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Autore: Enchalott    03/12/2019    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alleanze
 
Urien scaraventò al suolo Shion con impeto, sbattendo animosamente la porta della cella. Il buio calò, ma non risultò ponderoso come quello emanato dalla creatura nera.
“Sei semplicemente un povero idiota o hai cercato di farti ammazzare?!” sibilò.
Il giovane non rispose, ansimando, inchiodato sul pavimento dalla rabbia ferina e incontenibile del Primo Consigliere. Quando aveva compreso di non essere più utile al principe del Nord, si era illuso di potersi finalmente affrancare da se stesso. Aveva sperato fino all’ultimo che l’arciere Aethalas cogliesse il bersaglio, liberandolo da quella vita che non anelava più. Invece, era stato salvato proprio dalla creatura cui aveva cercato di sfuggire.
Salvato… che termine assolutamente ridicolo.
Urien non gli aveva permesso di svincolarsi dal patto che avevano stretto, dal rimorso che gli rendeva insopportabile l’esistenza, dallo sguardo distrutto ma fraterno e speranzoso di Adara, da tutta l’oscurità che lo aveva avvinto, dal male che avrebbe ancora e ancora compiuto.
“No…” pregò, implorando che quel mostro non lo torturasse con la magia “No, ho solo detto ciò che pensavo. Non sono riuscito a sopportare quelle parole…”.
L’individuo nerovestito evocò l’incanto oscuro e gli scaricò addosso un’ondata di energia occulta, che lo fece boccheggiare di sofferenza.
“Non ti è stato chiesto di pensare, bensì di servire! Hai rischiato di compromettere il nostro sodalizio con la tua loquace imbecillità! Il reggente non è uno stupido, ha intenzione di parlarmi a quattrocchi domattina… se è riuscito a comprendere che stiamo cercando di spodestarlo, le cose si complicheranno ulteriormente!”.
“Perdonatemi… non era mia intenzione, ho peccato di ingenuità…”.
“Gli errori si pagano cari!” ruggì Urien, percuotendolo nuovamente con violenza estrema “Se la tua trovata avesse disgraziatamente messo in allarme Anthos, ti darò una fine ben peggiore della morte, fosse l’ultima cosa che faccio!”.
Shion iniziò a tremare, rannicchiato a terra come un mucchio di stracci logori.
“Spera per te che tua sorella se lo tenga stretto tra le gambe e lo faccia divertire per qualche giorno, abbassandogli i livelli d’attenzione!”.
Il ragazzo inorridì, senza sollevare il viso dalla polvere, pensando a Adara costretta nelle spire di quel demonio. Un’altra responsabilità di cui aveva tutto il carico, che gli faceva provare disgusto per se stesso e repulsione per la propria debolezza. Se avesse confessato il contatto con Iomhar a tempo debito, prima che fosse impossibile sfuggire alle maglie intessute dal Nemico, lei non sarebbe mai giunta a quel punto.
“Sinceramente non capisco perché il reggente abbia scelto di sposarla! Ereditare Elestorya non è certo il motivo principale! Gli sarebbe bastato sottrarle la Profezia per possedere un’arma di ricatto portentosa!” continuò l’essere malvagio, ragionando ad alta voce “Vuole certo usarla per i suoi fini segreti e io ancora non sono riuscito a venirne a capo. Che poteri ha quel suo Crescente, eh? Rispondi!”.
“Non… non lo so mio signore!” rantolò Shion “Non si è mai manifestato!”.
“Dovrò scoprirlo e tu mi darai una mano, vero? Perché non desideri che la fine del creato si abbatta su di noi, no? E sai bene che solo io sono in grado di arginarla…”.
“Sì… sì, obbedirò ai vostri comandi”.
“Vedo che ci capiamo. Ti avevo avvisato che qualche sacrificio sarebbe stato necessario, quindi ora non ti farai prendere dagli scrupoli, spero…”.
“No, mio signore”.
Urien interruppe il controllo su di lui, infilando il braccio raggrinzito tra le pieghe dell’abito scuro. I suoi perfidi occhi borgogna sfavillarono sotto la cappa bruna.
“Allora sceglieremo con cura il giorno adatto. Quello in cui eliminare sia Adara sia Anthos. In questo modo assumerò la supremazia sul Nord e stanerò Irkalla dal suo buco. Sento che è vicino, anche se sfugge alla mia caccia. È l’unico che può seriamente darmi dei grattacapi. L’unico che potrebbe intuire qualcosa… Forse, la Profezia del Sud spiega come rintracciarlo”.
Shion si raddrizzò tremante, asciugandosi il sudore dal viso esangue e fissando la figura spaventosa e ingobbita del suo aguzzino. Del suo… Nemico.
Quando rimase nuovamente solo, scoppiò in un pianto a dirotto.
 
La temperatura delle prigioni di Jarlath era insopportabile. Un gelo che penetrava nelle ossa e nella volontà, costringendo i carcerati alla resa incondizionata, a invocare la morte come unico, ultimo conforto.
Il gocciolio monocorde delle stalattiti di ghiaccio appese al soffitto faceva da sottofondo alle grida disperate dei prigionieri, ai rantoli graffianti d’agonia che si riverberavano lungo le pareti di pietra e attraverso i bui pozzi di aerazione, che non avevano altro effetto se non quello di trasportare altro inverno dall’esterno.
Il pavimento era umido e incrostato di calcare biancastro. Emanava odore di muffa e di sangue, di antico e di stantio. Di condanna eterna.
Aska Rei non aveva trovato la forza per trascinarsi sul pagliericcio posto in un angolo della cella e vegetava disteso a terra, ottenebrato dalla sofferenza e dal freddo.
Alternava uno stato confusionale, fatto di immagini e visioni, ad una lucidità che gli spostava i sensi sul dolore lancinante che avvertiva alla schiena.
Ricordava che il guardiano lo aveva raggiunto in quel luogo dimenticato dagli dei, dopo che era stato trascinato via dal tempio semi incosciente a causa del colpo ricevuto da Anthos. L’energumeno gli aveva imprigionato i polsi tra le catene, in modo che restasse in ginocchio, e aveva sciolto la frusta.
Il primo colpo lo aveva svegliato dal torpore. Il secondo gli aveva strappato il fiato. Era riuscito a subire il terzo senza emettere un lamento. Non così per il quarto. Aveva presto abbandonato il conto delle scudisciate che piovevano ritmicamente sul suo dorso abbronzato e muscoloso. Aveva subito perso i sensi, fiaccato dalla debilitazione del viaggio che aveva affrontato, dalla preoccupazione immensa per Adara, dalla delusione che aveva provato nel vedere che gli uomini che avrebbero dovuto proteggerla, in realtà, non l’avevano assolutamente fatto.
Non conosceva Narsas e non si era mai fidato di lui. Pertanto, non si era sorpreso nel vederlo in qualità di testimone accanto alla sventurata sposa. Forse aveva agito in quel modo per disinteresse o per salvarsi la vita. Eppure, qualcosa nel suo sguardo gli aveva detto che non era così. Il ragazzo era dannatamente in pena e aveva tutta l’aria di stare presenziando a un’esecuzione capitale.
Vedere Dare Yoon nella stessa posizione gli aveva procurato una rabbia immensa. Proprio lui che non accettava accordi e si buttava a testa bassa nella mischia, se ne stava remissivo ad assistere al matrimonio prescritto della sua principessa. No… non poteva essere. Le cose erano diverse da come gli erano apparse di primo acchito. Si conoscevano da un’eternità, era il migliore amico che avesse mai avuto, il fratello che avrebbe desiderato. Aveva condiviso tutto con lui, era l’unico a conoscere la sua storia travolgente con Dionissa, l’unico in grado di farlo ragionare quando si lasciava trasportare dalla collera. E viceversa. Il suo vice non avrebbe mai accettato quella porcheria… salvo per ordine di Adara stessa o per eccellente piano di riserva.
Era andato vicino a trarre delle conclusioni affrettate e ingiuste per via del sangue che gli era salito alla testa a fronte dell’espressione impassibile e sfidante di Anthos, che fosse maledetto dall’universo intero!
Non era da lui saltare alle deduzioni prive di ragionamenti.
Il bruciore insostenibile alla schiena gli fece serrare i pugni. Fu scosso dai brividi e il movimento involontario gli costò un accesso di fitte roventi.
Perché allora Adara aveva preso una risoluzione del genere? Il mosaico che possedeva era incompleto. Avrebbe dovuto cercare le tessere mancanti. Ma prima avrebbe dovuto uscire da lì. Vivo possibilmente.
La porta della cella cigolò sui cardini arrugginiti, proiettando uno spiraglio più chiaro al suolo. Non trovò l’energia sufficiente per voltarsi e, comunque, pensò che fosse meglio fingere di essere ancora nel mondo dei sogni.
Il reggente aveva espresso il desiderio di interrogarlo. Aveva perso la cognizione del tempo, ma dal dolore penetrante proveniente dalle piaghe aperte non poteva essere che trascorsa qualche ora da quando aveva patito quella tortura. Anthos doveva ancora essere impegnato nei festeggiamenti per le nozze oppure… oh, dei… Adara!
Udì dei passi leggeri e intravide il lucore di una lanterna introdursi nella stanza scura.
“Non abbiate timore, capitano…” sussurrò gentilmente una voce di donna.
Il fruscio di una veste che sfiorava il pavimento e si fermava accanto a lui lo convinse di non essere preda di un’allucinazione. Aprì faticosamente le palpebre.
“Dionissa…” mormorò in un soffio appena percettibile.
“Mi chiamo Màrsali” precisò lei, chinandosi e appoggiando qualcosa a terra “Sono qui per aiutarvi. Sono dalla parte della principessa”.
“Adara…” balbettò lui “Lei… sta… lei è…?”.
“No, capitano, non muovetevi” pregò la fanciulla “Anche se mio marito vi ha inferto soltanto un terzo dei colpi previsti, le vostre ferite sono gravi. Se non le medico immediatamente, faranno infezione e purtroppo non c’è rimedio ad essa quaggiù”.
“Vostro…marito?” esalò il giovane, dubbioso.
Da quanto poteva scorgere, la ragazza che gli stava prestando soccorso era poco più che adolescente, era minuta e fragile nel suo abito celeste, con due grandi occhi azzurri dolcemente spauriti. Eppure, emanava a suo modo una forza prodigiosa e consolante, quasi materna. Come lei. Come il suo unico amore. Come la donna cui aveva giurato di tornare a ogni costo.
“Mi dispiace” continuò Màrsali “Non ha potuto fare altro. Il principe se ne sarebbe accorto e non possiamo correre il rischio di farlo insospettire, proprio ora che voi siete qui. Spero che il sonnifero sulla frusta abbia fatto subito effetto…”.
Aska Rei sollevò leggermente il viso. Quindi, non era svenuto come una femminuccia… Si contrasse con un gemito, quando la sentì passare una pezzuola umida sulle sue lesioni.
“Vi domando scusa, non sono una guaritrice. Vi ho portato anche delle coperte e qualcosa da mangiare. Dovete rimettervi”.
“Ma cosa… cosa sta succedendo? Siete la moglie di quel…?”.
“Demone?” completò lei, quasi con allegria “Sì, il suo nome è Haffgan. Ma non dovete farvi ingannare dalle apparenze. Adesso non posso rivelarvi di più”.
“Capisco perfettamente e vi ringrazio. Non preoccupatevi, non parlerò. Anthos può torturarmi fino alla morte, anche se non so cosa possa volere da me. Ditemi di Adara, piuttosto… che cosa le ha fatto quel figlio di un cane?”.
Màrsali scosse la testa, continuando a spalmargli con cautela un unguento lenitivo sulla schiena nuda e martoriata.
“Fino ad ora non le ha arrecato alcun male. Non per buon cuore, come potete immaginare. Con il matrimonio, il reggente desidera unificare i Due Regni”.
Il comandante ci mise un attimo a collimare.
“Cosa!?” sbottò poi, spegnendo il grido in un lamento soffocato.
“Contro il buonsenso, contro la Profezia, contro il futuro stesso del creato. Siamo sull’orlo di un baratro e a lui non importa. La principessa ha scelto di acconsentire alla sua richiesta perché è la vostra Campionessa. La sola che possa contrastarlo. Sta sacrificandosi per noi tutti”.
“Ma questo è assurdo!” brontolò il giovane “Che cosa può fare Adara contro un uomo del genere? Contro il suo malvagio potere?”.
“Abbiate fede, comandante” sorrise la ragazza “Non devo certo ricordarvi che la prescelta porta il Crescente. Non combatterà con le armi e la magia, è vero… ma io sono convinta che tutte possibilità siano rappresentate da lei”.
“E cosa vi darebbe una tale, superba certezza?” insinuò lui, sospettoso.
Lo sguardo gli cadde sulle piccole mani della fanciulla, intente a svolgere le bende di medicazione e segnate dai dehalbh.
“Voi siete una veggente!” esclamò, realizzando rapidamente l’arcano.
“Lo ero prima di diventare la moglie di Haffgan” rispose lei “Ma ricordo che cosa ho interpretato prima di tale evento”.
Rei aggrottò la fronte, poco convinto, osservando il viso serio e teso della fanciulla.
“Ehi, con chi credete di parlare?” ridacchiò poi, nonostante il dolore “Quella della verginità è una stupidaggine immane! Se mi aveste raccontato di aver preso una botta in testa e aver perso il dono per quello, vi avrei creduto in misura maggiore”.
“C-cosa dite?” si schermì Màrsali, arrossendo a quelle parole tento dirette.
Scrutò nelle iridi grigie del giovane, che scintillavano di ironia e sfacciataggine, nonostante il precario stato di salute.
“Poco fa, nella nebbia della mia semi incoscienza, vi ho scambiata per mia moglie. Ho compreso il perché. Dionissa, la principessa veggente di Erinna, è la donna che amo. Perciò, se vi dico che non credo a quella panzana, è perché ne ho esperienza. Diretta, per essere chiari”.
La ragazza sbarrò gli occhi e avvampò, ritirando impacciatamente i medicinali.
“Come prima” riprese lui, mettendosi faticosamente a sedere “Il vostro segreto è al sicuro con me. Promettetemi di assistere Adara, finché non riuscirò a uscire da qui”.
Lei annuì, confortata.
“Lo sto già facendo” rispose, porgendogli una coperta e aiutandolo a sistemarsi sulla paglia “Sono con lei tutti i giorni a Leu-Mòr. Vi faremo fuggire, comandante, ma mio marito non deve essere coinvolto. Studieremo un sistema”.
“Ci conto” fece lui, spossato “Leu-Mòr… razza di bastardo, la tiene rinchiusa lassù!”
“No. Il principe vive lì e vuole sua moglie con sé. Datemi pure della pazza, ma io credo che non le farà del male. Adara mi ha raccontato che, durante il viaggio, ha incontrato ostacoli mortali. Anthos, più o meno indirettamente, l’ha protetta”.
“Non è difficile capirne il motivo” ringhiò lui “Ma fingiamo che per ora sia un bene che Anthos abbia un interesse personale, seppur sporco”.
“Riposatevi, capitano” mormorò la ragazza, porgendogli il contenitore con la zuppa “Tornerò da voi appena possibile e veglierò su di lei. Anche i suoi due compagni di viaggio hanno rifiutato la libertà per restarle accanto”.
“Vi attenderò, Màrsali. Grazie”.
Aska Rei osservò l’uscio metallico che si richiudeva, raschiando.
Dare Yoon, allora, aveva il piano B e l’Aethalas lo avrebbe supportato. Sorrise.
 
Fu svegliata dal rigore della stanza: le fiamme si erano estinte durante la notte e nell’ambiente aleggiava ancora una penombra avvolgente, nonostante i tendaggi spalancati sul vuoto sbiadito sovrastato da Leu-Mòr.
Il rosa quasi artificiale dell’aurora, mischiato al giallo intenso del sole che sorgeva ogni mattina sul deserto le mancò terribilmente in quell’alba perlacea e monotona, oltremodo uguale a ciò che sarebbe stato il resto del dì. Per sempre.
Adara si rannicchiò ulteriormente sotto le pellicce che coprivano la sua nudità. Si era addormentata così, senza avere la forza di cercare un indumento da indossare, spossata dalla successione degli eventi del giorno precedente e dalla deflagrazione incontrollabile del Crescente. Non era certo stata lei a governarla. Forse, l’aveva provocata inconsciamente come reazione a lui… anche se in quel momento era completamente rassegnata e aveva accettato che il principe la prendesse fisicamente, proferendo tuttavia quei termini pesanti e ricevendone di pari in cambio.
Anthos.
Era nuovo e insolito vederlo dormire accanto a lei. Sempre che non stesse fingendo di trovarsi immerso nel sonno, ne sarebbe stato capace. Magari non riposava mai, come non pareva subire gli effetti della temperatura micidiale del suo Regno.
Il suo respiro era regolare e leggero. Era sdraiato su un lato con il lenzuolo attorcigliato intorno ai fianchi, i capelli sparsi sul cuscino e sulla schiena scoperta. Sulle braccia e sulle spalle erano ancora evidenti i solchi rossi delle sue unghie, dalle quali non si era difeso. Allora era vero che non era in grado di guarirsi. Inoltre, non l’aveva bloccata come gli aveva visto fare con altri, quando avrebbe potuto piegarla senza il minimo sforzo. Farle male.
Aveva affermato che la loro prima notte non avrebbe dovuto essere per forza una lotta. Eppure per lei lo era stata. Contro se stessa però. C’era stato un attimo in cui Adara aveva ceduto e se il suo sguardo non fosse caduto sul Medaglione, allora…
Il gioiello del Nord era sdraiato sul letto insieme con il suo reggente, accomodato sulle coltri e agganciato alla catena che pendeva a pochi centimetri da lui. Era stato quell’amuleto a ricordarle il viaggio e Rei e Shion, la missione, la Profezia tutti insieme. Forse, l’Imis’eli aveva reagito alla sua presenza e non a quella del principe. No, assurdo. Non era stato il Medaglione a sposarla con un odioso ultimatum. Certo, era qualcosa di magico a differenza del Diadema.
Vederlo così abbandonato, con le gemme a faccia in giù, quasi sornione tra le coperte le aveva fatto passare la repulsione che avvertiva solitamente nel guardarlo. Avrebbe voluto toccarlo, per capire se il Crescente si sarebbe attivato come la sera precedente e per sperimentare quale sensazione le avrebbe trasmesso.
Anthos aveva gli occhi chiusi e risultava quasi inerme. Le sue palpebre allungate erano ombreggiate dalle ciocche scomposte che gli ricadevano sul viso. Era bello. Bello e letale.
Adara allungò lentamente le dita verso il gioiello, riducendo al minimo il rumore e la movenza, trattenendo il fiato con trepidazione. Sempre più vicina, quasi a sfiorarlo.
Non distinse neppure il movimento. Si ritrovò il polso imprigionato nella sua mano.
Il principe aprì gli occhi, che sfolgorarono su di lei accesi d’oro e quasi divertiti.
“E’ un invito?” le domandò con un sogghigno.
“Simuli persino di dormire?” ribatté lei, rabbuiata.
“Diciamo che non abbasso mai la guardia”.
“Ieri l’hai fatto o sbaglio?”.
Anthos inarcò un sopracciglio. Poi sorrise, caustico, fletté il braccio, trascinandola a sé e infilandosi sotto le pellicce con lei. Adara trasalì al contatto con il suo corpo.
“Sbagli. Possiamo ripetere la scena se hai dei dubbi”.
Strinse le dita di lei tra le sue al di sotto delle coperte e le guidò la mano sul Medaglione ora appoggiato sul suo petto. Era tiepido, ma non forniva nessun’altra sensazione. Anche il Crescente restò inerte. Invece, il cuore della ragazza prese a martellare con una certa intensità.
“Puoi toccarlo, così come puoi toccare me” continuò lui “Ma non provare mai a sfilarmelo… o ti ucciderò. Sarei costretto a rivedere i miei intenti di paternità, è vero... dovrei rivolgermi, con molta meno condiscendenza, a tua sorella Dionissa”.
“Vai al diavolo!”
“Cos’è, sei gelosa?” sogghignò lui, accendendo il fuoco con un rapido gesto dell’indice “Dalla tua temperatura non si direbbe…”.
“Hai intenzione di tenermi avvinghiata ancora per molto?” si ribellò lei.
“Ho intenzione di non farti prendere una polmonite. E di capire perché il Crescente è riuscito a sbattermi per terra, cosa che non ho gradito molto. Nessuna idea?”.
“No. Altrimenti l’avrei attivato molto prima!” borbottò lei, irata.
Anthos ignorò la rispostaccia e si fece pensieroso. Il suo calore iniziò a penetrarle attraverso la pelle. Il contatto del palmo della mano con il gioiello non si interruppe. Anche il cuore del principe aveva il ritmo concitato di un tamburo. Da non credersi.
“Il tatuaggio te lo hanno inciso le sacerdotesse Thaisa, vero?”.
“Sì. La notte in cui sono nata, quella con la luna di sangue. Così mi hanno raccontato. Ho sempre pensato che fosse una credenza delle anziane nomadi, ma poi…”.
Il giovane ebbe un lieve sussulto. La pressione della mano sulla sua aumentò. Fu solo un attimo e poi le sue iridi ambrate si posarono su di lei.
“La rammento” rispose semplicemente “Avevo nove anni. È l’ultima luna che si sia vista qui a Iomhar prima della tua… ma essa è solo per me”.
Le sue dita scesero a sfiorare la falce bruna, accarezzandole la pelle.
Adara si allontanò e gli prese il viso tra le mani. Lui la guardò, implacabile e sensuale.
“Smettila di scherzare!” esclamò “Il fatto che sia stata eccezionalmente distinguibile anche nel cielo nuvoloso del Nord non ti dice nulla?”.
Anthos non rispose. I suoi occhi scintillarono terribili sotto la fronte aggrottata, in un misto di minaccia e tristezza.
“Il cosiddetto segno del risveglio di Irkalla? Il via alla fine del mondo?” disse poi.
“Sì…” mormorò la principessa “Così almeno ha letto mia sorella, prima che tu facessi in modo di oscurare il suo Kalah. Il tuo scritto sacro non dice nulla in proposito?”
Il reggente rimase immobile. Poi prese a ridacchiare, scuotendo la testa.
“Ah già” dichiarò sagace “Tra una notte di passione e l’altra ti ho promesso di confrontare le due versioni della Profezia… La mia parte scrive che la luna rossa può essere fermata solo dalla comparsa di un’altra luna che getterà su di essa la sua nuova luce”.
“Che cosa significa?”.
“Che ci vorrà un gran bel vento per dissipare nuovamente la coltre perenne del Nord”.
“Mi stai ancora prendendo in giro! Sei un presuntuoso!”.
Lui rise di gusto alla sua reazione scandalizzata. Poi scivolò tra le dita che lo trattenevano e prese a baciarla. Labbra su labbra, il respiro fuso nel suo, il contatto morbido e profondo della sua lingua che la soggiogava.
Adara non si lasciò afferrare da quel trasporto e lo morse. Lui si interruppe, sollevandosi su un braccio. Ghiaccio e fuoco nello sguardo.
“No, Anthos! Non giocare con le parole, hai giurato! Ho accettato di stare con te, di sposarti, di darmi a te pur senza amore, di accettare la tua disumanità. Di rinunciare a tutto ciò che ho sognato, di ignorare che tu abbia in pugno mio fratello e Rei e che Dionissa stia morendo per colpa tua… non riuscirò mai a perdonarmi per questo! Non so se gli dei lo faranno in altri mille anni! Ma ti prego, aiutami a leggere i rotoli! Lascia che sia io a trovare un rimedio se tu non vuoi, ho bisogno di te per capire!”.
Una piccola goccia di sangue stillò dalle labbra del principe. La guardò, severo e attento, senza più ironia nell’espressione.
“La luna con probabilità è Amathira” le rispose stringendo le palpebre “La sua maledizione può essere spezzata solo da una forza altrettanto grande, ma non si allude a chi o a che cosa. Ovviamente secondo la Profezia, poiché io penso sia una sciocchezza e non intendo ascoltarla. Ma ti leggerò il resto, rinnovo la mia parola”.
“Ti sono grata…”.
“C’è un’altra cosa” aggiunse il reggente, fermandola con un gesto “Non sono stato io a gettare il maleficio su tua sorella. Ho ordinato a Shion di inibire la sua chiaroveggenza, non di farla ammalare. Il colpevole è chi ha cercato di ucciderti. Sta ostacolando anche me. Il primo rimedio, dunque, è spezzare la sua esistenza. Quando verrà distrutto, forse anche il suo incantesimo oscuro sarà annullato”.
“C-come?” balbettò lei “Tu sai chi è?”.
“Sì, lo so. Tutto a suo tempo”.
“Ma non possiamo attendere, dobbiamo…”.
Anthos si asciugò le labbra con l’indice. Sul suo fianco sinistro era ancora visibile il taglio che lei gli aveva inflitto e il sangue aveva macchiato le lenzuola candide.
“Sembro uscito da un covo di felini del Sirideain!” sbuffò, osservando i segni sul suo corpo “Ed è la prima volta che una donna esce illibata dal mio letto! Per tutte le dannate stelle! Non dobbiamo proprio un bel niente adesso!”.
Saltò giù dal talamo e la sollevò tra le braccia. Adara arrossì violentemente, colta alla sprovvista, aggrappandosi a lui.
“Che cosa vuoi fare!?” gridò, nel panico più totale.
“Un bagno” replicò lui, impassibile “Il bastardo che, sfidandomi, ha sottoscritto la data della propria fine imminente dovrà aspettare ancora un attimo!”.
 
 
Da qualche anno portava i capelli avviluppati con preziosi fili di perle e non più sciolti. Una lunga treccia del colore del grano, che sfiorava quasi il suolo, imprigionata tra lucide catene di granuli perfetti. A ben ricordare, si pettinava così da quando era nato Yasha, tre anni prima, perché suo figlio le si aggrappava vivacemente alle chiome quando lo teneva in braccio.
Il nome lo aveva scelto lei, ma il bambino era il ritratto di suo padre: occhi chiarissimi e riccioli color platino, stessa espressione assorta, identico sorriso. Era venuto al mondo dopo tutto quel tempo, inaspettato, in coda ai millenni trascorsi nel risentimento orgoglioso, nell’attesa della vendetta e forse era un segno aggiuntivo. Fuori dalla Profezia, esterno alla maledizione, elemento esclusivo per lei che l’aveva scagliata.
Dalla piccola creatura che aveva partorito aveva imparato qualcosa. Una lezione fatta di mutamento e di imprevedibilità.
Da colui con il quale lo aveva concepito, invece, aveva appreso il concetto di quiete, di pace, di grazia. Ma capire era molto diverso da accettare e, soprattutto, da applicare. Fissò la volta celeste, segnata dai presagi funesti che conosceva a menadito. L’ora fatale era scoccata. La scadenza era prossima. Eppure…
“Amathira…”
La dea del Cielo si volse a quella voce, abbandonando la contemplazione dell’esterno dall’ingresso del tunnel connesso alla dimora che si era scelta ormai da ere. Prima come ospite, poi come compagna.
Lui avanzò verso la luce dell’entrata strizzando gli occhi quasi trasparenti, dotati di una sfumatura di morbido argento e intensi sulla carnagione candida. I capelli di un biondo stellare erano mossi e corti, eccezion fatta per una treccina annodata stretta con una catenella d’oro, che gli scendeva da sopra l’orecchio sinistro sulla spalla. Gli orecchini rosa antico scintillarono ai suoi lobi, riflettendo il mattino inoltrato. Il suo volto era sereno, come ogni giorno a partire dalla creazione, e contrastava con la tunica nera ricamata d’oro, drappeggiata sul fisico slanciato.
“Resh…”.
“Non esci neppure oggi?” domandò lui.
“No. È da più di mille anni che me lo chiedi, non ti sei ancora rassegnato?” rispose lei, tuttavia senza alcuna irritazione nel tono.
“Spero sempre che tu cambi idea”.
“Aspettativa vana. Ormai porterò a termine ciò che ho avviato”.
Lui sospirò, scuotendo leggermente il capo con disapprovazione.
“L’ostinazione non ti porterà da nessuna parte. L’incapacità di perdonare arrecherà del danno anche a te. Ti stai trincerando dietro all’orgoglio e gli stai consentendo di dominarti. Ma, soprattutto, ti rifiuti di vedere che quanto il tuo anatema ha prodotto non corrisponde affatto a ciò che avevi previsto”.
“Lo so benissimo. Semplicemente, la fine arriverà da una direzione diversa. Ciò che conta è che Irkalla saldi il suo debito, come stabilito”.
“Il Distruttore non ha alcuno scotto da pagare. Ha sofferto senza un vero motivo e adesso, prevedibilmente, è in preda a una collera sconfinata. Tu hai provocato questo. Sei acciecata dalla tua brama di rivalsa, dal tuo voler dimostrare che hai ragione a tutti i costi. Non è così, Amathira, ne sei consapevole ormai…”.
“E a te che importa, Resh? Se Irkalla muore e rinasce, se il suo cuore si spezzerà?”.
“Non mi ha mai fatto torto. Era il tuo amante di un tempo, quando noi ci conoscevamo appena e la gelosia a posteriori non mi sfiora. Ti ho accolta qui e ho fatto in modo che nessuno, mortale o Superiore, ti trovasse… non perché mi sono schierato, ma perché me l’hai chiesto con sollecitudine e ho pensato che casa mia fosse il luogo più adatto a te per meditare in solitudine. Mi importa, Amathira. Non voglio che la donna che amo venga bruciata da un rancore mal riposto. Non voglio che tu ti bagni delle lacrime altrui. Non voglio che nostro figlio abbia qualcosa da rimproverare a sua madre. Perché come io ho compreso, anche lui presto o tardi lo farà”.
“Oh, Resh… sulle tue labbra tutto sembra così semplice e piano. Mi chiedo come tu riesca a essere sempre tanto saggio e pacato. Come tu faccia a essere innamorato di me e a darmi continuamente torto senza mai mostrare ira”.
“E’ la mia indole naturale. Però, ora che abbiamo Yasha, l’esempio che rappresentiamo diventa una necessità primaria. Non voglio che impari a odiare, bensì a essere misericordioso. Vorrei che lo assorbisse anche da te”.
Amathira abbassò lo sguardo, mentre lui le sfiorava la luna dorata scintillante sulla fronte con un bacio leggero.
“E’ il vero colpevole che merita di essere punito, non l’innocente caduto nella sua rete al tuo pari. Alcune divinità stanno indagando e giungeranno anche qui”.
“Continuerai a nascondermi?”
“Finché sarà opportuno. Ma non sono un prestigiatore”.
La dea del Cielo sorrise, appoggiandogli affettuosamente la testa sulla spalla.
“Non c’è giorno in cui io non mi chieda, anche se ti conosco da secoli, come il dio della Morte possa esprimere così tanto amore. Così tanta… vita! Come abbia potuto addirittura infonderne una in me”.
“Io sono semplicemente il Custode delle anime umane. Le raccolgo quando è tempo e le divido in pure e lorde. Sarei un borioso arrogante se pretendessi di svolgere il mio compito senza conoscere la differenza. Il discrimine è l’amore che hanno provato e donato durante la loro esistenza. Non creo e non distruggo, pertanto ho alcun divieto in merito”.
“Ora mi è chiaro” sussurrò lei, pensierosa.
Lui lesse oltre l’affermazione e il silenzio.
“Era una mera curiosità, mi stai chiedendo un fratello per Yasha o, come penso, vuoi sapere perché Irkalla non può generare?” domandò?
“Curiosità. Ma anche la seconda si potrebbe mettere in pratica”.
“Tsk…” obiettò Reshkigal, pacato “Il Distruttore annienta il cosmo e dalle sue spoglie lo fa ripartire. Ma non può creare nulla da zero. Non gli è consentito, poiché sarebbe un controsenso. Come se Elkira disprezzasse il Buio, per fare un paragone più semplice”.
“Capisco. È giusto”.
“No. Non lo è per niente. Tuttavia, Irkalla ne era al corrente quando Almaktti gli ha assegnato l’incarico, come io ero perfettamente consapevole che non avrei mai più potuto abbandonare la vigilanza dell’aldilà”.
“Non ti pesa?”
“No. Mi piace stare quaggiù. Poi, ora, ci siete voi. Ma tu, Amathira, dovresti uscire”.
“No, Resh. Non oggi”.
“Allora domani…” non si arrese il Custode, con un sorriso lieve e limpido.
   
 
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