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Autore: Cossiopea    27/11/2019    2 recensioni
Il passato è un concetto strano.
Ciò che è stato non sarà. Ogni singolo istante di vita, ogni minimo respiro un secondo dopo è già dimenticato, lasciato scorrere verso quella landa della nostra memoria da cui possiamo ripescare i ricordi...
Il passato.
Sono rare le volte in cui qualcuno non rimpiange ciò che è stato, quasi uniche le volte in cui qualcuno è felice della sua vita.
Io non dovevo morire. Non posso.
Hanno provato a rinchiudermi dal mio passato, hanno tentato di farmi dimenticare... hanno sbattuto il mostro in gabbia, un mostro che ogni giorno si lancia contro le sbarre ringhiando e reclamando la sua libertà.
Non posso morire, non posso fuggire...
Sono un tassello dell'equilibrio cosmico, la potenza di una stella rinchiusa in un frammento di universo...
Genere: Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi guardai le mani e gli artigli che vidi in qualche modo mi riempirono di energia, qualcosa che desideravo, un sogno che è tornato a vivere dopo anni di sonno...

Una landa bruciata, sotto di me, emanava odore di morte mentre miliardi di abitanti di Althorm perivano sotto le lame dei miei Demoni e le loro urla mi giungevano come un canto delizioso che avrei ascoltato in eterno, fino alla fine dell'universo.

Battei le ali e risi mentre mi lanciavo verso il cielo. I capelli di fuoco, l'amaro in bocca, le dita sporche di sangue.

-Mia signora?

Mi voltai e da una nube di fumo nero come la notte emerse una figura rossa con gli occhi d'argento. Batteva le ali possenti nella mia direzione e l'unica cosa che potei pensare in quel momento era quanto ero orgogliosa di ciò che Cosmath era diventato.

-Cos- gli feci mentre le mie zanne scintillavano nella luce del crepuscolo.

-Mi chiamo Cosmath- ribatté lui, in un sibilo rabbioso.

Scoppiai a ridere e senza volerlo mi morsi la lingua, gioendo del sangue e del suo dolce sapore.

-Figlio- con un paio di battiti lo affiancai in aria e gli sorrisi, trionfante -Althorm è nostro ormai, i loro eserciti si stanno ritirando e i Demoni li stanno massacrando. Odi anche tu queste melodiose grida che si levano dalla piana che abbiamo distrutto? Anche tu gioisci nel sapere che abbiamo distrutto questo mondo privo di significato nell'universo?

-Sì, mia signora- rispose lui, ma ancora non sorrideva.

-Cosa ti turba Cosmath?- gli domandai inalando il fumo che ci circondava e voltando gli occhi verso la luce morente del tramonto -Osserva la potenza delle stelle, l'energia di cui noi Demoni siamo impregnati e che ci concede il privilegio di uccidere, di sentire le vite sgretolarsi sotto i nostri artigli!

-Mia signora, Zechra ha chiesto di te- disse lui, mentre metteva in mostra le zanne con una smorfia.

Scoppiai a ridere e quel suono si propagò nella miseria che regnava sotto di me, distruggendo la speranza che ancora quegli esseri futili nutrivano, la speranza di poter sfuggire al loro fato ormai scritto con il loro sangue sulla storia del cosmo.

-Zechra!- urlai -Quello Spirito non vale la metà della nostra gloria, non ha potere sulle nostre azioni, figlio mio: gioisci di quanto abbiamo compiuto e smettila di crucciarti. Vai a tormentare gli eserciti e divertiti con tua sorella a spegnere le loro vite prima che questo mondo smetta di esistere.

-Mia signora, non hai compreso- mi interruppe il Demone. Abbassò il capo e i suoi artigli fremettero -È qui- deglutì -E con lui c'è Astar.

Per la prima da quando avevo iniziato la devastazione di Althorm, il mio sorriso si increspò.

-Il Creatore è alla rupe dei Demoni?

Cos annuì.

-Chiede di te, madre- fece una pausa -Non sembrava felice.

 

Sgranai gli occhi e nella foga di drizzarmi a sedere mi graffiai il braccio con gli artigli.

Il mio respiro era irregolare, la mia vista annebbiata da lacrime.

Le tenebre regnavano sulla camera e la luna, come un occhio d'argento puntato sulla Terra, mi scrutava attraverso i rami del vecchio albero che durante le tormente bussava alla mia finestra.

Gemetti in silenzio e la solitudine si fece strada nel mio cuore infettato di disperazione.

Avevo la bocca piena di sangue, le dita artigliate, gli occhi ardenti... Ero un mostro...

Per un attimo ritornai al momento in cui le mie unghie erano dentro la carne della professoressa e i suoi ultimi respiri mi giungevano mozzati e intrisi di sconforto, di confusione... con una sola domanda... “Perché?”.

Immersi il viso tra le mani e mi graffiai la guancia con volendo, ma non mi importava.

Le lacrime scendevano copiose mentre mi rendevo conto di aver spento una vita, gettato nell'oblio un'altra anima.

Il Demone gioì a quell'idea ma io avvertii che un altro frammento della mia umanità mi era sfuggito.

Dapprima lentamente poi sempre più intensa, una melodia suonata al pianoforte prese a riempire la camera e io alzai lo sguardo sulla pianola che, come suonata da un essere privo di materia, si esibiva in un concerto malinconico e carico di emozioni che pochi pianisti terrestri sarebbero riusciti a esprimere.

I tasti si premevano da soli e per un istante rimasi a fissarli danzare come ipnotizzata, ascoltando quella musica che, in un bizzarro scherzo del destino, era come il riflesso del mio animo e di ciò che provavo.

Gli artigli si ritrassero, le zanne li imitarono, gli occhi si spensero.

-Bella, vero?

La mia testa scattò all'angolo apposto della stanza, accanto alla libreria, dove una figura appoggiata al muro con le braccia incrociate mi fissava con uno sguardo argentato.

La mia espressione si indurì.

-Cos- sputai.

-math- aggiunse lui facendo un passo in avanti ed entrando nella luce lunare -Credevi non sarei più venuto, giusto? Oppure mi aspettavi da tutto il giorno, sapendo che avrei atteso la notte per sorprenderti?

-Nessuna delle due- feci, con disprezzo -Non ti aspettavo proprio.

Sorrise.

-Non avrai pensato che non dovessimo parlare prima o poi di come hai trattato mia sorella?- chiese.

-Prima di essere tua sorella è mia figlia- mi accigliai -E tu non puoi dirmi cosa devo fare con lei.

-Hai ragione- annuì lui, freddo -Tu hai sempre ragione...- un secondo di silenzio -Ma hai offeso uno dei più potenti Demoni dell'universo.

-Io sono il Demone più potente- ringhiai -Non osare contraddirmi, chiaro?

Un sorriso gli illuminò il volto.

-Jill, io lo so che ci sei tu lì sotto- disse guardandomi negli occhi -Perché per quanto Zechra possa farti credere il contrario, tu sarai sempre un Demone.

Scossi la testa e mi accigliai.

-Ti sbagli, Cos- gli feci -Non sarò mai più come mi ricordate, non voglio tornare quello che ricordate.

Alzò gli occhi al cielo.

-Stai illudendo anche te stessa con queste parole- mi intimò -Ma io ti prometto che Jillkas ritornerà alla gloria di un tempo, che ricomincerà a lottare per il male e per tutto ciò che a questo universo serve...

Emisi una risatina amara.

-Sei tu che ti stai illudendo, Cos... ma questo discorso non l'avevamo già fatto?

Lui annuì.

-Ma io non mi stuferò mai di ripetere quanto ti sbagli- mi fece -Sei riuscita a sconfiggere Hiyv, ma ci sarà poco da fare quando manderò tuo fratello.

Sorrisi.

-Litho non mi farà neanche il solletico.

Cos si accigliò.

-Tu stessa hai detto che è uno dei tuoi generali più efficienti. È il Demone della tortura: immaginavo potesse essere abbastanza eloquente con te.

-I miei ideali sono troppo robusti, Cos: nessuna tortura potrà persuadermi.

Scoppiò a ridere.

-Smettila di prendermi in giro: sappiamo entrambi che non sei in grado di resistere a Litho.

Inarcai un sopracciglio.

-Ho battuto Hiyv.

-Hiyv ha il difetto di arrendersi non appena trova una qualsiasi resistenza- Cos sospirò -Da quando te ne sei andata questo suo tratto non ha fatto altro che aumentare e trasformarsi in frustrazione, un emozione che i Demoni dovrebbero saper scacciare.

-Perché allora credi che Litho potrà essere migliore di tua sorella?

Il ragazzo ghignò.

-Perché lui, al contrario di tua figlia, riesce a rialzarsi anche dopo una sconfitta.

Mi accigliai.

-Quindi?

Ridacchiò.

-Niente...- sorrise -Però sa usare un coltello...

   
 
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