Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Anna3    28/11/2019    0 recensioni
Chi era Agni prima di diventare il khansama del principe Soma?
Purtroppo, sappiamo molto poco di lui, sia per volere dell'autrice, sia per volere di Agni stesso; tuttavia, per gentile concessione del principe, pubblicherò una sua lettera con la risposta a questa domanda.
Curiosi di sapere? Vi aspetto a fine capitolo allora!
Dal testo:
"Mi ero ripromesso che non avrei più pensato alla mia vita passata, dopo quel fatidico giorno in cui il Principe Soma, il mio dio, mi ha salvato dalla morte. Mi ero ripromesso di dimenticare il mio vecchio nome e con esso tutti i peccati che avevo commesso. Eppure, sento che quello che ho fatto non sparirà così facilmente e per quanto io stesso ora mi senta solo Agni, il fedele khansama del Principe Soma, non posso negare che una piccola parte di me senta ancora il fardello dei miei passati errori. È per questo motivo che ora sono qui a scrivere...."
Dedicata al più leale dei maggiordomi ❤
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agni
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Indaco

 

SPOILER ALERT: Se non siete arrivati al capitolo 127 del manga, vi consiglio di non leggere la parte finale in corsivo, perché contiene degli spoiler. Per il resto, buona lettura!

 

1° Novembre 1889

Mi ero ripromesso che non avrei più pensato alla mia vita passata, dopo quel fatidico giorno in cui il Principe Soma, il mio dio, mi ha salvato dalla morte. Mi ero ripromesso di dimenticare il mio vecchio nome e con esso tutti i peccati che avevo commesso. Eppure, sento che quello che ho fatto non sparirà così facilmente e per quanto io stesso ora mi senta solo Agni, il fedele khansama del Principe Soma, non posso negare che una piccola parte di me senta ancora il fardello dei miei passati errori. È per questo motivo che ora sono qui a scrivere: spero che, trasferendo i miei pensieri su questo foglio di carta bianca, tutto il male della mia anima possa scomparire. So che mi sto illudendo a riguardo. Però, un po’ per questo, un po’ per il fatto che il mio Principe me lo ha ordinato, non posso farne a meno. Il Principe Soma ha un cuore così buono e da quando ha conosciuto il Signor Ciel e il Signor Sebastian è diventato, se possibile, ancora più perfetto. Oggi, ad esempio, mi ha chiesto perché ero così triste e quando gli ho detto la verità, mi ha liberamente obbligato, con il suo orgoglio infantile che non accetta un ‘no’ come risposta in queste situazioni, a scrivere. Ed eccomi qua davanti a questo foglio bianco a raccontare del vecchio me.
Arshad Satyendra Iyer.
Questo è stato il mio nome. Ero il decimo ed ultimo figlio di mio padre Abhijiat e dell’ultima delle sue mogli, anche se non ho mai avuto un grande rapporto con lei, se devo essere sincero. Da piccolo sono stato iniziato da mio padre negli studi di sanscrito vedico come gli altri miei fratelli e questo perché la mia famiglia apparteneva alla casta dei bramini: non una qualunque, ma quella dei ‘vaidika’, ossia i più potenti ed antichi sacerdoti di tutti. E infatti, la mia famiglia era molto ricca e facoltosa: anche se la nostra casta era ormai in decadenza, potrei dire che noi eravamo i privilegiati tra i privilegiati ed è per questo che, almeno quando ero un bambino, posso dire di essermi divertito. Anche io avevo dei servitori, proprio come io lo sono oggi del Principe Soma, ma a quel tempo non capivo ancora questa differenza e facevano parte della famiglia tanto quanto mio padre, se non forse di più. In particolare, ero anche io legato a una donna, che era stata la mia nutrice, nonché unica vera alleata in quella casa, e forse è anche per questo motivo che non ho mai voluto che il Principe Soma scoprisse la verità su Mina: purtroppo so molto bene cosa significhi perdere l’unica persona amica in una famiglia dove ognuno lotta per il vantaggio personale dato che mio padre era così.
Penso che gli anni più belli siano stati proprio quelli con lei: prima ancora di iniziare i veri e propri studi, passavo gli interi pomeriggi con lei a giocare, mentre la mattina ero obbligato a imparare i rudimenti dello sanscrito.
Però sopportavo quelle noiosissime lezioni con piacere, perché sapevo che poi avrei avuto l’intero pomeriggio con lei, Dhara e questo mi incentivava a dare il meglio di me.
O meglio, era stata proprio lei a convincermi: infatti, la prima volta che ero stato liberamente obbligato ad andare a lezione, è stato un trauma. Il precettore privato mio e dei miei fratelli era malvagio e faceva di tutto per coglierti in errore: già dal primo giorno pretese che io sapessi il Sutra del Loto a memoria e siccome io non lo avevo recitato come aveva richiesto, mi diede delle bacchettate così forti che le ricordo ancora oggi.
Quel giorno, subito dopo lezione, corsi da Dhara piangendo e lei mi abbracciò accarezzandomi tra i capelli, mentre le raccontavo dell’accaduto. Mi consolò e non appena mi calmai, mi disse:
“Effettivamente ha fama di essere un po’ severo, però se è stato scelto per insegnarvi da vostro padre è per il vostro bene”.
“Non è vero!” dissi ancora offeso “Io non ci vado più a quelle lezioni!”.
“Su signorino, non dite così: se avrete pazienza, vedrete che tutto si risolverà”.
“Ma perché non posso avere te come insegnante?”.
“Mi state sopravvalutando” rise “Non sono per niente al livello del vostro tutore, non potrei mai avere il suo stesso ruolo”.
Sorrisi, sentendomi meglio con la sua risata, però il ricordo dell’umiliazione appena subita faticava a passare:
“Io però non ce la posso fare a passare ogni mattina con quell’essere”.
“Uhm… facciamo un patto” disse allora “se tu farai il bravo la mattina con quell’insegnante, ti prometto che passeremo tutti i pomeriggi insieme a giocare”.
E così accadde. Passai le mie giornate tra studio e giochi, finché non divenni ragazzo e anche i pomeriggi iniziarono ad essere occupati, più che dagli studi, dalle lezioni di combattimento corporeo. Quest’ultimo, devo essere sincero, era il campo che mi piaceva di più da giovane: una volta imparate le basi, non sono più stato sconfitto e questo è sempre stato un mio motivo di vanto.
Mai però avrei pensato che un giorno in virtù di quella stessa forza mi sarebbe stata data una seconda possibilità.
Fortunatamente, anche se non riuscivo più a vedere Dhara il pomeriggio, ogni giorno riuscivamo a trovare il tempo di stare insieme di sera e ci raccontavamo a vicenda gli avvenimenti della giornata: lei le sue vicissitudini con il resto della servitù e io i miei combattimenti e i miei studi.
Così trascorsi i miei anni della giovinezza, che in realtà furono abbastanza sereni, se non fosse per il fatto che, essendo il migliore nel combattimento ed essendo anche moderatamente bravo nello studio, godevo di ottima stima presso mio padre e di altrettanta invidia da parte dei miei fratelli. Non che mi importasse più di tanto: avevo ogni tipo di ricchezza, ero uno stimatissimo aspirante sacerdote e soprattutto avevo Dhara. Lei era diventata un’amica, una confidente e ci volle poco che quei sentimenti di simpatia si tramutassero in qualcosa di più: me ne innamorai perdutamente.
Fu così che una di quelle famose sere, decisi di dichiararmi a lei. Di coraggio non me ne mancava di sicuro: avevo molta autostima a quel tempo e una certa sfacciataggine nelle conversazioni con gli altri, superiori compresi. Pertanto, non appena compresi di covare questi sentimenti per lei, non persi molto tempo: d’altronde nessuno sarebbe mai stato contrario al fatto che avessi una relazione sessuale con una mia serva, era una cosa abbastanza frequente ed ero anche abbastanza consapevole di che effetto avessi nelle altre ragazze. Spesso infatti, alcune delle servitrici della casa mi si erano dichiarate, con somma invidia da parte dei miei fratelli, ma non mi ero mai lasciato andare con una di loro. Forse perché già da allora avevo iniziato ad amare Dhara.
Così, una di quelle sere, ci provai con lei e se ora ci penso mi viene quasi da ridere per il maldestro modo con cui l’ho fatto. Mi stava parlando di come era infastidita dal fatto che uno dei nuovi servitori la importunasse spesso con delle avanches, quando a un tratto io l’ho guardata negli occhi e le ho chiesto:
“E se fossi io a comportarmi così con te, tu ne saresti infastidita?”.
Lei prima mi guardò sorpresa, quasi non credendo alle sue orecchie, poi distolse lo sguardo arrossita e mi rispose:
“Non penso mi dispiacerebbe...”.
“Neanche se fossi così spudorato da farle ora?” chiesi, avvicinandomi sempre di più al suo viso.
Però Dhara a quel punto cambiò atteggiamento: se in un primo momento mi era sembrata timida e inesperta, all’improvviso puntò gli occhi su di me e con una certa punta di orgoglio mi disse:
“Io sono sempre stata vostra”.
E a quel punto, non ho più resistito: mi sono fiondato sulle sue labbra morbide e l’ho baciata. Lei ricambiò il bacio e vi posso giurare sul principe Soma, la dea Kali e qualunque altra divinità che non ci fu mai momento più bello di quello, nella mia passata vita.
Quello fu l’inizio della mia relazione amorosa e sessuale con Dhara e il primo anno proseguì con serenità: ogni giorno mi allenavo nei Sutra e nel combattimento, mentre ogni notte mi dedicavo alla mia ragazza. Le nostre chiaccherate serali divennero anche coccole, poi coccole spinte, fino alle veri e propri amplessi. Era praticamente perfetto. Nulla mi mancava.
Però, come spesso si dice, è proprio nei momenti di maggiore sicurezza che bisogna iniziare a temere. Nel mio caso, l’avvenimento che stravolse la mia vita non fu un fatto repentino, ma fu dapprima una sensazione, che poi sfociò in qualcosa di diverso.
Era da un po’ che, con il mio amore per Dhara, stavo cambiando: anche se restavo il solito ragazzo spavaldo, ero venuto a contatto con le condizioni in cui versava la servitù e i sopprusi a cui dovevano sottostare. La mia ex nutrice mi raccontava molto della sua vita e di come mio padre non si comportasse esattamente come descrivevano i Sutra: era violento e indugiava fin troppo nel lusso, al punto che, secondo alcune voci, se riuscivamo a vivere in questo modo, era solo grazie al fatto che aveva fatto dei prestiti i cui interessi erano fin troppo alti, mandando in bancarotta diversi indiani. In altre parole, gli davano dell’usuraio. Però, all’inizio non ci davo poi tanto peso: vedevo mio padre in una luce positiva, forse perché lui apprezzava la mia bravura e quindi non avevo mai avuto dei veri e propri litigi con lui, come invece accadeva spesso agli altri miei fratelli.
Però in findei conti, a parte quando mi iniziò agli studi di sanscrito vedico, non avevo mai avuto molti contatti con lui da quando ero stato affidato da Dhara, se non quando mi convocava nel suo ufficio per congratularsi con me per le vittorie nei combattimenti. Per tutto il resto del tempo, era la mia nutrice quella che mi insegnava come comportarsi ed è stato proprio grazie a lei che il mio carattere, sin da piccolo un po’ impulsivo e feroce, è stato limato dalla sua gentilezza e dal suo buon cuore.
Tuttavia, questi due mondi, che solo ora mi rendo conto di quanto diversi siano, non erano mai entrati in contatto tra di loro: per me era quasi normale essere più sfrenato con uno e più gentile con l’altra. Eppure, la consapevolezza di questa mia dualità nel comportamento, arrivò poco dopo l’inizio della mia relazione con Dhara.
Una sera, mio padre aveva deciso di tenere un banchetto in casa nostra. Non ricordo precisamente il motivo, però deve essere stato qualcosa di veramente molto importante perché la preparazione per quell’evento da parte della servitù iniziò quasi un mese prima e Dhara mi aveva parlato molto della lunga organizzazione per il banchetto: avevano addirittura richiesto che arrivassero delle statue di ghiaccio direttamente dall’Islanda.
Comunque, ciò che conta è il fatto che per la prima volta entrambi si trovavano nella stessa stanza insieme a me, sebbene per due motivi diametralmente opposti: mio padre presenziava in quanto padrone di casa, mentre Dhara doveva servire ai tavoli con le altre serve, anche se, onestamente, tra tutte era quella che risaltava di più. Non dico questo perché la amavo, ma anche perché oggettivamente parlando era così e quella sera era magnifica, avvolta in un bellissimo color indaco, più di ogni altra nobildonna in quella sala.
Quando era ormai mezzanotte inoltrata, la maggior parte degli ospiti era brilla se non completamente ubriaca, ma questo non sarebbe stato un grosso problema se non che una delle ragazze che serviva ai tavoli inciampò e cadendo versò tutto il contenuto della portata in faccia a mio padre.
In un attimo, la sala cadde nel silenzio e tutti gli occhi si puntarono sulla serva e il padrone di casa.
Subito la povera ragazza si inginocchiò e chiese perdono per il suo errore, mentre mio padre, passato il primo attimo di incredulità, divenne tutto rosso dalla vergogna e dalla rabbia e il vino, che non aiutava nel controllare le sue emozioni, lo fece gridare dalla rabbia e insultare la serva:
“Tu! Stupida incapace, non riesci nemmeno a tenere in mano una portata! Meriti una bella punizione per quello che hai fatto, vedrai come verrai rieducata a suon di frustrate!”.
La ragazza impallidì e non rispose, tenendo lo sguardo basso e non osando quasi respirare, ma mio padre continuava a rincarare la dose:
“Sei soltanto una poco di buona! Avrei dovuto lasciarti in strada a vivere con la prostituzione in cui eri tanto brava, perché a parte scopare non sai fare niente di niente!” disse, continuando a insultarla nel peggiore dei modi, mentre l’altra restava lì, a subire tutte le ingiurie del caso.
Lo spettacolo si era protratto talmente a lungo da metterlo quasi in ridicolo: certo, era lecito arrabbiarsi, ma la reazione avuta da mio padre era fin troppo eccessiva. Fu allora in quel momento che Dhara si frappose tra di due, sempre inginocchiandosi:
“Padrone, ritengo che il vostro rimprovero sia sufficiente per stasera”.
Rimasi sconvolto dal coraggio della donna che amavo: io, pur essendo tanto bravo nel combattere, non ero riuscito a muovere un dito, mentre lei aveva osato frapporsi tra i due, pur sapendo di fallire.
“Sufficiente? Ai miei tempi, se un servo avesse combinato un guaio del genere, come minimo gli sarebbe spettata la morte! E ora levati di mezzo!” ordinò.
“Mi dispiace padrone, ma vedere il modo indecoroso in cui vi state comportando non mi consente di farlo” rispose “Vi prego di calmarvi e ragionare...”.
Però mio padre non volle sentire ragioni:
“Come osi opporti ai miei ordini, miserabile serva! Solo perché sei la concubina di mio figlio non significa che sei autorizzata a dirmi cosa fare!” disse e mosse un passo come per darle un ceffone e fu in quel momento che, vedendo la donna che amavo in pericolo, smisi di ragionare.
Mi mossi verso di lui e lo fermai:
“Padre, non vale la pena perdere tempo con delle serve, perché non continuate a godervi il banchetto? Alle punizioni ci penserete domani, per ora pensate a divertivi e fare divertire gli ospiti, come si conviene a un bravo padrone di casa”.
Le mie parole sembrarono scuoterlo dal torpore in cui si trovava: annuì e, dopo aver ordinato che le due serve fossero allontate da lui, andò in camera per pulirsi, congedandosi momentaneamente.
Dhara mi guardò con riconoscenza e, non appena ci incontrammo quella notte, mi ringraziò molte volte, ma c’era qualcosa in me che era irremediabilmente cambiato. In quel preciso attimo in cui mio padre stava per alzare le mani su Dhara, mi ero reso conto della crudeltà che gli veniva attribuita e tutto quell’oro di cui aveva iniziato a circondarsi mi sembrava inutile, pacchiano e fin troppo artificioso.
Anche nei banchetti successivi iniziai a fare a caso a questa nuova sensazione che provavo: mi infastidiva come si faceva imboccare dalle ballerine, come pretendesse che ogni suo capriccio venisse soddisfatto immediatamente, persino il suo vestito tessuto con fili di seta e oro mi innervosiva. Eppure, non c’era mai nessuno che provava a fermarlo: sembrava come se avere i soldi significasse essere sempre nella parte del giusto e quel che mi chiedevo sempre più spesso era a che cosa servissero tutti quegli insegnamenti dei Sutra, se poi persino noi, i sacerdoti di quella religione, non li seguivamo. Se noi per primi non davamo l’esempio, perché qualcuno avrebbe dovuto farlo?
Però, proprio mentre iniziavo a pensare che la religione fosse inutile, ecco che mi veniva in mente Dhara e il suo coraggio quella sera. Lei, di buon cuore proprio come prescrivevano i Sutra, si era opposta all’ingiustizia che stava commettendo mio padre, con la sola forza dei suoi principi: in un certo senso, meritava più lei di essere un bramino che non io! Lei era quella che agiva sempre per il bene altrui e sono certo che il motivo per cui aveva cercato di fermare mio padre non era solamente per solidarietà nei confronti della nuova arrivata, ma anche perché ci teneva che non facesse una brutta figura.
Tutto quello che ero, tutto il buon che avevo in me, era soltanto grazie ai suoi insegnamenti ed era questo quello che io volevo essere: un grande sacerdote con un cuore gentile come il suo.
Una volta però raggiunta questa consapevolezza, all’improvviso mi resi conto di quante volte anche io ero stato crudele con la servitù e quante volte ero stato fin troppo indulgente con me stesso ed iniziai così a frenare le azioni sbagliate che compivo. Un’azione difficoltosa e limitata all’inizio, che con il tempo divenne tuttavia sempre più semplice ed estesa, al punto da diventare naturale e cambiare il mio carattere. Sono anche certo che la cosa venne notata dagli altri abitanti della casa, servitori e famigliari, con somma gioia dei primi e disappunto dei secondi, che spesso non risparmiavano delle frecciatine; e più il mio divario con i miei simili cresceva, più l’amore che provavo per Dhara aumentava. Di sera in sera, imparavo sempre più cose nuove su di lei e sul suo passato: mi raccontò di come fosse stata abbandonata dai genitori non appena nata e venne trovata da una delle serve di questa casa. Mio padre decise di tenerla, dato che a quel tempo era a corto di personale e di questo Dhara gli fu sempre grata: anche se aveva un pessimo carattere, non si può dire che mio padre fosse una persona malvagia… solo un po’ troppo attaccata ai piaceri terreni.
Imparò quindi a cucinare, rammendare i vestiti, lucidare le posate e svolgere tutte quelle mansioni che si convenivano a delle serve e a quattordici anni le fui affidato io. Sorprendetemente, scoprii che all’inizio mi odiava: quando ero appena nato, a quanto dicevano, ero una peste insopportabile, che si svegliava ad ogni ora della notte e fu per questo motivo che venni affidato a lei: nessun altra serva voleva svolgere quell’incarico.
“Però ora vedendo il bel ragazzo che sei diventato se ne stanno pentendo amaremente” disse a conclusione del discorso quella notte e per questo mi venne da ridere.
C’era comunque una cosa di cui evitavamo molto abilmente di parlare entrambi e quella cosa si chiamava futuro. Sia io che lei infatti eravamo ben consci del fatto che la nostra serenità non sarebbe stata duratura e questo a causa del mio matrimonio combinato. Proprio come Ciel con Lady Elizabeth, anche io ero fidanzato sin dalla più tenera età con una bambina e sapevo che prima o poi sarei stato costretto a troncare la mia relazione con Dhara: non sarei mai riuscita a prenderla come concubina in casa mia, perché so a cosa sarebbe andata incontro. Avrebbe dovuto udire me e mia moglie ‘assolvere ai nostri doveri coniugali’ e quale pena peggiore per un innamorato? Certo, so che lei avrebbe accettato di tutto pur di stare al mio fianco, eppure ero io quello che non poteva nemmeno sopportare l’idea che lei dovessi subire tutto questo: non se lo meritava.
Eppure, a mano a mano che i giorni passavano, questa spada di Damocle continuava a pendere silenziosamente sulla mia testa, finché un giorno, la sottile corda che la separava dal mio capo non si ruppe completamente.
Non ricordo molto di quel giorno: non era successo nulla di rilevante, in quella lontana giornata d’autunno, finché mio padre non mi convocò nel suo studio. Dopo un primo momento in cui parlammo del più e del meno, venne alfine al dunque:
“Dunque figlio mio… L’altro giorno è venuto qui quel mio amico di cui ti dicevo un paio di giorni fa e mi ha riferito che… ecco, sua figlia, nonché la tua futura sposa, è finalmente pronta per il matrimonio, quindi mi chiedeva la data del vostro matrimonio” disse e poi si sentì in dovere di iniziare ad elencarmi tutti i doveri di un uomo nel matrimonio e di come ci fosse bisogno di una discendenza che potesse garantire la continuazione della nostra famiglia.
“Certo non devi rispondermi ora, prenditi tutto il tempo che vuoi… entro tre giorni però devi sapermi dire, in modo da poter organizzare le nozze” concluse poi.
In quel momento, non so esattamente cosa provassi: era come se all’improvviso fossi diventata una di quelle alghe trasportate dal mare e tutto quello che potevo fare era soltanto cercare di galleggiare per non sprofondare negli abissi. L’aria mi si era bloccata nei polmoni, perché sapevo bene cosa significasse questa conversazione: la fine della mia storia con Dhara. Volli tuttavia esserne certo:
“E Dhara?” chiesi.
“Naturalmente anche lei potrà far parte della servitù della tua casa! Però non ti consiglio di avere dei figli con lei… quelli illegittimi sono sempre una seccatura, pretendono cose su cui non hanno alcun diritto. Credi a me figliolo...”.
Questa conferma di ciò che sia io che lei già sapevamo fu un colpo allo stomaco: ciò che più temevo sarebbe arrivato nel giro di poco e io non potevo fare assolutamente nulla per oppormi.
Uscii poco dopo dall’ufficio di pessimo umore e quella sera stessa mi finsi malato con Dhara. Lo so che avrei dovuto metterla subito al corrente di quanto era accaduto nell’ufficio, ma prima avevo bisogno di rinfrescarmi le idee, così quella sera la passai sul letto della mia stanza a pregare gli dei di darmi una soluzione ed effettivamente l’illuminazione mi venne mediante un sogno.
Mi trovavo in una specie di caverna in cui ero costretto a spostare mattoni da terra per costruire un muro ed era un lavoro infinito perché, pur essendo a metà dell’opera, ogni volta che aggiungevo un mattone, un altro si toglieva da solo dal muro, come per magia. Allora andavo a sistemare il mattone che si era tolto e subito accadeva la stessa cosa con un altro e così mi trovavo ogni volta daccapo.
Poi però trovai un fiore color indaco tra i mattoni e non appena lo raccolsi da terra quel fiore divenne una vacca bianca e in groppa ad essa superai il muro ed uscii dalla caverna.
Non appena mi svegliai, mi fu subito chiaro cosa dovevo fare: fuggire insieme a lei. Non c’era altro modo: non avrei mai potuto evitare il mio matrimonio, quindi l’unica soluzione era quella di fuggire il più rapidamente possibile da esso.
Così pianificai tutto alla perfezione: chiesi a una delle serve di fiducia che avevo nella casa se potesse fare in modo di allontanare Dhara dalla casa e portarla al mercato. Dopodichè scrissi una lettera in cui spiegavo a mio padre il perché della mia decisione e, raccolti buona parte dei soldi che avevo, fuggii di nascosto da quella casa.
Sarebbe andato tutto bene. Era un piano molto semplice, che però al tempo stesso sarebbe stato molto efficace, se solo avessi scelto più accuratamente di quali persone fidarmi e quali no. O meglio, se avessi capito sin da subito che l’unica mia amica in quella casa era solo Dhara. Da quando infatti avevo iniziato ad essere più magnanimo con i miei servitori, mi ero illuso di essere amato da tutti loro, ma la verità è che spesso essere temuti è meglio che essere amati e questo era uno di questi casi. La serva ci portò fuori dalla casa, ma non appena rientrò in casa indicò ai servitori di mio padre dove ci trovavamo e questi vennero a fermarci: e tutto questo per un misero aumento di stipendio.
Ci provai a combatterli: d’altronde, avevo messo in conto che probabilmente, appena mio padre lo avesse saputo, ci avrebbe sguinzagliato i suoi mastini, ma non avevo calcolato un possibile tradimento. Avevo previsto che ci avrebbero raggiunto quando ormai eravamo lontani da lì, invece non avevo neanche fatto a tempo a spiegarle e convincerla della fuga, che già eravamo stati accerchiati.
Usando la forza per cui ora sono tanto famoso, ne stesi più della metà, ma poi uno di loro si servì di Dhara come ostaggio e mi costrinse alla resa. Una volta gettate tutte le armi, mi fecero crollare svenuto con un sapiente colpo in testa e da lì tutto ciò che ricordo è il buio. L’unica vaga sensazione di cui ho memoria è un leggero senso di dolcezza, che a partire dalle labbra mi si propagò in tutto il corpo. Poi, più nulla.
Quando mi risvegliai un paio di giorni dopo, era già troppo tardi. Non c’era più nessuna traccia di Dhara e sembrava quasi che non fosse mai veramente esistita: in casa nessuno si ricordava di lei e non appena provavo a chiedere dove fosse, tutti mi guardavano come se fossi pazzo.
Mi fiondai nell’ufficio di mio padre disperato, piangendo e urlando come un invasato, chiedendo invano:
“Dov’è lei?!”.
L’unica risposta che mi venne data fu questa:
“Se ne è andata”.
In quale senso si intendesse questa frase, se se ne fosse andata dalla vita o dalla casa, non era dato saperlo. O meglio, io lo sapevo benissimo, ma nessuno aveva avuto il coraggio di dirmelo in faccia e così sarà per sempre: ormai se ne era andata, quindi inutile parlare di lei. Come altrettanto inutile era dire che quello che mi aveva dato prima che io perdessi i sensi era il nostro ultimo bacio. Cosa infatti poteva ormai importare di una donna che non esisteva più, di cui non vi era più nemmeno un cadavere per cui costruire una tomba?
Fu in quel momento che capii che la mia gioia era finita per sempre: un profondo dolore sordo mi attanagliò il cuore, al punto che per un attimo smisi di respirare per il dolore. Poi, lentamente, delle lacrime rosso sangue iniziarono a scorrermi sul viso, per la prima volta in assoluto, e potei sentire chiaramente il mio cuore spezzarsi, al sopraggiungere di una semplice consapevolezza: era colpa mia se era morta. Solo ed esclusivamente colpa mia. Mille volte meglio sarebbe stato morire anche io con lei, infilzato dalle armi degli altri aguzzini, torturato fino alla morte.
Però la realtà era un’altra: io ero vivo e lei no.
Questa consapevolezza mi fece impazzire in un primo momento, al punto che in uno di questi deliri tentai persino di suicidarmi. Venni però fermato all’ultimo e portato legato in una stanza vuota, in attesa che io mi calmassi.
Ci volle circa una settimana.
Nei primi tre giorni, urlai in continuazione come un matto nella stanza fino ad arrivare a perdere la voce. Poi, persa quella, iniziai a graffiarmi su tutto il corpo, supplicando con voce flebile che qualcuno, qualche dio, mi punisse per quello che avevo fatto. Eppure, non una divinità mi rispose e in un primo momento pensai che continuare a vivere come se nulla fosse mai accaduto ma con quel peso dentro fosse la mia punizione. Poi però, iniziai a pensare che in realtà se accadeva questo era perché io avevo allontanato Dhara e i suoi insegnamenti dalla mia vita e quindi nemmeno gli dei osavano più guardare nella mia direzione. Ero stato talmente egoista nel mio comportamento, che avevo dimenticato quali fossero i miei doveri di figlio, macchiandomi persino di omicidio e per questo ero talmente corrotto dentro che se solo gli dei avessero guardato verso di me, sarebbero stati contaminati. Infine, pensai che in fondo era colpa anche degli dei stessi: loro mi avevano mandato quel sogno e sebbene anche io avessi sbagliato nell’interpretazione, la colpa era anche loro che avevano fatto sì che lo interpretassi così.
Così, una volta che ritrovai la voce e la stabilità mentale, una grande voragine si era aperta nel mio cuore: ormai non ero più un essere vivente. Avevo smesso di credere alle divinità, ai Sutra, anche a me stesso e mi ero semplicemente affidato alla corrente.
Non appena tornai ad essere ‘normale’, mi sposai con la donna che era stata scelta per me e mi diedi ai più sfrenati piaceri. Non mi importava più di nulla: ingannai, stuprai, uccisi diverse volte da quel giorno e più lo facevo, più una strana sensazione di intorpidimento si impossessava di me.
Ormai tutti mi temevano in città, persino mia moglie e se anche qualcuno avesse cercato di fermarmi sarebbe stato impossibile: avevo imparato a usare le persone come dei burattini e se anche qualcuno avesse cercato di spifferare qualcosa alla polizia, non era un mio problema, perché li avevo corrotti tutti con i miei soldi.
Così, passarono diversi anni della mia vita, così tanti che persi il conto e iniziai persino ad essere nauseato da tutto il male e la devastazione che stavo causando. Persa ogni fiducia negli dei, negli altri e persino la voglia di vivere non mi restava che fare una cosa: andarmene da Dhara in grande stile e avevo in mente già da tempo come farlo.
L’idea mi era venuta proprio una di quelle notti di reclusione: portare nella tomba con me la persona che mi aveva reso la vita un inferno, mio padre. E questa volta il mio piano fu perfetto, non solo nella teoria, ma anche nella pratica: ho sempre avuto il pregio di imparare dai miei errori velocemente.
Una sera in cui si teneva l’ennesimo banchetto a casa di mio padre, proprio mentre teneva il discorso di ringraziamento davanti a tutti, mi avvicinai con passo deciso da dietro e gli tagliai la gola. Tutto avvenne così rapidamente che nessuno ebbe il tempo di reagire: prima ancora che si scatenasse il panico, il suo cuore aveva già smesso di battere.
Lasciai cadere per terra il suo corpo e poi attesi: intorno a me, tutti correvano in preda all’agitazione per quello che era accaduto. Alcune dame erano già svenute, mentre alcuni dei più intraprendenti avevano chiamato la polizia, a cui mi consegnai senza opporre resistenza alcuna. Sapevo che stavo per morire e la cosa non mi dispiaceva affatto: mi sentivo pronto ad affrontarla.
Mantenni quella sicurezza per tutto il giorno in cui dovetti stare in carcere e persino quando venni condotto al tramonto davanti al patibolo.
Eppure, proprio mentre ero a un passo dalla morte, con la corda già intorno al mio collo, una di quelle divinità in cui non credevo è venuta in carne ed ossa da me, dandomi un’altra possibilità ed è per questo che ho deciso di consacrare la mia nuova vita a lui che me l’ha donata.
Non mi importa molto se vivrò ancora a lungo per servirlo oppure se morirò nel farlo, anche se ammetto che preferirei la prima, in modo da non lasciare mai solo il mio principe, perché al di là di tutto desidero soltanto che splenda sopra tutti gli altri, in modo da confortare gli altri con la sua luce e in modo da far aprire il terzo occhio* non solo a me, ma anche a tutti coloro che lo guardano.
E con questa lettera, giuro sul mio sangue che non farò più parola del mio passato, né su mio padre, né su Dhara e mi dedicherò completamente a lui, in modo che non si preoccupi più per me, fino al giorno della mia morte.

Agni


 

Quando il principe Soma finì di leggere quella lettera, grosse lacrime salate gli scorrevano nel viso: non era passata neanche una settimana dalla perdita del suo khansama e aprendo per caso la sua valigia aveva ritrovato quella lettera che lui stesso si ricordava di aver costretto a far scrivere ad Agni. Ricordava bene quel giorno: aveva visto il suo maggiordomo triste e quindi lo aveva costretto a scrivere quella stupida lettera e metterla in valigia, anche se inizialmente Agni avrebbe voluto bruciarla. Ringraziò il se stesso del passato per aver costretto il suo servitore a non farlo e tra le lacrime abbracciò quella lettera, quasi come se potesse sostituire la sua persona. In realtà, razionalmente parlando sapeva che ciò fosse impossibile, eppure per un attimo gli parve di sentire il suo spirito lì vicino a sorridergli e a consolarlo, proprio come quando aveva scoperto che Mina lo aveva lasciato per un nobiluomo inglese.
Il suo spirito era di un vago colore indaco.


 


 

NOTE:

*→ Con il ‘terzo occhio’ si intende, nella religione buddhista, quello del sesto chakra, ajna, ossia la sede della ‘saggezza nascosta’, che è rappresentato dal bindi di Agni, ossia quel ‘pallino’ in mezzo alla sua fronte e il cui colore è proprio l’indaco.

§§§§

ANGOLO DELL’AUTRICE:
Ciao a tutti!
Questa è la mia prima fanfiction in questo fandom, quindi spero che vi sia piaciuta. Se volete lasciare delle recensioni o qualsiasi cosa, come sempre sono molto gradite.
Anche se mi piace molto Sebastian, ho voluto dedicare la mia prima fanfiction ad Agni, che è sempre stato un personaggio che ho adorato per la sua assoluta lealtà e umiltà, per quanto non si sappia molto del suo passato. Così, con questa fanfic volevo ricostruire (in modo un po’ romanzato) quello che poteva essere prima di aver conosciuto il principe Soma ed è per questo che l’ho dedicata a lui.
Ammetto che non so moltissimo del buddhismo e la maggior parte delle informazioni le ho prese da Internet augurandomi che siano vere, quindi se ci sono errori a riguardo, prendetele per delle concessioni letterarie.
Sperando di essere riuscita nel mio intento, vi lascio con quest’ultima citazione, sempre di Agni, che mi è piaciuta moltissimo:
“Ognuno nasce con un suo talento. Gli dei stabiliscono il cammino e i compiti di ogni persona e noi figli degli dei dobbiamo accettarlo e fare del nostro meglio”.

Anna3

   
 
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