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Autore: Miryel    30/11/2019    19 recensioni
Dopo un anno dalla perdita di Tony Stark, la vita passa inesorabilmente, tentando di colmare la sua mancanza. Per Peter Parker la vita è ferma, immobile e Harley Keener vuole solo che Spider-Man esista di nuovo. Ancora una volta. Per lui.
Anche se si tratta solo di un istante.
[ Harley Keener x Peter Parker - Past Tony Stark x Peter Parker - Angst/Malinconico/Introspettivo - Post EndGame ]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harley Keener, Harley Keener, Morgan Stark, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales About a Spider Kid and an Iron Guy'
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[ Harley Keener X Peter Parker - Post EndGame - Past Tony x Peter -  Angst/Malinconico - word count: 3021 ]

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« Why don't you like me without make me try? »
Mika - Grace Kelly
 



Capitolo I. Talk About You
 

Se c'è una cosa che Harley ha capito, è che chiedere a Peter come sta, implicherà sempre la stessa, medesima bugia.

«Sto bene.»

Peter però non sta bene; non sempre, almeno. Lo dicono i suoi occhi, che a volte si abbassano e guardano la terra, e Harley sa perfettamente quale sia il suo pensiero costante – incessante, in quei momenti e, per quanto forse ne stia soffrendo meno, può capirlo in parte. Vorrebbe dargli una mano. Aiutarlo a vincere quel lutto che proprio non riesce a cacciar via dall'anima, dal cuore e dalle dita. Quelle stesse che tremano, ogni volta che lo vede stringerle intorno alle ginocchia, quando sono a casa Stark e tengono compagnia a Morgan, seduti su quello stesso divanetto, ogni santo mercoledì, di ogni settimana, di ogni mese, da quel giorno. Harley lo guarda sorridere verso quella piccola bimba, che porta con sé troppe cose che era Tony Stark, e ogni volta che prova ad aprire bocca per chiedere a Peter cosa c'è che non va, blocca sul nascere quell'intento, perché dopotutto la risposta la sa già. Perché Peter è spento. Grigio. Vuoto.

Harley ha sicuramente adorato Tony. Lo ha rispettato, lo ha ammirato, lo ha amato, ma non nello stesso modo – né con la stessa intensità, con cui Peter Parker lo ha fatto – e con cui probabilmente lo sta ancora facendo. Nessuno gli ha detto come sono andate le cose davvero, tra di loro, ma non è difficile capire che, per Tony, Peter è stato molto più di un allievo, un pupillo, un figlio adottivo. Peter è stato un amante e Harley, in qualche modo, è meno sorpreso di quanto si sarebbe aspettato, di quel fatto. In quei cinque anni in cui quel ragazzo è scomparso, Tony gli ha parlato di lui, e lo ha sempre fatto dandogli l'impressione che ne avesse un urgente bisogno. Qualcosa che non poteva reprimere e, per quanto inizialmente Harley si fosse sentito rimpiazzato, quella sensazione era subito scomparsa quando aveva capito che c'era stato altro tra di loro e aveva rispettato quel sentimento senza sfilacciare via un solo commento dalla bocca. Senza giudicare; e non lo aveva fatto nemmeno nella propria testa. Non ne era stato in grado.

«Rimanete per cena?», chiede Pepper, con un sorriso speranzoso che le vibra sul viso. Si vede che ha bisogno di compagnia, che la solitudine la schiaccia e le ricorda quanto quella casa abbia perso un grosso pezzo di sé, da quando suo marito è morto. Harley sorride e apre la bocca, ma Peter è più veloce e lo batte sul tempo.

«No, non... io vado. Domani ho una verifica e mi piacerebbe poter ripassare qualcosa, almeno prima di andare a dormire. La ringrazio per l'invito però, signorina Potts», dice e l'oscuro alone che lo avvolge, sembra più schiacciante del solito. Da quando Tony è morto, il vuoto lasciato – difficile da colmare, è enorme, gigantesco, mastodontico; eppure ogni giorno le cose sembrano andare meglio; eppure tutti sembrano, pian piano, accettare quella mancanza – o meglio, abituarsi al fatto che Tony non ritornerà più e che bisognerà farsene molto presto una dannata ragione. Tutti ci stanno provando, tutti ci stanno riuscendo, tranne Peter. Peter va a ritroso. Più Harley ha l'occasione di incontrarlo, più lo vede livido di una profonda e incalcolabile tristezza e apatia. Più lo guarda in viso, più lo vede morire dentro. Non riconosce nei suoi occhi quella luce che Tony gli ha mostrato in alcune foto che lo ritraevano. Non ha lo stesso sorriso spensierato che gli ha visto in quegli scatti, tenuti con amore, in cornici di legno semplici ma che sanno di casa. Harley ha conosciuto Peter nel momento in cui Peter ha smesso di vivere davvero e, la sua più grande curiosità, è poter incontrare un giorno la persona che Tony gli ha presentato nei suoi racconti e non una mera ombra di se stesso.

Pepper smorza il suo sorriso, afflitta; sola. «Capisco. La scuola viene sempre prima di tutto, ma domenica c'è il pranzo della commemorazione. Non puoi mancare, Peter!», esclama, e attende speranzosa un suo sì, che arriva semplicemente con un segno di assenso fatto con il capo, poi Peter si alza in piedi e sospira. Vuole andare via, ed è il linguaggio del corpo a dimostrarlo per lui. Harley sa che, se dovesse chiedergli ora, in questo momento, come sta, Peter risponderebbe – mentendo di fronte a quei palesi segnali di malessere – che sta bene. Mai stato meglio. Sto benissimo. Una favola.

Harley si alza. Sospira anche lui e Morgan li guarda. Poggia a terra un cavallo di peluche con cui stava giocando e mette il broncio. Odia vederli andare via – glielo ha detto una volta – e, sebbene vorrebbe seriamente restare, Harley sa che ha bisogno di parlare con Peter e chiedergli trasparenza, perché lo vuole sentire ammettere che no, non sta bene. Per niente.

«Andate via?», chiede Morgan e, meccanicamente, sia lui che Peter abbassano la testa per incontrare i suoi occhi e le lasciano un tenero sorriso da ammirare come scusa per quella fuga.

«Non possono restare qui tutto il giorno, Maguna. Le persone hanno anche degli impegni da rispettare», la redarguisce Pepper e lei sbuffa e alza gli occhi al cielo. La miglior rappresentazione di Tony che Harley abbia mai visto in vita sua. Lo fa sorridere, e a Peter lo oscura.

«Torneremo presto», le promette Harley e annuisce per sembrare più convincente, mentre l'altro lo imita e poi si affretta a recuperare la giacca e lo zaino da sopra il divano. Peter sembra sempre claustrofobico, quando è lì dentro, e forse lo è davvero. Forse ne ha tutte le ragioni.

«Signorina Potts, io...»

«Lo so, Peter. Lo so... e non preoccuparti. Fate già tanto e per quanto vorrei avervi qui ogni minuto del mio tempo, non posso trattenervi con la forza. Piuttosto, non fatemi preoccupare, voi due! Mandatemi il solito messaggio, quando sarete a casa», sorride lei, e indica entrambi con l'indice, materna. Harley le fa l'occhiolino e, insieme a Peter, raggiunge la porta d'uscita. Appena la spalanca trova il buio che li accoglie. L'inverno ha accorciato le giornate e, malgrado siano appena le sei del pomeriggio, sembra quasi che la notte sia ad un passo da loro. Fa un freddo tremendo; si chiude nel cappotto e nella sciarpa e, rabbrividendo, si affianca ad un Peter assorto, che come sempre non spezza la quiete ma la arricchisce con un caos fatto di silenzio e solitudine. Quella di entrambi. Quella che non riesce proprio a far trovare loro un punto di incontro. Quello che Harley cerca da tempo e che Peter non gli permette di trovare. Troppo chiuso nel suo mondo e aperto all'universo di chissà quale fantasia irreale. Forse dove Tony Stark è ancora vivo e gli dona l'amore che cerca, che ha avuto e che non potrà mai più riavere indietro. Deve essere terribile. Deve essere doloroso. Deve essere incalcolabile, e Harley non può capire un briciolo di quello che prova, anche se vorrebbe.

«Quindi hai un esame, domani», cerca di attaccare bottone. Così, per fare due chiacchiere e tastare il terreno. Peter annuisce e gli lancia solo uno sguardo laterale, che si macchia per un attimo di una coscienza che subito lo abbandona.

«Sì.»

«Importante? Roba da capogiro?»

«Fisica e Chimica.»

«Tu non sei quello che eccelle paurosamente in tutte le materie scientifiche? Dovrebbe essere una passeggiata, no?»

Peter alza un sopracciglio, che si incastra nella fronte aggrottata di paura. «Chi te lo ha detto?»

Harley alza le spalle, e solo a metà frase si rende conto dello sbaglio indecente che sta facendo. «Tony», dice e se lo avesse colpito con un colpo di pistola, lo avrebbe ferito di certo meno. «Mi dispiace», prova a rimediare, lapidario, ma Peter è già altrove. Si è fermato, ha sbarrato gli occhi e lo fissa come se fosse un mostro senza cuore; gli butta addosso tutta l'insofferenza che ha dentro, poi chiude gli occhi con dolore e ricomincia a camminare, stringendo tra le dita le spalline dello zaino. Sta scappando. Fugge dai suoi fantasmi, anche quando questi vengono nominati e basta. Fugge dalla realtà, dalla finzione e dal passato ma, soprattutto, Peter sfugge dalla vita perché non vuole che torni a dargli qualcosa in cui credere. Gli ha letto tutto questo in un solo sguardo fugace, ricco di terrore e di rabbia ma anche di una infinita, deprimente e ingiusta apatia. Ha provato per un attimo qualcosa, poi di nuovo niente. Tony Stark è morto e gli ha portato via persino l'anima e il cuore. O meglio, Peter ha lasciato che lo facesse, sotterrando con lui la sua intera coscienza e annullandosi.

«Peter! Andiamo! Aspetta!» Lo rincorre e Peter accelera solo il passo. Hanno già affrontato quell'argomento e non vuole tornarci, Harley lo sa. Peter non sopporta che, in quei cinque anni, Tony abbia parlato di lui ad altre persone, desideroso di riabbracciarlo e riaverlo indietro, per poi morirgli davanti poco dopo, senza dargli la possibilità di dirgli niente. Niente di niente. Nemmeno uno stupido ma significativo grazie. Non gli ha detto tutte queste cose, ma a Harley è bastato immedesimarsi un secondo in un ragazzo innamorato che perde l'amore della sua vita sotto al proprio naso, senza poter fare niente per salvarlo.

«Non è colpa tua. Lo sai... non... non sei tu il problema», gli dice Peter e non si ferma. Di nuovo sta giustificando le azioni degli altri; di nuovo si fa carico di pesi che non dovrebbe sostenere; che non sono suoi. Peter si sente responsabile nei confronti della perdita di Tony e delle conseguenze che questa ha portato. Peter si sente il mondo contro, perché se solo avesse trovato il modo di fermare Thanos – di difendere quel guanto, Tony sarebbe ancora lì con loro. Con tutti loro, e invece il mondo è salvo, ma senza il suo guardiano migliore. L'uomo migliore.

Harley lo sa, perché è Pepper ad averglielo confidato, che quei pensieri annebbiano la sua psiche.

«Non è colpa di nessuno, né mia, né tantomeno tua. Non era intenzionale e non credevo che l'argomento fosse ancora tabù. Non era più uscito il suo nome da mesi.»

«Va bene così, davvero. Mi passerà», cerca di rassicurarlo e gli fa una rabbia che Harley non credeva di poter provare mai, in vita sua. Vorrebbe tirargli un pugno e incitarlo a reagire, ma fa talmente male vederlo così in bilico tra la vita e la morte, che l'unica cosa che riesce a fare è tentare di fermarlo prendendolo per un braccio, senza alcun successo.

«Peter, per favore, fermati!», dice, frustrato. Sbuffa, scocciato, vinto da quell'insofferenza che l'altro gli sta buttando addosso con una carica talmente schiacciante, che è quasi difficile da sopportare sulle spalle. «Hai bisogno di aiuto, ed è evidente! Sto solo cercando di essere utile a qualcosa.»

Peter allora si ferma. Gli dà le spalle per qualche secondo; un tempo che a Harley sembra un misto tra l'eternità ed un istante. Quando si volta gli regala l'espressione più gelida del mondo. Così priva di sentimenti positivi, che fa quasi paura. Fa quasi più tristezza. «Utile?», esordisce Peter, poi distoglie lo sguardo, «Chi sei tu, per pretendere di potermi aiutare?»

«Non sono nessuno e non ho alcuna pretesa. Il mio è un tentativo di darti una mano.»

Peter serra la mascella e continua a non guardarlo, poi apre la bocca, la richiude e di nuovo la riapre. «Non sto reggendo alcun peso. Sto cercando di assimilare quello che è successo, come tutti voi. Perché pensate tutti che io non ci stia riuscendo?»

«Perché di fatto è così, Peter! Tu non ci stai riuscendo! Pretendere di farci – di farmi credere che sia così, è ridicolo.» Gli sbatte addosso la verità; fa un passo verso di lui e gli punta un dito contro. Peter fa un passo indietro e deglutisce aria, esposto. Smascherato. Harley sente qualcosa premergli tra il cuore e i polmoni.

«Tu non mi conosci. Non puoi saperlo. Non lo sai. Non sai niente, Harley», risponde Peter, con una calma quasi irreale che tenta di celare accuse infondate e Harley vorrebbe ridere, di fronte a quella frase.

Si lascia sfuggire un sorriso amaro. «Come se ci fosse bisogno di conoscerti, per sapere cosa provi. Sei un libro aperto. I tuoi occhi parlano per te. Lo hanno fatto dal primo momento in cui ci siamo stretti la mano, quel giorno, al funerale!»

«Perché? Perché più non voglio parlare di lui, più pretendete che io lo faccia? Voglio solo che non se ne parli, che si eviti l'argomento! Perché è così difficile da capire?», dice Peter, gli occhi stretti a trattenere il dolore e la voglia di scappare via lontano ma che, il suo sconfinato senso di giustizia, non gli permette di fare.

«Non è difficile da capire, ma da accettare! Non è il modo di affrontare la cosa, quello che stai adottando. Stai rimandando qualcosa che dovresti combattere, non seppellire sotto strati, su strati di sabbia! Così è solo peggio. Sempre peggio.» Scende il silenzio, dopo quel rimbombo di parole che Harley si è lasciato sfuggire con una profonda e inammissibile arroganza. Non sa chi sia Peter; non quello vero, almeno. Non quello di cui Tony gli ha parlato così tanto, quando i loro incontri erano diventati più frequenti, dopo che le sparizioni avevano lasciato un vuoto troppo grande, da colmare. Peter, Peter, Peter, sì parlava sempre e solo di lui. A volte era stato quasi frustrante.

«Lo so. So cosa sto facendo, so che è deleterio, so che non sto combattendo il dolore ma non ci riesco e né tu, né nessun altro, potrete cambiare le cose. Non ci sto nemmeno provando, perché non voglio provare. Non voglio superarla. Non voglio stare meglio. Io voglio solo essere lasciato in pace e vorrei che rispettassi questo mio volere, evitando di parlare di cosa è successo e di cosa è meglio per me. Non lo sai. Tu non lo sai, e non puoi saperlo. Mi dispiace deluderti, ma è così», risponde Peter, chiude la bocca e sembra non aver detto tutto, ma non continua. Sospira, e attende. Attende qualcosa che Harley non gli dirà, perché con tutta sincerità, non sa cosa dire. O meglio, sa che ogni cosa, ogni tentativo di avvicinamento, inesorabilmente lo porterà ancora più lontano.

Harley non sa perché ha preso così a cuore lo stato emotivo di Peter. Non lo conosce così bene, ed è vero, ma forse sono stati i racconti di Tony ad aver distorto la realtà e avergli messo in testa quel tarlo. Ha davanti una persona così corrosa dal dolore, da aver perduto la propria via, e forse Harley è solo deluso perché non ha di fronte chi pensava che fosse, anche se dubita che questa sia la vera ragione.

«D'accordo.» Prova con l'accondiscendenza. Annuisce e poi sospira, passandosi una mano tra i capelli, poi si chiude nel cappotto. «Sì, okay. Hai ragione», continua e Peter alza un sopracciglio, forse perché quell'assecondamento non se lo aspettava. Forse perché, una parte del suo cuore, sperava che Harley potesse combattere di più, quella battaglia contro i suoi demoni. «Ti lascio in pace, promesso.»

«Harley...»

«Dico sul serio, Peter. Non posso sapere cosa stai passando. Per me non è lo stesso. E, se davvero avessi bisogno d'aiuto, di certo non lo vorresti da qualcuno che conosci a malapena. Sto peccando di arroganza, e non è quello che voglio, quindi scusami», dice. Gli lascia un sorriso di circostanza e poi lo supera, convinto che assecondarlo sia un'arma a doppio taglio infinitamente pericolosa, ma è l'unica che ha. L'unica che gli viene in mente di usare. Si avvia da solo, verso la fermata dell'autobus. Peter è ancora immobile dietro di lui. Sente i suoi occhi addosso. Qualcosa si è rotto o, forse, si è risanato. Harley lo spera con tutto se stesso. Non si volta, continua a camminare, con la speranza di tornare a casa e trovare un suo messaggio, di qualunque tipo, che gli dice che ha bisogno d'aiuto e che lo vorrebbe da lui. È un visionario, se pensa una cosa del genere, ma vuole aggrapparsi a qualcosa, ad una speranza, sebbene non sappia ancora perché Peter gli è così caro. Forse è solo empatia, o forse semplicemente vorrebbe aiutarlo a reagire, perché sa che è quello che anche Tony vorrebbe.

«Harley», ripete Peter, e lo raggiunge. Gli si affianca.

«Che c'è? Ti sto lasciando in pace!», gli risponde, ma non riesce a trattenere un sorriso che gli illumina il cuore, quando Peter gliene regala uno impacciato, che però si perde subito nell'ombra oscura di Tony Stark. Quella che gli grava addosso.

Peter alza le spalle. «Lo so, ma prendiamo lo stesso autobus, che senso ha dividersi?», si giustifica, e sembra quasi che qualcosa si sia smosso; che qualcosa abbia rovesciato per un attimo quella delicata situazione, pronta a spezzarsi con solo un dannato, stupido passo falso. Eppure quell'ombra è sempre lì, a pesare su di loro. Come un muro che li divide, inesorabilmente, rafforzandosi ogni volta che riescono a compiere un passo, l'uno verso l'altro. È Tony; è il suo ricordo, Harley lo sa. Perché, malgrado tutto, pensare a Peter come il ragazzo di cui Iron-Man gli ha parlato, gli ha fatto sempre credere che qualcosa potesse unirli e che, per qualche ragione, era convinto che, in quel ragazzo, avrebbe di sicuro trovato un amico. Invece Tony li ha fatti incontrare e, sempre lui, sta facendo di tutto per dividerli e questo Harley quasi non è in grado di perdonarglielo. La cosa paradossale, è che non sa nemmeno il perché.

Finiscono per tacere, su quell'autobus, mentre il tragitto verso casa è troppo lungo, accompagnato da quel silenzio. Eppure qualcosa è cambiato, e Harley non sa se ha inesorabilmente spezzato qualcosa o ha iniziato a risanarla, in quel cuore arido che Peter Parker si porta nel petto e che, con un po' di speranza, non ha mai davvero smesso di battere.


Fine Capitolo I


 



 

Angolo angoloso di Miryel:
Per quanto Tony e Peter siano in assoluto la mia OTP suprema – e, dopo circa una ventina di storie immagino ve ne siate accorti un po' tutti –, ammetto con tutta me stessa che, dopo la visione di End Game e aver visto Harley tornare nell'universo dell'MCU, me lo ha fatto un pochino shippare con Peter. La morte di Tony rappresenta per me qualcosa che è più simile a un velo nero sul cuore, per tante motivazioni: una fra queste, Peter che resta solo. Ho deciso così, qualche tempo fa, di rivedere di nuovo tutti i film e, tra questi, c'era il discutibilissimo IronMan 3, che molti di noi vorremmo non fosse mai esistito, ma Harley... Harley è un personaggio che personalmente ho adorato, anche la sua caratterizzazione e il suo legame con Tony sono state gestite magistralmente. Così, come ho fatto con Tony giovane – tentando di plasmarlo adolescente e dargli quei toni spavaldi e arroganti di sempre, ma con una vita di esperienze in meno sulle spalle, ho deciso di fare lo stesso con Harley. Nel corso del tempo è cresciuto, e nel mio headcanon non è sparito con lo schiocco. Questo lo ha reso più grande di Peter. Ho cercato di ricreare quel suo carattere diretto, intelligente e giusto che si vede nel film, maturandolo. Ci ho provato, e spero che questa minilong possa destare il vostro interesse per una coppia un po' particolare, sicuramente diversa, che però a mio parere ha del potenziale e di cui mi è piaciuto scrivere. 
Non vi tratterrò ancora, e vi invito a lasciare un commentino per farmi sapere cosa ne pensate ♥ Ringrazio Mika per aver scritto le stupende canzoni che accompagneranno questa minilong ♥
Un esperimento diverso che di certo non oscura, cancella, dimentica dal mio cuore la mia OTP suprema che, comunque, è presente fortissima anche qui. 
A venerdì prossimo,
Miry
 
   
 
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