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Autore: hikaru83    29/11/2019    7 recensioni
La storia di Sherlock e John, il modo in cui si sono incontrati, tutto ciò che hanno vissuto, la conosciamo bene. Molti di noi avranno rivisto la serie abbastanza volte da citare le frasi senza che le altre persone riescano a capire, ma neanche ci importa, noi sappiamo (e se il nostro interlocutore abbassa la media di intelligenza dell'intero quartiere non è nemmeno colpa sua). E molti di noi hanno avuto problemi con il modo con cui l'hanno conclusa (per ora). E allora che fare? Allora ho deciso che la storia provo a scriverla come vorrei fosse andata, magari grazie a qualcuno che ha sempre osservato ma non abbiamo mai visto. Qualcuno che come noi era sempre con loro, ma al contrario nostro ha potuto cambiare le carte in tavola.
Rivivremo la storia, e basterà cambiare una cosa, per cambiare un sacco di cose.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non mi stavo scordando oggi, è solo un caso se sono arrivata quasi alle 21 ad aggiornare...ci credete vero?

Siamo arrivati alla fine della storia, credo sia stato il mio lavoro più articolato e lungo, sono felice di quello che ne è uscito e spero davvero che riusciate a leggere il mio amore per questi personaggi e la loro storia.

Vorrei ringraziare davvero tutti per le belle parole e l'affetto che avete messo in questa ff.

Grazie davvero.


E ora, bando alle ciance, buona lettura!





Dalla tua parte




13 gennaio 2015
Pall Mall
Residenza di Mycroft
 


Quando apre gli occhi, la luce che viene dall’esterno è già molto forte. Dev’essere tardi.

Si stiracchia pigramente, tranquilla. Se fosse successo qualcosa l’avrebbero svegliata.

Osserva la stanza che le ha riservato Mycroft fin dalla prima volta che è rimasta da lui e si rende conto che al suo interno ci sarebbe stato comodamente l’intero appartamento in cui viveva da bambina.

Mycroft si lamenta costantemente di averli tutti nella sua villa, e lei non ha problemi a credere che ami la solitudine, ma non può negare che la villa, così grande e spaziosa, ha parecchie stanze da letto per essere la casa scelta da una persona che dice di non voler nessuno accanto.

Una contraddizione che trova interessante.

Si scosta le coperte di dosso e si rende conto che qualcuno deve averle infilato il pigiama, oltre che averla messa a letto. Considerando che: quando era tornata erano tutti a letto a parte John e il maggiore degli Holmes, e che era rimasta fino all’ultimo a parlare con lui, immagina sia stato Mycroft a farlo, e la cosa invece di imbarazzarla la intenerisce.

Si rinfresca e si cambia velocemente prendendo il cellulare che si trova spento sul comodino e, accendendolo, scende quindi al piano di sotto raggiungendo il salone.

Quando supera la porta trova Mycroft, Sherlock e John seduti sulle poltrone a parlare.

«Ben svegliata.» Le rivolge la parola per primo quest’ultimo.

«’Giorno» risponde lei, con la voce un po’ impastata.

«Vuoi qualcosa da mangiare?» continua suo fratello, porgendole una tazza di tè che lei accetta mentre si siede su una delle poltrone libere vicino a loro.

«Lascia perdere, dottore,» interviene Mycroft. «Non si è ancora ripresa dalla serata con Anthea,» sghignazza.

«Hai ancora voglia di ridere,» risponde con disinvoltura. «Deduco quindi tu non abbia ancora controllato il conto in banca.» Sorseggia poi il tè, principalmente per nascondere il sorriso nato appena dopo aver visto l’espressione terrorizzata di Mycroft.

Sherlock e John non riescono però a nasconderli altrettanto bene.

«Dobbiamo decidere che cosa fare con Moran. Non mi ha ancora chiamata, ma credo che non aspetterà molto. Sta diventando irrequieta, e non è una bella cosa,» osserva poi, tornando seria e guardando il cellulare come se si aspettasse una chiamata da un momento all’altro.

«Dobbiamo organizzare una trappola. Prenderla è essenziale,» risponde Mycroft.

«Per prenderla basta solo che seguiate il segnale del suo cellulare. So perfettamente dov’è in ogni momento e con chi comunica,» dice lei, nervosa.

«E quindi?» chiede John.

«Quindi l’unico motivo per cui non l’abbiamo catturata è che prenderla non basta. Una volta trovata e bloccata cosa volete fare con lei?» domanda allora Hariett. Lo fa più per John che altro. Sa perfettamente cosa vuole fare di lei Mycroft. Del resto, l’hanno concordato dopo che ha sparato a Sherlock la prima volta. Ma John potrebbe non essere dello stesso avviso, nonostante tutto.

«Verrà processata e pagherà per ogni cosa che ha fatto,» dice infatti. È quasi commuovente che creda ancora nella giustizia nonostante abbia visto, con Moriary per esempio, quanto sia semplice manovrala.

«Mi spiace togliere questa speranza, ma non si farà catturare così facilmente, e certo non accetterà di essere punita. Io posso dirvi con la sicurezza di qualche metro dove si trova, ma non posso sapere come si comporterà. Lo immagino, ma non ho la certezza,» obietta lei.

«Ha cercato di uccidere Sherlock per due volte. Ha detto di voler far sparire mia figlia. Per quanto mi riguarda, non mi interessa che le farete, mi interessa avere la certezza che Rosie e le persone che amo siano al sicuro,» risponde incolore John. Per lui non è facile accettare questa sua stessa decisione. Lei sa quanto sia difficile  anche solo averla presa e averla detta a voce alta. Ma è importante che ne sia cosciente.

«Lo saranno, lo saremo tutti,» gli dice guardandolo negli occhi.

«Avete bisogno di un’esca per farla uscire allo scoperto. Vuole finire il lavoro con me, quindi io devo esserci,» continua John.

«John, non è necessario. Ti ho già detto che con il mio virus...»

«E se decide di non usare quel cellulare? E se per un motivo qualunque sospetta qualcosa? Non puoi avere la certezza assoluta di dov’è, altrimenti non avresti dovuto fingere ieri di essere diventata amica di Anthea. Sapete benissimo che ci sono sempre delle cose che possono far andare a quel paese anche il piano più efficace.» John elenca ogni possibilità. È chiaro che immaginava che Hariett avrebbe cercato di tenerlo lontano dall’azione e si è preparato di conseguenza. «E poi io devo esserci. Mi hai dato la tua parola.»

«John ha ragione,» interviene Sherlock. «Noi dobbiamo esserci. Vuole vendicarsi di entrambi e vuole finire la partita, e sinceramente voglio finirla anche io.» La osserva direttamente negli occhi. «Ti ricordi cosa mi hai detto quando ci siamo conosciuti? Neanche io voglio più commettere gli errori che ho fatto fin’ora.»

Lei sa a cosa si riferisce. Quella volta gli ha detto che John ha sempre fatto le sue scelte, solo che loro, per proteggerlo, non le hanno mai rispettate. E che dal momento in cui ha preso coscienza dell’errore fatto con lui, ha deciso che non vuole più farne. Ma ci sta cascando ancora. Sta cercando di proteggere John senza rispettare la sua scelta di essere in mezzo all’azione.

«Credo che il Barts sia il posto più appropriato,» interviene Mycroft. «Possiamo monitorarlo bene e sistemare i miei uomini per tutto l’edificio senza che si notino. Inoltre, se scegliamo il giorno giusto, potrebbero non esserci troppi civili. Basta una settimana, massimo una decina di giorni per organizzare tutto.»

E Mycroft non poteva avere più tempismo di così, perché ecco che il nome di Moran illumina lo schermo del cellulare di Hariett.

Lei mette direttamente in vivavoce. «Ti stavo per chiamare,» esordisce con finta allegria.

«Questo vuol dire che hai notizie per me?» Si legge speranza nel tono della sua voce. A Hariett viene la nausea.

«Non so dove sono ora, ma fra dieci giorni saranno al Barts per dei controlli. Il dottore ha la spalla bloccata.»

«Dieci giorni sembrano un’eternità, ma ora avrò... Avremo la nostra vendetta,» si corregge in corsa.

«Per Jim, no?» le suggerisce lei.

«Sì sì, per lui.»

Falsa, vorrebbe urlare al telefono. Sei più falsa del bacio di Giuda.

 
Quando spegne la chiamata guarda i tre uomini seduti intorno a lei. Finalmente hanno una data, presto anche un orario.

Il gioco, durato anni oramai, sta davvero giungendo alla fine.

 
 
23 gennaio 2015
Londra
St. Barts.

 
 
Gli uomini Di Mycroft sono disposti nell’edificio. Sia i fratelli Holmes che i Watson indossano degli auricolari, visto che la sicurezza non è mai troppa.

Sono davvero giunti alla fine. Solo poche ore ancora e poi potranno mettere la parola fine a quella lotta durata anni.
 

Hariett riesce a scovare Mary e riconoscerla avvisando tutti. La messinscena può avere inizio. Sherlock viene avvicinato, si alzi il sipario.

Tutto sta andando secondo i piani, ma lei non riesce a essere tranquilla. Sa che ci riuscirà solo quando sarà tutto finito. Ed ecco un messaggio di Moran: “Vieni sul tetto”.

Prima di salire, sussurra a Mycroft: «Siamo in posizione.»

Viene raggiunta dalla sua risposta: «Anche io. Sono con voi.»

Quando si trova all’esterno, il vento freddo la colpisce. Sente parlare, ma non esce subito allo scoperto.

«Una pistola, John? Mi sorprendi davvero.» Mary sembra sincera.

«Tendete tutti a scordarvi che sono un militare,» risponde atono lui.

«Metti giù quell’arma, se non vuoi che spari a Sherlock.»

La scena che si presenta ai suoi occhi vede Sherlock in ginocchio, Mary che lo tiene sotto tiro, John che punta la pistola contro la moglie. L’arma è quella che lei gli ha dato quella mattina.

«Lo farai comunque,» dice scoraggiato.

«Già, forse. Però non puoi saperlo; c’è sempre una possibilità.» Non può sapere che lui oramai sa tutto. Hariett si stupisce comunque di come riesce a rimanere calma.

«Hai cercato di ucciderlo due volte. Non credo che ti fermerai ora,» risponde con rabbia.

«John, davvero riusciresti a sparare a tua moglie?» cambia argomento lei.

«L’ho già fatto.»

«Oh, quella è stata una reazione al mio tentativo di togliere di mezzo il tuo caro Sherlock. Ma così a mente fredda? Mi hai sparato senza riuscire a ferirmi mortalmente mentre lo volevi proteggere, ma ora riusciresti davvero a togliere la madre a Rosie?»

«Usare Rosie...» inizia lui con rabbia, ma lei lo interrompe.

«E poi non sono sola, John.»

Lei sa che è il suo momento. Esce allo scoperto.

«Vi presenterei, ma sinceramente non ne vedo l’utilità,» continua Moran, del tutto ignara della reale situazione in cui è coinvolta.

«Sai,» interviene Hariett. «Forse sarebbe davvero il caso che ci presentassimo,» dice con una voce divertita.

«Perché perdere tempo?» le chiede sorpresa. Non capisce cosa sta accadendo, ma oramai a Hariett non importa più. Ora può smettere di fingere e può finalmente dimostrare tutta l’avversione e tutto l’odio che nutre per la donna che ha di fronte.

«Perché è da tanto che mi chiedo se Rosamund Moran sia il tuo vero nome.»

«Cosa vuoi che cambi? Un nome è solo un nome.»

«Oh, so che Shakespeare la pensava così, solo che a volte non credo sia vero. Per esempio il mio nome è molto importante e tu non lo conosci.» Continua a osservarla cercando di carpire ogni possibile emozione. Soprattutto ora che punta la sua calibro .22 contro di lei.

Mary osserva sorpresa la canna della pistola. «Che diamine stai facendo?»

«Chiedimi il mio nome.»

«Il tuo nome?»

«Sì.»

«Cosa vuoi...»

«Chiedimelo!» La voce di Hariett è dura, aspra.

«Qual è il tuo nome?» chiede alla fine Moran, incredula.

« Hariett, Hariett Watson.» Aspetta che la notizia si sedimenti nella sua mente prima di continuare: «Te l’ho detto che il vero nome è importante. Cambia tutta la storia, non è vero?»

«Tu... Tu hai lavorato contro di loro con noi! Tu...» balbetta, incapace di formulare una frase di senso compiuto tanta è la sorpresa per quella nuova scoperta che cambia tutte le carte in tavola.

«Io non ho mai fatto nulla che non fosse proteggerli,» rivela. Poi aggiunge con fermezza: «È finita.»

«Ah, no, no, no, non ci pensare.» Moran muove a scatti la pistola, tentando di tenere tutti e tre sotto tiro. Cercando di trovare una soluzione, una via di fuga, il suo istinto di sopravvivenza sta urlando dentro di lei. Può quasi vedere i suoi artigli che le si conficcano nella carne.

«Non puoi più fare nulla, è finita.»

«No, non puoi uccidermi; lui... Lui non vuole che sua figlia cresca senza una madre.»

«Lo credi sul serio? Lui sa tutto. Sa cosa volevi fare a sua figlia se le cose fossero andate secondo i tuoi piani. E anche prima.» Scuote la testa. «Oddio, Moran, non hai capito perché sei ancora viva?»

«Cosa vuoi dire?»

«Sai che io sono un ottimo cecchino. Anche nelle situazioni più assurde e pericolose non sbaglio mai un colpo. Ma non sono l’unica in famiglia ad avere questa caratteristica. Se sei viva non è perché John ha sbagliato mira, ma perché l’ha presa con cura.»

«Per non uccidermi, vedi? Non può...»

Hariett scuote la testa con un sorriso malevolo sulle labbra. «Perché se il proiettile destinato a Sherlock che John ha fermato con il suo corpo avesse colpito un vaso principale e non fossero riusciti a salvarlo, lui,» dice Hariett indicando Sherlock, «avrebbe avuto qualcosa per non lasciarsi morire o annegare nelle droghe.»

«No, lui... Non...»

«Non lo capisci davvero? John non ti ha mai perdonata. Nel momento esatto in cui ha scoperto che non avevi fatto altro che mentirgli, che avevi tentato di uccidere Sherlock, per lui sei morta. Ma questo non nega il fatto che si è reso conto della tua bravura; sapeva che avresti tenuto occupata la mente di Sherlock per un tempo abbastanza lungo, in modo che quando lui ti avesse trovata – e, fidati, John non ha dubitato un istante che l’avrebbe fatto – sarebbe passato il tempo necessario per permettergli di capire che poteva fare ancora tanto per tutti. Soprattutto quando avrebbe scoperto che John l’ha nominato tutore legale di Rosie. Cosa che ha fatto quando ha scoperto che razza di persona sei.»

Moran rimane immobile con gli occhi sbarrati, ma la pistola è tornata su Sherlock, che è occupato ad osservare John con gli occhi sgranati, incredulo di ciò che è appena venuto fuori. Il dottore ha le guance rosate, anche se finge che non sia nulla.

«Hai davvero fatto questo?» chiede allora Mary direttamente al Dottore.

«Se non vuoi uccidere qualcuno, per prima cosa non gli spari. Se devi per forza farlo, non miri tanto vicino al cuore. Tu volevi uccidere Sherlock. Il fatto che lui sia vivo è solo un caso. Sono un medico, sono un cecchino, confidavate davvero che avessi creduto a questa bugia anche solo per un minuto?» risponde John, elencando ciò che l’ha spinto, tra le altre cose, a prendere una decisione simile. Osserva per un istante Sherlock che, ancora incredulo, lo guarda come se fosse la persona più stupefacente dell’intero universo.

Hariett sorride. “Non è facile capire John, Sherlock. Non ti basterà una vita con lui, ma credo potreste iniziare da quella”, vorrebbe poter dire. Sostituisce in fretta il sorriso dolce che le si era formato e torna ad ascoltare le battute finali di questa rappresentazione teatrale che si sta svolgendo davanti ai suoi occhi. È certa che persino Moriarty l’avrebbe trovata interessante.

«Volevi che mi trovasse? Che mi uccidesse?»

«Davvero me lo stai chiedendo? Dopo tutto quello che tu hai fatto, credi che avrei permesso che una persona speciale come lui morisse per causa tua? Sherlock è la persona migliore che abbia mai incontrato. Se io non ci fossi più, sono certo che nessuno al mondo crescerebbe mia figlia con la stessa cura e dedizione che ci metterebbe lui. E sì, se per essere sicuro che lui sopravvivesse dovevo fare in modo che fosse lui a ucciderti, beh... È un sacrificio che avrei fatto. La mia coscienza non ne avrebbe sofferto.»

«Arrenditi, Moran, ormai è finita,» dice. Riesce quasi a capire l’incredulità di Mary. Persino per lei, dopo tutti quegli anni, sembra impossibile.

«Sì, è indubbio, mi avete fregata.» Si volta di scatto verso Hariett. «Ma farò in modo di non andare all’inferno da sola. Tu verrai con me. Sono certa avremo compagnia.» La canna della pistola tanto vicina al cuore. E così ha scelto lei per la vendetta. Del resto, è quella che l’ha manipolata; forse la cosa che odia di più. O chissà, una parte di lei forse non se la sente di uccidere Sherlock e John? Questo Hariett non lo sa, e a dir la verità non riesce davvero a vedere tutta questa umanità in lei – forse è un suo limite – ma visto che le sta puntando contro una pistola, non si sente in colpa nel giudicarla così male. Hariett in realtà accetta che quella sia la fine. Loro sono al sicuro e potranno ricominciare. Strano ma vero, nonostante tutti i suoi rimpianti, se ne andrà in pace, dopotutto.
 

Poi però uno sparo squarcia l’aria.

 
Un unico, singolo, mortale sparo.

 
E il corpo di Moran cade, senza vita. Un’espressione sorpresa sul volto.
 

Rimangono tutti immobili. Per un istante nessuno sembra capire cosa sia davvero successo.

«Myc, sei stato tu?» La sua voce è spezzata all’auricolare. Credeva davvero che fosse arrivata la sua ora.

«Sono un Holmes. Nessuno si deve azzardare a minacciare la mia Watson!» tuona, poi aggiunge: «Non muovetevi, vi raggiungo subito.»

Rimangono immobili per qualche secondo poi John, dopo aver dato la pistola alla sorella, allunga la mano verso Sherlock per aiutarlo a rialzarsi. I loro sguardi indugiano tra di loro. Lei si allontana per permettere loro di stare un po’ da soli, aprendo la porta che collega le scale con il tetto e facendo entrare Anthea che le sorride e gli altri uomini, tra cui Greg. Pochi minuti e niente farà capire cosa è successo su quel tetto.

«Direi che è andata bene,» interviene lui con un bel sorriso sereno.

«Non credi che i tuoi capi potrebbero prenderla male?» chiede lei, sorpresa dal modo in cui l’ispettore sta reagendo a quello che è appena successo.

«E perché? Sono qui a guardare il panorama con i miei amici nel mio giorno libero. Dopo tanto tempo mi merito un po’ di riposo.» Le sorride e si avvicina a Holmes e Watson per assicurarsi che stiano bene.

Quell’uomo non la conosce – quello che sa gli è stato rivelato da Mycroft – ma non le ha mai fatto alcuna domanda, sa che fa parte di quella strana “armata” degli Holmes e gli va bene così. Da parte sua se già rispettava l’ispettore prima, ora ammira anche l’uomo che è.

Dopo poco, si aggiunge anche Mycroft. Le appoggia una mano sulla spalla stringendola per un secondo, come ad assicurarsi che sia davvero illesa, poi raggiunge gli altri. Greg gli sorride. Sherlock alza gli occhi al cielo per poi posarli su John, che forse è quello che sta facendo di più i conti con se stesso. Non si sta pentendo di nulla, lei lo sa. Nulla che è accaduto su quel tetto quel giorno, almeno. Per il resto, spera che Sherlock gli farà capire che il passato è semplicemente passato e che alla fine loro sono riusciti a superarlo.

Lo spera davvero.

Quando il corpo di Moran viene portato via, il silenzio li avvolge per un momento.

«La verità è stata troppo per lei. Non c’era abituata,» interviene Sherlock.

«La pura e semplice verità è una delle armi più potenti al mondo,» risponde Greg.

«La verità è raramente pura e mai semplice,» ribatte Mycroft. «Non ricordo chi lo disse.»

«Oscar Wilde,» rivela John, ancora scosso.

«Il gioco è finito, Myc? È davvero finito?» Hariett è ancora incredula dal fatto che sia davvero arrivata la conclusione di questo gioco durato anni. Che sia l’inizio di un futuro in cui finalmente non deve per forza essere sola? È davvero possibile che possa avere una famiglia vicino? Che ha recuperato il rapporto con John? Che può essere Hariett e non solo il killer del governo? Questo non lo sa, ma spera davvero sia così.

«Questo, sicuramente,» le risponde lui, forse consapevole delle mille domande che ora le girano nel cervello.

«Mi hai salvato la vita.» È ancora sorpresa. È stata la prima volta che ha potuto osservare il risultato di un Mycroft armato. E anche se immaginava che sapesse difendersi da solo, non si è mai resa conto di quanto l’uso di un fucile di precisione potesse essere nelle sue capacità. Ha dimostrato che è nettamente nelle sue capacità. Chissà se l’aveva già fatto o se ha semplicemente utilizzato ciò che di teorico sa sulle armi e sulla fisica per poter sparare quel colpo. Del resto, ha imparato una lingua straniera usando le conoscenze di altre lingue in poche ore; non si stupirebbe più di tanto che fosse così. Sa che la risposta l’avrà solo se gli porrà la domanda, anche se non ha idea se avrà la verità o meno in risposta.

«Lo hai fatto anche tu, ragazzina. Lo hai fatto anche tu.» Un sorriso appena accennato, e lei sa che non sta parlando di un salvataggio come quello che lui ha appena fatto, ma di qualcosa di diverso.

Lei c’era quando stava per venire sommerso dalle responsabilità delle sue decisioni, dei suoi piani. Lei c’era quando ha sbagliato, ed è rimasta. Lei non ha mai negato i suoi errori, ma mai l’ha lasciato solo con i suoi demoni. E del resto lui ha fatto lo stesso con lei.

Erano soli, credevano di non poter permettersi di chiedere aiuto e di sicuro di non meritare perdono, e si sono trovati. Non sarebbero mai diventati una coppia, non dal punto di vista romantico del termine, ma sapevano stare accanto l’uno all’altra; si capivano, si spronavano a migliorare, e conoscevano entrambi la bellezza del bere un tè in silenzio con un amico. E forse questo legame è persino più forte.
 
 

29 gennaio 2015
221b Baker Street
 
 

La riabilitazione di John sta procedendo bene.

Nessuno si è sorpreso se, dopo quello che per tutti – compresa la stampa – era stato l’incidente mortale della moglie, il dottore ha deciso di tornare a dividere l’appartamento in Baker Street con Holmes.

Lei e Mycroft sono stati invitati a pranzo per festeggiare insieme. In fondo, in un modo magari poco convenzionale, sono una famiglia.

«Cosa farai ora?» le chiede John.

«Non lo so. Credo che, se Myc vuole, potrei lavorare con lui ancora un po’.»

«Non sei stanca di questo lavoro?»

«Ti sei mai stancato di correre dietro a Sherlock e ai suoi assurdi casi?»

«No.»

«Nemmeno io sono stanca del mio lavoro. Non è facile, e ho sofferto tanto, ma credo che fosse principalmente perché continuavo a vivere nella menzogna. Ora sai chi sono e non mi hai allontanata. E, non so, credo che forse con Myc posso ancora fare qualcosa di buono.»

«Il tuo è un lavoro pericoloso.»

«Oh, John, finché tu e Sherlock continuerete con i vostri casi, sarò costretta a lavorare. Senza me e Myc che vi copriamo le spalle sareste persi!» lo prende in un po’ in giro. Anche se un fondo di verità c’è, e lo sanno tutti.

«Esattamente! E ora dobbiamo andare, mia cara, abbiamo quella riunione...» Mycroft li raggiunge interrompendo la loro chiacchierata.

«Le riunioni toccano a te. Io e Anthea andiamo al cinema.»

«Crudeli, siete crudeli!» si lagna un melodrammatico Mycroft.

«Su, Capo, ti aspettiamo a casa con una bella pizza.»

«Non mi compri con così poco.»

«E se ci aggiungo la torta al cioccolato?»

«Sarò a casa per le 22.»

La risata cristallina di Hariett riempie le scale che dividono l’ingresso dall’esterno. Lei abbraccia il fratello, dà una carezza a Rosie e saluta Sherlock che le fa un sorriso grato. Mentre scendono le scale, il maggiore degli Holmes borbotta tentando di nascondere un sorriso.

«Staranno bene quei due?» chiede a Mycroft una volta all’esterno, guardando le finestre dell’appartamento.

«Sì, e poi ci siamo noi a tenerli d’occhio. La formula Holmes-Watson funziona bene, da qualsiasi angolazione la si guardi.»

«Sì, Myc, funziona benissimo.»

Guarda un’ultima volta verso la finestra del salotto dove la figura di Sherlock li osserva facendogli un cenno di saluto. Sa che passerà spesso a trovarli, e che anche quella casa diventerà un posto familiare.

John le ha lasciato l’appartamento che divideva con Mary, che è troppo grande per lei da sola, ma capisce che per John “casa” è sempre stato il 221b in Baker Street, e anche se si dovranno stringere un po’ lui, Sherlock e Rosie, è certa che non sarà un problema. Anche se non ha indagato, bastano le occhiate che quei due continuano a lanciarsi per capirlo.

Quindi, per ora, ha deciso di accettare; e anche il suo amico a quattro zampe ha accettato la nuova soluzione, molto ma molto felicemente.

«Allora, andiamo, ragazzina?» la chiama Mycroft.

«Ti sarai reso conto che il fatto che noi Watson non siamo altissimi non toglie che picchiamo forte, vero?»

«Oh, lo so, lo so. Coraggio, non farmi fare tardi.»

«Sei tu il capo. Sei tu che decidi a che ora fare la riunione. Non puoi fare tardi. A meno che...»

«A meno che, cosa?»

«No, no, nulla. Ignorami.»

«Ragazzina...» la avverte lui con una sola parola.

«Niente, dai, andiamo Myc. Non vorrai mica fare tardi!» Hariett adora prendere in giro il maggiore degli Holmes, e si vede. Poi innocentemente aggiunge: «Ah, una cosa: salutami Greg alla “riunione”,» ridacchia. «A tal proposito, perché non fai venire anche lui a mangiare una bella pizza? Dimmi solo quale preferisce, scommetto che lo sai.»

Mycroft rimane immobile, la punta delle orecchie rossa.

Hariett, che intanto è salita in macchina, allunga la mano e lo tira all’interno. La sua risata riesce a far sorridere anche lui.

 
°*°*°*°*
 

Le scale del 221b sono silenziose, ora. Nell’appartamento, Sherlock sta guardando fuori dalla finestra osservando curioso e incredulo la scena che sta avvenendo sul marciapiede. Fa ancora fatica a rendersi conto di quello che quella ragazza è riuscita a fare al fratello, eppure dovrebbe sapere quello che un Watson è in grado di fare a un Holmes. Lui è stato la prima vittima delle loro capacità.

John si avvicina rimanendo a pochi centimetri dalla sua schiena ed entrambi si beano del calore dell’altro per pochi istanti in silenzio.

«Potrai mai perdonarmi per quello che ti ho fatto?» gli chiede senza voltarsi. Sa che non deve aggiungere altro, anche perché ne ha fatte tante all’uomo alle sue spalle; tante che non sa nemmeno da che parte iniziare a elencarle tutte.

Un sospiro profondo proviene da John prima che risponda: «Potrai perdonarmi per averla sposata?» Nella sua voce si può sentire tutta la colpa che prova, la rabbia contro se stesso.

«C’è Rosie. Non potrei mai pensare a un mondo senza lei, senza voi,» rivela Sherlock, anche se fino a quel momento non si è reso conto che doveva specificarlo.

«Nemmeno io.» John si avvicina e appoggia la fronte sulla schiena di Sherlock.

Sherlock sorride come sa fare lui. Le labbra tirate in su, più da un lato che dall’altro, gli occhi che sorridono anche più delle labbra. «Credi si siano arresi? Non fanno più battute su di noi.» A volte fatica ancora a credere che dopo tutto quello che hanno passato c’è ancora un “noi”.

«Che vuoi che ti dica, Sherlock, qualcuno una volta mi ha detto che il mondo è popolato da idioti.»

«Un tipo intelligente.»

«No, un idiota!»

Ridono insieme, poi Sherlock si volta. John accarezza il suo viso.

«Non farmi mai più provare una paura simile, John, mai più.» La visione di lui in quel letto di ospedale tormenterà ogni suo incubo per molto tempo.

«Vale anche per te,» sussurra John quasi sulle sue labbra. Le bocche si cercano, e quando finalmente si trovano, entrambi si sentono finalmente a casa.
 

°*°*°*°*
 

La porta d'ingresso del 221b è chiusa, con il battiporta di ottone inclinato, come lo lascia sempre John. Un segno che la coppia indivisibile è ancora insieme.

Una musica si spande per Baker Street.

E tutto, almeno per oggi, finalmente è pace.



Fine



Note: Ci siamo davvero, siamo arrivati alla fine, che poi nel loro caso "la fine" non è mai definitiva, è solo un punto di partenza per altre storie. Sono davvero feli ce di aver terminato questo progetto e non sarebbe stato lo stesso senza tutti voi. Senza la mia beta, senza Annina e Susanna. Senza Chiara, Marcella, Sonia, Koa, Emerenziano, K_MiCeTTa_K, Linda, Prisca, Liriel4444, Freddie36, elaya, (spero di non aver perso nessuno per strada) le vostre recensioni e il vostro affetto li ho ricevuti tutti con gioia. E a tutte le persone che l'hanno messa tra le preferite, ricordate, seguite. Per tutti quelli che l'hanno letta e amata in silenzio, senza farsi sentire, questa storia è per tutti voi nessuno escluso.
  
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