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Autore: Sabriel Schermann    03/12/2019    8 recensioni
Den pareva a tratti la mia controfigura, ma più spesso si comportava nel modo esattamente contrario a come avrei agito io: quest’amalgama di somiglianze e differenze mi faceva sorridere.
Stare con lui era come prendere una boccata d’aria fresca a pieni polmoni: d’un tratto ci si sentiva rinvigoriti, proprio come mi sentivo io in quel momento.
Lo sai che ti amo» sussurrai, per poi sollevargli il mento e posargli un tenero bacio a fior di labbra.
[Storia partecipante alla challenge "Infinity Prompt Challenge" indetta da HarrietStrimell sul forum di EFP]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La Casa di Cristallo'
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I’m Nobody’s but Yours

 

 

 

 

 

 

 

 

Di quella sera ricordo che mi gettai sul divano, con la sensazione di non riposarmi realmente da giorni.
Era ormai novembre inoltrato e presto sarei avanzato di un altro anno.
«Hai programmi per il tuo compleanno?» sentii gridare Den dall’altra stanza.
Un sorriso spontaneo mi si dipinse sulle labbra.
«Prima dimmi perché mi devi sempre parlare con l’asciugacapelli acceso» sbraitai di rimando, irritato e allo stesso tempo divertito da quella sua strana abitudine.
Den pareva a tratti la mia controfigura, ma più spesso si comportava nel modo esattamente contrario a come avrei agito io: quest’amalgama di somiglianze e differenze mi faceva sorridere.
«Perché non ho niente da fare, è il momento perfetto per fare conversazione».
Comparve improvvisamente in salotto con la chioma perfettamente asciugata, osservandomi con espressione stranita.
Era chiaro quanto per lui quei gesti fossero del tutto naturali.
Gli sorrisi, invitandolo ad accomodarsi accanto a me, osservandolo attentamente negli occhi: «Dimmi che quella camicia non è tua» affermai in tono serio.
Lo vidi voltarsi candidamente, totalmente estraniato dalla situazione.
«Perché?».
«È oscena, diamine!» risi di gusto, abbandonandomi sui cuscini posti dietro la mia schiena.
Mi raggelò con lo sguardo ancor prima che poggiassi i piedi sulle sue gambe.
«Solo perché c’è disegnato Pikachu?» borbottò, solleticandomi nel contempo la pianta dei piedi.
Quei momenti mi facevano riflettere su quanto fossi fortunato: avevo accanto a me una persona che aveva dovuto imparare a prendere la vita come veniva, ridendoci su.
Stare con Den era come prendere una boccata d’aria fresca a pieni polmoni: d’un tratto ci si sentiva rinvigoriti, proprio come mi sentivo io in quel momento.
La stanchezza era divenuta d’improvviso un lontano ricordo.
«Comunque mi hai rubato il posto, furfante!» mi lamentai, tentando di distrarlo.
«Non hai risposto alla mia domanda, comunque».
Mi rivolse un sorriso lascivo, mentre un mio piede scivolava proprio sul cavallo dei pantaloni.
Non dissi nulla, ma non potei fare a meno di constatare che non indossasse la biancheria intima.
«Ti ho mai raccontato di quando Sindy organizzò una festa di compleanno per me?».
Un genuino sorriso mi sfiorò involontariamente le labbra.
«È stato forse il compleanno più bello…» continuai, con lo sguardo perso nella memoria.
Nonostante il modo in cui era terminata la serata, la festa era stata decisamente emozionante.
Poi lo vidi sollevarsi di scatto, dirigendosi verso la cucina.
Avrei voluto raccontargli tutto nei minimi dettagli: Sindy aveva organizzato a mia insaputa una festa su una pista di pattinaggio, riuscendo a trascinare sul ghiaccio perfino me; la cura che ci aveva dedicato era evidente e, nonostante riuscissi a malapena a reggermi in piedi, pattinare accanto a lei è senz’altro una delle esperienze che conservo tuttora più gelosamente.
Le mani calde mi tenevano stretto, facendo scivolare le lame sul terreno gelato con la scioltezza di un campione.
Non vedendolo tornare, decisi di seguirlo, trovandolo accoccolato al cucinino, intento a preparare ciò che sembrava del tè.
Lo strinsi da dietro, facendo scivolare le mani sullo sterno, infilando il viso nell’incavo di una spalla fasciata dal tessuto soffice.
«Che cosa c’è?» mormorai, pensando rapidamente a che cosa avessi potuto dire o fare di sbagliato.
Lui si divincolò, scolando il liquido scuro in una tazza color lampone.
Vidi qualche foglia scivolarci all’interno, poi spostai lo sguardo sul suo viso.
L’espressione seria dipinta in volto lasciava trasparire un velo di amarezza, forse invisibile a un occhio qualsiasi, ma sicuramente lampante per chiunque lo avesse amato quanto me.
Che cosa sarebbe successo, semmai avessi inavvertitamente compiuto un gesto tanto tremendo da allontanarlo da me?
Senza la sua presenza, la mia esistenza sarebbe difficilmente tornata ad essere piena di colori.
Tutti i sapori sarebbero tornati ad essere scialbi; alcun paesaggio sarebbe più stato evocativo quanto lo è quando condiviso.
Per di più, Sindy era lontana e, da quanto ne sapevo, aveva fatto interessanti conoscenze.
Gli ripetei la domanda, osservandolo sorseggiare pigramente la bevanda bollente.
Poi, finalmente, puntò le iridi infuocate dritte nelle mie.
«Sindy, Sindy! Parli sempre di lei, ma non ti sei mai disturbato a spiegarmi di chi si tratta!» irruppe, urtando la tazza e facendo scivolare qualche sorsata di tè nel lavello.
«Era la tua ragazza? Ci hai scopato?» continuò, in tono furioso.
Scoppiai a ridere sguaiatamente. Non riuscii a trattenermi: non riuscivo a credere che Den avesse frainteso tutto. Solamente ipotizzare che io e Sindy avessimo avuto dei rapporti intimi mi pareva genuinamente assurdo.
Soprattutto perché, in fondo, ne ero sempre stato consapevole anche io: il genere femminile non mi aveva mai attratto.
«Che cosa c’è di divertente? Mi prendi in giro ora?» lo sentii gridare, dirigendosi verso il salotto.
Lo seguii, accoccolandomi accanto a lui sul sofà.
«Non capisco se tu stia mettendo in dubbio la mia sessualità o il mio rapporto con Sindy» risposi, guardandolo in viso.
«Io voglio solo sapere la verità» mormorò, «penso di averne il diritto» asserì, giocherellando con il laccio dei pantaloni.
Passammo qualche minuto in silenzio, fino a quando non presi le sue mani tra le mie, cominciando a parlare: «Sindy è come una sorella per me. A volte dubito non sia mia sorella di sangue».
Nuovamente, le memorie dei tempi andati mi travolsero con tutta l’energia di cui erano dotati.
«Sindy è nell’aria che respiro» mormorai istintivamente.
«Lei è ovunque, pur non essendo fisicamente qui. Funziona così quando una persona ti entra nel cuore».
Poi lo guardai in viso, osservando i suoi occhi lucenti. Pareva sul punto di scoppiare in lacrime.
«Mi manca molto» aggiunsi.
Solo tempo dopo mi accorsi di essere stato forse troppo diretto; tuttavia, in quel momento non potei impedire alle parole di fluire dalle mie labbra.
Den doveva aver intuito chiaramente la sincerità nella mia voce: sbatté le palpebre un paio di volte, come se gli fosse appena passato per la mente un ricordo confuso.
«Ti ha fatto finire in coma, Rickard» asseverò, «forse non è una persona così bella come la dipingi».
Mi irrigidii. La voce tremante mi fece intendere non avesse alcuna intenzione maligna, ma non avrei permesso a nessuno, nemmeno a Den, di parlare male di Sindy.
«Non dire così» dissi perentorio, «sai come sono andate le cose, lei mi ha salvato».
Abbandonai le sue mani per rifugiarmi in un angolo del divano, improvvisamente infreddolito.
«Non conosci la sua storia» continuai.
Den mi osservò in viso, spalancando la bocca per dire qualcosa, per poi richiuderla subito dopo, riprendendo a giocare con i nastri dei pantaloni.
Passarono minuti interminabili. Le parole che avevo mormorato roteavano tra le mie sinapsi fino a farmi girare la testa.
«Scusami» sussurrai dopo svariati minuti di silenzio.
Fu un mormorio quasi intelligibile, ma ero certo lo avesse percepito ugualmente.
Poi mi avvicinai cautamente: le guance erano solcate da grandi lacrime silenziose, che Den non si preoccupò di asciugare.
La sua espressione sofferente mi procurò un urto al cuore, come se, nel battere, si fosse improvvisamente imbattuto in un gigantesco ostacolo.
D’istinto, gli presi il volto tra le mani, poggiandolo sul mio petto; infilai le dita tra i capelli morbidi e puliti, tuffando il viso nella chioma color caramello, inspirandone intensamente il profumo.
«Lo sai che ti amo» sussurrai, per poi sollevargli il mento e posargli un tenero bacio a fior di labbra, a cui seguirono altri cento, fino a quando non mi ritrovai nuovamente con il dorso contro i cuscini.
Feci scivolare le mani sotto la camicia, carezzando il costato, sfiorando la pelle infuocata.
Stringerlo tra le braccia mi procurava una sensazione di sicurezza che raramente avevo provato prima.
«Se sapessi quanto ti amo non avresti dubbi» mormorai, con le labbra contro il suo collo.
Non parve affatto colpito dalle mie parole.
«Prima pensavo a una cosa» sussurrò in tono stranito.
Poi si tirò a sedere.
«Conoscevo una bambina di nome Sindy».
Per un istante, mi persi nelle sue iridi verde foresta.
«Mi hai detto che veniamo dalla stessa città, giusto?».
Ci riflettei un attimo: effettivamente, ero rimasto molto stupito dal fatto che sia Den sia Sindy fossero nati nello stesso luogo.
Feci un cenno col capo.
Den rimase a lungo in silenzio, forse confuso, deluso, o probabilmente solo stanco.
«Ho tante cose da raccontarti, Rickard» lo sentii mormorare.
«Forse questa Sindy ha fatto parte anche della mia vita».
Mi misi seduto. Forse era pronto a parlarmi del proprio passato, e io ero disposto ad ascoltarlo.
A mia insaputa, un nuovo capitolo della nostra storia stava per avere inizio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Disclaimer: Per questa storia, devo ringraziare la cara Soul Dolmayan, senza la quale non mi sarei mai discostata dalla mia comfort zone e non avrei mai provato a scrivere in prima persona.
A questo proposito, spero il risultato sia apprezzabile.


   
 
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