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Autore: mattmary15    02/12/2019    2 recensioni
James T.Kirk è diventato il capitano dell’Enterprise quando ha salvato la federazione stellare dall’attacco di Nero. Per il nuovo capitano non c’è pace. Un guasto sulla nave e una scoperta di Bones innescheranno una serie di eventi inaspettati. Riuscirà Jim a sventare la nuova minaccia soprattutto ora che non è più solo ma ha stretto molti legami importanti?
Genere: Azione, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Montgomery Scott, Nyota Uhura, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Piccole note dell’autrice:
Seppure con una lentezza disarmante, ingiustificata perchè la storia è già bella e finita, sono colpevolmente qui a presentare il sesto capitolo di una long iniziata per gioco in un fandom che non conoscevo e che ho approcciato con tutto il rispetto del caso.
I personaggi non mi appartengo e via dicendo.
Spero che continuiate a seguire questo viaggio fino alla fine.
Se la storia vi piace, lasciatemi un commento e sì, anche le parolacce vanno bene.
Non fosse altro che hanno appena annunciato il 4 film del reboot e io mi sto convincendo a scrivere un seguito.
Ditemelo se non serve. ;P
Grazie per il vostro tempo. Anche se vi sembra di sprecarlo, ogni minuto che passate a leggere questa storia per me è prezioso.
Mary.

 


Capitolo VI

Pericoli nello spazio

 

L’indomani la nave spaziale Enteprise era pronta alla partenza. Mancavano solo gli ultimi rifornimenti e le formalità per mollare gli ormeggi. Kirk raggiunse la plancia dopo aver fatto un buon sonno e una discreta colazione. Tra i tanti cibi liofilizzati a bordo, il caffè rimaneva vero e buono come sulla Terra.

“Capitano in plancia!” Esclamò Chekov.

“Buongiorno a tutti. Signor Sulu, come siamo messi con i preparativi?”

“Tutti in ordine, signore, pronti a partire. La sala motori ci informa che le camere al dilitio sono al massimo.”

“Perfetto. Tenente Uhura apra un canale generale.”

“Canale generale aperto.” Rispose subito la donna.

“Qui è il capitano Kirk. La nostra nuova missione è semplice. Dobbiamo scortare l’ambasciatore di  Vulcano fino alla sua nuova colonia. Partiremo tra venti minuti, non appena l’ambasciatore sarà a bordo. Nonostante si tratti di un incarico amministrativo, state pronti ad ogni eventualità. Tutti ai propri posti. Kirk, chiudo.” 

“Capitano, dov’é il comandante Spock?” Chiese Uhura avvicinandosi alla poltrona di comando.

“È sceso a ricevere l’ambasciatore.” Rispose dando uno sguardo al volto della donna. Aveva un’espressione contrariata. “Va tutto bene, tenente?”

“Non direi, signore, no. Ad ogni modo sono faccende private. Le discuterò con Spock appena potremo.” Jim la guardò negli occhi qualche istante poi annuì. L’interfono suonò e Uhura aprì il canale di comunicazione.

“Qui Spock, capitano l’ambasciatore è arrivato. Vuole scendere a dargli il benvenuto?”

“Arrivo.” Rispose Kirk. “Signor Sulu, a lei la plancia.” 

Jim si alzò e raggiunse l’ascensore. Quando le sue porte si aprirono sul ponte uno, Jim sorrise. Non si sarebbe mai abituato a vedere uno accanto all’altro i due Spock.

“Ambasciatore che piacere rivederla!” Disse allargando le braccia. Spock guardò l’ambasciatore e si stupì di vedere come questi ricambiasse l’abbraccio del suo capitano.

“È un piacere anche per me, soprattutto alla luce delle informazioni che ho avuto di recente. Dovrebbe tenere in maggior considerazione la sua vita, capitano.” Spock alzò gli occhi al cielo.

“Non ascolta nessuno su questo argomento.” Disse all’ambasciatore. L’anziano sorrise.

“È sempre stato così.”

“Non gli dia retta e poi c’è lui a coprirmi le spalle.”

“Mi fa piacere sentirlo. Quindi abbiamo fatto miglioramenti dall’ultima volta che ci siamo visti.” Spock sentì che quella conversazione lo avrebbe messo presto a disagio e così fu.

“Certo! Adesso abbiamo anche una specie di legame! Non so se sono contento che sappia sempre dove sono o che legga i miei pensieri. Devo ancora decidere!” 

“Capitano!” Esclamò Spock e l’ambasciatore rise.

“Certe cose non cambiano. Capitano è un piacere fare questo viaggio con voi.”

“È un piacere averla a bordo. Spero che cenerà con noi stasera.” L’ambasciatore annuì. “Spock, accompagna l’ambasciatore nelle sue stanze e salga sul ponte.”

“Capitano,” intervenne l’anziano, “chiedo il permesso di salire sul ponte con voi per qualche minuto.” Jim parve sorpreso poi, come avesse intuito qualcosa di importante, rispose.

“Ma certo. Venga.”

Quando le porte della plancia si aprirono, il vecchio Spock entrò sul ponte di comando lentamente, quasi con referenza. A Jim non sfuggì l’emozione che l’ambasciatore stava provando in quel momento. 

“Vuole sedersi?” Gli disse indicando la poltrona. Il vulcaniano scosse la testa. 

“Lo faccia lei, la prego, capitano.” Jim si accomodò.

“Allora, signor Sulu, facciamo vedere all’ambasciatore Spock come decolla l’Enterprise.”

“Motori pronti e ormeggi su, signore.”

“E il freno a mano?” Lo prese in giro Kirk strappando una risata anche all’ambasciatore.

“Tutto in ordine signore.”

“Allora ci porti fuori, signor Sulu.” La nave decollò senza intoppi. 

L’ambasciatore raggiunse Spock alla sua postazione e rimase a fissare Jim seduto alla poltrona di comando.

“Non si stanca mai di quella sedia.” Disse sottovoce. “Non lasciare che quella poltrona diventi tutto il suo mondo, Spock.” Il giovane vulcaniano guardò prima lui e poi il capitano.

“È già tutto il suo mondo.”

“Quello è un mondo di solitudine. Se hai un legame con lui, non lasciare che viva tutta la sua esistenza in quel mondo. Il mio Jim ne ha sofferto tanto e io non ho avuto il coraggio di fare molto.” Spock tornò a guardare il computer di bordo. L’ambasciatore tornò da Jim.

“Grazie per l’accoglienza, capitano. Raggiungo i miei alloggi adesso.”

“Vuole che l’accompagni?”

“So dove sono, grazie comunque. A più tardi.” Gli disse poggiandogli una mano sulla spalla. 

Jim sentì uno strano formicolio alla base del collo ed ebbe l’impressione di vedere se stesso mettere una mano su quella dell’ambasciatore che però era più giovane ed indossava l’uniforme blu del reparto scientifico. La sua mano destra si mosse sola e andò a coprire quella del vulcaniano cercando le sue dita. L’ambasciatore indugiò un istante, poi ritirò la mano.

“Mi perdoni, Jim.” Solo in quel momento Kirk si scosse e fece segno al vulcaniano che andava tutto bene. 

L’ambasciatore lasciò il ponte sotto lo sguardo sempre più confuso di Spock.

 

McCoy aveva il solito umore post decollo. Tendente al pessimo. Fece l’inventario con la Chapel un paio di volte e poi si decise a sedersi alla scrivania per mettere in ordine alcuni rapporti medici della missione precedente.

Come al solito sentiva un brutto presentimento. Inoltre sapere quello che sapevano solo lui, Spock, Scotty e Jim e cioè che si preparavano ad incontrare di nuovo Harrison, lo inquietava.

La porta dell’infermeria si aprì di colpo e Scotty comparve sull’uscio tenendosi una mano.

“Montgomery, siamo partiti da qualche ora. Che diavolo è successo?” Scotty entrò con lo sguardo di uno che ha assunto vari tipi di allucinogeni, tutti contemporaneamente.

“Ho avuto una folgorazione!” Disse mostrando la mano ustionata. Bones prese un anestetico e lo invitò a sedersi.

“Nel senso che hai infilato la mano in una delle bobine del motore?”

“Per distrazione.”

“A cosa diavolo pensavi?”

“Ricordi che il capitano mi ha ordinato di esaminare tutti quei progetti?”

“Già.” Bones storse le labbra.

“Erano troppi.”

“Così hai deciso di darti la scossa e bruciarti una mano?”

“No. Ho pensato. Ho cercato nel database qualunque cosa avesse a che fare con la parola ‘Jupiter’.”

“E hai trovato qualcosa?”

“Diavolo, sì! Altrimenti perché avrei infilato la mano per sbaglio nel redistributore di energia del motore a curvatura?”

“Vuoi sputare il rospo o devo versare dell’alcol sulla tua ferita?”

“JPT 0003.” Disse Scotty. Bones lasciò cadere l’alcol.

“Ahi!”

“Scusami. Quel figlio di puttana di Marcus! Noi credevamo che avesse chiamato la nave come la stazione orbitante su cui la stava costruendo, invece ha preso il nome dal progetto originario della Botany Bay!”

“Esatto! Jim impazzirà quando lo saprà!”

“Lo credo. Ora ti metto a posto la mano e poi lo avvisiamo.”

“Dammi retta, dottore, chiamalo ora. Quello che ho scoperto, vorrà sentirlo.” 

Bones non se lo fece ripetere due volte. Digitò il numero della plancia sul pad dell’interfono e la voce di Uhura rispose prontamente come al solito.

“Dottore, qui ponte di comando.”

“Tenente può chiedere al capitano di scendere in infermeria?”

“Sì dottore. Sarà subito da lei, Uhura chiudo.” 

Mentre aspettavano, Scotty si dondolò sulla sedia con le braccia incrociate mentre Leonard controllava alcuni esami. Non dovettero aspettare molto. Le porte dell’infermeria si aprirono lasciando entrare Kirk.

“Scotty, che ci fai qui? Sei ferito?” Chiese guardando la mano fasciata dell’ingegnere.

“Sì, cioè no, cioè sì ma non è niente.”

“Allora perché mi avete chiamato? Lo sapete che cosa sta succedendo e sapete che voglio controllare la rotta per Nuova Vulcano prima di entrare a velocità di curvatura.”

“Jim,” intervenne Bones, “ascoltalo.” Kirk si sedette di fronte a Scotty.

“Mi hai chiesto di controllare tutti i progetti che ho scaricato dal server di Marcus per scoprire cosa sa della Botany Bay. Beh, non mi andava di controllarli proprio tutti tutti, così ho cercato di affinare la ricerca.” Jim capì subito che il suo capo ingegnere aveva trovato qualcosa e cercò di fargli sputare subito il rospo.

“E?”

“Ho cercato nel database la parola Jupiter. Indovina cosa conteneva il progetto JPT 0003?” Chiese sorridendo sornione. Jim scattò in piedi.

“Il progetto della Botany Bay! La nave non si chiama come Giove ma come il progetto originale!”

“Esatto!” Esultò Scotty. “Ed è pieno di informazioni.”

“Parla Scotty! Non farti pregare!” Lo implorò Jim. Scotty rise e sparò la bomba.

“La Botany Bay non è mai stata distrutta, il suo equipaggio non è stato soppresso. L’uomo cui era stato affidato il comando della missione, il capitano della Botany Bay rubò la nave e caricò l’equipaggio. Il decollo forzato fece saltare in aria l’intera base in cui era stato sviluppato il progetto. La nave fu dichiarata dispersa nello spazio con tutto l’equipaggio.”

“Dispersa?” Scotty annuì.

“Sì, fino a un anno fa. L’ammiraglio Marcus l’ha ritrovata per caso e l’ha portata nella base orbitante intorno a Giove. È stata smantellata lì.”

“Smantellata. E l’equipaggio?” Bones alzò gli occhi al cielo.

“Sono passati duecento anni, Jim. L’equipaggio doveva essere morto da un pezzo.” Scotty fece un verso strano.

“L’ammiraglio non ne parla. Però i campioni vengono dalla Botany Bay.”

“Deve esserci qualcos’altro.” Disse in modo fermo Jim.

“Perché pensi questo?” Chiese Leonard.

“Perché Harrison è collegato in qualche modo alla nave. E lui ha detto di aver perso il suo equipaggio. Ha fatto il giro del mondo per trovare questi dati e si aspetta di trovarci qualcosa di importante.”

“In realtà è fissato con il sistema di armamento della dannata nave.” Intervenne Scotty. “Ho controllato gli accessi al database degli ultimi mesi. A parte quelli di Marcus e i miei, c’è un altro ID che ha avuto accesso ai file e ha consultato sempre quelli sugli armamenti della nave. Qualunque cosa stia cercando Harrison, non è legato all’equipaggio ma ai missili di ultima generazione della Jupiter.” Kirk non sembrava convinto. Bones gli poggiò una mano sulla spalla.

“Se orecchie a punta fosse qui adesso, ti direbbe di usare la logica.” Kirk sorrise.

“Bel problema. Io uso l’istinto di solito.” Bones non fece in tempo a replicare. L’interfono suonò. La voce di Spock risuonò limpida nella stanza.

“Dottore, qui comandante Spock. Riferisca al capitano che necessitiamo della sua presenza in plancia. Abbiamo ricevuto una richiesta di soccorso. Proviene da un veicolo mercantile cardassiano.” 

“Arrivo subito, comandante. Aprite un canale di comunicazione con la nave. Kirk, chiudo.” Quando sentì che la comunicazione con la plancia non c’era più, continuò. “Scotty, ottimo lavoro. Approfondisci più che puoi quello che hai scoperto. Credo che queste informazioni ci serviranno presto.” Fece per guadagnare l’uscita quando Bones lo fermò.

“Ti sembra prudente accettare una richiesta di soccorso mentre ospitiamo l’ambasciatore Spock a bordo?” Jim si voltò.

“Prudente? No. Ma se la richiesta viene dalla persona a cui sto pensando, sarà necessario.” Uscì di corsa.

 

“Qui è il comandante Spock della nave spaziale Enterprise battente bandiera della confederazione stellare. Identificatevi, abbassate gli scudi e comunicateci per quale motivo chiedete aiuto.” Spock stava ripetendo per la terza volta il messaggio quando Kirk raggiunse il ponte di comando. 

“Risponde?” Chiese. Spock scosse il capo. “Tenente Uhura, ci riceve? Può sentire le nostre richieste?” 

“Sì, capitano. I sistemi ci dicono che ha gli scudi abbassati ma non risponde alla nostra richiesta di identificazione. È ferma a portata di raggio traente.” 

“Riapra il canale.” La donna eseguì l’ordine. “Qui è il capitano Kirk della nave spaziale Enterprise. Identificatevi se volete aiuto.” Per un momento non accadde nulla poi Uhura fece segno che stava  per aprire il canale di ricezione.

“Capitano Kirk, è bello sentirla! Devo identificarmi? Seriamente?” Jim si sedette sulla poltrona.

“Signor Harrison! Non credevo che avrebbe avuto la faccia tosta di rivolgermi di nuovo la parola dopo aver tentato di uccidermi.” Dall’altro lato si sentì una risata sommessa.

“Non ci ho mai provato davvero, capitano. E lei lo sa.”

“Immagino che anche questa sua richiesta sia uno stratagemma per raggiungervi suoi scopi.”

“Non esattamente. È certamente vero che voglio salire a bordo dell’Enterprise ma è altrettanto vero che necessito di aiuto. Mi trovo a bordo di una nave merci cardassiana. Non ha né carburante, né ossigeno sufficiente per riportarmi su qualsiasi pianeta di classe M nelle vicinanze. Ciò significa che se lei, capitano,  non mi soccorrerà, io morirò.” Spock fece cenno ad Uhura di chiudere il canale. 

“Capitano, le devo ricordare io che quell’uomo è un bugiardo e un individuo senza scrupoli che non ha esitato ad armare una bomba al dilitio solo per garantirsi la fuga?” 

“No, Spock, non devi ricordarmelo. Ma è il nostro piano e sta andando alla perfezione. Harrison ci ha seguiti e si offre spontaneamente di salire a bordo. Lo prenderemo in consegna e finalmente sapremo tutto quello di cui abbiamo bisogno.”

“La logica impone che se se si offre spontaneamente di salire a bordo, è probabile che sia il suo piano farsi prendere in custodia. Non sono incline a favorire i suoi piani in alcun modo, anche quando coincidono con i nostri.” Jim chiuse gli occhi un momento e Spock sentì che aveva già deciso.

“Non posso tirarmi indietro proprio ora. È come una partita a scacchi. A volte bisogna cedere qualche pezzo per garantirsi la vittoria.” Spock fece cenno ad Uhura di riaprire il canale. Kirk parlò con fermezza.

“Io sono un capitano della federazione stellare. Non è mia abitudine abbandonare chicchessia alla morte. La porteremo a bordo. Ricordi bene una cosa, Harrison, la mia nave è la mia casa. Se qualcuno mi minaccia è un conto, ma se qualcuno mi minaccia in casa mia è tutto un altro paio di maniche.”

“Se avessi voluto attaccarvi, non mi sarei presentato con una nave merci, non crede?”

“Poche storie, Harrison. Un passo falso e la lancio su Delta Vega a bordo di una capsula di salvataggio. Lo farò fare al mio comandante. Ci tiene particolarmente ed ha esperienza.” Lo disse facendo l’occhiolino a Spock che allungò appena le labbra in una smorfia che sembrava un sorriso di soddisfazione.

“Ricevuto.”

Ci vollero solo pochi minuti perché la nave merci fosse portata in uno degli hangar più grandi dell’Enterprise. Harrison scese dalla navetta con entrambe le mani alzate sotto il tiro dei phaser degli uomini dell’equipaggio di Kirk. Camminò fino al capitano e si fermò davanti a lui.

“Eri così sicuro che non ti avrei lasciato morire là fuori.” L’uomo annuì.

“Io l’ho lasciata vivere sulla Jupiter.”

“Poi hai tentato di uccidermi in Iowa.”

“Solo una precauzione.”

“Perché sei qui?”

“Se mi ha lasciato salire a bordo saprà già che la Jupiter non è più attraccata alla stazione orbitante.” Kirk annuì.

“Marcus la starebbe portando a Nuova Vulcano per sabotare l’inaugurazione della colonia?”

“Non proprio. Possiamo parlarne in privato?”

“Questo non è un problema. Lei non si offenderà se anche io prendo le mie precauzioni.” Due uomini ammanettarono Harrison e lo scortarono fino ad una cella di massima sicurezza. McCoy, avvertito del loro arrivo, l’aveva preparata apposta. Una volta dentro, rimasero solo in tre con Harrison. Spock lo guardava come a voler capire quello che gli sfuggiva. McCoy, invece, col solito cipiglio arrabbiato. Jim ruppe ogni indugio.

“Allora, adesso devi dire quello che sai. E che possibilmente sia la verità.”

“Non ho mentito all’ammiraglio Pike. Marcus sta portando la Jupiter verso Nuova Vulcano.”

“Come fa ad esserne certo?” Chiese subito Spock.

“Scenario quarantadue.” Jim corrugò la fronte ma fu McCoy a parlare.

“Gli esperimenti di cui parlava Scotty, strategia militare.” Harrison annuì.

“Abbiamo elaborato diversi approcci militari e lo scenario quarantadue prevede l’attacco ad una colonia socialmente rilevante che provochi una reazione emotiva sufficiente.”

“Sufficiente per cosa?” Sbottò Bones.

“Per scatenare una guerra.” I tre uomini si guardarono tra loro. Jim parlò con voce ferma.

“Perché l’ammiraglio Marcus dovrebbe voler scatenare una guerra? Stai mentendo.”

“Se non crede a me, crederà ai morti.” Disse Harrison. “Marcus starà già preparando l’attacco.”

“La verità è che ripeti sempre la stessa storia!” Urlò Jim. “I motivi, quelli veri, quelli che ti hanno portato fino a qui, non c’è li hai ancora rivelati. Prima lavori per Marcus e poi lo accusi?” L’espressione di Harrison mutò in pura rabbia.

“Non ho mai lavorato per Marcus. Lui mi ha portato via l’unica cosa a cui tenessi. Ho fatto solo quello che era necessario per riaverla indietro. Mi ha tradito. Dopo avermi dato una nuova identità e avermi usato per i suoi scopi, mi ha confessato che non me l’avrebbe restituita mai più. Così ho deciso di lavorare alle sue spalle. Non solo per riprendermi ciò che è mio ma per vendicarmi.”

“Solo parole. Non adduci alcuna prova a testimonianza di quanto dici.” Lo interruppe Spock con la solita calma. Jim ne approfittò.

“Il tuo equipaggio. Questo ti ha tolto Marcus.” La rabbia di Harrison svanì lasciando il posto ad un’espressione di dolore.

“Mi aveva promesso che me li avrebbe restituiti tutti e settantadue, sani e salvi. Invece ha progettato di ucciderli. Non avevo altra scelta se non provare a farli fuggire di nuovo.”

“Di nuovo?” Chiese Spock cogliendo esattamente il punto a cui conducevano le parole apparentemente insensate di Harrison. “Qual è il suo vero nome?”

Lo sguardo dell’uomo si assottigliò in un’espressione crudele. Spock avvertì come un presagio. Una volta suo padre gli aveva parlato di membri anziani della loro comunità che avevano il dono di vedere eventi non ancora accaduti. Lui non aveva mai sperimentato niente di simile. Eppure, mentre guardava l’espressione sul viso di Harrison, Spock sentì una terribile sensazione di urgenza. 

“Il mio nome è Khan. Khan Noonien Singh.” Lo disse con un tono di voce tagliente quanto lo sguardo. Per un attimo nella stanza cadde il silenzio poi Bones batté il palmo di una mano sul tavolo.

“Vorresti farci credere che hai più di duecento anni, signor Khan?” La voce del dottore era carica di sarcasmo ma Harrison non accettò alcuna provocazione.

“Lei è un medico. Non dovrebbe essere difficile per lei immaginare come un uomo nato più di duecento anni fa sia potuto sopravvivere e rimanere giovane e in forze fino ad oggi.” Bones fu come folgorato da quelle parole.

“Ibernazione criogenica!” Harrison sorrise ma Spock non poté evitare di notare che anche quel sorriso aveva qualcosa di cattivo.

“Esatto. E’ stato Marcus a risvegliarmi.” 

Jim, che aveva ascoltato tutto in silenzio, si alzò e si sedette proprio di fronte a lui. Aveva la sua classica espressione sicura di sé.

“Ha risvegliato te e ha preso il tuo equipaggio.” Se possibile, la sua espressione si fece ancora più cattiva.

“Mi aveva promesso che se lo avessi aiutato con la Jupiter, me lo avrebbe restituito. Non l’ha fatto. Così ho preso l’iniziativa. Mentre lavoravo al settaggio della navicella, ho preso tutte le capsule criogeniche e le ho nascoste. Non volevo lasciargliele a nessun costo.”

“Quindi tutto quello che stai cercando è l’equipaggio.” Harrison si mosse molto più velocemente di quanto Spock potesse immaginare. Si gettò in avanti e batté entrambi i pugni ammanettati sul tavolo. Jim, però, non si fece intimidire e non si mosse. “E’ sulla Jupiter, altrimenti non rischieresti tanto per tornarci. Quello che non capisco è perché non l’hai recuperato quando potevi mentre eri nella stazione orbitante di Giove.”

“Crede che sia semplice far sparire settantadue capsule criogeniche operative?” Fu Scotty a saltare dalla sedia in quel momento.

“I missili!” Tutti si voltarono a guardare l’ingegnere. “Il nuovo modello di missile a bordo della Jupiter. Ce ne sono settantadue a bordo di quel modello.” Harrison sorrise.

“Esatto. Non ho trovato niente di meglio che nascondere le capsule criogeniche nei missili. Brutale ma efficace.” Spock si sedette accanto al suo capitano.

“Non abbastanza per metterli al sicuro. Se Marcus decidesse di usarli, che ne sarebbe di loro?” Harrison si rabbuiò.

“Per questo sono qui. Marcus vuole la guerra. Voi intendete fermarlo? In questa singola circostanza potremmo essere alleati. Dopodiché, ognuno per la sua strada. Io con il mio equipaggio e voi con il vostro ammiraglio.” Jim stava per controbattere quando la voce di Spock nella sua testa lo fermò.

Non sappiamo niente di questo equipaggio. Se le conclusioni del dottor McCoy sui test sono corrette, ci troviamo di fronte ad un uomo con caratteristiche fisiche e mentali speciali. Che accadrebbe se invece di uno, ce ne fossero settantatré?’ Jim elaborò una risposta nella sua mente sperando che Spock la sentisse.

Non possiamo comunque permetterci il lusso di rischiare che abbia ragione su Marcus. Questo non significa che dobbiamo fidarci di lui.’ Jim ebbe la sensazione che Spock lo avesse percepito e tornò a guardare Harrison.

“Credo che potremmo. Ad una condizione.”

“Dica.”

“Il capitano sono io. Si fa a modo mio. Questo significa che non ci saranno vittime inutili.” Harrison sorrise.

“Mi può andare bene.” Anche Jim sorrise.

“Non si aspetterà che le tolga le manette prima di arrivare sulla Jupiter!”

“Assolutamente no.” 

Bones lo fece alzare e lo accompagnò oltre la barriera della cella. Quando furono certi che l’uomo non poteva più sentirli, il dottore si rivolse a Jim.

“Ti sembra davvero una buona idea scendere a patti con lui?”

“Non sto scendendo a patti con lui. Glielo sto facendo credere.”

“E lo tradirai?” Gli chiese il dottore guardandolo dritto negli occhi. Jim scosse la testa.

“Salverò il suo equipaggio.” Scotty allargò le braccia.

“Tu non hai letto i rapporti del file JPT 0003. Quell’uomo è considerato un criminale internazionale.   Il suo equipaggio è composto da criminali.” Spock mise una mano sulla spalla dell’ingegnere.

“Non qui. Sono quasi certo che legga le labbra.”

“Andiamo allora,” disse Kirk, “abbiamo un piano da rispettare. Nuova Vulcano diventa sempre più vicina.” Lasciarono la stanza e Jhon Harrison si concesse di lasciarsi cadere sulla sua branda.

 

Spock aveva accompagnato Kirk ai suoi alloggi e aveva insistito perché due ufficiali rimanessero a guardia della sua porta. Jim aveva protestato ma non se l’era sentita di contraddire il primo ufficiale che sembrava veramente preoccupato dal fatto che, seppure sotto sorveglianza, a bordo si trovava anche Jhon Harrison.

“Dirai tu all’ambasciatore Spock che non potremo cenare insieme stasera?” Chiese Jim entrando nei suoi alloggi realmente dispiaciuto.

“Lo farò. E’ meglio anche per lui restare nella sua cabina.”

“Potresti fargli compagnia tu.”

“Io?” Esitò appena Spock. “Non lo ritengo opportuno. Meno tempo passiamo assieme e minore è il rischio di rivelarci cose che potrebbero influenzare il nostro futuro.” Jim sorrise con dolcezza.

“E sarebbe un male?”

“Altererebbe comunque il normale corso degli eventi.” Kirk si portò una mano alla tempia.

“Fermiamo questa conversazione sul nascere. So già che mi verrebbe mal di testa!” Spock fece un cenno col capo.

“Buonanotte, capitano.”

“Buonanotte, Spock.” 

La porta della cabina si chiuse. Il primo ufficiale si diresse verso le stanze dell’ambasciatore. Mentre stava per bussare, tentennò. Le parole di Jim gli tornarono alla mente insieme a quella sensazione di urgenza che lo aveva colto nel momento in cui aveva appreso le reali intenzioni di Harrison. Suonò e attese che l’altro se stesso aprisse la porta.

“Spock, buonasera!”

“Ambasciatore. Posso entrare?”

“Prego.” Spock fece qualche passo in avanti, quelli necessari affinché la porta si chiudesse alle sue spalle.

“Sono qui per comunicarle che stasera il capitano non potrà cenare in sua compagnia, ambasciatore.” A quelle parole, l’anziano Spock si rabbuiò.

“E’ successo qualcosa a Jim?” Il giovane Spock scosse la testa in segno di diniego. 

“No. Si tratta di precauzioni. Ma devo davvero spiegarlo?” Chiese con quel tono di voce per cui suo padre lo biasimava. Quel tono saccente che faceva sentire tutte le persone intorno a lui appena sotto al suo livello.

“Ho detto o fatto qualcosa che ti ha seccato, Spock?”

“Assolutamente no. Mi riferivo al fatto che il rapporto tra lei e il capitano va ben oltre il rispetto di quest’ultimo per lei e la stima che so lei gli porta.” L’ambasciatore sospirò, sorrise e si sedette lentamente sul letto.

“Comprendo il tuo disappunto.”

“Nessun disappunto.”

“Invece sei contrariato e ne hai tutte le ragioni. Sono andato oltre i limiti a me concessi. L’ho fatto consapevolmente e di questo mi dispiace. Hai tutte le ragioni per sentirti violato nei tuoi spazi.” Il giovane comandante non disse niente ma si sedette di fronte all’ambasciatore. Questi si sentì autorizzato a proseguire. “Tuttavia non hai nulla da temere da questo rapporto che c’è tra me e il tuo capitano. Nonostante la mia età mi abbia reso fragile emotivamente e la sua gioventù accenda in modo terribile il suo fascino, sono ancora perfettamente in grado di capire che lui non è il ‘mio’ Jim.” Spock lo guardò con aria interrogativa.

“Lei è attratto dal capitano?” L’ambasciatore rise con gusto.

“Tu no? E’ bello, brillante, coraggioso. Solo il mio affetto e i miei ricordi del Jim che ha vissuto nel mio tempo mi impediscono di sentirmi attratto da lui come un satellite dalla sua stella.” Spock si guardò le mani.

“E’ attraente, è vero, ma in quanto al coraggio direi che è sconsiderato. Non ha rispetto per la sua vita.”

“Questo non è vero. E’ audace e cova un gran senso del dovere.” Stavolta fu Spock a sorridere maliziosamente.

“Non ha il minimo senso del dovere.”

“E’ ancora troppo giovane per applicarsi e tu troppo giovane per riconoscere i suoi sforzi.”

“Può darsi.”

“Ad ogni modo, mi sforzerò di non lasciare trasparire oltre i miei sentimenti.” Spock si alzò ritenendo chiusa quella conversazione ma, quando raggiunse la porta non l’apri e si voltò di nuovo verso l’ambasciatore.

“Signore, so che abbiamo detto più volte che non ha senso parlare di quello che accaduto nella sua linea temporale perché il futuro è comunque cambiato ma posso lo stesso farle una domanda?” Spock annuì. “Durante i vostri viaggi a bordo dell’Enterprise avete mai incontrato un uomo di nome Jhon Harrison?”

L’ambasciatore chiuse gli occhi e unì le mani davanti a sé. Quando, dopo pochi istanti, riaprì gli occhi e guardò il se stesso più giovane, scosse il capo.

“No, non ho mai conosciuto un uomo con quel nome.” Spock fece un cenno del capo per ringraziare e lasciò la stanza.

 

L’indomani Kirk si alzò di buon ora carico di energie. Raggiunse la plancia per il primo turno e bevve un caffè seduto sulla sua sedia. Sul ponte di comando, per quel turno, c’erano solo il tenente Uhura e il guardiamarina Checov.

Mentre sorseggiava il caffè bollente, Kirk guardò di sottecchi Nyota. Si ricordava che la donna gli aveva confessato di essere arrabbiata ma anche che riteneva il motivo di quel suo umore affari personali. S’immaginava che, in qualche modo, riguardassero Spock ma non aveva idea del perché. Trattandosi di Nyota, non era prudente chiedere. Trattandosi di lui, non era capace di trattenersi.

“Non ho mai avuto modo di dirvi personalmente quanto ho apprezzato il lavoro di squadra che avete fatto su Nibiru.” Disse rivolgendosi ad entrambi ma guardando il suo pad.

“Siamo stati fortunati, capitano!” Fece Checov dalla sua postazione.

“Non è vero, siete stati coraggiosi a rimanere nella vostra postazione nonostante la situazione non fosse delle migliori là fuori.” Fu allora che sentì arrivare la voce di Uhura alle sue spalle.

“C’era Spock nel vulcano, signore. Mi chiedo come avremmo potuto fare diversamente.” Jim voltò la poltrona verso di lei e la trovò rigida e col viso severo a fissarlo.

“E’ il motivo per cui mi sto complimentando. Non avete lasciato un compagno in difficoltà.”

“Non un compagno. Il comandante Spock. Che stava seguendo degli ordini, signore. Ordini impartiti da lei.” Uhura era arrabbiata perché lui aveva messo in pericolo la vita di Spock. La cosa era logica persino per lui che non l’adoperava solitamente.

“Non ho ordinato a Spock di gettarsi nel vulcano.” Jim cominciava ad innervosirsi.

“Non ce n’era alcun bisogno! E’ bastato dirgli che l’avrebbe fatto e si è convinto che toccava a lui.”

“Non ho mai detto a Spock che mi sarei buttato nel vulcano! Non sono cose che si possono premeditare.” La donna scattò in piedi.

“No, non di certo! S’improvvisano! Lui ha voluto fare quello che avresti fatto tu! Ma lui non è come te!” Nyota fece un passo in avanti abbandonando ogni formalità.

“No, per tua fortuna non siamo uguali. Se lo fossimo ora ti accuserei insubordinazione. Invece ti ricordo che ci sono andato a riprenderlo nel vulcano e nessuno si è fatto male.”

“Per questa volta!” Esplose lei. 

“Ah!” Esclamò Jim “Questo è troppo! Il nostro lavoro presenta dei rischi ma non farei mai nulla che possa mettere l’equipaggio in pericolo. Soprattutto Spock! Mi sono preso tutte le responsabilità di quella missione perché le vostre decisioni, sono le mie decisioni. E tu lo sai. Sai quello che ho fatto. Eri qui mentre diventavo il capitano dell’Enterprise.” Stavolta l’espressione di Kirk era seria e lasciava trasparire il nervosismo dell’uomo.

Nyota non fece in tempo a replicare. Le porte della plancia si aprirono e Spock comparve sulla soglia.

“Che succede qui?” Nyota tentennò ma Jim sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori.

“Confronto di opinioni sulla missione Nibiru.” Spock piegò appena la testa di lato. 

“La missione è archiviata.” Tagliò corto Spock.

“Questo è tutto quello che hai da dire?” Chiese la donna rivolgendosi direttamente a lui. Spock si sedette alla sua postazione.

“Non c’è altro da dire su una missione conclusa e con successo.”

“In cui siamo quasi morti.” Gli occhi di Spock saettarono prima su di lei poi su Checov. Il guardiamarina tossì. Jim lo tolse da ogni imbarazzo.

“Avanti, Checov, non temere. Se vuoi dire la tua, fallo.”

“Era una missione per salvare popolo di Nibiru. Comandante è stato molto coraggioso. Lavoro di squadra. Come ha detto capitano.” Jim tornò a guardare Nyota.

“Visto?”

“Con tutto il rispetto, capitano,” fece lei mettendo le mani sui fianchi e arrivando a tu per tu con lui, “Checov non ha dovuto decidere fra la vita degli abitanti di Nibiru e quella del suo ragazzo!” Jim fece un passo indietro. Spock si alzò e fronteggiò la donna.

“Nyota! Queste non sono cose che riguardano il capitano! In effetti riguardano solo noi.”

“Peccato che non riusciamo mai a parlare, io e te da soli.”

“Anche questo non è affare del capitano.”

“Il capitano,” intervenne Jim “vi autorizza ad andare a discuterne in privato da qualche parte.”

“Capitano,” fece Spock “dobbiamo formulare gli adempimenti per il nostro arrivo a Nuovo Vulcano.” Jim si avvicinò a Spock e gli parlò sottovoce.

“E’ davvero arrabbiata. E credo anche che sia molto preoccupata per te. Dovresti parlarle. Io devo controllare il diario di bordo e fare gli adempimenti del turno alfa. Finirai prima di me.”

Spock non rispose. Si limitò a voltarsi e a portare Nyota fuori dalla plancia. Jim si lasciò andare sulla poltrona ed emise un lungo sospiro.

“Fidati Pavel, meglio affrontare un vulcano in eruzione che il tenente Uhura arrabbiata in quel modo.”

 

Erano chiusi nel turboascensore già da due minuti ma nessuno dei due parlava.

Spock decise che toccava a lui fare la prima mossa. Poteva percepire i sentimenti della donna. Era profondamente e sinceramente preoccupata per lui.

“Nyota, vuoi ascoltarmi adesso?” La donna sollevò lo sguardo e incrociò i suoi occhi.

“Parla.”

“Il modo in cui hai affrontato il capitano è sbagliato. Non ha fatto nulla perché tu scaricassi addosso a lui i sentimenti negativi che provi per me.”

“Tu lo difendi sempre. Quando è successo? Odiavi quell’uomo. Lo ritenevi un buffone irresponsabile.” Spock abbassò gli occhi sulle sue mani unite davanti a se. Uhura aveva ragione.

“Ha avuto ragione su Nero dal primo momento in cui ha analizzato la tempesta di fulmini. E’ vero, spesso si comporta in modo sconsiderato ma fa sempre la cosa giusta, anche quando non è la più logica. E’ una creatura strana ma affascinante.”

“Lo hai definito affascinante?” Ora la voce di Nyota si era alzata di due toni. “Non mi hai mai neppure lontanamente definita in un modo simile.”

“Nyota tu sei bellissima.”

“Ma a quanto pare non affascinante.” Ribatté la donna incrociando le braccia sul petto.

“La questione non riguarda Jim ma noi due.” Nyota accusò il colpo.

“Infatti. Non esiste più un noi due da molto tempo a questa parte.”

“La colpa di ciò è solo mia.”

“Non è vero! Lui prende tutto il tuo tempo. Sembra che non riesca mai a fare a meno di te e tu non ti sottrai. Mai!”

“Dopo la distruzione del mio pianeta e la morte di mia madre, l’unico pensiero logico che riuscivo a formulare era concentrarmi sul mio lavoro. Mi dispiace che il mio modo di affrontare il dolore, ti abbia turbata così tanto, Nyota. Ti assicuro che la stima e l’affetto che provo per te sono tuttora immutati.”

“Stima e affetto? Credevo che fossimo innamorati!” Ora lo sguardo della donna era come preda di un forte smarrimento.

“Ti ho spiegato più volte che i vulcaniani non provano sentimenti come voi umani. Le definizioni sono illogiche quando si parla di emozioni.”

“E allora dimmi, Spock, è illogico pensare che i tuoi sentimenti per Jim siano più forti di quelli che nutri per me?”

“Nyota, tu stai travisando il rapporto che c’è tra me e il capitano.”

“Ma davvero? Devo ricordarti quanto eri sconvolto quando siete tornati da Nibiru?”

“Senso di colpa.”

“E sulla Terra?”

“Obbedivo agli ordini.”

“Credevo che i vulcaniani non fossero capaci di mentire.” Disse lei in modo tagliente. Spock sospirò.

“Scambi ancora una volta la mia riservatezza per noncuranza. Non intendo negare in alcun modo che sia nato un legame fra me e Jim. Questo legame non sostituisce né esclude quello che c’è tra noi.” La donna fece un passo indietro allargando le braccia.

“Va bene Spock. Come vuoi tu. In fondo le definizioni sono illogiche, giusto?” Nyota riavviò l’ascensore e i due fecero ritorno sul ponte di comando.

Quando le porte si aprirono, Sulu sedeva sulla poltrona mentre Checov armeggiava ancora con i dati della rotta per Nuova Vulcano.

“Dov’è il capitano?” Chiese Spock.

“Ha lasciato il ponte qualche minuto fa, comandante.” Spock chiuse gli occhi e individuò Jim quattro ponti più sotto nella stanza di McCoy. Aveva detto a Uhura che un legame non ne escludeva un altro. Lo aveva fatto nella speranza che le parole di Jim sulla Terra fossero vere e che quello che univa il capitano al dottore non diventasse mai più importante di quello che lo legava a lui.

 

“Dimmi che ti avanza ancora qualcosa di forte!” Aveva esclamato entrando nella stanza in cui Bones faceva i suoi controlli sui campioni presi da Jhon Harrison. McCoy aveva sorriso sornione e aveva tirato fuori una bottiglia di scotch da un cassetto.

“Che ti è capitato?”

“C’è l’uragano Uhura sul ponte!” Bones riempì due bicchieri e ne porse uno a Kirk.

“Prima o poi doveva accadere.”

“Davvero?”

“Tu e orecchie a punta pensavate di fare i vostri comodi mentre lei rimaneva buona buona a guardare?”

“Non capisco di che parli.”

“Del legame.”

“Ah quello!”

“Ah quello? Ti ho spiegato che il legame è una specie di matrimonio. O no? Credevi che Nyota ti avrebbe lasciato il suo ragazzo senza combattere? Quella donna discende da una stirpe di guerrieri, lo sai?”

“Quando sono entrato in una competizione per la mano di Spock?” Esclamò Kirk ridendo e bevendo tutto d’un fiato il suo bicchiere.

“Come se non lo sapessi.” Disse Bones finendo anche il suo bicchiere.

“Ti sei fatto un’idea sbagliata Leonard.”

“E’ quello che ripeterete ad Uhura?”

“Io ad Uhura, non devo dire proprio niente. Quelli sono problemi di Spock!” Disse sorridendo e facendo segno a Bones di riempirgli di nuovo il bicchiere.

“Bell’amico!” Fece lui eseguendo.

“A proposito di amici. Come sta l’ultimo arrivato?” Chiese Kirk indicando la parete bianca alla sua destra. Bones toccò il suo pad e la parete si fece trasparente.

John Harrison apparve dall’altro lato del vetro seduto sul suo letto. Lui non poteva vederli né sentirli.

“Non ha detto una sola parola per tutto il tempo in cui è rimasto chiuso lì dentro. Ha mostrato interesse per il pad ma è scollegato dalla rete e quindi non ha potuto leggere nulla.”

“Hai prelevato dei campioni. Non ha parlato neppure con te?”

“Non ha risposto a nessuna delle mie domande. Ne ha fatta una su di te.”

“Cosa voleva sapere?”

“Se hai una famiglia.”

“E tu che gli hai detto?”

“Che siamo noi la tua famiglia.” Kirk sorrise.

“Ci posso parlare io, ora?”

“E’ tutto tuo.” Disse attivando audio e video della camera in cui era il prigioniero. Questi sorrise vedendo Jim.

“Buongiorno, capitano.”

“Buongiorno, Harrison. Vogliamo discutere le cose importanti stamane?”

“Sono a sua completa disposizione.”

“Bene.” disse Jim alzandosi e raggiungendo l’uomo. Solo la sottile parete di vetro li separava ora. “Tra poche ore saremo nell’atmosfera di Nuova Vulcano. Della Jupiter non c’è traccia. E’ sempre dell’idea che arriverà?” 

“Arriverà.”

“Vedremo. In quel caso cosa suggerisce l’uomo che ha contribuito a costruirla per metterla fuori servizio?”

“Prima devo recuperare le capsule criogeniche.” Jim allungò le labbra in una smorfia.

“Un abbordaggio. Interessante.”

“Non è obbligato a venire con me. Può controllare i miei movimenti con un localizzatore. Salire a bordo non sarà facile.”

“E lasciarle tutto il divertimento? Non si dimentichi che ci sono già stato una volta e, io, ci sono entrato di nascosto.”

“Ha usato il teletrasporto. Questa volta non sarà possibile. Marcus può scatenare una guerra senza sparare un solo missile. Sarà sufficiente apparire nell’atmosfera di Nuova Vulcano senza bandiera né autorizzazione.”

“Sarà sufficiente schermare i campi radio della colonia. Persino l’Enterprise dispone di una tecnologia simile. Dirotteremo la Jupiter prima che chiunque si accorga che è nello spazio aereo della federazione per muovere guerra.”

“Lei è ottimista.”

“Credo nei miei mezzi.”

“Sarà così ottimista anche quando le dirò come abbordare la nave di Marcus?”

“Me lo dica e lo scopriremo.”

“C’è un portello nell’hangar esplosivi. L’ho manomesso. Inviando un codice alla telemetria della nave metterà il portello in stand by. Questo lo farà aprire e chiudere ad intervalli di centoventicinque secondi.”

“Fantastico! Non ha pensato che se isoliamo i segnali, non potrà trasmettere il suo codice?”

“Posso farlo. Posso trasmetterlo da qualunque pad della federazione. Basta usare i codici di Marcus. Piuttosto mi ero settato sui due minuti perché contavo di essere già a bordo della nave. In effetti diventa complicato partendo da qui.”

“Pensava di essere sulla Jupiter? Perché ha cambiato i suoi piani?”

“Davvero me lo chiede, capitano? La colpa è sua. I suoi uomini hanno craccato i file di Marcus e l’ammiraglio si è convinto che solo io avessi fegato e mezzi per farlo. Ha cancellato il mio file dai server della federazione. John Harrison non esiste più.”

“A questo posso rimediare. Quando cattureremo Marcus, riabiliteremo anche il suo nome. Dovrà scontare comunque la pena per i suoi crimini tra cui, glielo premetto, c’è il rapimento di mia madre.”

“Una donna di grande temperamento. Non il suo. Ho preso informazioni. Lei ha il carattere di suo padre. Un vero peccato che sia morto prematuramente.”

“Ho ucciso l’uomo che ha causato la morte di mio padre. Cosa pensa farei a quello che ha minacciato mia madre?”

“Non nutro nessuna volontà di fare del male a sua madre. Io rivoglio solo il mio equipaggio. Voglio salvare le settantadue anime che la federazione stellare ha deciso di consegnare all’oblio.”

“Le prometto che salverò il suo equipaggio.”

“Non faccia promesse che non può mantenere. Allo stato dei fatti lei non può garantire la vita neppure del suo equipaggio. Come pensa di portare l’Enterprise così vicino alla Jupiter da centrare il tempo di apertura del portello senza che Marcus scarichi addosso alla nave tutta la sua potenza di fuoco?”

“Ha mai assaltato una nave da trivellazione romulana, Harrison?” Il capitano della Botany Bay piegò appena la testa di lato in modo interrogativo. “Lo immaginavo. E’ più facile farlo che spiegarlo. Avremo bisogno di un buon equipaggiamento e di una discreta dose di fortuna.”

“Io questo non lo spiego ad orecchie a punta!” Esclamò Bones alle loro spalle. Jim si voltò e gli fece l’occhiolino. 

“Questo spetta a me. Fallo scendere al ponte motori, fa venire due ufficiali a sorvegliare il nostro ospite e vieni anche tu. A dopo, signor Harrison.” Concluse lasciando la stanza.

 

Spock non chiese neppure il perché di quella convocazione in sala motori. Lasciò il ponte di comando sotto lo sguardo carico di disappunto di Nyota e raggiunse il turboascensore. 

Nei pressi della postazione di Scotty c’era sempre un grande via vai. Un sacco di ingegneri si contendevano il posto più vicino al loro capo. Nonostante Montgomery Scott fosse stato spedito su Delta Vega per insubordinazione, la sua scoperta del teletrasporto a curvatura lo aveva reso un mito vivente.

“Signor Scott.”

“Oh! Comandante! Già qui?”

“Che vuol dire? Se mi chiama, il minimo che ci si aspetti dal primo ufficiale della nave è che arrivi il più velocemente possibile.”

“Per carità! venga con me. Voi,” disse rivolgendosi ai suoi collaboratori, “tornate ai vostri posti. Aria!”

Spock seguì Scotty fino ad una camera in cui erano stivati degli esplosivi. Nella stanza c’erano Kirk infilato in una delle tutte da combattimento ravvicinato e Bones che bestemmiava al più piccolo movimento del primo.

“Morto.” Gli sentì dire. Vide Jim fare qualche passo indietro e simulare un altro salto.

“Morto.” Ripeté di nuovo il dottore. Di nuovo il capitano fece dei passi indietro fino al portello di uno dei cannoni phaser e poi simulò un salto in un’altra direzione. 

“Ancora morto!” Jim allargò le braccia e poi si sfilò il casco. Aveva la fronte imperlata di sudore e i capelli attaccati al viso.

“Diavolo, Bones! Potresti essere più collaborativo invece di limitarti a tirarmi le cuoia!” 

“Mi limito a constatare i fatti. Sei in una stanza piena di esplosivi. Se le fiamme del jetpack si propagano qui dentro, kaboom! E sei morto!” Spock decise che era il momento di intervenire.

“Cosa sta succedendo? Qualcuno vuole spiegarmi?”

“Spock! E’ sopravvissuto all’uragano Uhura?” Spock sollevò un sopracciglio.

“Non c’è nulla da dire di rilevante in proposito. Ha trovato un nuovo modo di mettere a repentaglio la sua vita a quanto vedo!” Bones sembrò tirare un sospiro di sollievo.

“Sia lodato il cielo! Spock glielo dica lei che è una follia e, per carità, salti la parte in cui calcola le probabilità di successo. Abbiamo capito che qualunque numero maggiore di uno è sufficiente a Jim per considerare il suo piano come valido.” Spock unì le mani dietro la schiena e guardò Jim per invitarlo a parlare.

“Harrison ha messo un bug di sistema in uno dei portelli dell’hangar della Jupiter. Una volta attivato, questo si aprirà ad intervalli di circa due minuti. E’ l’unica porta di accesso alla nave. Una volta dentro potremo dirottarla.”

“Quindi sta elaborando un piano sulla base delle informazioni di un bugiardo?”

“Abbiamo deciso di fidarci, no?”

“Credevo che il piano prevedesse che lui si fidi di noi e noi non di lui.” Kirk sbuffò mettendo le mani sui fianchi e lasciando andare il casco.

“Lo abbiamo preso a bordo per le sue informazioni. Ora che ce le fornisce dovremmo obiettare?”

“Come minimo!” Esclamò Spock. “Mi faccia parlare con lui, mi faccia verificare queste informazioni.”

“Potrai farlo. Ti darà i codici di Marcus.”

“Abbiamo già quei codici. Il signor Scott li ha hackerati dal file dell’ammiraglio.” La voce di Spock si faceva sempre più nervosa e quella di Kirk si adeguò immediatamente.

“Ti darà anche i codici di apertura del portello.”

“Del portello dell’hangar dei missili!” Intervenne Bones fulminato all’istante dallo sguardo di Jim.

“Immagino che usare il teletrasporto sia fuori discussione.” Scotty intervenne per spiegare.

“Se usiamo il silenzio radio per nascondere l’arrivo della Jupiter nello spazio aereo della colonia, non potremo usare il teletrasporto.” Spock guardò di nuovo la tutta da combattimento di Jim e si ricordò quando gliel’aveva vista addosso l’ultima volta.

“Quindi il piano è lanciarsi dall’Enterprise attraverso un ambiente privo di gravità usando un sistema ad alta propulsione con lo scopo di centrare un portello che si apre e si chiude ad intervalli regolari?” Jim annuì. Spock si accorse che non sorrideva. Era tremendamente serio.

“Non si azzardi a dire che può funzionare!” Strillò Bones agitando le braccia.

“Non può funzionare. Ammesso che le navi siano perfettamente allineate, che tra il punto di lancio e quello di arrivo non ci siano ostacoli che impongano cambi di traiettoria o che la colpiscano, ammesso che attraversi il portello nell’arco temporale corretto, una volta nell’hangar, il propulsore del jetpack, infiammerebbe qualunque oggetto con cui entrerebbe in contatto uccidendola all’istante.”

“Per questo facevo delle simulazioni.” Si giustificò Jim.

“Impossibile. Non possiamo conoscere l’esatta ubicazione del contenuto dell’hangar.” Disse Spock più teso che mai.

“Sentito? E non è logica,” esclamò Leonard, “è la realtà. Nessuno può cambiare la realtà.” 

Jim avrebbe voluto dire per l’ennesima volta che non credeva nelle situazioni senza via d’uscita ma si lasciò cadere a terra puntando le braccia sulle ginocchia. Bones si sentì in colpa nel provare sollievo ma fu Spock a parlare.

“A volte bisogna semplicemente accettare che una cosa è impossibile.” Jim sollevò lo sguardo per replicare ma fu distratto da Scotty che si torturava le mani.

“Scotty, che c’è? Parla.” L’uomo saltò sul posto per la sorpresa.

“Niente, non c’è niente. Pensavo.” Jim si rialzò.

“Pensavi a cosa?”

“A niente.”

“Scotty, non costringermi ad ordinarlo, parla.”

“Una persona non ce la può fare ma tu non hai mai pensato di andare da solo, giusto? Harrison deve venire con te.” Gli occhi di Spock lo gelarono sul posto. Kirk però lo esortò a continuare. “Se uno dei due spegne il jetpack diciamo quindici secondi prima di attraversare il portello, l’altro può lanciarlo al suo interno senza attivare alcuna esplosione. Ecco, l’ho detto. Che sia dannato!”

Bones si abbandonò contro la parete mettendosi le mani in faccia. Spock si mise tra Scotty e Jim.

“Non prenderai in considerazione nulla del genere. Si tratterebbe di affidare la tua vita a quell’uomo e questo è un rischio incalcolabile.” La risposta di Kirk sorprese tutti.

“Credi che non lo sappia? Credi che non abbia passato la notte a pensare che l’Enterprise di fronte alla Jupiter è come una macchinina di fronte ad un carro armato? Credi che non abbia pensato che un solo missile potrebbe farci saltare in aria tutti senza che possiamo fare nulla? Credi che non abbia pensato che Marcus potrebbe usarci per scatenare una guerra? Che potrebbe aver scoperto che ha a bordo tutto l’equipaggio della Botany Bay? Che non abbia pensato che magari li ha già uccisi tutti? Pensi anche tu come mio fratello che tutto ciò che voglio è un palcoscenico su cui esibirmi facendo il buffone?” Gli occhi di Jim si erano fatti lucidi. Spock scosse il capo.

“Dico solo che magari c’è un altro modo. Non mi piace sapere che, col silenzio radio, sarai solo con quell’uomo.” Lo sguardo di Jim brillò.

“Ma io non sarò solo.” Disse toccandosi una tempia con un dito. “Tu sarai sempre lì con me. E questo Harrison non lo sa.”

Spock non riuscì a replicare e si maledisse per questo. Odiava l’idea che toccasse a Jim risolvere quella questione e, ancora di più, che il suo piano potesse davvero funzionare.

 

Spock aveva visto Jim lasciare la stanza di corsa. Cominciava sempre così. Una sovraeccitazione che portava il suo capitano a sorvolare su qualunque rischio comportasse il piano geniale che credeva di avere formulato. In effetti i piani di Jim si rivelavano spesso geniali ma comportavano un sacco di rischi. Quando i rischi si materializzavano, in genere, trovava contromisure che definire estreme era riduttivo.

Seguiva perciò la fase in cui tutti, lui compreso, rimanevano col fiato sospeso per sapere se se la sarebbe cavata anche questa volta.

Spock era deciso a non trovarsi in quella situazione. Non dopo la battaglia contro Nero e la missione Nibiru. Non dopo il volo nel canyon.

Raggiunse la stanza di Harrison e, una volta dentro, ne bloccò l’accesso. Il prigioniero si alzò e lo guardò con aria interrogativa.

“Deve consegnarmi i codici di accesso del portello dell’hangar missili della Jupiter.”

“Ti occuperai tu di inviarli?”

“Sono sufficientemente qualificato.” Harrison rise.

“Non ne ho alcun dubbio. Questo significa che resterai a bordo dell’Enterprise. Non accompagnerai Kirk.” Spock si disse di non accettare alcuna provocazione.

“Farò ciò che il capitano mi ordinerà di fare.”

“Deve essere frustrante.”

“Mi dia i codici.” Harrison camminò fino al vetro e fissò i suoi occhi in quelli scuri di Spock.

“Sì, deve essere frustrante.”

“Che lei non capisca?”

“Non arrivare al cuore del capitano. Non comprendere i suoi più intimi desideri.” Le parole di Harrison erano taglienti e chirurgiche. Dette con l’intento di far male a Spock, ferirlo in modo preciso.

“Lei non sa niente del capitano.” 

“Scommettiamo?”

“Sono qui solo per i codici.”

“Ti piace fare credere a tutti di avere ogni cosa sotto controllo, vero? Eppure non puoi avere lui sotto al tuo controllo. Qualunque cosa tu faccia, lui avrà sempre la sua mente altrove. La sua missione conta sempre più di tutto. La sua nave conta sempre più di tutto. Non è vero?Ovviamente la tua logica non potrà mai comprendere quel suo stato d’animo ardito e impavido. Se fosse vissuto ai miei tempi, sarebbe stato uno di noi. Fiero e indomito. Noi due siamo simili.”

“Lei e il capitano siete così diversi da farsi meraviglia che apparteniate alla stessa razza.”

“Se ti piace pensarlo, signor Spock.”

“I codici.” Harrison sfilò dalla cintura un dischetto. 

“Eccoli.” Spock li afferrò e si voltò. “Signor Spock, chi accompagnerà il capitano sulla Jupiter?” Spock ricorse a tutta la sua forza interiore per non voltarsi, tornare indietro, abbassare completamente lo schermo che lo separava da Harrison e colpirlo fino alla morte. Si limitò a voltarsi e a rispondergli da quella distanza.

“Se allude al fatto che potrebbe rimanere da solo con il capitano, sappia che potrà anche avere l’occasione di fargli del male. In quel caso però, lei morirà. Io la ucciderò senza mostrare alcuna pietà.”

“E’ una minaccia?” Spock allungò le labbra in un ghigno.

“E’ una promessa.” Il vulcaniano sbloccò la porta e lasciò la stanza.

 

Jim era corso via perché aveva ancora una cosa da fare prima di discutere i dettagli del piano con i suoi compagni e con il suo alleato improvvisato.

Raggiunse gli alloggi dell’ambasciatore Spock e attese con impazienza che la porta si aprisse.

“Capitano!”

“Ambasciatore, posso entrare?”

“Certo, venga pure.” Kirk attraversò la soglia ad ampie falcate e raggiunse il centro della stanza. “Come posso aiutarla?” Jim si sfregò i palmi delle mani. Sembrava in imbarazzo.

“Ho un piano per fermare l’ammiraglio Marcus.”

“Mi sembra una buona notizia!” Esclamò l’anziano Spock sedendosi sul letto.

“Purtroppo è un piano che prevede poche vie d’uscita nel caso si mettesse male.”

“Sono la tua specialità.” Sospirò Spock.

“Lo so, lo so,” masticò amaro Jim, “ma non lo faccio di proposito. Non sempre.” L’ambasciatore lo guardò di sbieco. “Non stavolta, va meglio?”

“Come posso aiutarti?” Chiese abbandonando ogni formalità.

“Se riesco a raggiungere la Jupiter, la nave su cui si trova Marcus adesso, dovrò mantenere il silenzio radio. Questo significa niente comunicatori o teletrasporto. Mi chiedevo se ci fosse un modo per me di usare, ecco, il legame. Per comunicare con Spock, intendo. L’altro Spock.” L’ambasciatore sospirò ancora.

“Vieni qui, Jim, siediti.” Il ragazzo non se lo fece ripetere. “Da quando si è stabilito il legame?” Kirk ci pensò su un attimo e rispose.

“Da quando ho preso il comando dell’Enterprise.”

“E come si manifesta?”

“Ho delle visioni dei ricordi di Spock e, qualche volta, sento la sua voce nella mia testa.”

“Sei mai stato in grado di trasmettergli un pensiero? Ti sei mai reso conto del fatto che lui lo abbia, come dire, ricevuto?” Stavolta Jim rispose di getto.

“Credo, inconsapevolmente, di parlare spesso con lui. Nella testa intendo.” Disse gesticolando con una mano. “Non credo che lui mi senta o, se lo fa, non me lo ha mai fatto capire. Tranne una volta. In Iowa. Sono certo che ha sentito i miei pensieri.” Spock batté entrambe le mani sulle gambe.

“Non avete mai effettuato una fusione?”

“Non mentre io ero cosciente.”

“Capisco. Quindi Spock è più avanti di te in questa cosa. E’ logico.”

“Che vuol dire che è più avanti di me?” Chiese con una punta d’irritazione nella voce.

“Non arrabbiarti Jim. E’ normale. Non è sbagliato da parte tua pensare di fare affidamento sul legame. Io però non posso aiutarti. Solo Spock può. E sappi che ci vuole tempo.”

“Ho meno di dodici ore, bastano?” Il vulcaniano sorrise con dolcezza.

“Con il mio Jim ci sono voluti anni.” Gli occhi di Kirk si allargarono per lo stupore.

“Ma dai!” Esclamò. “O era un pessimo allievo o tu sei stato un pessimo maestro!” L’ambasciatore si perse un momento nei ricordi, poi parlò.

“Eravamo ottimi bugiardi. Tutti e due. L’orgoglio ha voluto il suo tempo per farsi da parte.”

“Quindi mi stai dicendo che non ci sono scorciatoie. O affronto Spock e quello che sta alla base di questo legame o il legame non crescerà?” L’uomo annuì.

“Sappi però che sono incline a credere che se da questo legame dipende la tua vita, Spock metterà tutto il suo impegno affinché cresca in fretta.” Jim si alzò ma quando raggiunse la porta, si fermò e fece un’ultima domanda.

“Bones mi ha parlato degli effetti negativi del legame. Spock è precipitato nel vulcano d Nibiru quando io sono stato ferito sulla Jupiter. Se il legame si acuisce, corriamo dei rischi?” Spock si alzò e lo raggiunse. Gli prese una mano e gli torse il polso fino a fargli male.

“E’ un sì?” Chiese Kirk massaggiandosi la parte indolenzita.

“Ricordatelo bene. Più è intensa la natura del legame, più farà male se si spezza.” Jim annuì e s’incamminò verso la stanza in cui era tenuto prigioniero Harrison.

 

Spock e Scotty discutevano animatamente quando Jim entrò di gran carriera nella stanza in cui tenevano rinchiuso John Harrison. Bones stava ancora trafficando con i campioni del suo sangue.

“Ebbene, facciamo il punto!” Esclamò Kirk facendo segno a Leonard di far partecipare anche il prigioniero. La parete divenne trasparente e l’uomo fece segno col capo che li vedeva e li sentiva.

“Abbiamo un piano, signor Harrison.” Disse Jim con la sua solita aria baldanzosa. “Se la Jupiter arriverà, useremo il sistema radio dell’Enterprise per oscurare lo spazio aereo di Nuova Vulcano. Marcus potrebbe fare fuoco subito ma sa che se la colonia non vede che la sta attaccando una nave che viene dalla zona neutrale, ogni sua azione non porterà alla guerra. A quel punto tenterà di capire da dove viene il disturbo radio.” Scotty intervenne.

“Ci vorranno almeno cinque minuti per il ripristino completo del sistema di navigazione della Jupiter e prima che capisca che il silenzio radio non dipende da questo ma da un agente esterno alla nave. Nel frattempo noi invieremo i codici per l’apertura del portello.” Toccò a Spock parlare.

“Nei cinque minuti di black out, il portello si aprirà due volte. Per abbordare la nave non potrete utilizzare la prima volta perché dovremo allineare l’Enterprise alla Jupiter. Avrete due tentativi ancora. Uno a nave spenta e l’altra a ripristino completo. Abbiamo equipaggiato le tutte da combattimento con sistemi a propulsione che vi consentiranno di attraversare lo spazio fra le due navi a gravità zero.” Harrison s’intromise.

“Non avete considerato che se entriamo nell’hangar esplosivi con i jetpack, c’è un’altissima probabilità di esplodere con essi.”

“Lo abbiamo considerato,” si affrettò a precisare Kirk. “Solo uno di noi due arriverà alla nave con il jetpack acceso. L’altro lo spegnerà quindici secondi prima di toccare il portello e si farà spingere all’interno dall’altro.” Lo sguardo di Harrison passò da Kirk a Spock. Jim lo prese come un segnale che l’altro aveva capito dove volesse andare a parare e concluse. “Io spegnerò il jetpack. Lei mi spingerà nell’hangar e solo in quel momento io la farò entrare.”

“E io dovrei fidarmi?”

“Ho già promesso che l’aiuterò a salvare il suo equipaggio ma se crede che le consentirò di arrivare a Marcus prima di me o anche senza di me, è un illuso o un idiota.” Jim incrociò le braccia in attesa della risposta di Harrison.

“Ha dimenticato un particolare. Con una manovra tanto rischiosa, la sua vita sarà totalmente nelle mie mani.” Lo disse guardando Spock. Il vulcaniano rimase a fissare Jim e non gli diede la soddisfazione di muovere un solo muscolo del viso.

“Ha detto mille volte che se avesse voluto uccidermi, lo avrebbe già fatto. O devo ritenere che le sue fossero solo chiacchiere? Inoltre ordinerò ai miei uomini di aprire il fuoco sulla Jupiter in qualunque caso lei attenti alla mia vita. Non potranno battere quella fottuta nave ma saranno certamente in grado di far saltare in aria il suo equipaggio.”

“Mi dia i miei uomini, non voglio altro.” Si limitò a dire Harrison.

“Allora si riposi. Siamo entrati nell’orbita di Nuova Vulcano. Se Marcus vuole simulare un attentato alla nuova colonia, ha quindici ore per farlo.” Harrison tornò al suo letto e Bones tolse audio e video.

“Bravi!” Esclamò il medico. “Vi siete mostrati tutti molto sicuri di voi. La verità è che questo piano fa acqua da tutte le parti. E se Marcus arrivasse sparando?” Spock cercò di dare voce al suo pensiero logico.

“Se avesse voluto attaccare un pianeta a caso, avrebbe attaccato la Terra. Se si è scomodato a venire fin qui è perché sa che Nuova Vulcano è una colonia ferita. Non accetterà neppure l’ombra di una minaccia. Hanno armi avanzatissime. Reagiranno immediatamente.”

“Siamo sicuri che non esista un altro modo?” Provò ad insistere il dottore. “Non potresti chiedere l’aiuto di tuo padre?”

“Se mio padre sapesse che un ammiraglio della federazione ha costruito una nave da guerra con l’intento di scatenare una battaglia all’interno della federazione, per prima cosa chiederebbe ai vulcaniani di uscire dall’alleanza dei pianeti.”

“Calmiamoci.” Intervenne Jim. “Ora dobbiamo concentrarci sul piano. Tutti ai posti di combattimento. Spock, lei con me.”

Ognuno tornò ai propri compiti quando mancavano quattordici ore all’inaugurazione della nuova colonia.

 

  
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