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Autore: Gwen Chan    26/11/2019    1 recensioni
È solo un ragazzino, infilato in un’armatura quasi troppo grande e così antica da essere diventata leggenda. Ha i capelli impiastricciati di fango e lo sguardo febbricitante di chi pensa solo a sopravvivere.
Sono tre secoli che non vede quegli occhi.

Di dove la magia di Inghilterra lo fa viaggiare nel tempo e l'immortalità di Francia è andata decisamente fuori controllo.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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It won’t be long now

 

La lama è così vicina alla sua gola che basta un respiro perché la punta della spada incida la pelle per far scorrere giusto un rivoletto di sangue. Poco male, ogni tanto gli serve per ricordarsi della sua presunta umanità. 

Inghilterra è più giovane dell’ultima volta che lo ha visto; tremendamente più giovane. È solo un ragazzino, infilato in un’armatura quasi troppo grande e così antica da essere diventata leggenda. Ha i capelli impiastricciati di fango e lo sguardo febbricitante di chi pensa solo a sopravvivere. 

Sono tre secoli che non vede quegli occhi.

 

Deve essere sempre strano trovarsi in un mondo completamente sconosciuto e avere ancora la propria nemesi davanti a sé. È la prima volta che Inghilterra arriva da così lontano, da un'epoca le cui memorie sembrano ormai appartenere a qualcun altro. Tornerà al suo tempo con la convinzione di essere morto e aver visto il futuro o forse l’inferno. 

Magari un giorno Inghilterra ne ha parlato a un lui passato per cui tutto questo non è ancora successo. Francis lo deve aver insultato, anche se è difficile esserne certi in mezzo a migliaia di anni di immagini. 

 

 ***

 

La spada di Inghilterra cozza contro il suo scudo con sufficiente forza da incastrarsi nel bordo ligneo. A giudicare dalla traiettoria del colpo e dal suo sguardo, Arthur si aspettava un risultato diverso. Lo fissa con l’odio di una persona che non potrebbe sopportare di vederlo in giro un giorno di più. Credeva di aver già la guerra in pugno e ora si trova a perdere.

Francia si china in fretta per evitare un calcio in pieno petto. 

 

 ***

 

Francis fatica a ricordare quando, esattamente, nella linea del tempo abbiano deciso di riporre definitivamente l’antica ascia di guerra. 

Da qualche parte, circa mille anni fa, i continui litigi, le azzuffate nei corridoi del Parlamento Europeo e le ripicche all’O.N.U, le battaglie violente, tutto quanto si è trasformato in borbottii irritati da vecchia coppia sposata. 

 

Discutevano ancora quando il mondo aveva cominciato ad andare sott’acqua. 

 

Cerca di capire dai gesti, dagli sguardi e dagli abiti quale Inghilterra sia quello che gli compare davanti di volta in volta, senza alcun preavviso. Lo detesta o sono in tregua? Finirà col farci l’amore o lottare per la propria vita? 

Questa mattina lo spazio dal lato del materasso dove non dorme ha un incavo. È già freddo, ma si sente ancora un po’ dell’odore di Arthur impigliato tra le lenzuola. Incredibile quanto continui a essergli familiare nonostante tutto. Sa di pioggia e di fumo, di frittura e di Earl Grey, di marmellata d’arance e birra Ale. 

 

Quando Francis si guarda allo specchio, c’è una macchia violacea tra collo e clavicola. Si prende la testa fra le mani e si impone di ri-abituarsi alla sua normale condizione di solitudine. Non è mai stato bravo a stare da solo. La solitudine è prerogativa di Arthur, la fiera e spocchiosa isola. Qualche volta Francis si incontra con chi è rimasto, ma non è mai divertente. 

 

La cucina lo accoglie con i segni di un paio di giorni di convivenza più o meno burrascosa, il sentore del tè troppo concentrato e la puzza di bruciato a cui dovrebbe aver fatto l’abitudine. Spazza via i cocci dei cinque piatti che Arthur gli ha tirato addosso poco prima di scomparire di nuovo. 

 

***

 

Inghilterra potrebbe anche apprezzare che per l’importantissima cena ufficiale  prevista nel quadro della visita del Primo Ministro britannico, Francia abbia tirato fuori il servizio di Sèvres. Invece dal modo in cui li fissa sembra odiare quei piatti, che conta in silenzio come se gli stesse sfuggendo qualcosa. 

“Non li avevo rotti?”

“No, ti confondi con quelli a fiorellini.”

 

***

 

Arthur parla e Francis non riesce a capire una singola parola. Che ironia, adesso è Inghilterra ad esprimersi in un francese migliore del suo, con la faccia che sembra dire “ma guarda cosa mi tocca fare”. Il viso almeno continua a essere un libro aperto, dalla piega delle labbra alla ruga di irritazione in mezzo a quelle assurde sopracciglia.

 

Cos’è, la pronuncia? Vuole continuare a fare il difficile per partito preso? Lo sa che se vuole parla un francese quasi impeccabile. 

 

La pronuncia c’entra poco questa volta.

Francis ha provato a studiare di nuovo la propria antica lingua, sperando in una qualche memoria muscolare, ma duemila anni di modificazioni, slang, esperanto e lingua globale hanno avuto la meglio. 

Quanto alla loro parlata comune, l’ha dimenticata quando ha smesso di essere tecnicamente una nazione. 

 

Non serve a molto che dopo dieci minuti di tentativi sempre meno pazienti si sia tornati all’inglese, non quando ha smesso di essere la lingua franca circa cinquecento anni fa. Nel provare a rispondere, Francis spera che Arthur abbia imparato un minimo di cinese dai tempi in cui aveva il protettorato di Hong Kong – non deve essere passato troppo tempo a giudicare da come è vestito. 

 

***

 

Inghilterra quasi scompare sotto il peso di tutti i dizionari che si è messo a impilare dalla mattina. Francia sbircia i suoi tentativi poco felici di copiare un ideogramma particolarmente complesso.

“Credevo che il cinese non ti interessasse. Perché questo improvviso cambio d’opinione?” 

Inghilterra si blocca, la penna ferma a mezz’aria. Fissa il vocabolario come se gli fosse estraneo.

 

 ***

 

Sono sempre stati insieme, a guardarsi in cagnesco ciascuno dalla propria sponda del Canale; da quel primo incontro in boschi che sono ora sotto terra, quando erano solo infanti attaccati alle gonne di nazioni ben più potenti di loro. 

 

All’epoca Inghilterra non aveva ancora inquadrato quel suo viaggiare nel tempo, pensando che fosse solo uno scherzo. Le improvvise sensazioni di aver dimenticato qualcosa colpa della strana condizione dei suoi simili. Con secoli di memorie alle spalle e una personalità composta da milioni di menti era normale avere qualche amnesia. 

 

Si sono uccisi a vicenda e sono rinati. Si sono inferti tremende ferite e di altre sono stati la cura. Hanno eretto e distrutto imperi; siglato dichiarazioni di guerra e firmato armistizi sotto gli occhi severi dei propri superiori. Stabilito alleanze con altre potenze solo per farsi dispetto e messo da parte le proprie divergenze quando necessario. Hanno costruito tunnel e abbattuto ponti.  Non vivi fianco a fianco così a lungo senza sviluppare qualcosa. Sono stati tutto e troppo. Sono nemesi, rivali, alleati, amanti, famiglia e amici. 

 

Questo Inghilterra appartiene al passato e al passato deve tornare, ma  Francis non riesce a smettere di stringergli il polso, nel tentativo di farlo rimanere. L’ultima visita è stata duecento anni fa. Cominciano a diventare lunghi per la sua parte umana.  

 

 ***

 

Inghilterra  è ancora più scostante del solito. L’abbraccio a sorpresa voleva essere uno scherzo più o meno innocente, invece Arthur è saltato in aria nemmeno avesse preso la scossa. 

Ha preteso che il suo posto al tavolo delle conferenze venisse spostato al lato opposto e lo fissa guardingo, come se temesse che Francia lo voglia imprigionare per sempre. 

 

***

 

“Come fai a essere ancora vivo?”

Un paio di giorni sono stati sufficienti perché questo Arthur afferrasse la situazione. Il suo parlare è a malapena comprensibile ma Francis riesce a cogliere il senso. 

 

Ha già avuto questa discussione e nessun dubbio che si ritroverà ad averla in futuro. Inghilterra arriva da ben prima di quella che per il mondo è stato un nuovo inizio e per molti di loro è stata la fine; una fine a cui Arthur non ha mai assistito di persona. Di colpo, niente più stati, niente più confini. Frontiere libere, un unico governo centrale. 

 

“La Francia non esiste più. Tu non esisti più” continua Arthur, massaggiandosi le tempie per un sicuro principio di emicrania. Per una persona così legata al soprannaturale come si vanta di essere, è estremamente refrattario ai viaggi nel tempo. 

“Qualcuno è rimasto. Qualcuno ricorda ancora. È sufficiente.”

 

Una nave. Un tempo si definiva così. C’è sempre qualcuno in grado di riparare la nave e la nave può continuare a navigare, anche se su nuovi mari e spinta da venti sconosciuti. Inghilterra era bravo con le navi. È bravo. 

 

Parte della cultura di Arthur deriva dalla sua, e viceversa, non importa quanto entrambi si rifiutino di ammetterlo. Lo attraversa un’idea, ma la caccia subito. Che assurdità

 

***

 

Inghilterra fissa l’abito che un tempo apparteneva a sua madre e ora si trova ben conservato in una teca nel museo archeologico, a Parigi. Un giorno Francis glielo restituirà. Qualche vetrinetta più in là può ammirare i gioielli di Gallia. C’è un bracciale in oro intarsiato che gli spetterebbe di diritto e per cui sta litigando col museo da secoli.

“Comunque, perché questa visita improvvisa?” gli chiede, non appena Arthur lo affianca, le mani dietro la schiena. Inghilterra si limita a chinarsi per leggere meglio uno dei cartellini. Sembra volersi imprimere nella testa ogni singola parola.

 

***

 

Questo è l’Arthur che lui ricorda, l’Arthur prima della confusione temporale. Ecco dov’era finito, in un futuro da cui non sembra riuscire a fuggire. 

 

È strano trovarsi per una volta dalla parte di chi appartiene al passato. Non credeva nemmeno fosse possibile. La lingua prude per tutte le domande che suo malgrado sente già di voler porre. Gli basta uno sguardo per ottenere quelle risposte che sarebbe meglio non avere. Sarà in giro ancora per molto tempo.

 

La sera, prende una matita che ancora conserva e sulla linea del tempo che ormai occupa un’intera parete del salotto cerca di nuovo di trovare una logica. 

 

Arthur non è mai tecnicamente morto. Semplicemente un giorno i suoi poteri sono impazziti - colpa dei troppi disordini interni - e per un secolo non se ne è più saputo nulla.  Quando si sono incrociati di nuovo, dopo anni di inutile ricerca, non era nemmeno l’Arthur giusto.

 

Ci sono tante versioni di Inghilterra. Gli ci è voluto un bel po’ per capirlo. Non è tanto il dualismo da delinquente gentiluomo che ha sempre caratterizzato Arthur, ma tante copie dello stesso a seconda del punto dalla linea temporale da cui è partito. 

 

Qualcun altro sarebbe già impazzito. E inizia a dubitare che lui sarà immune per sempre.

 

 ***

 

Francis deve essere stato un'altra persona, in un passato lontano. Ci sono cose che gli piacciono visceralmente e altre che detesta senza alcuna apparente ragione. Ricorda fatti che vanno ben oltre il limite di nascita anche dei nuovi immortali baciati dalla scienza e dal progresso. Ci sono eventi a cui è sicuro di aver partecipato, le memorie troppo vivide per essere un’invenzione, anche se tutti dicono che è impossibile. 

Capita che si svegli gridando per incubi che non riesce ad afferrare. 

 

C’è qualcuno in foto così antiche da non poter essere maneggiate da mano umana che gli somiglia più di quanto la genetica possa spiegare.

 

L’uomo che ha davanti sembra conoscerlo e lui stesso condivide la medesima impressione, solo non capisce il perché di tutte quelle scenate. Lo avrà incrociato da qualche parte. Incrocia sempre tante persone. 

Lo straniero si è presentato in molti modi diversi nel giro di pochi minuti  - Arthur, Ang-leter, addirittura come un Paese degli Antichi. Ing-land. Iunaited ching-dom of greit brite’n end norden air-land.

 

Ancora più strano, conosce il suo nome, anche se storpia la pronuncia. Frens. Frans.  Francis lo corregge. 

 

Ing-land lo guarda con una confusione a cui non riesce a dare ragione. Ha il fuoco che solo un odio viscerale o un amore altrettanto forte può generare. 

Poi scoppia a piangere, un pianto di frustata disperazione, con la fronte aggrottata e l’avambraccio a nascondere il viso, in un misto di lacrime e strani vocaboli che dal tono devono essere insulti. Francis ne ottiene altri quando cerca di calmarlo. 

 

Qualche giorno più tardi, sta di nuovo sfogliando quelle vecchie foto che conserva perché vi si trova il suo antenato. Curioso, anche Ing-land aveva un avo che gli somiglia come una goccia d’acqua. I loro avi dovevano conoscersi e anche bene. In una foto sono seduti fianco a fianco in una tavola piena di quei ninnoli per mangiare che piacevano tanto agli Antichi. In un’altra sono in piedi, rigidi in  uniformi tremendamente poco funzionali ma, deve ammettere, davvero eleganti. Un’altra ancora, ed eccoli a stringersi la mano con un po’ troppa energia e forzare un sorriso mentre qualcuno taglia un fiocco rosso davanti all’imboccatura di un tunnel. Il Tunnel. Il loro Tunnel. 

 

Quante storie aveva fatto Inghilterra per quel tunnel e che bello poter essere a Londra senza dover per forza prendere l’aereo. 

 

Quando ricorda, non è mai piacevole.

 

Il Tunnel giace spaccato a metà in fondo all'oceano. Nuove nazioni stanno muovendo i primi passi in un mondo che fatica a riconoscere.

 

***

 

Inghilterra sta distruggendo la federa del cuscino a furia di morderla per trattenere singhiozzi che si ostina a negare e che non riesce a spiegare. Francis ha pagato il prezzo di farlo girare per parlare vis-a-vis con un ceffone in piena faccia. Tipico dualismo inglese. 

“Angleterre, cosa c’è?” prova di nuovo.

È stato lui giusto quella mattina a presentarsi a casa sua - allora il Tunnel non è così terribile - e gettargli le braccia al collo non appena Francia ha aperto la porta. Si sono trovati a terra, labbra su labbra prima ancora di rendersi conto di quanto stesse succedendo. Non hanno nemmeno raggiunto il letto. 

“Non lo so, d’accordo?" sbotta, raggomitolato come un riccio. Poi, flebile, "Ho sognato … ho sognato che mi avevi dimenticato.”

“Come se fosse possibile.”

 

***

 

Arthur indossa quegli abiti che Francis ha imparato essere il segno del limite massimo a cui l’altro è arrivato. Alla fine è normale, tutti muoiono. Deve essere successo anche ad Arthur da qualche parte in un futuro che non è ancora accaduto. 

 

Si chiede cosa farà lui allora. 

 

***

 

“Cosa c’è, ho ancora i capelli così brutti da farti piangere?”

Oggi indossa abiti nuovi, abiti che non ha mai visto.

 

***

 

Si era quasi scordato quanto fosse rossa quella giubba, cremisi per nascondere meglio il sangue. Ha sempre fatto un bel contrasto col suo blu. Il blu è una delle cose che ricorda ancora. Il rosso però è sempre stato il colore di Inghilterra. Solo. Il blu lo ha preso da Scozia. Francis lo ha appena studiato. 

 

Si sta impegnando davvero a non dimenticare. Passa i giorni a leggere, sforzandosi di credere di aver partecipato a quegli eventi che i più dicono essere solo leggende. 

Risente sul collo il taglio netto della ghigliottina. È necessario, dicono. Sembri ancora troppo fedele al re. 

Conta cicatrici e ricordi. Questa è Vichy. Questa Waterloo. Questa La Somme. Questa è colpa di Antonio, questa di Gilbert.

Questa da quando ho aiutato America.

 

Inghilterra gli urla contro in quella lingua che purtroppo non riesce proprio a capire, la rabbia più forte della confusione di trovarsi in un ambiente del tutto sconosciuto. Eppure a quel punto dovrebbe essere già abituato ai viaggi nel tempo.  Da quanto ha capito, Arthur si sposta sempre quando si trova sui campi di battaglia, quando comincia a temere di aver perso e si sente messo all’angolo.

 

Inghilterra gli punta il moschetto dritto al cuore. Di nuovo. Forse lo ucciderebbe ora, una volta per tutte, e tornerebbe indietro per trovarlo di nuovo vivente. Non sarebbe un brutto modo di morire. Peccato che il tempo abbia altri piani. 

 

***

 

Francia giurerebbe che Inghilterra gli sia scomparso da sotto gli occhi,  nella confusione tremenda della battaglia. L’acqua di Cheseapeake Bay è sparsa di cadaveri, giubbe rosse e uniformi blu. 

Arthur gli guarda il petto, il viso contratto in una smorfia di improvvisa comprensione per l’inganno. Sbraita ai suoi uomini di correre a Yorktown, abbaiando ordini con l’accento cockney che gli salta fuori quando è furioso o disperato. 

Quindi tira il grilletto con la rabbia di chi si sente depredato di qualcosa di molto caro. 

 

 ***

 

Un mese. Arthur è rimasto fermo su una stessa linea temporale per un mese. Un record. A parte l’aver incrociato un paio di volte un’altra versione di se stesso e  l’abituale spaesamento del trovarsi in un mondo a cui non appartiene ancora – o forse non più - le cose stanno andando a meraviglia. 

 

“Com’è dal tuo lato?” Francis si decide a chiedergli, seduti spalla contro spalla sul pavimento di un appartamento in una città dove un tempo si trovava la sua capitale.

“A bloody mess. Un fottuto pasticcio.”

 

È un bel mese, dallo svegliarsi la mattina con Inghilterra che gli si è accoccolato contro, con quei capelli arruffati che si ritrova, alle litigate furiose per un’inezia.

Lo rifarebbe senza pensarci due volte, ogni singolo dettaglio, anche se il prezzo da pagare è un millennio di solitudine. Aspetta. Sa che si incroceranno di nuovo, un giorno. C’è un Arthur che è rimasto bloccato nel futuro per almeno vent’anni.  Forse tra una settimana se lo troverà alla porta, in abiti super-futuristici o in cenci medievali, diverso eppure sempre uguale a se stesso. 

 

***

 

Arthur gli ha telefonato in piena notte strillando a proposito di documenti fondamentali che si è dimenticato di inviargli.

“Inghilterra, il prossimo meeting è tra un mese” Francia biascica in franglese, prima di riattaccare bruscamente senza nemmeno aprire gli occhi. Le tre del mattino sono decisamente troppo presto per le chiamate isteriche dell’inglese, tanto più se comincia a confondere le date. 

Gli dovrà comprare un calendario.

 

***

 

Domani non ci sarà. Francis sorride. 

“Non c’è nulla da ridere.”

“Se permetti vorrei decidere se essere contento o meno della mia – sottolinea mia – morte.”

Yao l’immortale si può anche essere adattato, nella sua forzata indifferenza, ma lui non è Yao. Ha visto nascere, invecchiare e morire troppa gente. Si è trovato antichi imperatori a fare i camerieri e la faccia di chi sente di essere destinato a qualcosa di più. Non ci sono più visi nuovi, solo copie di copie di fantasmi. 

L’ultima volta che ha visto Giovanna, stava progettando un viaggio oltre la galassia. Ha incrociato Napoleone a spazzare il pavimento di una scuola elementare.

Le nuove nazioni sono diventate grandi.

 

Francis ride perché finalmente hanno smesso di riparare la nave e c’è un Inghilterra a fargli compagnia, anche se non è proprio quello giusto e parla in modo strano. 

 

Inghilterra si morde le labbra e tira rumorosamente su col naso. Grosse lacrime gli rotolano giù sulla guance.

 

Arthur non sta piangendo per lui. Arthur non piange mai per gli altri. Ha sempre e solo versato lacrime per se stesso e per tutte le cose che ha perso. Francis è solo l’ultimo di una lunga lista e lo sa bene. Però è anche bello potersi illudere. 

“Cosa c’è? Geloso che qualcuno ti abbia battuto sul tempo?”  lo stuzzica, finché gli rimane un po’ di voce. Niente smancerie, però. Quello glielo può concedere.

“Nei tuoi sogni, stupida rana.”

 

Gli mancava quell’insulto. Racchiude più di quanto Inghilterra abbia mai voluto ammettere. 

 

***

 

“Ho qualcosa in faccia?”

Da quando hanno grugnito reciprocamente un mezzo saluto quella stessa mattina, Inghilterra non ha smesso un istante di fissarlo con un’espressione anche più irritante del solito. 

“Ma che ti prende oggi?” 

Passi il fissare, ma i pizzicotti sono una dichiarazione di guerra. Francia si sfrega il braccio ferito, mettendo subito qualche metro di sicurezza tra lui e Arthur. I pizzichi di Inghilterra fanno male. Il resto degli insulti gli muore in gola quando nota quella piega della bocca che ha imparato a conoscere. Arthur è preoccupato e, se non fosse assurdo, direbbe che è preoccupato per lui. 

 

“Sei reale, giusto?”

“Certo che sono reale. Angleterre “ – perché ora ha gli occhi lucidi? – “che cosa ti prende?“

 

Non finisce nemmeno la frase che Arthur lo trascina nella prima stanza vuota disponibile, gli afferra i risvolti della giacca e lo bacia con una foga che di norma ha solo quando supera la soglia di guardia del bere. Cose che normalmente lo farebbero ghignare di malizia, ma Arthur è troppo strano anche per i suoi standard, oltre ad avere una presa più salda del previsto. Francis deve lottare non poco per staccarlo, mettendogli le mani sulle spalle per tenerlo a distanza. 

 

“Arthur, mi spieghi di grazia che cosa sta succedendo?” 

Un pugno in pieno stomaco, per quanto più consono all’Inghilterra che conosce, non è proprio la risposta che si aspettava.

“Non osare morire finché ci sono io,” borbotta Arthur, fissandosi i piedi. 

 

Francis lo fissa sorpreso. D’accordo, ci sono stati un po’ di problemi interni, da sei mesi è senza un governo, Mont Saint-Michel è ormai un’isola a tempo pieno, e ha dovuto ridisegnare qualche confine, ma quelli come loro non muoiono per certe minuzie

“Da quando hai qualcosa da dire in materia?" 

 

 Morire per un’altra mano sarebbe un’ottima vendetta, l’ultima ripicca dopo secoli di lotte e battibecchi.

“Da sempre.”

 

Per quanto debba ammettere che finire per via della sua nemesi non gli dispiaccia come conclusione. Ha un che di romantico. 

 

Peccato non poter dire lo stesso della maniera aggressiva con cui Arthur decide di riprendere a seviziagli le labbra non appena Francis lo lascia andare con l’idea di uscire e riunirsi agli altri. Non ha mai imparato a baciare come si deve, né a fare le cose con calma, tè delle cinque escluso.

 

Inghilterra è già riuscito a distruggergli tutti i bottoni della camicia quando il viso si torce dell’espressione nauseata di quando giugno diventa luglio e comincia a venirgli la febbre. Si porta una mano alla bocca e si guarda attorno come se non fosse stato lui a trascinarlo in quello sgabuzzino, il volto che si accende di indignazione quando nota la cintura slacciata e la zip mezza abbassata. Il seguito è una routine che per una volta Francia sa di non meritare.

 

E mentre si ritrova solo, a sfregare imbronciato la cinquina che Arthur gli ha lasciato sulla guancia, ha la vaga sensazione di essersi dimenticato anche lui qualcosa; qualcosa di molto importante che Inghilterra gli ha detto una volta tanti anni prima in una notte in cui il whisky gli ha sciolto lingua e memorie.

 

 Ci penserà domani. Ha tutto il tempo.

 

Note

Tutto nasce da un prompt di Tumblr “A è immortale e B viaggia nel tempo. Slow burn”, diventata poi una “enemies to lovers” e niente, sapete come funziona con l’ispirazione quando la propria OTP è coinvolta. Alla fine ammetto che sia diventato più qualcosa alla “La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo”. Ho scelto di associare a Francia il ruolo dell’immortale perché dalla strip “Though I may depart, you shall remain” mi sembra quello più propenso a filosofeggiare sui problemi di longevità di una nazione. 

La fine mi convince a metà, ma tantè. 

   
 
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