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Autore: Kim WinterNight    29/11/2019    6 recensioni
Il giovane tastierista Roddy fa parte di una band formatasi all’interno della scuola di musica che frequenta.
Mike, il cantante del gruppo, lo distrae talmente tanto con il suo fascino, le sue maniere brusche e la sua esuberanza, da impedirgli di suonare al meglio delle sue capacità.
Mike pensa soltanto alla musica, si concentra sulla sua creatività e crede che tutto il resto sia superfluo.
Due eventi, un’infinità di sentimenti celati.
Roddy si odia perché non riesce a sorprendere Mike.
Mike si odia perché la sua concentrazione viene messa a dura prova da Roddy.
E poi ci sono Puffy e Bill, sempre pronti a sostenere il loro amico tastierista e a stargli accanto come possono.
Spaccati di vite comuni, di sentimenti comuni, di ragazzi straordinari.
[FreakyPigs!AU]
- QUINTA CLASSIFICATA al contest “Let it snow” indetto da inzaghina.EFP sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Mike Patton, Roddy Bottum
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Freaky Pigs'
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«Vaffanculo!» sbotta Mike, stringendo i pugni e scuotendo con forza il capo.
Abbasso lo sguardo sulle mie dita tremanti. «Scusami, io… oggi non ci sono con la testa» sussurro.
Bill mi si accosta e mi appoggia una mano sulla spalla, rivolgendo un’occhiataccia al cantante. «Ehi, vacci piano!» lo ammonisce.
«Ragazzi, andiamo! Domani dobbiamo esibirci per la prima volta e io voglio che sia tutto perfetto, anche voi lo volete. No?» replica Mike, lanciandomi uno sguardo di fuoco.
«Hai ragione» bofonchio, sentendomi mortalmente in colpa.
«Non trattarlo così, Patton» si intromette Puffy con calma, facendo roteare in aria una delle sue bacchette.
«Dobbiamo essere magnifici domani, capito?» prosegue il cantante.
Annuisco e crollo con il viso sulla tastiera, producendo un rumore stridente di note e suoni indistinti.
Mi sento veramente uno schifo, questa situazione va avanti da troppo tempo e io non riesco più a gestirla. Mi sono innamorato del mio cantante dal primo momento in cui l’ho visto, dal primo istante in cui ci siamo ritrovati nella saletta della scuola di musica che frequentiamo entrambi da quasi un anno.
Domani ci sarà il nostro primo saggio, ci esibiremo con i nostri compagni Bill, Puffy e Jim, sarà spettacolare. Abbiamo preparato alcune cover dei Black Sabbath e dei Deep Purple, ci stiamo lavorando da mesi e finalmente il momento di mostrare le nostre capacità è arrivato.
Io, però, non riesco a concentrarmi assolutamente sulle mie parti; mentre suono, gli occhi mi cadono continuamente sulla figura carismatica e affascinante di Mike, sul suo fisico asciutto e ben piazzato, sui suoi capelli scuri e lunghi, sul suo viso dai lineamenti marcati e sulle sue labbra che sfiorano appena il microfono; quella voce poi, la voce che riesce a modulare a suo piacimento, con cui gioca e si diverte, che lo rende unico e riconoscibile.
Sotto sotto Martha, la sua insegnante di canto, sa che Mike è il miglior allievo che le potesse capitare, perché lui ha un talento naturale e un’estensione vocale incredibile.
«Facciamo una pausa» propone Jim, il nostro chitarrista.
Prima che qualcuno possa protestare, il ragazzo esce dalla saletta, seguito poco dopo da Mike.
Puffy e Bill si scambiano un’occhiata preoccupata, per poi posare gli occhi su di me.
«Che c’è?» sbotto, stufo di sentirmi sotto esame. Sono piuttosto frustrato e nervoso di mio, detesto quando commetto errori stupidi mentre suono, specialmente di fronte a Mike.
«Che ti prende? Domani abbiamo il saggio, non hai mai commesso così tanti errori…»
«Billy ha ragione» concorda Puffy, alzandosi da dietro la batteria per potersi stiracchiare. I lunghi dreadlocks scivolano lungo la sua schiena sudata e lui sbuffa, sventolandosi una mano di fronte al viso per tentare di ristorarsi. «Fa un caldo fottuto qui dentro» borbotta.
«Sai che non possiamo aprire la finestra, i vicini chiamerebbero la polizia e farebbero chiudere la scuola per sempre» gli fa notare Bill, senza smettere di guardarmi con apprensione.
«Che ne so? Oggi sono fuori di testa, okay?»
«Senti, Roddy.» Puffy incrocia le braccia sul petto e sbuffa. «Ho visto che lanci spesso occhiate a Mike.»
«E allora?» sbotto.
«Ti mette in soggezione? Non ti trovi a tuo agio con lui?» chiede Bill.
Scuoto il capo. Se solo sapessero qual è la verità…
«Lo sappiamo che ha un caratteraccio, che è un perfezionista… a volte non è facile stargli dietro» prosegue il bassista.
Puffy si limita a fissarmi dubbioso, mentre io mi mordo il labbro inferiore. Ho diciassette anni e non riesco neanche ad ammettere cosa provo per il mio cantante, me ne vergogno terribilmente.
«Allora?» insiste per l’ennesima volta Bill.
Mi alzo di scatto e spingo indietro il seggiolino, finché questo non si schianta contro la parete insonorizzata. «Vaffanculo, Gould!» esclamo esasperato, passandomi le mani tra i capelli biondi e sudaticci. Domani dovrei legarli, suoneremo all’aperto e non voglio che mi intralcino mentre suono. Ci manca solo questo.
«Io cercavo solo di…»
Ma Puffy lo interrompe con un cenno, poi mi fissa dritto negli occhi. «Ti piace Patton?» mi chiede. Diretto, spietato, senza peli sulla lingua.
E io non posso che abbassare lo sguardo, fissandomi le mani che tremano appena. Una ciocca di capelli mi ricade di fronte agli occhi e io scuoto il capo, cercando invano di scostarla. Sento le guance andare improvvisamente a fuoco e mi maledico per non essere bravo a nascondere le fottute emozioni.
«Sul serio?!» sbraita Bill. Mi raggiunge a grandi falcate e mi afferra per le spalle, scuotendomi con forza. «No, dico… amico, sei serio?!»
«Non tormentarlo» lo ammonisce Puffy.
Non mi resta che annuire, temendo che il bassista possa mollarmi un pugno in faccia. Rispetto a me è decisamente più corpulento, e in questo momento mi spaventa un poco il suo sconcerto.
«Non c’è niente di male» prosegue il batterista in tono calmo.
Bill allenta la presa e sospira pesantemente. «È per questo che stai suonando di merda?» domanda infine.
«Non lo so, cazzo! Sto male e basta, il saggio sarà un disastro…»
Bill fa per replicare, ma proprio in quel momento Mike e Jim rientrano in sala prove, lanciandoci occhiate interrogative.
«Possiamo riprendere?» chiede il cantante.
Annuisco, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo dei presenti. Sono solo un adolescente problematico che finisce sempre per innamorarsi della persona sbagliata.
Mike non pensa neanche per idea a me, dannazione, devo farmene una ragione.
E devo concentrarmi sul saggio. Sarà domani, poi per almeno due o tre mesi non vedrò più Mike, finché la scuola di musica non aprirà nuovamente i battenti. Con i ragazzi non abbiamo assolutamente parlato di un futuro serio come band, ci siamo formati in questo contesto e tutto morirà qui.
Non so neanche se i miei compagni di band si iscriveranno di nuovo, l’anno prossimo.
«Roddy?»
Sobbalzo e sollevo lo sguardo, trovando Mike a poca distanza da me. Sono ancora in piedi dietro le tastiere, il seggiolino rovesciato alle mie spalle. Il cantante mi scruta attentamente, con quegli occhi scuri e profondi, penetranti come non ne ho mai visto prima.
«Sei pronto?» chiede, sembra quasi premuroso.
«Sì» replico, per poi rimettermi al mio posto e posare le dita sui tasti bianchi e neri.
Ancora meno di ventiquattro ore, poi sarà tutto finito.


Fa caldo e la cosa mi innervosisce. Prima di venire qui, non sono neanche riuscito a bere un dannato caffè.
Il saggio della scuola di musica si preannuncia lungo e disastroso, già intravedo problemi organizzativi e di strumentazione.
In ogni caso, voglio concentrarmi sui miei compagni di band e su cosa dobbiamo suonare, prendo seriamente ogni cosa che ha a che fare con la musica.
Martha mi raggiunge trafelata, cominciando a parlare a raffica: «Ho dimenticato la scaletta in macchina e ora mi tocca correre a prenderla. Nel bar di questo parco vendono solo acqua ghiacciata e non va bene per le corde vocali. Il cavo di un microfono non funziona e… oh, mi dispiace, non riesco a seguirti nel riscaldamento della voce, devi arrangiarti! Del resto sei al terzo anno e queste sono tue responsabilità, intesi?».
Mi stringo nelle spalle e le sorrido. «L’ho già scaldata, ma ho bisogno di un caffè.»
«Vai al bar, abbiamo ancora… tre minuti» taglia corto Martha, per poi schizzare verso il parcheggio posteriore.
Sorrido e mi avvio a passo svelto verso il bar, rendendomi conto per l’ennesima volta che la mia insegnante di canto è esattamente folle come me.
Intravedo Roddy che chiacchiera animatamente con il suo insegnante di pianoforte, sono quasi tentato di invitarlo a bere un caffè con me, ma poi ci ripenso; non voglio assolutamente che si faccia strane idee, non sono pronto a far sì che lui si faccia strane idee.
Sono una persona molto riservata, me ne rendo conto, ma certe cose è meglio custodirle nella propria mente e lasciare che il tempo le faccia evaporare. Non si tratta di orgoglio, ma di razionalità. Sono un ragazzo di diciotto anni, ho in testa soltanto la musica, so che questa è la mia strada.
Ciò che non è musica è superfluo.
Ripasso mentalmente l’ordine delle canzoni che eseguiremo: prima War Pigs, poi Highway Star… dopodiché Iron Man, per poi concludere in bellezza con Child In Time. Saranno solo quattro brani, ma basteranno per far capire a tutti chi siamo.
La nostra band non ha neanche un nome, finirò per presentarci come Freaky Pigs, il nome più gettonato in sala prove, quando abbiamo tentato di votare democraticamente per trovarne uno.
Raggiungo il bar, poi mi torna in mente Roddy. È come un chiodo fisso, un pensiero sfuggente che compare nei momenti meno opportuni.
Mi volto e lo cerco tra la gente che gironzola attorno alla strumentazione della scuola di musica, ai parenti degli allievi che tentano di sedersi il più vicino possibile, agli insegnanti che corrono da una parte all’altra per sistemare tutto alla perfezione.
E lo vedo, con i capelli biondi legati in un morbido codino, il viso rivolto verso Andy, l’insegnante di pianoforte, la sua amata t-shirt dei Rush addosso e quelle mani sapienti che gesticolano piano, mentre le labbra si muovono, si increspano, si incurvano.
Lo fisso talmente tanto che a un certo punto lui pare accorgersene, si volta nella mia direzione e i nostri occhi si incrociano. Gli sorrido apertamente e gli faccio cenno di raggiungermi.
Alla fine ho ceduto.
Lui si congeda da Andy e mi raggiunge a grandi falcate. Qualcuno mi urta, avvicinandosi prima di me al bancone, ma in questo momento non mi interessa.
«Caffè?» gli propongo, non appena mi è accanto.
«Forse sì» risponde con un lieve sorriso.
Evita il mio sguardo, non capisco se si sente in soggezione in mia presenza. Non mi pare di aver fatto qualcosa per intimorirlo.
«Cosa c’è che non va?»
Lui scuote il capo e si accosta al bancone, attirando l’attenzione di uno dei ragazzi che stanno dietro. «Due caffè, per favore!»
Detesto quando le persone mi ignorano, così gli appoggio con fermezza una mano sulla spalla e lo costringo a guardarmi. «Dimmi cosa succede» ordino, inchiodandolo con lo sguardo.
«Niente, solo… non so se riuscirò a non sbagliare» ammette, gli occhi che subito si distolgono dai miei.
«Concentrati, sei un bravo musicista» lo rassicuro.
«Sì, ma…»
Il rumore di qualcuno che prova a parlare al microfono tronca la nostra conversazione. Sento Martha che comincia a sproloquiare, dando il benvenuto a tutti i presenti.
«Beviamo in fretta questo caffè e andiamo» dice Roddy, dopo che il barista posa le nostre tazze fumanti sul bancone.
Annuisco, ma non sono per niente convinto di ciò che mi ha detto. Non credo tanto alle sue parole, c’è qualcosa che non quadra.
Sorseggiamo il liquido bollente, rimaniamo in silenzio, mentre io osservo Roddy di sfuggita e lui fa di tutto per non lasciarsi catturare dal mio sguardo.
Poi ripenso alle canzoni: War Pigs, Highway Star, Iron Man, Child In Time. Ci sono, sono pronto.
Basta pensare a cose come il profumo pungente di Roddy, i capelli di Roddy, le mani di Roddy.
Devo pensare a come lui impiegherà le sue energie per spaccare tutto durante il saggio.
«Pronto?» gli chiedo.
Lui sorride. «Pronto.»


Mi copro la faccia con le mani e trattengo a stento le lacrime. Sono seduto su una panchina in cemento che si trova nel retro del palco improvvisato, mentre l’ensamble di percussionisti della scuola di musica si esibisce in un energico samba che dona allegria all’atmosfera.
Io, però, sono incazzato nero con me stesso. Ho suonato malissimo e non ho nemmeno il coraggio di rivolgere la parola a Mike, perché lui sicuramente è incazzato tre volte di più.
Puffy crolla accanto a me sulla panchina, mentre Bill si lascia cadere alla mia sinistra. Rimaniamo in silenzio ad ascoltare i percussionisti che ci danno dentro con campane, shaker e chissà quali altre diavolerie.
«Abbiamo fatto schifo» esala il bassista, appoggiandosi con la testa sulla mia spalla.
«Io ho fatto schifo» puntualizzo.
Puffy sbuffa. «No, amico, abbiamo sbagliato tutti. Tu sei stato bravo» mi contraddice.
So che lo dice soltanto perché mi vede in preda allo sconforto, ma io non riesco a cambiare idea. «Mike mi odierà…»
«Macché» minimizza il batterista, grattandosi appena il braccio.
«Senti, Roddy, non puoi mica farti condizionare la vita da lui! Quando suoni, cerca di essere più rilassato: pensa soltanto alle note, guarda soltanto le tue mani o gli spartiti. La voce di Mike seguila solo in funzione dei brani, non pensarci troppo!» si infervora Bill, rimettendosi dritto al mio fianco.
«Ti sembra facile» bofonchio.
«No! Però…» Il bassista si gratta la nuca, evidentemente in cerca delle parole giuste. «Se così stai male, beh, perché non glielo dici? Anche se non sembra, Mike può rivelarsi un ragazzo sensibile e comprensivo.»
Scuoto energicamente il capo. «Non se ne parla» replico.
«Perché no? Almeno starai meglio, sarai più…»
«No, Billy. Sarebbe terrificante, osceno, lui mi odierebbe a morte e mi sputerebbe in faccia. Lasciamo perdere.»
«Quanto sei drammatico, Bottum» commenta Puffy, incrociando le braccia sul petto.
«Sarò anche drammatico, ma è meglio lasciar perdere» taglio corto, per poi rimettermi in piedi e avviarmi nuovamente verso il bar.
Prenderò qualcos’altro da bere, eviterò Mike fino alla fine del saggio e mi lascerò questa storia alle spalle.
So già che, dopo la performance penosa di oggi, lui non vorrà mai più stare in gruppo con me.
Le nostre strade si divideranno e io mi dimenticherò in fretta di lui.
Dev’essere così, in fondo ho solo diciassette anni e sicuramente mi sono preso una sbandata per la persona sbagliata.
Mentre ci penso, il cuore martella nel petto e non desidero altro che cercare Mike, abbracciarlo e chidergli perdono per come ho suonato.


È la prima volta che la scuola di musica organizza un concerto di Natale. Quest’anno suoneremo in un luogo magico, un luogo particolare.
Ci troviamo nella pista di pattinaggio cittadina, tutti pronti per intrattenere i visitatori dei mercatini di Natale con un po’ di musica dal vivo.
Non mi tiro mai indietro quando si tratta di cantare, qualunque sia la circostanza; faccio ancora parte dei Freaky Pigs insieme a Roddy, Puffy, Bill e Jim. Ormai la band si chiama così e noi, dopo l’estate in cui la scuola di musica ha chiuso i battenti, ci siamo ritrovati più carichi di prima.
Ovviamente Roddy non ha abbandonato neanche per un istante i miei pensieri. Non ci è rimasto continuamente, però ogni tanto faceva capolino con quel sorriso timido e quegli occhi sfuggenti.
Ora mi trovo di fronte a lui, lo scruto attentamente e aspetto che mi aiuti a scaldarmi la voce con l’ausilio della sua tastiera. Ci troviamo in un angolo dell’enorme stanza che funge da backstage, dove tutti gli allievi e gli insegnanti della scuola sono riuniti in attesa dell’esibizione.
«Dopo il concerto…» comincia il tastierista, per poi bloccarsi.
«Cosa?»
«Volevo… beh, ho portato un regalo di Natale per voi della band» borbotta, arrossendo violentemente.
Il respiro si ferma per un istante, stringo appena le dita attorno alla custodia del microfono; poi espiro bruscamente e mi lascio scappare una piccola risata. «Wow!» esclamo.
«Sì, è una cazzata… e pensavo, se vi va, di andare a bere qualcosa… o magari…»
Allungo una mano e gliela appoggio sul braccio, cercando il suo sguardo. «Certo che mi va. Hai chiesto agli altri?»
Roddy annuisce. «Hanno detto di sì.»
«Perfetto!»
Sono curioso di sapere di che regalo si tratta, eppure un altro pensiero si fa largo nella mia mente: è prepotente, è irrequieto, è viscerale.
Voglio stare solo con te.
Lo scaccio con violenza, dando le spalle a Roddy. Ne approfitto per bere un sorso d’acqua, poi cambio argomento e gli chiedo di cominciare a suonare alcuni accordi per me.
Ripasso la scaletta: War Pigs, Space Truckin’, Child In Time. Stavolta sono solo tre, abbiamo poco tempo. Ma siamo carichi, cantare i Deep Purple mi carica sempre, anche se sto sperimentando su un sacco di cose e sto cominciando a sentire il bisogno di creare musica.
La creatività è importante, tutto il resto non lo è.
Più di una volta mi maledico perché mi lascio distrarre dalle dita di Roddy che, affusolate ed esperte, volano sui tasti bianchi e neri. Mi detesto perché le immagino a stringere i miei capelli, a farsi insistenti e invadenti lungo la mia schiena, a tracciare i miei lineamenti con tocchi timidi e delicati.
«Basta così» sbotto all’improvviso.
Lui si blocca e mi lancia un’occhiata interrogativa. «Sei sicuro?»
«Ho detto che va bene così. Vado a prendermi un caffè» concludo, per poi allontanarmi.
Non gli ho neanche chiesto se vuole venire con me.


«E anche oggi abbiamo fatto cagare!» strillo, battendo un pugno sul tavolino del bar in cui ci troviamo.
Ho già bevuto quattro shot di vodka e mi sento brillo, ma reggo bene l’alcol. Preferisco fingere di essere ubriaco piuttosto che affrontare l’ira di Mike e i suoi occhi indagatori.
Non riesco a credere che la nostra band stia ancora in piedi, è veramente incredibile che il cantante abbia deciso di reclutarmi ancora nella formazione. Ogni volta che ci esibiamo, sbaglio qualcosa, anche se durante le prove le cose non vanno così male.
«Ma ci hai parlato di un regalo o sbaglio?» cambia discorso Bill, appoggiando i gomiti sul tavolino e il mento sui palmi delle mani.
Schiocco le dita e rido. «Giusto, i regali! Guardate, li ha fatti mia nonna, uno per ognuno di voi! Le ho detto che siete delle persone speciali, così lei… beh, ecco!» blatero, consegnando a ognuno dei miei compagni di band un sacchetto di carta regalo blu.
Solo quello di Mike è rosso, ci tengo che lo riceva e che non ci siano fraintendimenti.
Il primo a scartare è Jim, il nostro chitarrista. Non abbiamo legato tantissimo, ma lui è un bravo ragazzo e suona bene. Si ritrova tra le mani un maglione rosso e verde, con su ricamato un piccolo fiocco di neve bianco. «Cristo, Roddy!» esclama, spalancando gli occhi.
«Lo so che non è proprio alla moda, ma potete usarlo per dormire o quando siete in casa e avete freddo…»
Bill mi abbraccia di slancio dopo aver scartato il suo. «Amico mio! Io lo adoro, lo userò durante le feste natalizie. Quando ce l’avrò addosso, penserò a te e sopravvivrò alle cene e i pranzi infiniti!»
Puffy aggrotta la fronte e si rigira l’oggetto tra le mani. «Ti offendi se lo uso come scaldapiedi?»
«Che stronzo!» si ribella Bill, mollando uno scappellotto al batterista.
«Oh, ma sei rincoglionito? Mi fai male! Che ho detto?»
Io intanto rido senza ritegno. «Potete farne quello che volete, in realtà è mia nonna che ha insistito per darveli!»
«A parte gli scherzi, grazie» dice Puffy, sorridendo appena.
Non ho il coraggio di voltarmi a guardare Mike, ma so che devo farlo. Sento il suo sguardo addosso, non posso più evitarlo.
«Roddy?» mi richiama lui, seduto al mio fianco.
Sussulto nell’avvertire la sua mano sul ginocchio, sotto il tavolo. Le guance mi si infiammano e una risata ancora più isterica lascia le mie labbra. Forse l’alcol sta davvero facendo effetto.
«Roddy» ripete lui, la voce calda e bassa, quasi inudibile. Le sue dita stringono un po’ di più la presa e io mi sento andare letteralmente a fuoco.
Sono nel panico più totale e non so assolutamente come comportarmi.
Mi volto lentamente a guardarlo e trovo i suoi occhi scuri, penetranti e densi inchiodati nei miei. È difficile sostenerli, ma è altrettanto difficile abbandonarli.
Mike riesce a incatenarmi con un solo sguardo, quando mi osserva in quel modo potrei fare qualsiasi cosa per lui.
«Vieni con me» dice, il tono fermo, solo io e lui possiamo udirlo.
Mi sembra di stare all’interno di una bolla, mentre tutt’attorno le voci dei miei amici sono confuse e ovattate, così come il baccano prodotto dagli altri avventori del bar.
Mi alzo senza neanche accorgermene. «Vado in bagno» mi ritrovo a biascicare, la scusa più stupida e banale che potessi portare fuori.
Mi dirigo quasi di corsa all’interno del bagno degli uomni e mi fiondo all’interno di un cubicolo, chiudendo a chiave la porta e appoggiandomici contro con la schiena.
Ho il cuore a mille, il respiro accelerato e il cervello in tilt. Sembro quasi una ragazzina, mi dovrei vergognare di me stesso. Eppure… eppure Mike era così vicino, sembrava così esplicito.
Le sue dita strette sulla mia coscia, gli occhi famelici e torbidi nei miei… mi ha fatto quasi paura, non lo avevo mai visto così.
Sento la porta dell’antibagno aprirsi e richiudersi, così smetto di respirare, sperando che nessuno si accorga della mia presenza.
«Dai, Roddy, vieni fuori.»
È lui, sa che sono qui. Mi ha visto andare in bagno, sa che sono letteralmente scappato da lui.
«Non volevo spaventarti, cazzo.»
Non so cosa fare, non so cosa rispondere. Non voglio fargli capire che sono davvero qui, non voglio affrontarlo.
«Ehi.» Si è avvicinato, deve aver visto le mie gambe sbucare sotto la porta serrata. Ci divide soltanto la lastra di legno scrostato. «Esci.»
Mike non ha bisogno di gridare, di pregare, di sbraitare. Gli basta essere se stesso, usare quel tono fermo e deciso per far capire agli altri cosa vuole.
Sento le sue nocche sfiorare appena la porta. «Esci» ripete, senza sollevare la voce. «Roddy, vieni da me
Ed è questo che mi fa cedere definitivamente. Mi lascio scivolare contro il legno e mi accovaccio, nascondendo il viso tra le ginocchia. Le lacrime scorrono silenziose sulle mie guance sbarbate, mi sento una merda. Sono un debole perché non riesco neanche a reagire a una richiesta esplicita come quella che Mike mi ha appena fatto.
Vuole che io esca di lì, che io vada da lui.
Ripenso alle sue dita sul ginocchio, ripenso a tanti piccoli gesti a cui non ho mai voluto dar peso.
E mi sento un vero e proprio idiota, perché ancora una volta sono stato ingenuo, perché ancora una volta non ho ascoltato il mio cuore e mi sono seppellito in me stesso.
Adesso non posso affrontarlo, sono soltanto un codardo.


«Il maglione è davvero orribile.»
Se comincio a parlargli, forse si tranquillizzerà e uscirà da questo maledetto bagno. Non riesco più a sopportare che mi stia lontano, non dopo averlo visto ridere e flirtare con me per tutto il tempo. Non dopo averlo osservato mentre sceglieva il pacchetto rosso, l’unico di un colore diverso, e me lo porgeva con quel sorriso timido e irresistibile.
«Però, Roddy, tua nonna è stata gentile. Ringraziala tanto.»
So che sta piangendo, posso percepire i suoi sospiri e i momenti in cui tira su col naso. Vorrei sfondare questa cazzo di porta e prenderlo tra le braccia, non ce la faccio più.
Adesso che l’ennesima esibizione è finita, ho la mente più libera, pronta per accogliere pensieri che in genere scaccio con violenza.
«Sai, potrei usarlo comunque, il maglione. Anche se è verde e rosso e mi fa cagare, anche se io detesto i fiocchi di neve. Però ha la mia iniziale ricamata sopra, quindi… è mio e basta.»
Sento Roddy singhiozzare più forte, incapace di trattenersi.
«Ma lo userò.» Mi interrompo, indeciso se continuare. Poi mi dico che non ho più niente da perdere. «Solo a una condizione, mio piccolo Roddy.»
Lui sospira, i suoi vestiti frusciano mentre cambia posizione. Forse si è alzato in piedi, spero che stia per aprire la porta.
«Lo metterò solo per farmi vedere da te e farmi prendere in giro.»
Finalmente, il passante scatta e la porta si schiude appena. Roddy si affaccia timidamente, il viso rigato di lacrime e lo sguardo confuso e liquido.
«Davvero?» mormora.
«Certo! E poi, beh, ho una richiesta particolare.»
«Sarebbe?»
Con uno scatto, lo afferro per il polso e lo trascino fuori dal cubicolo, abbracciandolo forte, come mai avevo fatto prima con nessun altro essere vivente. Non ho mai provato tanto trasporto nei confronti di qualcuno, è qualcosa di inspiegabile, di strano, di unico.
Sento il suo cuore martellare contro il mio petto, il suo profumo pungolare le mie narici, i suoi capelli solleticare la mia guancia.
E perdo la testa. Lo spingo contro la parete e accosto il mio viso al suo. «Voglio mettermi quel maglione e voglio che tu me lo strappi via.» Faccio una pausa, so che probabilmente sto esagerando, ma mi sento terribilmente eccitato. «Hai capito?»
Roddy annuisce piano, le labbra schiuse e gli occhi sgranati.
Gli prendo il viso tra le mani e lo fisso intensamente negli occhi. «Dimmi se sei d’accordo, non voglio spaventarti» proseguo.
Sento il ragazzo sgretolarsi tra le mie braccia, contro il mio corpo; lo sento stringermi a sé, cercarmi, sfiorarmi.
Finalmente le sue dita sono su di me, tra i miei capelli, sulle mie braccia, lungo le mie costole. È una sensazione incredibilmente assurda, non avrei mai creduto che proprio io la potessi vivere sulla mia pelle.
Roddy socchiude gli occhi e sorride appena. «Non sono spaventato.»
«Ah no? Che strano…»
«So che tutti hanno paura di te, perché sembri… beh, particolare.»
Aggrotto la fronte e tiro leggermente le ciocche bionde, facendogli inclinare leggermente la testa all’indietro. Mi chinò a mordicchiargli piano il labbro inferiore, saggiando il suo sapore sconosciuto, cercando di capire se posso baciarlo.
Quanto voglio baciarti.
Roddy sospira e spinge con forza le labbra contro le mie. Rimaniamo sospesi in quell’attimo infinito, occhi negli occhi.
Poi ci scostiamo e ci lanciamo un’occhiata.
«È strano» ammetto.
«Già, ma è bellissimo» replica Roddy, le dita a sfiorare la mia guancia sinistra.
«Hai ragione. Allora… posso?»
Lui ridacchia, puntandomi un dito contro il petto. «Mike Patton che chiede il permesso, che cazzo è successo?»
«Fottiti» concludo, per poi tuffarmi sulle sue labbra.
Non sono bravo ad amare, non so come comportarmi e per me è tutto nuovo.
Forse, però, posso provarci, in fondo ho solo diciotto anni e anche queste esperienze fanno parte della vita di chiunque.
Non per questo smetterò di pensare alla musica, non per questo mi annienterò.
Ma quando Roddy mi bacia, quando mi stringe, quando le sue dita tracciano con calma la mia pelle, beh, in questi momenti posso svuotare la mente e godermi le sue attenzioni.
Roddy non chiede mai niente, non pretende che io cambi per lui.
Roddy mi ama e ascolta ogni battito del mio cuore.
Roddy farebbe di tutto per me, e io so di non meritarlo.


Fa freddo, piove a dirotto, ma io non sto male.
Nascosti sotto la pensilina della fermata dell’autobus, io e Mike siamo seduti fianco a fianco sulla panchina in ferro.
Attendiamo che il pullman passi a recuperarci, dopo aver fatto le prove con i nostri Freaky Pigs.
Il cantante tiene un braccio attorno alla mia vita e mi stringe a sé. «Hai ancora freddo?»
Scuoto il capo.
«Sai, Roddy, c’è una cosa che volevo dirti» prosegue.
Alzo lo sguardo e mi scosto appena, in modo da poterlo guardare in viso. «Devo preoccuparmi?»
Lui mi rivolge un ghigno per niente rassicurante. «Oggi ho messo il maglione che mi hai regalato» annuncia in tono malizioso.
Inclino la testa di lato, sentendo il cappuccio della felpa che scivola appena all’indietro. «E con questo?»
Mike si avvicina, appoggia la fronte contro la mia e sospira. «Bisogna insegnarti proprio tutto, Bottum» bofonchia.
«Non ho capito» replico perplesso, mentre il cuore accelera nel petto: averlo così vicino è sempre troppo complicato da gestire.
«Questo significa, mio simpatico amico, che è arrivato il momento che tu me lo strappi di dosso.»
Spalanco gli occhi e boccheggio, mentre le guance mi si infiammano. «Mi stai chiedendo di… di farlo?» balbetto.
Mike scoppia a ridere e mi tira giù il cappuccio, scompigliandomi i capelli con entrambe le mani. «Ah, quanto sei idiota!»
«Io?! Ma…»
«Guarda, arriva il pullman!» esclama, per poi mettersi in piedi e accostarsi al bordo del marciapiede.
«Mike!» protesto, raggiungendolo in fretta.
Mi strizza l’occhio e, mentre il mezzo si ferma e le porte si aprono, sussurra: «Solo se vuoi».
E io so che lo desidero più di ogni altra cosa.
Gli sorrido e gli sfioro appena la schiena, mentre mi precede su per i tre ripidi gradini che ci conducono a bordo del bus.
Gennaio è quasi finito, Mike sta per compiere diciannove anni e vuole fare l’amore con me.
La vita mi ha regalato un’occasione come questa, un ragazzo come questo.
Non vedo l’ora di poter strappare e rompere quello stupido maglione.






♥ ♥ ♥

Ciao a tutti!
So perfettamente che questa storia sfocia nell’OOC, specialmente per quanto riguarda Mike Patton, ma vedete… essendo un racconto ambientato in un Alternative Universe in cui i Faith No More sono dei ragazzini che vanno in una scuola di musica e fanno parte di una band di nome “Maiali Sfigati”, beh, ho pensato a loro da giovanissimi e mi sono detta che forse – e dico FORSE – per il nostro Patton ci fosse una qualche speranza di poter provare dei sentimenti! XD
Lo so che lo perculo sempre, mi perdonerà, ma è così che va!
Devo assolutamente scrivere due notine esplicative: ho lasciato la formazione originale dei Faith No More, ovvero quella che la band ha avuto circa dal 1988 al 1993, anni in cui sia Mike Patton alla voce che Jim Martin alla chitarra militavano nella band. Jim, tuttavia, faceva parte dei FNM dall’83, mentre Mike ne è ancora un membro effettivo. Invece Roddy Bottum (tastiere), Bill Gould (basso) e Mike “Puffy” Bordin (batteria) ci sono sempre stati – e sempre ci saranno, aggiungerei XD almeno spero!
Per il resto, essendo una fanfiction AU, la maggior parte delle cose sono di mia invenzione, tranne il fatto che Mike sia un grande appassionato e consumatore di caffè (evviva!) e che sia conosciuto come un tipo dalla personalità particolare e non facilmente decifrabile.
Anche ciò che ho accennato a proposito della sua estensione vocale è vero: Patton, infatti, vanta un range di ben sei ottave! Insomma, non è un essere umano, facciamocene una ragione ù.ù
Non so se i componenti della band abbiano mai studiato musica, ma mi piaceva troppo l’idea e così l’ho sfruttata alla grande! :D
Per quanto riguarda Roddy Bottum, il tastierista è davvero omosessuale, ha fatto coming out tanti anni fa; dubito fortemente che si sia mai invaghito di qualcuno all’interno dei FNM, però… cosa volete farci? Questo rapporto sempre tormentato e poco definito tra lui e Mike mi frega sempre, ci casco e mi ritrovo a scriverne!
E stavolta non volevo che Roddy rimanesse a bocca asciutta, mi dispiaceva troppo per lui! Immaginatelo poi a diciassette anni, avrebbe sofferto tantissimo se Mike lo avesse respinto… ahi ahi!
Detto ciò, ci tengo a precisare che queste sono solo storielle dettate dall’ispirazione, non voglio assolutamente offendere nessuno e spero di essere riuscita, almeno un po’, a rendere giustizia a questi personaggi che mi stanno tanto a cuore ♥
Ultime precisazioni tecniche: le canzoni citate nelle varie scalette sono appunto dei Black Sabbath e dei Deep Purple: War Pigs e Iron Man sono dei Black Sabbath, mentre Space Truckin’, Highway Star e Child In Time sono dei Deep Purple!
Spero di non essermi dimenticata niente, ma in caso abbiate dubbi o perplessità non esitate a chiedere!
Mi auguro che il racconto vi sia piaciuto e vi abbia emozionato, grazie a tutti coloro che hanno avuto il coraggio di arrivare fin qui e che vorranno lasciare un piccolo commento :3
Alla prossima avventura ♥

  
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