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Autore: Urban BlackWolf    02/12/2019    3 recensioni
Come la vite, ogni essere umano ha un lato esposto al sole ed uno all’ombra. Un lato più caldo ed uno più freddo, che non sempre riescono a convivere, anzi, che spesso e volentieri cozzano l’uno contro l’altro creando dissonanza, una profonda lacerazione interiore che rende tutto confuso e complicato.
Come la vite, ogni essere umano porta frutto e lo dona agli altri, ma a seconda delle stagioni e delle cure ricevute, lo fa generosamente o meno.
Come la vite, ogni essere umano ha bisogno di sentirsi amato, spronato e protetto per dare il meglio di se, senza soffocamenti o costrizioni.
E come la vite che allunga i tralci verso la pianta accanto, anche gli esseri umani sono alla costante ricerca dell’anima affine alla quale potersi tendere ed intrecciare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Starlights, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Rottura

 

Non se lo ricordava così un pre gara. E non perché fosse cresciuta o non avesse più al suo fianco Alba e Sante. Solo quando fermò il suo peugeottino nello spiazzo vicino alla partenza, Haruka si rese conto forse in maniera ancora più marcata, che quella che stava per intraprendere non era una corsa come tutte le altre. Non era tanto per l’assenza di tribune e gente urlante ad incitare i vari team o per il mancato via vai di tecnici e membri delle varie scuderie, l’altoparlante dell’annunciatore di turno a scandire l’ordine delle partenze ed i responsi sui tempi, quanto per l’atmosfera; un misto di clandestinità e pericolo. E poi c’era lui, il silenzio, interrotto di tanto in tanto solamente dal frusciare delle fronde mosse dal vento.

Non aveva mai visto la partenza, perché quello, come cento altre assurdità di una corsa clandestina, era la prima condizione d’accettare per farne parte. Per non destare sospetti ed agire indisturbati alle spalle della legge, gli organizzatori tenevano per loro i primi chilometri di pista, in modo da poter bloccare tutto nell'eventualità molto remota di una qualsiasi soffiata.

Max, che scortato da un ceffo in moto da cross l’aveva preceduta, parcheggiò poco oltre dirigendosi subito dall’uomo che la bionda ricordava di aver visto all’incontro avuto con Giano nella vecchia cascina abbandonata. Già e lui dov’era? Una volta scesa dall’abitacolo, Haruka scandagliò lo spiazzo e le macchine non competitive per vedere dove fosse, ma non lo trovò. Era l’ovvia conseguenza del fatto che per rimanere pulito, meno persone sapevano quale fosse la sua vera identità e meglio era. Come ogni bravo capo gang che si rispetti, amava usare intermediari, come l’uomo che stava ora parlando con Max e quando era costretto a muoversi dal suo castello dorato per andare ad incontrare i piloti che volevano prendere parte alle sue corse, lo faceva sempre assicurandosi di usare luoghi solitari ed ambienti privi di luce diretta. Non era un pezzo grosso, non ancora, non usava società fittizie per riciclare chissà quali somme da capogiro, ma grazie alle entrate poco pulite delle scommesse, negli ultimi anni il suo volume d’affari era cresciuto parecchio e se non fosse stato fermato dalla giustizia, non ci avrebbe messo che un’altra manciata di gare per diventare il re di tutta la Provincia.

Haruka chiuse la portiera sentendosi gli occhi di tutti gli altri piloti appiccicati addosso. La tuta che usava da ragazza le era diventata stretta e si vedeva lontano un miglio il suo essere una gran bella donna. Ma le sue curve non erano certo il male minore. Per via di Giovanna, la giornata non si era messa sul bello stabile e la comparsa dell’ennesima persona non gradita alla bionda le diede lampi di rogna neanche avesse visto corvi neri volare all’orizzonte.

Nella macchina di Max era magicamente apparso Mamoru Kiba. Una volta arrivata al bivio la pilota se l’era visto placidamente seduto sul sedile accanto a quello dell’amico.

“Ma di, sei fuori di testa!” Aveva sbraitato dal finestrino tirando il freno a mano. Per un’infinità di motivi quella era l’ultima persona che avrebbe dovuto assistere a quell’azzardo e Max lo sapeva meglio di lei.

“Abbiamo bisogno di un uomo fidato che prenda il tuo tempo all’arrivo. Io non posso certo stare in due posti contemporaneamente e di un portaborse di Giano non mi fido. Tu piuttosto, dimmi dove diavolo è tua sorella!”

“Indisposta.” L’aveva liquidato notando quanto l'amico si fosse rabbuiato.

“Io fermo tutto! Non puoi correre da sola!”

“No, tu non fermi niente! Passi per lui, ma diamoci una mossa!”

Così l’ennesimo cambio di programma aveva avuto il potere di farle salire la colazione su per l’esofago ed ora si ritrovava in quello spiazzo con un pensiero in più ed una certezza di meno. Era infatti sicura che alla prima occasione Kiba sarebbe andato a spifferare tutto ad Usagi e Minako.

Va bene Haruka, un casino alla volta. Se vincerò avrà poca importanza se le ragazze verranno a conoscenza di questa storia. Vediamo invece con chi abbiamo a che fare.

La Peugeot 205 della famiglia Tenou era indubbiamente una delle vetture più vincenti della storia dei rally, ma tutt’intorno Haruka poteva vedere macchine potenti e dannatamente performanti. Una Subaru, tre Toyota, due Audi ed una Mitsubishi, tutte meno datate e provate della sua. Vetture straordinarie, dalla linea pulita ed essenziale. Nulla a che vedere con quell’alettone stile jumbo jet che aveva messo su per cercare di non decollare al primo utilizzo del biturbo. Si sentì improvvisamente una principiante, come se le vittorie passate con quella stessa auto fossero appartenute ad un’altra vita. Ad un’altra Haruka. Inoltre per mantenere un certo anonimato con gli altri partecipanti, aveva dovuto cancellare dalle fiancate la serigrafia del suo cognome privandola in un certo senso di quel cordone sportivo che la legava ancora ad Alba e Sante.

Cercando di non badare a quanto la cosa le fosse costata, guardò il tracciato che serpeggiava a partire dai ceppi di quercia che sancivano il via. Colline, sottobosco e ancora più lontano le dune sabbiose della spiaggia. Una lingua dorata che s’intravedeva a qualche chilometro di distanza. Poggiandosi al muso della sua auto incrociò le braccia al petto aspettando il ritorno di Max.

Lo guardò parlottare animatamente con l’altro uomo e questo non le piacque e a ragione. Quando con Mamoru poco dietro la raggiunse, ne capì il motivo.

“Rogne?” Chiese.

“Il lacchè di Giano mi ha detto che la gara sarà composta da due prove. La somma dei due tempi fatti decreterà il vincitore. L’intervallo tra un team e l’altro sarà di cinque minuti.”

Haruka non si scompose. “Dunque niente sportellate alla fast e furious.”

“L'avrei preferito. Il percorso è impegnativo, sia per te che per lei. - Indicò con il mento poco rasato la carrozzeria dell’auto. - Sei sicura che il sotto reggerà alle vibrazioni e agli urti di tutti quei chilometri in più?”

“Invece di dire sciocchezze, rispondi tu ad una domanda; arrivati a questo punto credi abbia veramente importanza una mance in più?” Canzonò scansando i due uomini per riaprire lo sportello ed attendere seduta il momento della sua prova.

“Kiba…” Chiamò facendolo sporgere all’interno dell’abitacolo.

“Niente cazzate con Usagi. Statti zitto! Mi sono spiegata?”

“Haruka questa volta credo sia tu a dover stare attenta a non fare cazzate. Ora vado all’arrivo. Buona fortuna.” Rispose piatto ritirandosi per prendere dalla mano di Max le chiavi del pick-up e una delle radio che sarebbero servite per comunicare fra loro.

 

 

Haruka la conosceva bene. Schifosamente bene. Distesa supina a braccia aperte come il Cristo di Rio, Giovanna guardò dolorante il finestrone a nastro che aveva cercato di usare come uscita d’emergenza. La sorella aveva ragione; non aveva più dieci anni. Nel tentare di uscire dalla sua prigione improvvisata, aveva messo un piede in fallo e scivolando dallo stipite di metallo dov’era riuscita faticosamente ad issarsi, si era schiantata schiena a terra come un tordo impallinato. Ed ora era li, nella polvere, imbestialita con il cielo che in quel ventisette gennaio di trent’anni prima, le aveva dato in sorte la più grande testa di legno della storia dell’umanità.

“Appena ti prendo Haruka mia…, o, appena ti prendo…” Masticò cercando di mettersi seduta.

“Ma che cavolo mi è saltato in testa! Come ho potuto credere che il rancore alimentato in tre anni di lontananza potesse scemare in un mesetto di ritrovata vita familiare?! Giovanna sei proprio un’imbecille!” Alzandosi lentamente provò dolore in tutta la spina dorsale.

Mamma mia che volo, pensò guardandosi i palmi escoriati. Serrando la mascella iniziò a massaggiarsi il coccige cercando di bloccare con la rabbia le lacrime che sentiva negli occhi. Non era solo per il dolore fisico che avrebbe tanto voluto liberarsi con un bel pianto, quello non era niente. Giovanna si sentiva tradita, umiliata, abbandonata ed era in pensiero per quella gran zucca vuota che molto probabilmente in quel momento stava già lanciando la loro macchina lungo il primo rettilineo.

Forse è proprio questo che ha provato quando sono partita, ma non credevo che la sua vendetta sarebbe stata tanto fine. Non è da Haruka fare certi giochetti. Eppure sono qui! Mi era sembrato di leggere nuovamente amore nei suoi occhi. Mai possibile che la necessità di voler tornare ad essere la sua migliore amica, sua sorella maggiore, mi abbia accecata tanto? Avvicinandosi all’anta del portone appoggiò l'orecchio sopra il freddo del metallo cercando di captare segni esterni. Sicuramente le sorelle si erano già alzate e stavano in cucina, ma anche se avesse fatto un baccano infernale, come aveva detto quell’idiota della bionda, non l’avrebbero sentita se non quando fossero uscite sullo spiazzo davanti casa.

“Un baccano infernale?!” Disse voltandosi verso il piccolo cingolato parcheggiato a pochi metri di distanza.

 

 

Quando entrò in cucina Minako trovò la piccola di casa a fissare corrucciata il dentro del loro frigorifero. Poco oltre, intenta a finire di apparecchiare la tavola, Michiru se la guardò alzando leggermente le spalle.

“Sono cinque minuti che lo sta facendo.”

“Cosa, guardare il fondo del frigo? Usa te l’ho detto ieri. Appena vestita andrò al mercato.”

“Non è questo. - Le rispose chiudendo finalmente l’elettrodomestico. - E’ che non sopporto quando non mi quadrano le cose.”

“Che poi sarebbero?” Sedendosi alla tavola sorrise di soppiatto a Kaiou che accettò felice. Forse non era stato tutto tempo perso l’aprirsi con la biondina.

“C’era una confezione da quattro di uova. Ne sono sicura!”

“Dunque?”

“Dunque non ci sono più ed io non ho frittelle da preparare! E poi sento odore di cucinato...”

“A me non sembra.” Rise Minako mentre il suono acuto di un clacson tagliava l’aria serena dell’alba.

Usagi se le guardò interdetta andando ad aprire la porta sul retro. “Sarà Yaten.”

“No. Oggi non viene.”

“Haruka o Giovanna?” Optò Michiru seguendo le ragazze all’aperto mentre il clacson continuava disperato a gridare la sua voce.

“Non proviene dal silos.” Indicando la rimessa dei mezzi agricoli Minako iniziò a camminare a passo svelto provando ansia. Il portone era chiuso a chiave, ma dentro c’era inequivocabilmente qualcuno.

“Usagi vai a chiamare Haruka!” Urlò facendo fermare simultaneamente il suono e chi lo stava provocando.

“Mina!” Si sentì dalla parte opposta.

“Giovanna?! Perché sei chiusa dentro?” Chiese appoggiando i palmi al portone.

“E’ stata quell’idiota di TUA sorella! Fammi uscire! Dov’è il doppione delle chiavi?!”

Voltandosi la ragazza fece un cenno verso Usagi che partendo a razzo iniziò a correre verso casa.

“Adesso ti apriamo. Ma dov’è Haru?”

“Non qui, altrimenti te ne saresti accorta! Lascia che le metta le mani addosso! Tutti i denti le faccio saltare. TUTTI!”

Non ci vollero più di una manciata di minuti perché Usagi recuperasse dallo studio le chiavi di scorta e corresse a portarle a Minako. Sbloccato il lucchetto la biondina tirò il maniglione che lentamente si aprì sul viso stravolto di Giovanna. La sorella spalancò gli occhi all’apparizione di una rallista vestita di tutto punto. Lo fecero tutte.

“Che ci fai con la tuta da gara addosso?” Chiese appena in tempo prima di venire spintonata da una furia indemoniata.

“Non ho tempo di spiegarvi! Devo andare!”

“Andare dove?! Giò!”

“Se non fermo quella pazza c’è il rischio che questa volta si faccia male sul serio.” Abbaiò bloccata da entrambe le sorelle.

“No! Adesso ci spieghi!” Pretese Usagi e all’altra non rimase altro che guardarsela per poi far cenno a tutte di seguirla alla sua macchina. Avrebbe rivelato tutto strada facendo.

 

 

La prima mance si era conclusa e tornata allo spiazzo dedicato alla partenza, Haruka attese insieme a Max il riscontro cronometrico dato via radio da Mamoru. La bionda non aveva avuto particolari difficoltà e la tenuta dell’auto l’aveva abbastanza soddisfatta. Non aveva spinto al massimo, non poteva permetterselo con un telaio tanto vecchio e con due mance a sua disposizione doveva giocare un po’ d’astuzia. Tra gli otto partecipanti c’erano piloti che avevano dato tutto il possibile, mentre era palese che altri avessero tirato il freno molto più di lei. Un gioco di equilibri dunque, dove il team più fortunato, capace ed intraprendente, avrebbe ottenuto la vittoria.

A pensarci meglio, il fatto di essersi trovata Mamoru in mezzo ai piedi perlomeno le garantiva che se avesse vinto, Giano avrebbe onorato il pagamento. Era sempre un Kiba e il suo nome valeva pur qualcosa. Leggermente più sollevata e forte della ritrovata affinità con la tensione di una gara, si tolse i guanti guardando il cronometro al lato del cruscotto. 10°12’25”.

Buono, ma non sufficiente, pensò mentre Max le bussava al finestrino e lei lo abbassava.

“Il tempo preso da Mamoru è perfettamente collimante con il tuo e con quello degli organizzatori. - E gli venne da sorridere nell’usare una parola tanto nobile per quei loschi individui. - Perciò è stato giudicato come effettivo. Attualmente sei al terzo posto. Hai usato il biturbo?” Chiese e lei ne fu scioccamente sorpresa.

“Che ne sai tu del mio biturbo!?”

”Guarda che Rose oltre ad essere la tua mentore era anche mia sorella e nostro padre ha cresciuto anche me a pane e motori. Il fatto che dopo il ritiro del team Tenou io mi sia messo a gestire un pub e non un’officina, non vuol dire che mi sia proprio del tutto rincoglionito. Se non avessi montato un biturbo, che senso avrebbe un alettone tanto assurdo?”

Inarcando le sopracciglia la donna se lo guardò compiaciuta. “Lo so che per quest’obbrobrio mi stanno prendendo tutti per il culo, ma vedrai che tra poco non rideranno più.”

Abbassando il tono della voce lui si appoggiò al finestrino con fare guardingo. “Fai poco la spiritosa. L’hai già testato, non è vero?!”

“No.”

“Come no!?”

“Non ne ho avuto il tempo. Ma stai tranquillo, so perfettamente come gestire la cosa.” Sentenziò talmente sicura di se che sistemandosi più comodamente sul sedile, si tolse il casco e calzandosi un paio d’occhiali da sole sul naso, a braccia conserte provò a godersi un po’ di riposo prima della sua seconda chiamata.

Grattandosi la testa lui tornò eretto. Avrebbe dovuto fermare tutto o fidarsi di quel diavolo biondo che in pista non aveva mai deluso le aspettative di nessuno? O Sante, cosa faresti al mio posto? Domandò all’anima del suo caro amico proprio mentre una stilettata dolorosa gli prendeva a calci il fegato. Quella brutta sensazione d’ansia sorta al nascere di quella splendida mattina di sole, non voleva proprio abbandonargli le viscere.

Una quindicina di minuti dopo Haruka e Max iniziarono a prepararsi per la partenza. Lui fermo ad un lato dello spiazzo, binocolo nella sinistra e radio sulla bocca, pronto a comunicare a Mamoru l’inizio della mance. Lei mani saldamente sul volante, nove dita incollate alla gomma dura sagomata mentre il pollice ad accarezzare il pulsante del cronometro. Le cinture a croce allacciate sul petto. Il casco ben calzato sulla testa. Il piede destro dolcemente ritmico sul pedale del gas. Gli occhi fissi sulla bandiera gialla impugnata dall’addetto alla partenza, concentratissima. Il cuore a mille. Il respiro lineare. I secondi interminabili prima del via si dilatarono, come l’adrenalina che schiacciata nella cassa toracica, all’abbassarsi della stoffa le fulminò nel cervello acuendone in un istante tutti i sensi.

“Vai!” Urlò l’uomo e Haruka premette simultaneamente il pedale del gas e il pollice per l’avvio del cronometro.

“Partita!” Comunicò Max e Mamoru fece altrettanto.

Motorsport is dangerous, ogni pilota lo sa, da quando inizia a prepararsi per una gara a quando si pianta dentro l’abitacolo con il suo copilota accanto. E’ una frase che rimbomba nella coscienza di entrambi, sempre, continuamente. Un mantra che con il passare del tempo diventa tanto familiare da non apparire più come un avvertimento, ma come un motto, una sfida alla morte che genera una sensazione di libertà che si può avvertire in poche altre occasioni nella vita. Questa volta Haruka la urlò forte confondendo la voce con i giri del motore.

Sentì immediatamente l’auto aggredire il terreno ed un’enorme mano immaginaria spingerla contro il sedile. Ingranando la seconda iniziò a percorrere il primo rettilineo; una discesa dalla pendenza dolce, una sorta di trampolino di lancio per quello che a breve avrebbe dovuto affrontare. Un paio di curve, niente di particolare, un altro breve rettilineo al termine del quale trovò ad aspettarla un dosso. Infine una serie di covoni di grano abbandonati ad un lato della strada finalmente le indicarono l’immissione nel percorso vero e proprio, quello che conosceva ormai a menadito. Da qui partì la sua seconda mance.

Scendi, terza a sinistra, la voce di Giovanna nella testa, il primo pericolo da superare. Una curva in terza che avrebbe dovuto aggredire giocando di piede per cercare di controllare la sterzata e non perdere secondi preziosi.

“Dai, dai!” Si disse notando con quanta forza stesse stringendo il volante.

“Che ti prende, te la stai facendo sotto?! - Si canzonò provando a rilassarsi prendendo una boccata d’aria più copiosa delle altre. - Respira dannazione! Non lo stai facendo a dovere.”

Dritta, a destra chiudi. Il secondo cambio di direzione in pochissimi metri e si ritrovò controluce imprecando. Dando uno schiaffo al parasole si riparò gli occhi. Appena entrata nel bosco non avrebbe più avuto questo problema.

“Tra meno di un chilometro c’è il ponte. - Ricordò lanciando uno sguardo al cronometro. - Stai andando bene. Coraggio Haruka!”

Quanto diavolo le avrebbe fatto comodo la calma di sua sorella adesso. Fai attenzione… ponte stretto, destra, due, chiudi. Uno dei punti dove nelle prove simulate s’incartavano sempre.

“Si lo so Giovanna. Lo so!”

Il torrente, che poi era lo stesso che passava nella valle proprio sotto casa sua. Che strano, solo in quel momento, quando cioè le ruote solcarono l’asfalto scolorito di quella vecchia struttura ad arco, la pilota ci fece caso. Il suo cervello stava andando a mille. Senza alcuno sforzo avrebbe potuto correre facendo contemporaneamente complicatissimi calcoli matematici. Tutto nella sua percezione si era amplificato. Colori più brillanti. Sensi più acuti. Olfatto più sviluppato. Dal taglio di corrente del finestrino lasciato leggermente abbassato, le sembrò addirittura di avvertire nelle narici l’odore del muschio cresciuto sulle rocce battute dall’acqua e le vennero in mente le estati di svago e le sfide di coraggio messe su da Mamoru per indurla ad abbassare un poco la cresta. I salti con la bici da greto a greto. I salti!

Stacca! La gomma delle ruote si separò da terra continuando a girare nel vuoto per circa una decina di metri.

Il contraccolpo dell’atterraggio non la colse impreparata, ma scalando marcia, attraverso la spessa stoffa dei guanti sentì vibrare il pomello del cambio e non poté che corrugare la fronte. “Non mollarmi proprio adesso.” Disse alla macchina.

I sassi morsi dagli pneumatici schizzati nelle cunette ai lati del tracciato le fecero capire che tra una manciata di metri l’asfalto sarebbe finito e socchiudendo il verde delle iridi, si preparò all’insidiosa curva a gomito che l’avrebbe immessa nella parte più dura della gara; quella voluta personalmente da Giano.

“Adesso ti faccio vedere io chi è Haruka Tenou, brutto bastardo!” Gettò all’aria rimarcando per l’ennesima volta quanto potesse disprezzare quell’uomo e quanto la sua vita fosse stata un inferno da quando aveva scoperto chi fosse.

Il fitto sottobosco cedette il passo alla boscaglia e poi ai primi cespugli marittimi. Davanti alla donna si aprì l’azzurro scintillante del mare con i pescherecci ormeggiati al largo.

Il mare è il mio elemento. Non ci sono molte altre cose che riescano a rilassarmi come il perdermi nel suo blu.”

“Michiru...” Digrignando i denti ebbe un moto di stizza e curvando troppo bruscamente rischiò d’insabbiarsi in una duna.

“Ma che cazzo fai! Non pensare a lei ora! Concentrati!”

I problemi, le mezze verità, il cuore, tutto doveva passare in secondo piano. Almeno per quei velocissimi e pur lentissimi minuti che ancora la separavano dall’arrivo.

Max perse il contatto visivo dietro una nuvola di sabbia. Abbassando il cannocchiale chiamò Mamoru per sapere come stesse andando.

“E’ nei tempi, ma credo debba dare di più se vuole vincere. La Subaru davanti a lei sta andando forte.”

“Lo darà… e che Sante, Alba e Rose l’aiutino.” Ma a Kiba non arrivò risposta. Abbandonando il pollice sul pulsante al lato della radio, l’uomo tornò a scrutare la valle sottostante dove la Peugeot di Haruka non si vedeva più.

Intanto con il rombo del motore nella testa e lo sguardo fisso sulla strada, la bionda aveva già superato metà del tragitto. Stiamo rispettando la tabella di marcia, pensò gettando un’occhiata al cronometro. E’ quasi ora di aprire le danze.

Un altro chilometro annaspando nella mollezza sabbiosa di quel maledetto percorso e la boscaglia l’accolse nuovamente. Altre due curve molto strette e al primo rettilineo utile macchina e pilota si lanciarono all’inseguimento del tempo. La durezza dello sterrato di campagna le spinse il piede sull’acceleratore fino a toccare quasi la quarta. Soffiando forte sfiorò il tasto del biturbo contando mentalmente a ritroso.

Tre, due, uno… “Ora!”

Il suono del motore diventò improvvisamente più acuto, come un ululato nella notte, mentre tutto all’interno dell’abitacolo iniziava a vibrare. Volante, cruscotto, cambio, persino i denti della pilota. Con la coda dell’occhio la donna vide il panorama naturale farsi sempre più confuso, segno che la velocità stava aumentando. Lo constatò anche dalle oscillazioni verso il basso della lancetta del contachilometri.

“Si…, così!” Prese ad incitare se stessa e la sua auto.

Se tutto fosse andato come doveva la vittoria sarebbe stata sua. Niente più debiti. Chiuso con le banche. Ripianato il bilancio. Avrebbero potuto ricominciare tutto da capo.

Frizione, cambio di marcia ed una nuova accelerazione. Questa volta il suono del motore si fece come più rauco ed Haruka sorrise soddisfatta. “Vola bella, vola… In culo a tutto e tutti. IO SONO IL VENTO!”

Riuscì a dire quando una voce le penetrò il cervello ordinarle di abbandonare l’acceleratore. Non era quella di Giovanna, ma di un’altra donna. Un tono profondo e severo non ascoltato da anni. Decelera! Tuonò imperiosa. Fermati!

Rose? Pensò facendo scattare istintivamente i muscoli del piede verso l’alto mentre un tonfo sordo proveniente dal semiasse sotto al suo sedile le faceva gelare il sangue nelle vene.

 

 

Giovanna forzò sull’acceleratore sperando nella tenuta della sua auto. Una volta spiegata a grandi linee la faccenda della corsa clandestina, si era chiusa in un mutismo fatto di tormento e preoccupazione. Sapeva di aver deluso le sorelle, ma era ancor più lacerante sapere Haruka da sola. Non che non conoscesse il tracciato a memoria, o che non se la sapesse cavare più che egregiamente dietro ad un volante, ma in quel particolare momento della sua vita non era ne concentrata, ne sufficientemente serena per guidare in sicurezza. Per quanto un pilota potesse essere bravo, nel rally avere accanto un navigatore era essenziale. Avere una guida, una bussola umana, evitava distrazioni permettendo un’immersione totale nel percorso.

Se le dovesse succedere qualcosa sarà anche colpa mia. Avrei dovuto prevederlo, si colpevolizzò cercando di ricordare la svolta che le avrebbe portate all’arrivo.

“Giovanna dove siamo?” Ma la voce di Usagi fu troppo leggera per poterla prendere in considerazione.

“Tua sorella ti ha fatto una domanda.” Incalzò Minako che seduta sul lato passeggero aveva evitato di vomitarle addosso tutto quello che stava provando in quel momento ripromettendosi però, di farlo non appena fosse stata presente anche Haruka.

All’ascoltare quell’assurda storia fatta di loschi ceffi, scommesse e corse clandestine era rimasta sconcertata. Come tutti nella zona sapeva che di tanto in tanto qualcuno di poco raccomandabile si riuniva in punti isolati della Provincia per gareggiare, era una prassi consolidata ormai, ma che Haruka e Giovanna si fossero volutamente spinte in quei torbidi affari, l’aveva sconvolta. Come sconvolte erano Usagi e Michiru sedute dietro.

“Allora Giò?!”

Un sobbalzo più accentuato degli altri e frenando esasperata l’altra la guardò con le fiamme negli occhi.“Dammi requie Mina! Sto pensando!”

“Cosa c’è da pensare?! Andiamo dove si dovrebbe svolgere questa cosa e fermiamo la partenza di Haru! Non mi sembra tanto difficile.”

“Pensi che se fosse stato possibile non l’avrei già fatto? Ma la partenza è l’unico punto che non viene mai detto ai piloti. Allora non rimane che l’arrivo ed aspettare che tutto sia finito, ma per tutti i Santi del Paradiso, la strada è un casino e la mia macchina non è fatta per questo tipo di terreno. Ci manca solo che sfasci la coppa dell’olio così tanti saluti al tuo bel programmino!" Immettendosi nello sterrato che ricordava di aver già fatto con la sorella, tornò ad accelerare sentendo scossoni dappertutto.

“Ecco perché uscivate sempre prima dell’alba. Bella prova. Bella prova davvero Giovanna! Complimenti”

“E falla finita! Potresti provare a stare un po’ zittina per fav…” Un boato riecheggiò nella valle che si apriva proprio sotto la loro strada.

“Un tuono?” Chiese Usagi stringendo il poggiatesta con le dita simili a degli artigli.

“No…” Soffiò la maggiore contraendo tutti i muscoli.

Una specie di sparo, ma più cupo e potente, poi da dietro una serie di chiome un denso serpente scuro iniziò a salire verso il cielo.

“Oddio…” Lamentò Usagi arpionando la mano di Michiru mentre Giovanna ingranava la marcia partendo a razzo.

“Tenetevi forte! Siamo quasi arrivate.”

Quando Mamoru riconobbe l’auto di Giovanna improvvisamente sbucata da dietro un roveto, si sentì stranamente sollevato. Un po’ meno lo fu quando alla maggiore delle Tenou si aggiunsero le altre. Usagi in testa.

“Mamo?!” Urlò percorrendo in un lampo i pochi metri che li separavano.

“E queste?” Abbaiò uno degli organizzatori che fino a quel momento gli era rimasto incollato per controllarlo.

“Lasci… sono con me.”

“Tutte?”

Sospirando scosse affermativamente la testa bruna. “Si… Tutte.”

“Poi mi dirai che cavolo ci fai qui! Dimmi che Haruka non è ancora partita.” Gli chiese Giovanna strappandogli la radio di mano.

“Si. Circa sette minuti fa. Dovrebbe essere a trequarti del percorso,”

“Venendo qui abbiamo sentito una specie d’esplosione…”

“Lo so. Stavo proprio per mettermi in contatto con lei.”

“Il canale?”

“Il terzo.”

Spostando la manopola da Max a quello del casco della sorella, la maggiore provò a contattarla. “Haruka da Giovanna, Haruka da Giovanna… Mi ricevi?” Come risposta solo il gracchiare sgraziato del nulla. Il canale era aperto, ma dalla parte opposta non si poteva o voleva replicare.

“Haruka! Porca miseria rispondimi!” Ancora niente.

“Mamo....” Pigolò Usagi stringendosi alla sua maglietta.

“Non pensiamo subito al peggio. C’è un’altra macchina prima della sua e un’altra è appena partita.”

“E allora perché non mi risponde?” Chiese laconica una Giovanna sempre più in ansia.

Fissando i visi delle sorelle li vide cambiare improvvisamente colore, poi guardando la parte del sottobosco dalla quale presumibilmente era partito il boato, incrociò la sagoma di Michiru bloccata a scrutarne la penombra e senza apparente motivo capì.

“Michiru… - Riuscì a dire prima che la forestiera non iniziasse a correre verso l’ultima parte del tracciato. - Dove stai andando?!”

Mamoru le fece eco. “Fermati, è pericoloso! Potresti venire travolta!” Ma lei era già sparita dietro ad un grande fusto arboreo.

“Porca… Mamo, con quale mezzo sei venuto?”

“Il pick-up di Max.”

“Bene, allora tieni la radio e chiamalo. Digli di tenersi pronto, lo passeremo a prendere. Mina, tu prendi la mia macchina ed andate tutti nel punto dove ci siamo fermate prima. Ti ricordi dov’è?”

“Si, ma Haruka?”

“A lei penso io. Ora andate.”

Fermandola per una spalla il ragazzo cercò di usare più tatto possibile nel chiederle se non fosse stato meglio chiamare un’ambulanza.

“Non ci troverebbe mai in un posto tanto isolato. Fai come ho detto, ti prego.” E seguendo Michiru in pochissimo sparì anche lei.

 

 

Il casco aveva attutito il boato della deflagrazione, ma le orecchie le fischiavano ugualmente. Aprendo gli occhi intravide il verde degli alberi e il cielo sopra di loro. La gola arsa, i sensi fino a pochi istanti prima acutissimi, ora completamente appannati. Da quanto era stesa nell’erba? Secondi, minuti, ore? Cercando di alzarsi sui gomiti gemette al dolore acuto proveniente dal costato ed arpionandoselo con la destra s’immobilizzò ansimando. Provò allora a muovere piano le gambe, che risposero. Ma non il braccio sinistro. Spostando lentamente il collo se lo guardò e quello che vide proprio sotto le toppe dei suoi vecchi sponsor, fu la dislocazione dell’articolazione del gomito che stava dando all’arto una posa del tutto innaturale.

“O cazzo…” Sussurrò a se stessa rivolgendo gli occhi poco oltre, alla pira rovente nel quale era avvolto il suo peugeottino. Con parte del muso contorto, ardeva come nel più sacro dei funerali celtici e ad Haruka tornò in mente una vecchia immagine vista in un libro di scuola più di vent’anni prima, dove la barca sopra la quale era stato deposto il corpo di un grande re, data alle fiamme solcava le acque di un lago nordico per l’ultimo viaggio verso il Valalla. Immagine poetica se non fosse stato per la drammaticità del momento.

“Devo alzarmi…” Bofonchiò non riuscendoci.

Stretta come in una gabbia si tolse allora il casco per cercare un po’ di sollievo. Lo vide leggermente graffiato sul lato sinistro e provò a capire quale fosse stata la dinamica dell’incidente. Il tremore improvvisamente avvertito sotto l’auto pochi istanti prima di perderne il controllo, non poteva che indicare il cedimento delle saldature fatte sulle crepe accanto al semiasse sinistro. Uscito fuori dal suo alloggiamento questo aveva innescato un effetto domino. Le ruote anteriori ormai inservibili si erano allora bloccate verso sinistra facendo ruotare l’auto su se stessa e portandola ad urtare parte del muso, la fiancata e il serbatoio contro un albero per poi finire la carambola dentro una buca.

Urlando la bionda gettò il casco lontano. Se non avesse rallentato un istante prima della rottura, l’auto avrebbe avuto più spinta, si sarebbe ribaltata e lei non avrebbe avuto scampo. Haruka non credeva a queste cose, era fermamente convinta che ci fosse un dopo e che un essere superiore spesso e volentieri si divertisse a dar noia agli uomini, ma il suo cervello razionale non permetteva alla sua spiritualità di andare oltre. E forse per vivere da brava persona non serviva nient’altro. Ma la voce che aveva sentito l’aveva spinta a decelerare quando invece avrebbe dovuto fare tutto l’opposto. Un comando urlatole direttamente dalla coscienza, dalla paura, da una premonizione o da qualcosa di più profondo? Ma stava di fatto che quell’ordine l’aveva salvata. Riducendo di quel niente la velocità, l’impatto era stato meno violento e aveva permesso all’auto d’incassarsi in quel buco con una posizione che le aveva permesso di aprire la portiera ed issarsi fuori dall’abitacolo.

Barcollando era crollata esausta pochi istanti prima di vedere la macchina prendere fuoco. Non ricordava di aver perso i sensi, ma per innescare una deflagrazione come quella, con molta probabilità era passati svariati minuti.

Era ancora viva e quando sentì il suo nome riecheggiare tra il sottobosco, n’ebbe maggior coscienza.

“Haruka!”

La voce di Michiru strozzata dall’angoscia. Gli occhi fissi sulla macchina in fiamme ed il terrore cieco ad annebbiarle i pensieri. Il cuore impazzito accelerato fino all’inverosimile.

“Haruka!” Urlò ancora più forte provando ad aggirare le fiamme.

E li la vide, distesa ad una decina di metri, con il braccio destro alzato a farle cenno.

“Michiru… Sono qui.”

La bionda si stupì più del fatto che fosse riuscita a sentirla che di trovarsela davanti.

“Sei ferità?!” Chiese accovacciandosi al suo fianco.

“Bene non sto… - Sfotté provando a sorriderle. - Mi spieghi che cosa ci fai qui?” Poi un’espressione improvvisamente seria.

“Ma sei reale?”

“Certo che lo sono, stupida! Non muoverti, presto le tue sorelle saranno qui.”

“Dunque Giovanna si è liberata chiamando la cavalleria.”

“Non fare dello spirito! Non ora! Ma come ti è saltato in mente! Avresti potuto ucciderti.”

L’improvviso moto di rabbia della forestiera spinse Haruka sulla difensiva. “Mi ronzano le orecchie e credo di avere qualcosa di rotto…, Kaiou, non urlarmi contro.”

L’altra spalancò gli occhi spingendola a proseguire. “Si, so chi sei. Immaginavo fossi ricca, ma porca miseria… non credevo fossi anche tanto famosa.”

Perché mi hai tradito Giovanna? Pensò l’altra prima di farfugliarle che la sua posizione, la carriera, il violino, rendevano tutto molto più complesso delle ovvie apparenze.

“Posso spiegarti tutto…”

“Prendimi il polso.”

“Come?”

“Il polso! - Ripeté la bionda accecata dal dolore. - Mi sono lussata il gomito e deve tornare al suo posto!"

“Giovanna sta arrivando. Ti porteremo all’ospedale.”

“Fa un cazzo di male! Forza, prendi il polso, Michiru!

“Non ne sono capace.”

“Hai guidato un Landini e sei un Primo Violino... Puoi fare anche questo! Prendilo e mettimi un piede sotto l’ascella e tira verso di te più forte che puoi.”

Spinta dallo shock che ancora le stava pompando nel corpo una quantità spropositata di adrenalina, non avrebbe avvertito poi tanto dolore. Almeno sperava.

Michiru ubbidì, ma una volta trovata la posizione per lei più comoda, guardò la bionda per niente convinta. “Ti farà male. Le lussazioni sono dolorose.”

“Niente di paragonabile al perdere quello che ho perso oggi!” Ringhiò come un lupo ferito.

“Haruka… non ne ho il coraggio. Aspettiamo Giovan…”

“Tira, porca puttana! Devo forse pensare di avere davanti una bimbetta che si blocca per un non nulla come questo! Avanti donna! Non è poi tanto difficil..!”

L’orgoglio di Kaiou si accese, le mani serrarono il polso della pilota e con un colpo seccò le strattonò il braccio. Il leggero crac che seguì l’infelice uscita di Haruka fece riecheggiare il suo grido strozzato per gran parte del sottobosco.

“Oddio… Scusami. Scusami.” Supplicò Michiru mentre la bionda si copriva gli occhi con l’avambraccio sano.

“Non volevo… Tutto bene?”

“Porco di quel diavolo infame!”

“Scusami.”

“Non… importa. Va bene… Va bene... Sei stata brava…”

“Ora stai tranquilla. Tua sorella sarà qui a momenti.”

“Haruka! Michiru!” Giovanna comparve ansimando a qualche metro da loro.

“Eccola!” Esplose la forestiera sollevata.

Era come se stesse tremando dentro. Una sensazione stranissima, sicuramente dettata dall’ansia di avere immaginato il peggio.

Inginocchiandosi acanto alla minore, Giovanna si sincerò di come stesse. “Riesci a muovere le gambe?”

“Si, ma è lo sterno che mi fa male. Credo di avere qualche frattura. Dopo l’impatto il volante è parzialmente rinculato e mi ha preso.”

“Ha anche una lussazione al gomito sinistro.” Aggiunse Michiru.

“Dobbiamo ridurla.”

“Ci ha già pensato lei.” Disse Haruka sentendo la mano della forestiera improvvisamente serrata alla sua.

Slacciandole la tuta e scansando la T-shirt, Giovanna sospirò al costato della sorella. Neanche quindici minuti e già si stava arrossando. “Adesso ti portiamo al Pronto Soccorso. Le ragazze stanno arrivando.”

“Potevi evitare di portare anche loro!”

“Non sono bambine e hanno voluto sapere cosa stesse bollendo in pentola. Non l’hanno presa bene e ti avverto che Minako è incazzata nera.”

“Lo sapevamo quale sarebbe stata la reazione, ma credevo che vincendo…”

“Già. Vincendo. Cosa diavolo è successo? Perché la macchina è ridotta così?”

“Non ne voglio parlare ora.” Laconica tornò a coprirsi gli occhi con l’avambraccio contraccambiando la stretta di Michiru. Era calda ed accogliente. Aveva un senso di casa, come un camino acceso o lo scialle caldo della nonna.

Quel pensiero le fece nascere una risata isterica. “Nonna…”

“Come?” Chiese Kaiou.

“Lascia perdere, è lo shock.”

“Sei sicura?”

“Più o meno. Comunque sempre meglio ridere che piangere.” E non c’erano dubbi.

Una manciata di minuti e Mamoru apparve saltellando sul declivio che portava alla strada. Bianco come uno spettro cercò di capire come stesse Tenou avvertendo poi con la radio Max che intanto li stava aspettando. Una volta aiutata la pilota a rialzarsi provò in tutti i modi di caricarsela tra le braccia, ma mai che quella testa di legno lo ascoltasse o lo prendesse sul serio.

“Dammi piuttosto qualcosa per bloccarmi il braccio e piantala di voler fare a tutti i costi il cavalier servente con me che hai sbagliato sorella!”

“Hai il cranio più duro di un pezzo di granito! Prenderemo il pick-up di Max così potrai sdraiarti più comodamente. O hai paura che si tramuti in una zucca vuota come la tua testa?!” Disse esasperato tornando sui suoi passi mentre Michiru aiutava una bionda al limite del vaffa.

Era stato trascinato in quel casino per il collo, chiamato la sera precedente da un Max per niente sicuro di quello che le sorelle Tenou stavano per fare. Mi serve un aiuto fidato, gli aveva detto e lui aveva accettato sapendo che da li a qualche ora, qualunque esito avesse avuto la corsa, in quella famiglia si sarebbe scatenato l’inferno. Aveva già i suoi bei problemi con suo padre senza che quella bionda acida e testarda ci mettesse del suo.

“Cammina, cammina pure se vuoi, ma se peggiorerai la situazione sarà solo colpa tua! Testa a vongola!”

“Imbecille…” Gli rispose Haruka sorretta dalla stretta di Kaiou.

Giovanna scosse la testa e prese a seguirli, non prima però di aver detto addio al loro peugeottino con un ultimo tristissimo sorriso.

 

 

Uscendo dalla stanza si richiuse la porta alle spalle e sospirando poggiò la schiena all’anta nel primo, vero momento di tregua avuto dall’inizio di quell’interminabile giornata. Sarebbe potuta andar peggio e Giovanna lo sapeva bene, ma per quanto si sforzasse, ancora non riusciva a scrollarsi di dosso quella brutta sensazione di tragicommedia. Chiudendo gli occhi ripensò alle parole che si erano scambiate lei ed Haruka poco prima di vederla crollare tra le lenzuola del suo letto.

“Giò, non avercela con me. Spero tu capisca che l’ho fatto solo ed esclusivamente per te e le nostre sorelle.” Le aveva detto pianissimo fissando apatica il soffitto lasciandosi rimboccare le coperte.

No che non capiva. Ed incollerita com’era, Giovanna avrebbe fatto fatica a farlo.

Rimanendo in silenzio aveva spinto la bionda a proseguire. “… Arrivaci da sola…”

“Hai detto di non fidarti di me, che di un copilota non sapevi che farne. A me sembra tutto molto chiaro.”

“Non ti smentisci mai. Sei sempre stata ottusa!”

“E certo, perché tu sei il genio della lampada! Credevo che ti fosse passata, invece mi hai detto una marea di stronzate che ti saresti anche potuta evitare.”

La maggiore era finalmente sbottata, ma senza urlare ne dare di matto, aveva semplicemente asserito che Haruka avrebbe dovuto ammettere una volta per tutte che l’acredine che provava per essere stata lasciata sola dopo la morte dei loro genitori. non soltanto era presente, ma avrebbe continuato a dividerle.

“Ancora con questa storia… Vai oltre Giovanna.”

“Sei tu che non riesci ad andare oltre. Quello che però mi fa più male è l’aver creduto in un tuo perdono. Come se poi avessi ammazzato qualcuno! Ma va bene così… Forse hai ragione; sono proprio ottusa.”

“E smetti di fare la vittima. Se ti senti ancora in colpa per la delight il problema è solo il tuo!”

“No, sei tu che da quando sono tornata non stai facendo altro che puntarmi l’indice contro…”

Haruka si era sentita troppo stanca ed intontita dagli antidolorifici per riuscire a starle dietro, ma comunque non aveva voluto lasciarla con la convinzione di essere stata tradita. Tentando di sistemarsi meglio sul cuscino finalmente l’aveva guardata dritta negli occhi.

“Ascolta, lo sai meglio di me che il sotto della macchina era ridotto da far spavento…”

“E allora? Non avevi saldato tutte le crepe?”

“Si, ma dopo le prime prove su strada se ne sono aperte un paio vicino al semiasse sinistro. Ho riparato anche quelle, ma era solo questione di tempo prima che si spaccasse qualcosa.”

Giovanna si era allora accovacciata solcando la fronte con una profondissima ruga. “Fammi capire bene, Haru… Mi avresti chiusa dentro la rimessa solo per paura di trascinare anche me in un possibile incidente?” In realtà era da lei.

“Credi che sia tanto bastarda da pianificare con te una cosa importante come quella di una gara che avrebbe potuto risolvere gran parte dei nostri problemi finanziari, per poi darti un calcio in culo al momento di salire in auto? E per che cosa, una vendetta? Dio del cielo, Giò! Pensi veramente questo di me! “

“Cosa avrei potuto pensare dopo tutte le parole al vetriolo che mi hai gettato contro?!”

“Dovevo essere convincente quanto basta per tenerti buona per un po’ , anche se in effetti mi è scappata un po’ troppo la lingua. Ma si sa, tra sorelle alle volte ci si può far male.”

“Invece di fare sempre di testa tua avresti dovuto parlarmene. Ti sei addossata responsabilità che sarebbe stato più giusto prendere in due.”

“E che cosa avresti fatto… sentiamo? Con le garanzie che ho dato non potevamo ritirarci. - Già, le garanzie. - Cerca di essere onesta e dimmi se al sapere di nuove crepe mi avresti lasciata correre. E se ci fossimo ammazzate entrambe, chi avrebbe pensato a mandare avanti la baracca? E a Minako ed Usagi non ci pensi?”

“Non tirarle in mezzo…”

“Devo tirarcele per forza visto che non vuoi capire. - E rendendo ancora più lieve la voce aveva ceduto al sonno. - Fa come ti pare! Se non vuoi credermi pazienza. Tanto adesso è tutto finito…”

“Cosa intendi dire?” Ma la bionda non aveva risposto. Chiudendo le palpebre rese pesanti dai farmaci e dalla stanchezza, aveva finalmente rilassato il viso sprofondando in un’incoscienza priva di sogni.

L’ennesimo conflitto era terminato così; senza vinti, ne vincitori. Come al solito. Due caratteri estremamente testardi a cozzare l’uno contro l’altro in un cielo carico di puro amore. Ora rimasta sola a rimuginare sull’accaduto, Giovanna non poteva che chiedersi cosa sarebbe successo adesso che il miraggio di un cospicuo premio in denaro era sfumato.

Di quanto si sarà indebitata per partecipare alla gara? Pensò spalancando gli occhi al tocco di una mano sul suo braccio.

“Come sta?”

Michiru le apparve come un angelo misericordioso dallo sguardo cupo.

“Domani starà meglio. Quello che le hanno dato al Pronto Soccorso stenderebbe anche un cavallo. Dormirà per ore e poi tornerà a dettar legge più petulante di prima.”

“La cena è quasi pronta.”

Staccandosi a forza dalla porta Giovanna sorrise sfregandosi le mani. “Meno male. Passata l’ansia mi è venuta una fame…”

“Mi avevi promesso che non glielo avresti detto.” La colpì già verso le scale.

“Detto cosa?”

“Che sono il Primo Violino della Filarmonica di Vienna! Che sono Michiru Kaiou!"

Giovanna scosse la testa mentre la violinista proseguiva. “Mi avevi assicurato che sarebbe rimasto fra noi. Ti sei riempita la bocca di belle parole sull'amicizia ed invece non sei riuscita a tenertelo per te!”

“Kaiou, frena. Ascoltami, avrò anche tanti difetti, ma quello di non sapermi fare gli affari miei non è tra questi! Non sono stata io a dire ad Haruka chi sei, ma Bravery.”

“Stella Kou!”

“Si. Qualche giorno fa ha fatto vedere ad Haruka una vecchia rivista di musica dov’era riportato un articolo che parlava di te. Non lo so, credo l’abbia fatto per ripicca o gelosia, ma sta di fatto che è leggendo quelle pagine che mia sorella è venuta a sapere della tua identità, del tuo lavoro e di parte della tua vita privata.”

Michiru s’irrigidì di colpo. “Vita privata?”

“Seiya.”

Abbassando la testa si sentì improvvisamente in colpa, sia nei confronti di Haruka, che aveva scoperto tutto in maniera tanto bieca, che della donna che ora le stava davanti con il viso più stanco che le avesse mai visto. “Ti ho aggredita ingiustamente non pensando che potesse essere stata colpa di quell’arpia.”

Ma Giovanna non rispose, anzi portandosi due dita agli occhi digrignò i denti trattenendo il respiro. Nel silenzio del corridoio si sentì una specie di singulto strozzato e Michiru capì. Mortificata le fu subito accanto.

“Ti chiedo scusa! Oggi non ne faccio una giusta.” E fece per stringerle le spalle, ma l’altra si ritrasse.

“No! Non farlo! Se mi abbracci mi metterò a piangere e non me lo posso permettere.”

“Scusami…”

“Non è per te…, ma adesso che è tutto finito sto realizzando… che questa mattina stavo per perdere mia sorella … “

“Giovanna…”

“Ho bisogno di un attimo Michiru. Puoi andar giù e dire alle altre che scendo subito? Non devono vedermi così.” E non lasciando all’altra neanche il tempo di rispondere, schizzò in bagno a nascondere al mondo quell’ovvio istante di fragilità.

 

 

 

 

Note dell’autrice: Ciau. Non capendone un piffero di motori, spero di aver reso almeno un pochino il patos di una gara. Adesso che i nodi stanno venendo al pettine, scopriremo come si comporterà Michiru in una situazione che la vede finalmente allo scoperto, cosa avrà scommesso Haruka e chi si cela dietro il nome di Giano. Su di lui forse, non lo so se riuscirò a rivelarvelo sin dal prossimo capitolo. Vedremo.

Ringrazio tutti coloro che mi stanno seguendo, anche per le ff passate, chi recensisce e chi aspetta paziente il susseguirsi dei capitoli.

Un grazie grande a Ferra10, che una volta messo on line ha la dedizione di suggerirmi le sviste che tendo a fare.

A prestissimo.

Ciauuu

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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