CAPITOLO QUARANTASETTE
Il mattino successivo mi risvegliai di buon umore. Tra mia
madre e George era andato tutto benissimo, avevamo cenato assieme e avevamo
avuto modo di trascorrere un po’ di tempo assieme.
Mamma aveva conosciuto Kira, la nostra cagnolina, che fino a
quel momento non aveva mai visto. Aveva ricevuto molte feste da parte
dell’animale e la sua serenità era stata tangibile.
Quella serata rilassante mi aveva calmato un po’ dopo un
periodo davvero molto teso.
Mia madre poi nel dopo cena era tornata a casa sua ed io e il
mio compagno eravamo andati a letto sereni, parlando del più e del meno,
persino delle galline. Sapevo che avrei dovuto tornare ad affrontare l’inferno
l’indomani mattina, però almeno avevo conosciuto un attimo di tregua.
Non mi sbagliavo, poiché la giornata che mi attendeva fu
piena di colpi di scena che ancora ricordo perfettamente.
Giunta a lavoro, Virginia mi accolse con il suo solito bel
sorriso. Fu in quel momento, per la prima volta, che feci caso a quel cliente
assiduo che spesso si intratteneva volentieri a parlare con lei. Si tratta di
un signore di una certa età, dall’apparenza gentile.
Mentre la mia datrice di lavoro stampava scontrini e
maneggiava monetine, lui si posizionava lì a fianco alla cassa e non mollava di
un centimetro. Idem la signora non sembrava disdegnare tale presenza.
Nei giorni precedenti avevo notato la presenza dell’uomo ma
non ci avevo fatto caso, d’altronde capitava seppur di rado che qualche avventore
avesse voglia di scambiare due parole con la rigida proprietaria. Ora tuttavia
mi sembrava tutto alquanto più strano.
Mentre di tanto in tanto riservavo qualche occhiata
incuriosita ai due, lavoravo di buona lena. Per fortuna ero già
multitasking.
Alla fine a strapparmi dalle vicissitudini lavorative e dalla
mia curiosità fu un’improvvisa apparizione. Un donnone che aveva appena varcato
la soglia del locale e che aveva un’aria tremendamente famigliare.
Quasi mi si rovesciò la tazzina di caffè che stavo per
servire al primo tavolo.
E quella figura cercava me, ed era… lei.
Irina.
Un momento di vuoto, quello successivo. Ero certa, ormai
l’avevo riconosciuta.
Anche lei mi aveva visto e subito si mosse verso di me.
Porsi in fretta la tazzina all’avventore e restai a fissarla
mentre si avvicinava.
“Cosa ci fai qui?” sibilai non appena l’ebbi a portata di
voce. Ero… non sapevo nemmeno come definirmi… forse sconvolta, sul momento.
Presa in contropiede, eppure allo stesso tempo così desiderosa di sfoderare le
unghie e di difendermi.
Mi aspettavo che fosse giunta fin lì per attaccarmi. Sapevo
che mi avrebbe colpito, ero in attesa del suo affondo, eppure non appena mi fu
vicina notai che non mi stava affrontando, anzi, era a testa bassa.
Irina si affrettò a passare un fazzolettone bianco sul suo
viso.
“Io dovere parlare” si limitò a dirmi.
“No, a me invece non va affatto” ribadii arrabbiata e con
tono perentorio, “sto lavorando, non vedi? Sloggia!”.
Al cospetto della mia aggressività da persona ferita, il
donnone parve rincassarsi nelle spalle e farsi più piccola.
Il cuore mi batteva a mille; non riuscivo a capire cosa
volesse, e perché fosse lì. Ci mancava solo che qualche mio collega notasse la
mia foga e iniziasse a prepararmi qualche tranello.
Con lo sguardo setacciai l’ambiente affollato e notai che
nessuno ancora stava facendo caso a noi due, e che Virginia continuava a
parlare con quell’uomo. Ero ancora in tempo per salvarmi in qualche modo.
“Ti prego… io dovere dire…” insistette la mia fastidiosissima
interlocutrice.
“Senti, se proprio devi dirmi qualcosa torna durante la mia
pausa pranzo, dopo mezzogiorno. Adesso vattene” e gli diedi le spalle,
andandomene.
Raccolsi un paio di tazzine e le portai al bancone senza
voltarmi indietro, rabbiosa e nervosa. Temevo che Irina volesse davvero
mettermi in imbarazzo anche sul posto di lavoro, che quella fosse una
messinscena per rovinarmi la vita anche lì. Non mi passò per la mente di agire,
di telefonare alle forze dell’ordine oppure anche solo di avvisare la mia
datrice di lavoro, il nervoso era tanto e anche la paura che qualcosa venisse a
galla.
Ancora una volta lasciai correre, credendo che fosse finita
così. E invece, a mezzogiorno e dieci minuti, Irina tornò a ripresentarsi al
bar, cogliendomi seduta nel mio solito tavolino appartato a sorseggiare un
bicchiere di coca-cola.
“Andiamo al sodo” le dissi, puntandole il dito contro non
appena la vidi. La domestica non si lasciò affatto intimorire dal mio atteggiamento
aggressivo, quella volta, e si sedette al lato opposto del piccolo tavolo da
bar.
“Mi sono rotta il cazzo che tu faccia chiamate e casino. Io
sto per sposarmi, non so se mi capisci, quindi sono felicemente innamorata e
Piergiorgio mi ricambia, fattene una ragione” proseguii, irritata dal suo
solito modo di fare alquanto tranquillo. In quel momento però le carte in
tavola erano posizionate in modo differente rispetto a quella mattina, quando
mi aveva colta di sorpresa e mi aveva obbligata ad allontanarla.
Adesso, con il locale affollato e immersa nella mia pausa,
oltre che abbastanza appartate e lontane da orecchie indiscrete, potevamo
sembrare solo due conoscenti che dibattevano vivacemente. Era quindi ora di
chiudere quella sorta di tira e molla, di annientare la presa che mi stava
soffocando da alcuni giorni.
“Se sei tornata per raccontarmi di nuovo la cazzata, be’,
tornatene da dove sei venuta. Se vuoi denunciare fai pure, tanto verrà a galla
chi sei veramente, che sei solo una falsa… fai quello che vuoi, ma vattene,
lasciami in pace, non farmi vergognare davanti a tutti…” andai avanti
imperterrita, tra piccole e fastidiose pause. Quella storia doveva
assolutamente finire.
Ancora Irina giaceva silenziosa e smorta sulla sua sedia, il
fazzoletto bianco tra le mani congiunte all’altezza del petto. Sembrava una
martire al patibolo.
“Io no…” biascicò allora, una volta che avevo esaurito
discorsi e parole.
“Io no cosa?” l’incalzai.
“Te ne devi andare. Hai rotto il cazzo. Sei solo invidiosa,
sei tu la brutta persona” infierii, continuando a notarla vulnerabile. Ma se il
mio intento era quello di debellarla, ebbene non ci riuscii affatto.
“Io non stata” disse infatti, a quel punto imponendosi con
decisione per la prima volta, spalancando gli occhi grandi e azzurri e
avvicinando il viso al mio. “Io non volevo tutto questo. Loro… sì, loro altri
mi han detto di farlo, e adesso io in colpa”.
“Cosa stai dicendo?!” sussultai, al cospetto di parole così
decise e pesanti. “Loro chi?”.
“Lui, tuo ex, e sua nuova compagna. Loro hanno detto a me,
brava persona, di fare telefonate e di promettere denuncia, loro ricattare me e
mia famiglia di fare controlli e rimandarci nell’Est. Noi stare bene qui, non
potere dire no a quello che mi hanno costretto a fare” mi spiegò brutalmente la
donna, e quella volta sembrava davvero sincera. Poi scoppiò in lacrime, che
come fiumi in piena solcarono il suo viso segnato dall’età.
Per l’ennesima volta fui costretta a incassare un colpo che
fu come una pugnalata. Senza parole al cospetto di affermazioni così
devastanti, fu la mia volta di restare in silenzio e di fissare la signora che
avevo davanti.
Davvero il mio ex non si era arreso all’evidenza? Avevo
sottovalutato Marco, oppure la donna si era inventata tutto di sana pianta al
fine di incasinare ancora di più la situazione?
Eppure, con il senno di poi, Irina non poteva sapere niente
del mio ex compagno. Persino George non sapeva quasi nulla a riguardo.
“Come si chiama il mio ex?” le chiesi passato lo
sbigottimento iniziale, e lo feci in modo molto pacato, quasi sottovoce.
“Marco. Lui mi ha detto tuo ex. Suo padre è un uomo ricco, ha
tanti soldi, può sostenere processi o denunciare senza problemi. Sua nuova
ragazza, assieme a lui, odiare te” mi rispose candidamente e senza
tentennamenti. Se prima non sapevo se crederle o meno, be’, i miei dubbi
stavano sparendo tutti, sciogliendosi come neve al sole man mano che la donna
si lasciava andare alla disperazione crescente.
Appariva sinceramente distrutta, e in fondo avevo notato quel
suo rammarico sincero. Cosa dovevo fare? Mi ponevo tante domande ma ero
tormentata, non sapevo come comportarmi.
Se prima avevo creduto che un intervento di Piergiorgio fosse
necessario, adesso facevo un brusco passo indietro. In verità sembrava che
fosse tutto un affare mio. Se davvero Marco era stato la causa di quella
spiacevole situazione, allora volevo cavarmela da sola.
“Saresti disposta a ripetere tutto questo di fronte alla
polizia?” le chiesi, come a volermi assicurare che non mi stesse riempiendo di
bugie. Irina annuì con vigore.
“Sì. Tutto purché mi lascino in pace”.
Socchiusi gli occhi e mi lasciai andare ad un profondo
sospiro, prima di imprecare a mezza voce e di decidermi a far sloggiare quella
scomoda figura da davanti a me.
“Sparisci” le intimai a un certo punto, senza alcuna pietà,
“non parlarmi e non contattarmi mai più. Nemmeno Piergiorgio, intesi?”. Irina
annuì lentamente, asciugandosi ancora le lacrime.
“Verificherò. Se le tue parole sono vere, non avrai nulla da
temere, altrimenti ti beccherai la denuncia. E adesso vattene via, non voglio
vederti mai più” procedetti a dire.
Infatti la confusione iniziale si stava tramutando in un odio
cieco verso il mio ex e quella sua nuova compagna che, a quanto pareva, ce
l’aveva con me. Che fosse ancora quell’oca giovane e senza cervello che avevo
visto al Picadilly qualche mese prima? Ma lei manco la conoscevo, cazzo voleva
da me.
In preda all’ansia e al nervoso più cupo non persi altro
tempo e neppure guardai Irina mentre se ne andava, abbattuta e incassata tra le
spalle. Ero già intenta a frugare con le mani nella mia borsa, alla ricerca del
mio cellulare.
Una volta stretto tra le dita, corsi subito nella rubrica a
cercare quel maledetto numero che avevo bloccato ormai da tempo. Era giunta
l’ora di sbloccarlo e di fare una telefonata importante. Nessuno, da quel
momento in poi, si sarebbe mai più dovuto infiltrare nella mia vita solo per
avere il gusto di rovinarla.
Non quando ero felice, non quando stavo vivendo il momento
più bello della mia vita, amata e in dolce attesa. In procinto di sposarmi.
No, non avevo mai fatto del male a nessuno, e non volevo che
altri fossero così gratuitamente sadici nei miei confronti.
“Pronto?”.
La sua voce gracchiò poco dopo nel mio telefono, rimbombando
quasi fosse un lontano eco.
Deglutii. Se dapprima avevo ritenuto opportuno telefonare a
Marco, presa dalla rabbia più cupa, ora me ne pentivo un poco. Ma non potevo
più tornare indietro.
“Vieni al bar in cui lavoro entro dieci minuti”, sibilo,
seppur senza la decisione che avrei desiderato. Fu però la sua volta di
deglutire, lo percepii.
Immaginavo che sapesse benissimo chi ero, e inoltre doveva
già aver capito che se l’avevo chiamato era perché era accaduto qualcosa di
molto grave.
“Cos’è… successo?”
trovò la forza di chiedere, quasi balbettando.
“Te lo spiego subito, ma corri, che non ho più tempo da
perdere con merde come te” aggiunsi, guadagnando di nuovo sicurezza dopo aver
notato che stava perdendo terreno, “e porta anche la tua nuova ragazza, se ci
tieni. Devo parlarvi, dato che vi sto tanto sul cazzo”.
“Io…”. Sospirò
senza aggiungere altro.
“Subito qui. Tanto so che sei a casa ad annoiarti” e
riagganciai.
E adesso, mi ritrovai a pensare… avevo ormai scoperto la mia
bravura a mettermi nei guai, ma affrontare due bastardi colossali da sola forse
era qualcosa di troppo anche per me. Un guaio immenso, insomma!
Capendo che da sola non ce l’avrei mai fatta, preferii
avvicinare Virginia, ancora alla cassa come suo solito.
“Signora, dovrei chiederle un piacere immenso”. Lei mi fissò
subito con interesse.
“Dimmi tutto, carissima”.
“Tra poco devo chiudere una questione con una… forse due…
persone che mi rovinano la giornata da ormai troppo tempo. Se può… dare
un’occhiata fuori dai vetri che ha di fronte, e se vede che le cose si mettono
male, chiami per favore subito il 112” spiegai con imbarazzo, ottenendo la sua
preoccupazione.
“Ma… cosa mi combini, cara?” mi chiese, un po’ spaesata dalle
mie affermazioni.
“No, nulla, non si preoccupi” mi affrettai ad aggiungere, “è
solo una... precauzione, diciamo così. Le garantisco che in dieci minuti chiudo
la faccenda e sarò pronta per ricominciare il mio turno con puntualità”.
Non le diedi il tempo per dire altro poiché mi volsi verso
l’uscita del locale e mi spicciai a raggiungere il marciapiede, stando attenta
a non uscire mai dal punto in cui Virginia poteva osservarmi. Ero più che
sicura che avrebbe eseguito ciò che le avevo detto, nonostante le dovute
perplessità.
Ci vollero infatti meno di dieci minuti prima che
un’automobile nuova, fiammante e inconfondibilmente da ricconi giungesse a
tutta velocità dopo aver eseguito tre sorpassi azzardati e rischiosi.
Come se anch’essa fosse rabbiosa, la Maserati inchiodò a
qualche centimetro dal marciapiede sul quale mi trovavo io, prima di spegnersi
definitivamente. I finestrini scuri, dai vetri offuscati, non lasciavano
presagire nulla su chi ci stesse dentro, a parte il fatto che ero sicura che si
trattasse di Marco, l’unico sborone che nella nostra cittadina si poteva
permettere un tale lusso.
Lo sportello del guidatore si aprì e infatti mi ritrovai in
meno di un secondo a fronteggiare il mio ex, ormai nemico giurato. Mi guardò
con aria di sfida, almeno all’inizio, poi si raddolcì notando che la mia
determinazione non era svanita.
“Dimmi tutto, principessa” esordì.
“Risparmiati di punzecchiarmi, stronzo” fu l’unica risposta
che ottenne.
Marco mi sorrise, poi richiudendo lo sportello si avvicinò a
me. Faccia a faccia, il suo sorriso non svanì, anzi, si accentuò.
“Ti ho lasciato che eri bellissima, e adesso lo sei ancora di
più. Nel qual caso dovessi rivolermi…”. Gli sferrai un sonoro ceffone,
approfittando della nostra vicinanza. Le sue parole beffarde mi avevano
provocato così tanto che non ero riuscita a trattenermi, ma lui non fece una
piega.
Non si sfiorò nemmeno la guancia che si stava arrossando in
fretta, né cancellò il suo sorriso.
“Vuoi picchiare il mio ragazzo?” domandò con altrettanto tono
beffardo una voce inconfondibile.
Concentrai il mio sguardo alle spalle di Marco e non ebbi
alcuna difficoltà a riconoscere Irene, che stava scendendo dalla Maserati. A
quel punto rimasi così colpita dalla scena che fui costretta a fare due passi
indietro, seppur involontariamente. Quindi…
“Sei… sei tu allora la sua nuova… ragazza?” chiesi,
titubante, come se non ci potessi ancora credere.
“Sono proprio io, cara Isa” disse, sorridendo in un modo
provocante. Si avvicinò a Marco e lo prese a braccetto, avvinghiandosi poi a
lui.
“Credevo stesse ancora con quella giovanissima…” provai ad
affondare la mia lama non appena compresi quanto bastardi fossero quei due
figli di puttana. Irene… la mia amica storica… colei che avevo idealizzato e
che per anni avevo creduto che fosse la mia migliore amica, una vera sorella.
Che fine aveva fatto quella ragazza che mi aveva colpito per la sua sincerità?
Certo, era sempre stata un po’ strana e superficiale, anche un po’ oca a tratti,
però ora più che mai mi sembrava veramente cattiva. Che nulla in lei fosse poi
così casuale. La odiavo con tutta me stessa.
“Invece ha scelto il meglio” ribadì la mia ex migliore amica,
udendo tali parole, “ e ti dirò anche di più; noi stiamo per sposarci. Siamo
una coppia felicissima”.
“Ah” affermai, e a quel punto mi sciolsi un po’, poiché mi
venne da immaginare una certa scena, “quanti soldi ti ha promesso suo padre? Ti
sei lasciata comprare?” infierii. Nessuno dei due fece una piega.
“Be’, io ho sempre amato te, Isa, ma se tu non mi vuoi…”. A
quelle parole stupide di Marco, la sua ragazza reagì strattonandolo e facendolo
tacere.
“Bene, stronza, ci hai rotto il cazzo fino ad adesso. Ci vuoi
spiegare che cazzo vuoi da noi, eh? Non farci perdere altro tempo” esplose
Irene a quel punto, tagliando corto. Anche Marco parve tornare sul pezzo,
diventando serio.
“Al massimo siete voi due che mi avete rotto il cazzo,
sapete?” esplosi. “Avete costretto una persona a telefonare a casa del mio
compagno con delle stronzate assurde. L’avete fatto per farci litigare e
allontanare, ma non ci siete riusciti” compii un passo verso di loro,
rinvigorita dalla rabbia che di nuovo avvertivo premere dentro me, “voglio solo
dirvi questo; se ci riproverete, saranno veramente guai per tutti. Vi voglio
fuori e distanti dalla mia vita”.
I due si scambiarono uno sguardo complice, ma quella volta un
po’ meno sicuro rispetto ai precedenti. Erano certi di essere stati scoperti,
dopo aver udito le mie parole, e restarono in silenzio per qualche lungo
istante.
“Cazzo stai dicendo? Vuoi accusarci di qualcosa, forse? Di
cosa stai parlando?” buttò lì Irene, in un vago e aggressivo tentativo di
spaventarmi.
“Ho una donna che è disposta a denunciarvi per i ricatti che
avete portato avanti contro di lei e contro la sua famiglia. Io e Piergiorgio
siamo pronti a nostra volta a denunciarvi per le calunnie e le falsità con cui
ci avete perseguitato a casa nostra e sul mio posto di lavoro. Il resto lo
sapete benissimo”. Non persi un centimetro, mentre la coppietta invece sembrava
più allo sbaraglio.
“Non sappiamo di cosa tu stai parlando” mormorò Marco con un
tono sciocco, quasi infantile, e Irene tornò a strattonarlo per farlo tacere.
“Sono d’accordo con il mio ragazzo. Ma sappi che se ti è
successa una cosa del genere, be’, te la sei meritata. Sei una cagna, Isabella,
una come te che va con i pensionati per fregare i soldi delle loro pensioni” e
rise, rise di gusto, “io ti odio, mi fai schifo. Spero di non rivederti mai più”.
“Lo stesso vale per me… e pensa per te, che sei andata a
letto con tanti uomini per poterti comprare i vestiti firmati, prima di
trovarti questo idiota che hanno piantato tutte quante. Perché sì, Marco,
ricordati che ti ho lasciato io” risposi caoticamente, ma ormai sembrava che
sia io e sia loro ci stessimo scambiando le battute finali.
Non avevamo più niente da dirci; dal canto mio li avevo
affrontati e avevo sbattuto loro in faccia il fatto che li avessi scoperti. Da
parte loro, invece, l’ultimo tentativo di non ammettere la verità. Irene poi
era davvero acciecata da un odio incontrollabile nei miei confronti. Mi aveva
offeso di nuovo, sputandomi addosso parole terribili.
Mi ritrovai a maledirla mentalmente, a pensare che le sue in
fondo sono solo parole pronunciate da una misera puttana senza cervello.
Marco non replicò alle mie parole, né lo fece Irene. La
ragazza infatti sospinse leggermente il mio ex verso la loro auto, decisa ad
andarsene. Non era più tranquilla come quando era scesa dalla macchina, bensì
il suo volto era ormai rovinato dalle rughe provocate dal profondo nervosismo.
“Se ci riproverete, verrà tutto a galla e vi distruggerò.
Vivete le vostre vite ma stateci lontani”, ribadii con cattiveria, mentre i due
già salivano in auto. Scambiai un ultimo, rovente sguardo con la mia amica di
un tempo. Irene aveva calato la maschera, si mostrava come la vipera che era.
“Non ti preoccupare, usciremo dalle vostre vite sfigate.
Buona fortuna con il tuo pensionato” disse la ragazza prima di chiudere lo
sportello e di nascondersi dietro i vetri oscurati.
Non capii subito se si trattava di qualcosa di sincero oppure
di buttato lì per farmi capire che la partita non era ancora chiusa, ma quando
vidi la Maserati che si allontanava sgommando, be’, mi sentii molto meglio.
Rientrai al bar e Virginia mi venne subito incontro.
“Ma quello non è il tuo ex?” mi chiese subito.
“Sì, era lui e la sua nuova ragazza”.
“Oh! E pensare che mi era sembrata quella che è venuta anche
a prenderti qualche volta da qui, quella… come si chiamava…”.
“Irene, sì, proprio lei. Diciamo che i miei unici due nemici
naturali hanno deciso di far coppia” completai io la sua frase, cercando anche
di sdrammatizzare. Sul momento mi sembrava di essere riuscita a togliermi un
macigno di dosso, ma era davvero così?
“Isa, sei tutta rossa in faccia, credo che tu non stia bene”
disse la signora, ancora preoccupata per me, “per favore, vai in bagno e
sciacquati il viso. Aspetta finché non ti passa un po’. E non pensarci più,
adesso non so cosa ti abbia spinto a incontrarli e a discuterci proprio qui
davanti al bar, però immagino siano state cose spiacevoli. Non lasciare che ti
rovinino questo momento speciale”.
Le sorrisi calorosamente, contenta del suo supporto gratuito.
Virginia era sempre più una mamma per me, premurosa e gentile. Spinta dalla
gratitudine del momento, mi azzardai ad abbracciarla in modo spontaneo. La
stretta durò pochissimo, ma fu decisa.
La signora, presa un po’ alla sprovvista dal mio gesto
d’affetto, si sciolse poi in un sorriso non appena mi allontanai per dirigermi
al bagno del personale. Lì attesi qualche minuto, sciacquandomi le guance
arrossate dalla marea di sentimenti molto forti provati da poco.
Rimasi a testa china sul lavandino, sperando solo che qualche
mio collega non mi beccasse durante quella parentesi in cui ero molto
vulnerabile. Alla fine ne uscii indenne, e ripresi il mio turno come se nulla
fosse. Eppure, mentre servivo ai tavoli, spazzavo e pulivo, non potevo fare a
meno di tornare a pensare a tutto quello che era accaduto. Ed era successo
tutto così in fretta…!
In fondo avrei dovuto soffermarmi a ragionare. Spinta dal mio
solito impulso rabbioso, avevo agito con grande avventatezza. Avrei potuto
parlarne con George prima di affrontare il duo. Ma non mi sarei mai aspettata
che fosse coinvolta anche Irene.
Insomma, sentivo di aver commesso qualche passo falso e forse
denunciarli senza stare a discutere con loro e svelare le mie carte sarebbe stata
la scelta migliore.
Con i sensi di colpa che mi avvolgevano in un costante
crescendo, fu un bel tormento. Il senso di disgusto rivolto a Irina, a quanto
pareva vittima anche lei, non mi passò nonostante tutto. Idem mi vergognavo
tantissimo per il fatto di esser stata così amica di una persona mostruosamente
stronza e perversa come Irene.
Quando tornai a casa, quella sera, mi lasciai solo avvolgere
dal silenzio della nostra residenza di campagna. Passai le mani sul mio ventre
ancora solo leggermente inarcato, sentendomi in pace con me stessa.
Il fuoristrada di George era parcheggiato davanti alla villa,
quindi doveva essere in casa o da qualche parte nel retro, magari dalle
galline, ma non me la sentii di raggiungerlo subito. E nemmeno mi sentivo di
parlargli di ciò che era accaduto durante quella lunghissima giornata. Forse
sarebbe stato meglio attendere l’indomani, oppure la notte, quando parlare mi
riusciva meglio e provavo meno imbarazzo nell’intimità del letto.
Sentivo Kira che abbaiava festosa dentro casa, il venticello
ormai piuttosto fresco che sparpagliava le foglie ingiallite e strappate con
barbarie dalle alte fronde degli alberi che mi circondavano. Quello sarebbe
stato il primo autunno che avrei vissuto con l’uomo della mia vita. E tra tutta
la precarietà della mia esistenza, mai mi sarei aspettata che il mio principe
azzurro giungesse così in fretta, quando meno me l’aspettavo, ma non solo; che
egli avesse anche le sembianze del mio compagno.
Ma la vita in fondo è così, è tutta una sorpresa.
Un solo anno prima vivevo con Marco, male e in modo
confusionario. Ora avevo anche la certezza che Piergiorgio era innocente, che
non aveva molestato né fatto del male a nessuno. Il mio ex era il male, assieme
a quella cagna della mia ex migliore amica. Dannati loro.
E pensare che avevo lasciato che per anni quella gentaglia
influenzasse la mia esistenza, quando non meritavano nulla se non il più
profondo disprezzo. Per fortuna la vita insegna anche.
Ero così pervasa da quella profonda malinconia da lasciare
che essa si tramutasse in un senso di smarrimento che mi lasciò come sospesa
nel tempo per diversi minuti, mentre lasciavo che solo il vento e i minuti
scorressero attorno a me. Adesso che i nemici erano stati avvisati, speravo
davvero in un po’ di pace.
Era ora di sperare, di crederci per davvero. Amavo più di
quella stessa mattina. Ero più che sicura di essere riuscita a dare un calcio
alla mia vecchia, povera vita, per iniziarne una finalmente degna di essere
vissuta, amata e rispettata a fianco di un uomo che amavo con tutta me stessa.
Gli ultimi argomenti rimasti in sospeso tra noi li avrei
affrontati prestissimo e finalmente tutto sarebbe stato perfetto.
Quando finalmente sentii che il momento di raccoglimento si
era concluso, mi decisi a lasciarmi la mia Toyota alle spalle e a dirigermi
verso casa, ma a passi lenti, convinta che dovevo godermi quegli istanti di
solitudine.
Stavo smaltendo e metabolizzando tutto quello stress che mi
aveva infastidito durante tutto l’arco della giornata appena vissuta. E infine
pensavo che avrei dovuto chiamare mia madre, preparare la cena, prendermi cura
del cane e anche delle galline, perché no, nel caso che George non l’avesse
ancora fatto.
Così un senso di strana felicità sbocciò in fretta dentro al
mio cuore ferito e mutilato dalle pugnalate altrui; si trattava di quella gioia
che si poteva scovare anche nelle piccole e magari noiose mansioni quotidiane,
ma che se svolte con amore potevano
rivelarsi anche molto piacevoli.
Il mio uomo poi mi aspettava dentro, mi avrebbe aiutato e
assieme avremmo riso e scherzato. Sì, mi sentivo meglio.
Per qualche istante non pensai più a tutta la cattiveria
gratuita di quei due esseri che ormai erano solo parte di una parentesi di vita
passata e per fortuna conclusa.
NOTA DELL’AUTORE
Spero sempre di avervi intrattenuto un po’. Purtroppo, spesso
il Male proviene da fonti ben note e vicine a noi.
Adesso speriamo in bene, come la nostra protagonista.