. Proprio quello che ci vuole quando si è malati, sissignore! Un bel piatto di minestra con tutti i crismi, bello caldo e saporito.”  Impossibile stabilire se stesse parlando a Stephen o se si fosse convinto che il tenente Pullings, dal profondo del suo torpore febbrile, potesse in qualche modo sentirlo. I suoi occhi però non abbandonarono mai il volto bendato dell’ufficiale e, nella penombra della stanzetta, le sue rughe parvero accentuarsi. 
Quali che fossero le sue speranze, tuttavia, fu un medico di bordo particolarmente spazientito a rispondergli: “Sono sicuro che il tenente Pullings sarebbe grato di tanta premura. Adesso fare dietrofront e levare gli ormeggi, se non è di troppo disturbo.”
“’gnorsì.” Brontolò il famiglio, ed uscì dalla cabina camminando all’indietro come un gambero.


Ai sei colpi della guardia del pomeriggio[3] la febbre di Pullings era salita a 103°[4] e Preservato Killick indisse una riunione straordinaria sulla coffa di maestra, ritrovo abituale suo e dell’amico Barrett Bonden. Entrambi erano compagni di navigazione dell’ufficiale ferito da lungo tempo ed entrambi avevano sufficiente esperienza di ferite per rendersi conto di quanto la situazione fosse grave.

Rimasero per tanto qualche minuto a fissarsi in silenzio fino a quando il famiglio si decise a sbottare: “Certo che non ha proprio un bell’aspetto!”
“E’ una brutta ferita.” Convenne Bonden, sopprimendo un brivido forse per la prima volta in vita sua.
“Bah, quella nemmeno l’ho vista.” Brontolò Killick “E’ solo che se ne sta lì, immobile, bianco come uno stoccafisso e tutto sudato. Ha la faccia tutta coperta dalle fasce, con qualche spruzzo di sangue qui e là. Se non sapevo che era lui non l’avrei manco riconosciuto!”
Il timoniere annuì comprensivo, poi un pensiero gli attraversò la mente, troppo pressante per non darvi ascolto: “Ma, dimmi: come sta? Soffre molto?”
“Per ora non si lamenta. E’ solo fermo lì, a sudare e ansimare come una balena spiaggiata. Non si muove e non parla. A vederlo così, uno potrebbe anche dire che…” s’interruppe bruscamente per battere le nocche sul legno della coffa, subito imitato dal timoniere “Beh. Hai capito, no?”
“Sì. Ma c’è il dottore con lui, no? Vedrai che quello lo rimette a nuovo.”
“Ah! Se è per quello il dottore gli sta appiccicato come una cozza, giorno e notte. Non lo perde d’occhio un attimo, non lo perde! Però anche lui dice che la situazione è brutta come la fame e che peggiorerà ancora.”

Se anche i due avessero avuto altro da dirsi non poterono farlo perché la voce poderosa del capitano li raggiunse dal cassero anche nel loro ventoso rifugio: “Killick! Un bricco di caffè per il dottore! Muoversi: dev’essere pronto prima di subito!”
 


Erano appena scoccati i due colpi della prima comandata quando Jack scivolò silenziosamente nel quadrato deserto per accostarsi alla porta della cabina di Pullings.
Stava per bussare quando dalla stanza provenne il rumore inconfondibile di un conato, subito seguito dal  brusio di Stephen. Il suo udito non era abbastanza fine da permettergli di capire cosa dicesse ma intuì che stesse cercando di tranquillizzare il suo paziente. Le sue parole furono interrotte dal suono di altri e più violenti conati e Aubrey si ritrasse dalla cabina con il cuore pesante: sapeva che Tom non avrebbe sopportato di essere visto in quello stato, non da lui almeno.
Questo, e la distanza tra i loro due gradi gli impedivano di stargli vicino come avrebbe voluto.
Se però era carente di Fede verso l’Eterno, non lo era in fiducia nelle abilità di Stephen e fu particolarmente grato in quel momento di averlo a bordo. Poteva lasciare il suo comandante in seconda nelle sue mani di medico con la stessa serenità con cui gli avrebbe affidato la propria vita.
Nell’uscire dal vuoto antro del quadrato gli sovvenne di avere in Pullings la stessa fiducia cieca che aveva in Stephen, sebbene in ambiti del tutto diversi. Gli fece male, quel pensiero, e di nuovo tornò ad incupirsi pensando alle gravi condizioni in cui versava il tenente.

Con fatica si trascinò nella sua cabina mentre le ferite del giorno precedente si facevano sentire nella buia umidità della notte, e si gettò sulla branda in camicia, dopo aver sparso vestiti ovunque.
Era destino però che quella dovesse essere una delle pochissime notti della sua vita in cui non gli riuscisse di prendere sonno perché, proprio nel momento in cui posò il capo sul cuscino, alle sue orecchie giunse un gemito che non aveva nulla a che fare con i consueti cigolii della nave.
L’esperienza gli permise di riconoscere il lamento di un uomo sofferente e gli si strinse il cuore nel petto pensando a Tom Pullings che languiva nella sua branda poche braccia sotto di lui.

Mai come in quelle occasioni gli capitava di sentirsi inutile e fuori luogo: se non aveva avuto problemi a proteggere il corpo del tenente sul ponte insanguinato della Torgud ora non era in grado nemmeno di offrirgli una parola di conforto o una stretta di mano per dargli almeno un poco di sollievo durante quel calvario. Quella mattina si era sentito fuori luogo ed impotente, come non gli capitava dalla nascita delle bambine.
Immobile accanto al tavolo operatorio non aveva potuto far nulla per alleviare il dolore atroce del suo secondo e anche in quel momento cosa avrebbe potuto dirgli? Cos’avrebbe potuto fare per aiutarlo?
Bastava Stephen a reggergli la fronte e sicuramente lui aveva già tutto quello che poteva servirgli.

Dopo quasi due ore trascorse a rimuginare riuscì finalmente ad addormentarsi ma il suo sonno venne tormentato da visoni di corpi straziati da orrende ferite, alcuni immobili e pesanti tra le sue braccia, altri tormentati e agitati nelle loro brande, alcuni piccoli quasi come bambini, altri alti e magrissimi. Non riconobbe in loro i suoi compagni di navigazione. Prima Dillon, poi Stephen ed infine Pullings.
Quegli incubi lo accompagnarono fino al mattino, quasi fosse anche lui in preda ad un delirio febbrile.
 


Qualche braccio sotto la branda di Jack, nemmeno Stephen e Pullings stavano trascorrendo una nottata tranquilla. Confinato nella sua branda sospesa, il tenente ansimava e tremava come una foglia. Il dolore alla testa gli impediva di muoverla sul cuscino ma le sue mani pallide vagavano senza sosta sulle coperte, come in cerca di un appiglio introvabile, e le sue gambe si agitavano sotto le coltri.
Quando la campana aveva chiamato sul ponte la prima comandata aveva pensato di dover essere di guardia e aveva tentato di alzarsi. Stephen aveva temuto seriamente di doverlo legare ma il dolore si era rivelato un deterrente sufficiente a farlo ricadere stremato sui cuscini. Non riusciva nemmeno a stare seduto.
La febbre gli si era alzata ancora e, quando il medico estrasse il termometro dalle sue labbra esangui vi lesse un orrendo 104°[5].
Provvide a somministrare subito un cucchiaio di corteccia di china e a posargli degli impacchi freddi sul collo e sul petto, ma nemmeno quelli gli diedero sollievo.

La temperatura alta aveva esacerbato il dolore e la nausea causate dall’orribile ferita, ma il gusto amaro della medicina fu il colpo di grazia. Stephen ringraziò la Provvidenza per avergli suscitato il pensiero di stendere un asciugamano sul cuscino del suo paziente quando questi fu travolto dal primo conato e, troppo debole per sporgersi dalla branda, voltò la testa di lato. Sebbene la differenza di peso tra i due fosse notevole, il medico riuscì a metterlo seduto e a porgli un catino in grembo.
Nel reggergli la fronte mentre sussultava per effetto dei conati, Maturin alzò gli occhi al cielo: ‘Santa Vergine!’ pensò in un parossismo di preoccupazione ‘Fate che non gli si strappino i punti, non sopporterebbe un altro intervento.’
Se per intercessione della Vergine o per la terrena abilità del chirurgo sarebbe stato impossibile stabilirlo, ma i punti ressero a quella prova estrema e pochi minuti dopo Stephen poté riadagiare il capo bendato del suo paziente sul cuscino. Gli somministrò due cucchiai d’acqua ed un terzo di china, raccomandandogli di cercare di tenerli giù il più possibile.

Vedendo quanto la febbre lo faceva soffrire, si risolse infine a sciogliere il bendaggio.
La ferita aveva spurgato ancora e le garze che componevano l’ultimo strato dell’accurata medicazione erano incollate alle suture. Stephen adoperò tutta la delicatezza in suo possesso per rimuoverle ma l’operazione causò comunque molta sofferenza al suo paziente, che emise un lamento straziante.
“Va tutto bene, Tom.” Gli sussurrò il medico, scostandogli piano i capelli dal viso “So che fa male ma adesso vi darò qualcosa che vi farà stare meglio.”
L’unica risposta che ricevette fu un altro gemito inarticolato, ma non c’era da sorprendersi: Pullings stava bruciando di febbre.

Stephen prese delle garze pulite e le imbevve di spirito di vino, per poi posarle con cautela sulla ferita e tamponarne i labbri con grande cura.
 Poco a poco, i lineamenti contratti del tenente si distesero grazie alla sensazione di fresco apportata dall’alcool ed emise un sospiro di sollievo: “Dottore, siete un angelo!” un ansito appena udibile. Con la mandibola malridotta e bloccata dalle bende le sue parole erano a malapena comprensibili anche per l’orecchio allenato del dottore, che però si sforzava di interpretarle.
Un angolo della bocca di Maturin dunque si sollevò appena quando comprese il senso di quella esclamazione: “Vi sentite meglio?”
“Fa ancora male ma… meno.” Tese la mano nella sua direzione approssimativa “Non andate… per favore.”
“Shh. Sono qui.” Gli prese la mano e se la strinse al petto “Cercate di riposare, ora: siete esausto e avete bisogno di dormire.”
Il tenente contrasse le dita sulla mano di Stephen e si abbandonò sul cuscino con un sospiro.
Senza lasciargli la mano, il medico si chinò su di lui per scostargli di nuovo i capelli dal volto: “Sono qui.” Ripeté “Non vi lascio, state tranquillo.”
E tenne fede alla sua promessa.

La prima comandata fece il suo corso e venne seguita dalla seconda, ma medico di bordo della Surprise non si mosse dalla sua sedia al capezzale del comandante in seconda. Teneva una mano avvolta intorno a quella del giovane, tastandogli costantemente il polso con due dita. Con l’altra faceva scorrere in silenzio i grani di un rosario, affidando il suo paziente alla Grazia divina.
Quando, con il passare delle ore, battito e respiro acquisirono la regolarità di un sonno profondo parve evidente che il ferito avrebbe superato la notte. Solo allora Stephen si abbandonò sulla sedia, sprofondando in un sonno senza sogni dettato dallo sfinimento.

Note:
[1] 38,9° Celsius
[2] Le 14:00
[3] Le 15:00
[4] 39,4°C
[5] 40°C
  
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