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Autore: AdhoMu    27/11/2019    3 recensioni
«Ci penserai in primavera» sussurra la strega, volgendo il viso verso di lui. «Ed ora dormi, Salazar. Il letargo, si sa, porta consiglio».
[Partecipa alla Challenge "M(h)arry Christmas - il calendario dell'avvento" indetta da blackjessamine sul forum di efp].
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Salazar Serpeverde, Tosca Tassorosso
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Letargo.
 
Ha nevicato di nuovo.
Da settimane, ormai, sul suolo della Foresta Proibita si accumulano strati su strati di cristalli di ghiaccio, che lentamente sedimentano gli uni sugli altri andando a creare una fodera eterea e smagliante, tanto soffice quanto infida.
La vita - che, al contrario, sembra scoppiettare come fiamma vivace nelle stradine dell'attiguo villaggio e lungo i corridoi, ancora non ultimati, dell'imponente Castello ubicato poco lontano - sembra avere abbandonato del tutto quei luoghi remoti. Nei meandri del bosco, laddove l'intrico dei rami spogli si fa fitto come una rigida ragnatela di stecchi, il ricordo delle gemme, delle foglie e dei fiori pare essersi dissipato: il gelo la fa da padrone, gli alberi si sono chiusi in se stessi e le bestie, magiche e non, dormono i loro sonni frementi e speranzosi, in paziente attesa di tempi migliori.
Nell’aria immobile, mossa soltanto dal tremolìo indistinto (miraggio invernale) che offusca la vista e confonde la percezione durante le nevicate, tutto è silenzio. La candida coltre di ovatta gelata smorza i rintocchi delle campane che, in questa notte gelida e cupa, battono a festa per omaggiare la nascita del Divin Bambinello; soffoca i rari suoni emessi da creature invisibili all’occhio o, forse, dall’eccesso di peso della neve, che grava sui rami provati condannandoli a morte prematura. Da mesi, le foglie assenti hanno cessato di frinire; tacciono gli uccelli, rintanati nei loro nidi; perfino il canto dei ruscelli, sospesi a mezz’aria, congelati in fotogrammi che hanno smesso di scorrere, ha smesso di echeggiare nelle recondite profondità di quel regno un tempo vivido, brulicante, rigurgitante di vita, ed ora sospeso in un algido limbo di morte apparente.
 
La Foresta Proibita è un labirinto intricato, non concepito da mente umana ma, al contrario, scaturito dalla potenza dirompente e irrazionale di Madre Natura. I suoi meandri ombreggiati, i suoi sentieri ingarbugliati – ora, per di più, cancellati dalla neve -, le gallerie di rami che occludono la vista del cielo neutralizzando ogni tentativo di orientarsi con le stelle sono la materializzazione più letterale dell’umana incertezza, del timore atavico dell’ignoto, dello scoramento, dell’indeterminazione.
La Foresta Proibita è oscura selva selvaggia, e non solo da un punto di vista meramente fisico. Chi vi si inoltra è destinato a smarrire non solo il cammino, ma anche un po’ di se stesso.
Avventurarsi nei suoi anfratti con la pretesa di capirla, di comprenderla, di decifrarla è un errore. La Foresta Proibita è un enigma arcano che sfugge ad ogni logica, che rinnega qualsiasi velleità di razionalità e d’intelletto. La Foresta Proibita è il regno delle forze ancestrali che hanno creato il mondo, è manifestazione del potere proprompente della Terra.
 
Difficile immaginare che qualcuno abbia scelto di farne la sua dimora. Eppure, per quanto strano possa sembrare, così è. 
Nel profondo del bosco, seminascosta in una fitta macchia di faggi scheletriti, c'è una quercia maestosa che affonda le radici massicce nel terreno indurito dal gelo, e che sembra occupare il suo posto dall’inizio dei tempi.
Lady Oak, la chiamano i più – ma pochi, in questo mondo, hanno avuto il privilegio di vederla.
Impregnato di mistero, antico come la Foresta stessa (e fors’anche di più), il suo tronco nodoso si staglia, imponente, e sovrasta il paesaggio.
Lady Oak non è una quercia come tutte le altre.
L’energia che da lei emana lo rivelerebbe con chiarezza anche alla più ottusa delle creature: Lady Oak è completamente impregnata di magia, che scorre al suo interno nutrendola alla stregua di linfa vitale. Una magia primordiale intrisa del potere della terra, del calore del magma, della potenza rigeneratrice che alimenta il suolo tenendolo vivo anche durante i lunghi mesi di sonno forzato.
La magia più cara a Madama Tassorosso, la strega vestita di Sole.
La quale, incurante del freddo e del silenzio, riposa insieme alla sua corte nelle tiepide stanze della sua accogliente dimora, scavata all'interno del tronco secolare.
 
*
 
Unico elemento vivo nella Foresta sepolta sotto la sua nivea trapunta, una figura solitaria si sposta in quell'algido mondo fatto di riverberi ingannevoli.
Si muove a fatica, affondando ad ogni passo nella neve alta. Si dimena, si dibatte, annaspa, arranca, procede in circolo, brancola a vuoto in quell’etereo labirinto d’ombra biancastra. Il lungo mantello color verde smeraldo è zuppo e pesante; gli stivali foderati di pelliccia non più in grado di isolare dal freddo i suoi piedi già stanchi.
Negli occhi chari e angosciati, l’amara consapevolezza di essersi perso.
Perso in tutti i sensi possibili, fisicamente e metaforicamente.
Disorientato, l’uomo brandisce la sottile bacchetta di rettilegno (*), sforzandosi invano di imporre il suo volere.
Tutto inutile.
Che cosa può fare, del resto, un’esile asticella, per quanto poderosa, contro il potere delle centinaia e centinaia di tonnellate di legno intriso di magia antica che la circondano?
La capitolazione è inevitabile.
Alla fine, un’umile radice sporca di neve fangosa lo sfida a duello. Il nobiluomo incespica una, due, tre volte; alla fine, è costretto a prostrarsi al cospetto delle forze arcane che lo mantengono intrappolato in quello spietato groviglio di tronchi spogli.
 
In quell’esatto momento, Madama Tosca apre gli occhi.
 
Il fruscio delle lenzuola discoste fa vibrare l’aria immobile della stanza intagliata nel legno. Risvegliato dal suo sonno, uno splendido Tasso solleva l’appuntito muso bicolore e guarda la sua padrona, che lo carezza con sollecito affetto.
«Destati, Pagú» gli dice semplicemente Tosca. «Abbisogno dei tuoi servigi, mio caro».
L’animale muove le orecchie, stira le membra intorpidite e scuote con forza la folta pelliccia argentata. Rivolge uno sguardo contrariato al morbido tappeto che, fino a poco fa, ha cullato i suoi sogni ma poi, spronato dall’espressione crucciata della Dama, si affretta a seguirla lungo i gradini angusti che discendono nelle viscere della quercia.
 
*
 
«Salazar, Salazar testardo».
La voce di Tosca risuona soave al suo udito, resa, dalle pareti di legno, ancor più morbida di quanto già non sia.
Avvolto nell’abbraccio della calda coperta di lana, il capo altezzoso affondato fra i soffici cuscini di piuma d’oca, Salazar Serpeverde osserva la strega che gli porge una scodella ricolma di liquido caldo.
«Come hai fatto a trovarmi?» le domanda, beandosi dei tiepidi effluvi che emanano dalla superficie iridata della tazza.
Lei siede sul bordo del letto, si rassetta la gonna color zafferano e gli rivolge un sorriso triste.
«Non è stato affatto facile. Ci sono volute ore...» ammette, sfregandosi con forza le mani sugli avambracci nudi. «Per fortuna, il naso di Pagú cilecca non fa».
“Soprattutto quando la posta è un fiero serpente”.
Lui la studia in silenzio, le iridi chiare fisse su di lei; e, dal suo esitare, Tosca capisce che sarebbe suo desiderio rivelarle qualcos'altro, ma che quel qualcosa si rifiuta di prendere forma.
Decide allora di rompere gli indugi.
«Se la Foresta te l’ha impedito» gli dice quindi, guardandolo con dolcezza «è perché il giusto momento non è giunto ancora».
Il nobile Salazar si acciglia. Davanti ai suoi occhi aperti scorrono leste le immagini del Cenone screziato dall’ennesimo litigio; l’espressione imbarazzata sul volto di Madama Priscilla e quella spaventata sui visetti dei ragazzi. E in sottofondo, la voce alterata di Messer Grifondoro e le aspre parole che costui gli ha rivolto, inducendolo infine a scansare con violenza la seggiola e ad abbandonare il Castello a passo di marcia.
Il suo sguardo si sposta sulla figura di Tosca, ancora seduta lì accanto. Lei non dice nulla, ma lo fissa di rimando con tacita eloquenza.
«Non è stata la Foresta ad impedirmi di partire» mormora allora lui, pensoso. «Sei stata tu».
Tosca sospira.
«Per l’ennesima volta» replica, amara.
«Eppure io so» dice lui, distendendo le dita per affondarle nei suoi capelli lucenti come castagne appena sgusciate «che non per tuo personale diletto mi mantieni ancorato a questi lidi».
Le successive battute sono un gioco di sguardi, più eloquenti di mille parole.
“E se così fosse, rimarresti?”
Un secondo d’indugio, ma la risposta è inequivocabile.
“Sì”.
“Fandonie. È solo una scusa per temporeggiare un altro po’. Perché, in fondo, non hai ancora il coraggio di farlo davvero”.
“Non è così, e lo sai”.
Che vi sia, in fondo al messaggio di quegli occhi chiari, un fondo di verità? Potrebbe anche essere, visti i loro trascorsi mai del tutto esplicati. Tosca però scuote il capo, pragmatica strega con i piedi ben piantati nel suo elemento madre.
«Tanto facile è mentire, Salazar, agli altri e a se stessi!... eppure sappilo: ostinarsi a farlo è come tentare di aggrapparsi a un filo d’erba per non precipitare nella scarpata!»
E contro l’’uomo, che la guarda stringendo le labbra, la Dama punta un dito ammonitore.
«Ci pensi da tanto, ma ancora non hai deciso. Stanotte hai agito accecato dall’ira, ma lo sai anche tu che il mero impulso, all’ indole tua riflessiva, non s’addice affatto. Avrai modo di pensarci ancora, con molta attenzione, e alla fine... »
«Se già conosci il mio verdetto» la interrompe lui, alzando la voce «perché mai perdi tempo con me?»
«Perché Hogwarts ha ancora bisogno di te» ribatte lei, secca. “Ed ogni singolo istante che passerai qui, sarà tempo guadagnato”.
Il pensiero formulato da lei lo trafigge come alla lucida spada di Messer Grifondoro non è mai riuscito di fare.
«Un dì me ne andrò per davvero, Tosca».
Sbotta infine, Salazar, la sua dolorosa ammissione.
«Oh, sì» ammette la strega «Un dì te ne andrai per davvero, già lo so. E quando verrà il momento, né io né la Foresta t’impediremo di farlo».
«E chi ti dice» le domanda allora lui, tirandosi su a sedere «che il momento giusto non sia proprio questo?»
Tosca agita la bacchetta e smorza il lume.
«Perché non lo è».
Il generoso corsetto giallo-oro gli sfiora la spalla, e il nobiluomo altro non può fare, se non scivolare di lato per farle posto accanto a sé.
«Ci penserai in primavera» sussurra la strega, volgendo il viso verso di lui. «Ed ora dormi, Salazar. Il letargo, si sa, porta consiglio».
Lo sguardo velato di Madama Tassorosso è una rete a strascico per cuori, scaltri o sprovveduti che siano; e il nobile Salazar, segretamente lieto di poter accampare una scusa per poter restare un altro po’ (ma come fai, come fai, Divina Tosca, ad azzeccarci sempre?), non può fare a meno di lasciarsi catturare.
Un'altra volta. 
 

Note finali.
Domanda (più che legittima): cosa ho scritto?!
Risposta (sincera): no lo so! (Aiuto!)
Altra domanda: che cavolo c’entra, questa storia, col Natale?
Risposta (mugugnata): oh, beh... la neve, le campane del villaggio che suonano a festa, il cenone rovinato dall’incomprensione fra Godric e Salazar... il tema dell’accoglienza... uhm... non ci siamo proprio, eh?!
Va bene, va bene. Lo ammetto. Con la challenge proposta da Jess (che spero davvero mi perdonerà), questa storia c’entra poco o niente anche se, nella mia testa, il contesto natalizio tutto sommato esiste. A modo suo, ma esiste. Perché francamente, pensandoci e ripensandoci, sono giunta alla conclusione che, presso la corte di Tosca (frequentata per lo più da soffici creature col muso bicolore e, semmai, da qualche Jarvey infiltrato), il Natale si ‘festeggia’ così: in letargo, immersi nel sonno finché la primavera non si deciderà a rifarsi viva e sarà nuovamente tempo di danzare nei boschi.
Mi piace anche pensare che l’ostinata determinazione di Tosca, che si manifesta anche nell’azione dissuasiva portata avanti dal suo alter-ego, la Foresta, nel procrastinare l’(inevitabile, ne è conscia anche lei) partenza di Salazar costituisca una sorta di regalo alla scuola e ai ragazzi che lei tanto ama (e va bene, forse anche un pochino un regalo per se stessa, ché l’inverno è lungo a passare XD), ma mi rendo conto di essere stata così criptica in questo testo che, probabilmente, i suoi significati più reconditi non affioreranno affatto.
Davvero; non credo di avere mai scritto nulla di simile e sono io la prima a non sapere come interpretare questa mia strana creatura...! Probabilmente, l’atmosfera mistica da Forêt de Brocéliande ha dato alla testa anche a me!
 
* Nella (bellissima) storia di Isotta Sayre e della fondazione di Ilvermorny, si dice che la bacchetta di Salazar Serpeverde era probabilmente fatta di rettilegno.
   
 
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