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Autore: MissAdler    29/11/2019    4 recensioni
Benedict e Martin hanno avuto una storia d'amore diversi anni fa, finita poco prima del matrimonio con Sophie. Dopo liti, parole pesanti e silenzi interminabili, un'intervista di Martin smuove definitivamente qualcosa nel cuore di Ben.
Perché, in fondo, loro quel filo non l'hanno mai reciso.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Benedict Cumberbatch, Martin Freeman
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Amore, amore mio

Tu non ricordi, ma eravamo noi

Noi due abbracciati, fermi nella pioggia

Mentre tutti correvano al riparo

E il nostro amore è polvere da sparo

E il tuono è solo un battito di cuore

E il lampo illumina senza rumore

E la mia pelle è carta bianca per il tuo racconto

Ma scrivi tu la fine

Io sono pronto


Negramaro ft Jovanotti

 

 

Non ti sembra vero, è lì, di fronte a te, eppure potrebbe benissimo trattarsi di un miraggio, di un sogno, di un’allucinazione crudele e meravigliosa, che tu stesso hai bisogno di credere reale.

La pioggia si infrange sui vetri del locale e i mille percorsi tracciati dalle gocce d’acqua creano disegni astratti sulle superfici trasparenti, impedendovi di vedere chiaramente la promenade semideserta, la ringhiera verdastra che dà sulla spiaggia, il mare che si agita squarciato dai fulmini, mostrando solo una vaga nebbia grigia, illuminata di tanto in tanto dai lampi e dai fari di qualche macchina che sfreccia sull’asfalto bagnato.

“Cosa prendi?”

Bastano due parole banali a farti sussultare il cuore, a spaccarti l’anima come se ormai fosse solo un ammasso di terra arida pronto a sgretolarsi.

Lui è lì e ti sta parlando, con la sua solita voce nasale e uno sguardo che per un attimo ti fa dubitare di poter rispondere qualcosa di sensato.

“Solo un caffè” riesci a dire, e pensi che abbia del ridicolo, il fatto che quelle poche parole inutili siano le prime che vi scambiate dopo tanto tempo.

Lo vedi fare un cenno alla cameriera e ordinarne due, per poi riportare quegli occhi indagatori su di te.

“Quelli” indica brevemente i tuoi occhiali bagnati di pioggia, “immagino siano per questo sole accecante, giusto?”

Accidenti a lui, non ha perso la sua meravigliosa ironia e per un attimo vorresti scoppiare a ridere e inventare una risposta altrettanto scema per far ridere anche lui.

Invece ti limiti ad estrarre una mano dalla stretta morsa delle tue cosce e ad abbassarti lentamente gli occhiali scuri, appoggiandoli sul tavolo e distogliendo subito lo sguardo.

“Dio santo, Ben…”

La sua voce è come una coltellata in pieno stomaco, perché sai che cosa sta guardando, sai cosa vede, e sai quanto tutto questo lo sconvolga.

Sconvolge anche te, ogni giorno, quando sei costretto a guardarti in qualunque superficie rifletta la tua immagine, ricordandoti ciò che sei stato e che non sei più. Sei tu, eppure non sei tu, quell’uomo che fissi negli occhi attraverso lo specchio e che ti restituisce lo sguardo con disgusto, quell'uomo che ora anche lui può guardare in faccia.

“Non hai un bell'aspetto… stai bene?”

Sembra preoccupato, intreccia le dita sotto il mento e ti fissa in un modo che avevi completamente dimenticato, con quegli occhi che hanno il potere di farti sentire spogliato di ogni cosa, nudo, scoperto, trasparente.

“No, io… sto bene, sono stato a dieta per lavoro… sai…” riporti le mani tra le cosce, le contorci fino a farle scrocchiare, ti graffi con le cuciture dei jeans e pensi che non dovresti mentirgli, non più, non adesso che potrebbe essere la tua ultima chance per dirgli ogni cosa.

“Martin…” esordisci raddrizzandoti sulla sedia, ma proprio in quel momento torna la cameriera con due tazzine di caffè bollente. Ve le appoggia sul tavolo e se ne va senza lasciarvi il tempo di ringraziarla.

Forse nemmeno l’avresti fatto, tanto sei confuso ed agitato. Prendi nota di lasciarle una bella mancia e per un istante ti senti a posto con la coscienza.

“Come stanno Sophie e i bambini?”

“Oh…” avresti dovuto aspettartelo, eppure sussulti come se ti fossi appena ricordato di loro, come se avessi momentaneamente rimosso di avere una famiglia che ti sta aspettando a casa. “Bene. Benissimo in effetti… loro... sì, stanno bene. Joe e Grace?” gli domandi di getto, genuinamente curioso.

“Mh…” ti scruta perplesso, tirando su col naso e inarcando un sopracciglio, “stanno benone anche loro, sì… grazie.”

Lo guardi anche tu, dritto negli occhi, forse per la prima volta da quando sei entrato in quel dannato bar. E decidi che non ha senso parlare del più e del meno, non ora, non con lui.

“In realtà… sono io che non sto bene.”

Lo dici senza respirare stringendo più forte le ginocchia nodose sulle tue mani giunte.

Lui non dice niente, ti guarda in silenzio e aspetta che tu dica qualcos’altro.

“Ho fatto un casino, Martin… un gigantesco, irrimediabile casino.” Sospiri, provi ad incamerare aria ma è come se i tuoi polmoni fossero chiusi e la tua gola si restringesse ad ogni secondo e, per un attimo che dura fin troppo a lungo, temi di soffocare. “Ti prego, non guardarmi così.”

“Così come, Benedict?”

Si svolta verso il bancone e sbuffa a disagio.

“Come se ti facessi pena. Lo so che ho una faccia di merda, che non ho alcun diritto di piombare qui e che probabilmente mi odii, ma-”

“Io non ti odio, Ben, anche se a volte ti comporti come un vero stronzo.”

Stai per rispondergli ma ti mordi la lingua e deglutisci a fatica quel boccone amaro. Sai che ha ragione, l’hai sempre saputo eppure hai lasciato che l’orgoglio ti impedisse di ammetterlo e di chiedergli scusa. Ora puoi farlo, eppure continui ad aspettare, ti agiti sulla sedia, sfreghi le mani tra le cosce, incastri la testa nelle spalle e guardi insistentemente in basso.

“E non sono più arrabbiato con te, se è questo che ti tormenta” lo senti sorridere, il tono della sua voce si addolcisce e ti dà la forza di tornare a guardarlo negli occhi, “sono passati anni, abbiamo fatto scelte diverse… alcune le hai fatte da solo ma, ehi, la vita è andata avanti lo stesso, no?”

Solo ora ti accorgi di quanta amarezza si celi in quel sorriso, e ti fa male, ti stringe la gola, ti ci ficca un groppo che non puoi mandar giù e che ti provoca un singhiozzo impossibile da trattenere.

“Sono proprio quelle, le scelte di cui parlavo” riesci a dire, “e non voglio credere che sia troppo tardi…”

Finalmente Martin si decide a bere quel caffè, lo fa in un sorso solo, leccandosi lentamente le labbra mentre sistema di nuovo la tazzina di fronte a sé, sul piattino sbeccato.

Tu invece non ce la fai, senti che potresti dare di stomaco anche solo per l’odore.

“Hai problemi con Sophie, Ben? Vuole lasciarti, è questo?”

“Cos- no! Non è Sophie, lei non ha nessuna colpa… non quante ne ho io, almeno…” senti il telefono vibrarti nella tasca dei pantaloni ma lo ignori. Sai che è lei, che probabilmente si starà chiedendo dove sei, ma ora proprio non ce la fai a gestire anche questo e aspetti semplicemente che smetta, portando gli occhi fuori dal vetro della finestra, concentrandoti sulla pioggia che continua a battere incessante sull’asfalto. Intravedi la tua macchina parcheggiata poco più giù, pensi distrattamente ad una scusa da balbettare al tuo ritorno, soppesi l’ipotesi di non tornare affatto e per un attimo quel peso smette di gravarti sul cuore, la gola si dilata a far entrare aria e finalmente ti sembra di poter respirare di nuovo a pieni polmoni.

Sollievo che dura ben poco, perché Martin riprende subito a parlarti con la solita nota di tristezza nella voce.

“Dobbiamo smetterla, Benedict. Hai una moglie e due figli, accidenti. Due, tre, non ho idea di quante volte tu ti sia riprodotto, in effetti. Con te non si capisce mai niente. Comunque, hai una famiglia e te la sei scelta per cavoli tuoi, l’hai creata tu, hai piantato i semi tra le nostre stesse macerie, ricordi?” si sta sporgendo verso di te, puntandoti l’indice e aggrottando le sopracciglia su due occhi che ora potrebbero benissimo incenerirti, “e lo sai, sei stato tu a mandare tutto a puttane.”

Conclude tirando ancora su col naso e risistemandosi sullo schienale con aria risoluta.

Eccolo il tuo Martin, l’insolente che ti sbatte in faccia la verità come uno schiaffo dato di rovescio. E ti fa vibrare le guance bollenti, mentre non riesci a trattenere una lacrima. Te la senti scendere lentamente sullo zigomo, affilato e sporgente come quello di un teschio.

“Ben, per l’amor di dio” ricomincia con un tono diverso, più basso e conciliante, “non ce l’ho con te, davvero, quel che è fatto è fatto, se è l’assoluzione che cerchi, ti garantisco che ce l’hai, totale e sincera. Non voglio ferirti… solo che… fa troppo male… riportare a galla certe cose... siamo riusciti solamente ad allontanarci di più ad ogni tentativo di riconciliarci, l’ultima volta sono bastati pochi messaggi. Ed io non ce la faccio più, Ben, non sei il solo ad avere una famiglia, ho dei figli anch’io e poi…” distoglie lo sguardo e lo fa vagare oltre il vetro, oltre la ringhiera verde, lungo il pontile e ancora più lontano, sul mare in tempesta che pare verde anch’esso, “mi vedo con una persona.”

 

Non è come uno schiaffo, no, nemmeno come una coltellata.

Ti sembra che si sia sporto su di te e ti abbia infilato una mano nel petto, strappandoti via il cuore, stringendolo talmente forte da farlo esplodere tra le sue dita.

Non sai cosa dire, è tutto sbagliato, non doveva andare così, maledizione! Non sei neanche riuscito a dirgli che lo ami ancora, che ti dispiace, che vuoi solo lui, che l’hai sempre voluto, nonostante tu non abbia avuto le palle per ammetterlo, per sceglierlo, per infischiartene di tutto il resto.

“Chi è?” domandi senza fiato, con un filo di voce.

Lo osservi mentre si massaggia una tempia e giunge le mani davanti alla bocca, muovendo le dita nervosamente.

“Lui… si chiama Tom...”

“Lui?”

No, non ce la fai. Non un altro uomo. Non uno che non sia tu…

Te l’ha spappolato, il cuore, ed ora ne sta gettando via i resti senza pietà, come se nemmeno sapesse che quel muscolo ormai a brandelli palpitava solo per lui.

Il tuo telefono ricomincia a vibrare ma lo ignori ostinatamente.

Forse non lo sa perché non glielo hai mai detto.

E non lo fai nemmeno ora, sai che non servirebbe, che una scena patetica è l’ultima cosa di cui avete bisogno, anzi, ora devi uscire di lì, subito, non resisti più, è come se le pareti ti si restringessero addosso e il soffitto potesse crollarti sulla testa da un momento all’altro.

Non c’è aria, non c’è luce.

Soffochi.

“Io… scusa, non avrei dovuto chiederti di vederci, non so cosa mi sia preso… devo andare…”

“Ben, aspetta…”

Ma tu sei già in piedi, ad infilarti il giaccone senza nemmeno allacciarlo, a lasciare una banconota da cinquanta sterline sul bancone evitando di guardare in faccia la cameriera, probabilmente sconvolta.

Preghi che non ti abbia riconosciuto.

Esci di corsa, senza voltarti, ricordandoti dell’ombrello solo quando giungi in mezzo alla strada, scoppiando in lacrime sotto la pioggia, dando finalmente sfogo a quel dolore insostenibile, raggiungendo la macchina a testa bassa, le gocce di pioggia a pungerti il viso e ad inzupparti i capelli e i vestiti.

E quel dannato telefono che non smette di vibrare.

“Ehi!”

Ti volti e vedi Martin che corre verso di te, senza ombrello, completamente zuppo anche lui.

Hai sempre trovato buffo il suo modo di correre, tra voi due era lui quello goffo, tanto tempo fa. Ora invece pensi che sia perfetto, in totale armonia con se stesso, col mondo, con ogni cosa. Mentre tu sei solo un uomo ridicolo, che inciampa ad ogni passo e che a malapena si regge in piedi.

“Ehi, aspetta un secondo” ti raggiunge col fiatone, passandosi una mano tra i capelli grondanti e annaspando vistosamente “cosa volevi che facessi, Ben? Cosa ti aspettavi? Io… non ti capisco, per dio! Perché sei venuto?”

Si passa una mano sul viso e il suo sguardo è sofferente, come se stesse per piangere da un momento all’altro. Forse lo sta già facendo ma non ne sei sicuro, perché la pioggia scorre sul suo viso come lacrime ghiacciate.

La strada è deserta, Brighton sembra uno scenario apocalittico. Pioggia torrenziale, fulmini che squarciano il cielo carico di nubi, onde alte due metri che si infrangono sulla riva scurissima, l’alta marea divora quasi tutta la spiaggia con lingue di spuma giallastra.

Il rombo assordante di un tuono sembra far tremare la terra sotto di voi e ti fa balenare un nuovo terrore nella testa: temi che non lo rivedrai più, che stavolta tu l’abbia perduto definitivamente, che non avrai altre occasioni per ammirare dal vivo l’oceano nei suoi occhi.

E senza pensare lo fai, prendi il suo viso tra le mani e ti chini a baciarlo, scivolando sulle sue labbra fredde e bagnate, sentendo che, se questo momento è tutto ciò che ti viene concesso, allora non t’importa di nient’altro, di Sophie, di quel Tom, della gente che potrebbe vedervi ma che sembra misteriosamente scomparsa dalla faccia della terra.

Ci siete solo voi due, la tempesta, quel bacio.

Un bacio che adesso non è più solo tuo, perché Martin schiude le labbra e ti lascia entrare, e ti bacia a sua volta prendendoti i gomiti e stringendoli forte, avvicinandosi a te e dandoti improvvisamente un equilibro che credevi perduto. È come se il tuo baricentro si riallineasse, come se tutto il tuo disordine tornasse a posto.

È lui. Siete voi. È quello che vuoi.

 

 

 

 

ANGOLINO DELL’AUTRICE

Eccomiiii ^_^

Sono stata abbastanza veloce? Spero di sì, considerando il tempo che mi porta via l’altra long. Ho deciso di concludere qui questa storia, spero che vi sia piaciuta, io mi sono divertita moltissimo a scriverla, nonostante l'angst potente.

Prendetela per quello che è, una mia personale interpretazione, completamente fantasiosa.

Se vi va di lasciarmi qualche parola, ne sarei davvero felice.

Bacioni

 

   
 
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