Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: EuphemiaMorrigan    04/12/2019    2 recensioni
La storia partecipa alla GioMis Week 2019.
Prompt utilizzati: Wounds, Hurt/Comfort, Mission gone Wrong.
«E forse non è vero amore se dico che tu mi sei la cosa più cara;
amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso».
-Kafka.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Giorno Giovanna, Guido Mista
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Acciaio liquido.

«E forse non è vero amore se dico che tu mi sei la cosa più cara;
amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso».

La monotonia era diventata il più grande nemico di Giorno.
Trascorsi pochissimi mesi dall'aver assunto il controllo totale di Passione, impegnato quotidianamente ad acquisire fiducia da parte degli ex alleati di Diavolo e sopprimere, se necessario con la forza, ogni possibile rivolta, il giovane boss non avrebbe mai creduto di poter vivere ogni avvenimento con così tanto tedio.
Nell'ultima settimana i tentativi di scavalcare la sua autorità, ucciderlo e prendere posto al vertice dell'organizzazione erano stati numerosi e violenti da parte di alcune famiglie associate alla vecchia Passione. Molti Don lo credevano immaturo e bambino, ne era cosciente, bastava una semplice miccia durante i loro incontri per far scoppiare un incendio.
Pochi giorni prima era stato privato di diversi uomini, presi alla sprovvista al rientro da uno dei tanti spostamenti da Napoli alle province limitrofe; Giorno quella volta se l’era cavata solo grazie al tempestivo intervento della sua guardia del corpo, il braccio destro armato a cui aveva affidato ad occhi chiusi la sua vita e il suo benessere.
Mista.
Lo aveva salvato, come al solito, rischiando di morire per lui.
In sei mesi dalla prima volta che lo aveva visto al Libeccio, quando Bucciarati era ancora in vita e della sua squadra non era rimasto che un singolo uomo tormentato da fantasmi e rimpianti, Giorno lo aveva rattoppato così tante volte da avere l'impressione Mista non avesse più un lembo di pelle naturale. Ciononostante il sicario continuava a sorridergli stanco, alzare il braccio in sua direzione e scapigliare con affetto la chioma bionda ogni volta che si occupava delle sue ferite.
Tutte le volte sembrava volerlo ringraziare di non averlo lasciato morire; come se Giorno potesse davvero permettergli di scivolare via dalle sue dita, diventare sabbia e ricordi...
Il solito nodo tornò ad attanagliargli la gola, lo buttò giù prepotente; osservò con disinteresse il panorama fuori la vetrata del grande salone, relegando ogni pensiero in una parte recondita della propria mente.
L’Autunno stava arrivando, quei mesi nonostante tutto erano trascorsi talmente in fretta che, solo in quell’apatica settimana, Giorno s’era effettivamente reso conto delle stagioni lasciate alle spalle e delle persone di cui faticava a ricordare il volto, che rendevano pesante la sua anima carica di colpe.
Il rumore lieve della pioggerellina di Settembre divenne l'amaro suono della solitudine.
Lo sguardo vagò lungo le pareti della stanza che tempo prima era stata proprietà di Diavolo, passò la punta delle dita sul mobile antico dov’erano posati alcolici che non aveva mai neanche provato ad assaggiare e di nuovo le sue labbra formarono una smorfia carica di mestizia.
Il maniero di Passione era troppo grande per due persone e una tartaruga.
Le guardie, la scorta, i giardinieri e i domestici lautamente pagati non bastavano a riempire il vuoto, la mancanza di qualcosa a cui Giorno faticava a dare un nome.
«Potrei chiedere a Mista di cambiare casa, solo per noi» si disse, accarezzando l'idea, forse fantasiosa, di acquistare una modesta villa fuori città, e loro due stretti a guardare il tramonto in balcone ogni sera.
Detestò le illusioni costruite dalla propria mente, dolorose chimere irrealizzabili, e passò la mano sugli occhi pesti e stanchi per scacciarle.
Tornare ad apprezzare la solitudine, fedele compagna della sua infanzia, gli appariva ormai impossibile. A differenza di Mista, che l'isolamento lo odiava, e di tanto in tanto vagava come un'anima in pena lungo i corridoi, Giorno agognava per sé momenti di silenzioso ritiro.
Ma la sua tigre in gabbia faceva rumore e soffriva, allora non poteva far altro che rimanergli accanto in una quiete spettrale. Pregando la sua inutile e goffa presenza potesse bastargli.
Ricordò quel ch'era accaduto un mese prima, quando Pannacotta Fugo aveva fatto recapitare una missiva a Mista.
La questione aveva irritato così tanto Giorno – ingelosito – che fino a sera aveva testardamente ignorato il suo vice.
A dire il vero non avrebbe dovuto, o voluto, conoscere il contenuto di quella corrispondenza; alla vista di Mista chino sul divano con goccioloni di lacrime a rigargli il viso, una forza sconosciuta lo aveva guidato a sedersi vicino a lui e ascoltare il suo sfogo mentre leggeva quel foglio spiegazzato.
Con poche righe Fugo era riuscito a spezzarlo, negandogli l'illusione di riavere a fianco almeno un membro di quella precaria famiglia che era diventata la squadra di Bucciarati.
Non sarebbe mai tornato a Passione, così diceva la lettera, non sarebbe mai tornato da lui.
L’ultimo amico che gli era rimasto in vita aveva preso la decisione irremovibile di andarsene da Napoli, poiché la colpa delle sue azioni era opprimente e guardare Mista in faccia gli avrebbe ricordato troppo spesso Narancia, quanto aveva perduto contro Diavolo, senza poter fare nulla per afferrare il fantasma che si era lasciato alle spalle consapevolmente.
Giorno non provava pietà per Fugo, a suo parere immeritevole di giustificazioni o perdono, e in quel momento lo aveva odiato; poteva comprendere però quel dolore, percepito lui stesso sottopelle prima di conoscere Mista, tutti quegli anni vissuto con la sensazione d'esser rimasto solo al mondo, impaurito, inutile, non voluto.
Quindi immaginava avrebbe agito allo stesso modo, semmai lo avesse perduto.
Il pensiero potesse accadere aveva cominciato a terrorizzarlo, impedendogli persino di dormire la notte. Giovane e stupido, incapace di dimostrare i suoi sentimenti, si struggeva per l'uomo che gli aveva votato la vita, l'anima, l'interezza del proprio essere, da allora impossibilitato a voltarsi indietro e godere appieno di un’esistenza tranquilla e semplice come in realtà era sempre stato il desiderio di Guido.
Giorno lo vedeva nel fondo degli occhi scuri ciò che realmente bramava, eppure non avrebbe mai potuto darglielo.
Quella notte avrebbe tanto voluto baciarlo e stringerlo fra le braccia, asciugargli le lacrime e dar sollievo al corpo forte, che all'inizio era sembrato non potersi piegare mai sotto nessun colpo, ma in realtà nascondeva cicatrici indelebili e rimpianti.
Giorno avrebbe voluto confessare che il suo cuore gli apparteneva, anche se in quell'attimo si stava infrangendo all'udire ogni singhiozzo, ogni sussurro, ogni litania addolorata in cui vi erano nascosti i nomi di Narancia, Abbacchio, Fugo e Bucciarati.
Avrebbe voluto poterli sostituire tutti, tutti pur di non farlo più soffrire.
Ma non ne era in grado.
Lo aveva quindi ascoltato piangere e maledire se stesso, in seguito guardato stropicciare con rabbia la lettera d'addio di Fugo, non avere il coraggio di gettarla e rimetterla in tasca; gli occhi neri, confusi e ancora liquidi, si erano rivolti a lui spaventati, ormai consapevole di essere rimasto del tutto solo.
La fragilità messa a nudo gli aveva fatto desiderare rincuorarlo, dirgli dolcemente che non lo era, non lo sarebbe mai stato. Non lo sarebbero più stati entrambi. Poiché avrebbe impedito a chiunque di ferirlo ancora, a costo di ferire se stesso per riuscirci. Alla fine l'incapacità di esprimersi lo aveva vinto un'altra volta e, mentre le mani gli tremavano aggrappate alle ginocchia, Mista s'era allontanato, la schiena ricurva, il passo pesante, sino a sparire in un'altra stanza.
Da quella notte non avevano più avuto un momento da soli.
L’attrazione provata nei suoi confronti stava diventando ridicola e invalidante, il pensiero fisso di Guido lo distraeva dal lavoro e da questioni ben più importanti. Come l’invito, o meglio l’obbligo, di raggiungere Torino da parte della famiglia Tomini.
Francesco Tomini era stato un illustre e potente alleato di Diavolo, da quel che la Squadra d'Investigazione aveva scoperto contava sull'appoggio di alcuni pericolosi utenti Stand fra i suoi sottoposti, forse lui stesso ne era portatore.
L'istinto di Giorno diceva di non fidarsi.
Purtroppo consapevole di non poter rinunciare ad una negoziazione così importante, tanto meno al sostegno di una famiglia del nord, aveva comunque accettato l'incontro.
Il giorno della partenza era giunto prima di quanto si aspettasse e, malgrado l'animo appesantito, Giorno raggiunse l’ingresso della villa, sistemando nel frattempo i polsini della giacca con un gesto meccanico. Rivolse a Mista un semplice sguardo e si accomodarono assieme sui sedili posteriori della macchina blindata.
L'idea di quel viaggio continuava ad angustiarlo.
Avvertì d'un tratto la mano grande e calda posarsi sul dorso della sua e poi stringerla con dolcezza; dopo settimane in cui si era negato qualsiasi tocco e vicinanza, Giorno poté percepire, almeno per un istante, l'ansia scomparire alla pressione rassicurante.
«Va tutto bene» parlò sottovoce Mista, intrecciò le dita alle sue e il pollice ruvido disegnò cerchi sul polso freddo.
«Sono calmo» rispose brusco, forse troppo, mentre il cuore palpitava caotico.
Il sicario allentò la presa, sino a farla scomparire.
Giorno morse l’interno della guancia e strinse con forza le ginocchia unite, cercando un appiglio, qualcosa che gli impedisse di voltarsi, afferrare di nuovo la sua mano e continuare a stringerla, lasciarsi scaldare dal tocco confortante e dalla vicinanza tanto desiderata. L'immagine mentale lo destabilizzò, l'odore invece lo stava stordendo, abbatteva le sue difese, quel muro eretto per la paura di perdere il poco che era loro rimasto.
Trattenne una risata stupida al ricordo di Trish che si lamentava di quello stesso profumo, da lui considerato familiare e caro, di cui non poteva più fare a meno.
«Giorno?».
Ingentilì lo sguardo al rendersi conto che aveva di nuovo attirato la sua attenzione; azzardò un sorriso più morbido e gli rispose: «Un pensiero ridicolo».
«Posso sapere quale?».
Accarezzò il bicipite dell'uomo, gli occhi vagarono sulla sua figura sporta verso di lui.
«Pensavo a te e Trish,» fece una breve pausa «avevate uno strano rapporto, ma eravate divertenti».
Nel silenzio Giorno poté sentirlo persino deglutire; non si azzardò a guardarlo, consapevole di aver premuto su un tasto ormai dolente.
«All’improvviso, perché?» mugugnò, la frustrazione e il fastidio dietro ogni parola gli venivano scagliate contro come una freccia intrisa di veleno «Ormai anche lei è andata, nessuno di loro tornerà, è inutile parlarne».
«A te importa ancora».
Non era un’accusa, solo la verità. A Mista importava di tutti loro.
Di Abbacchio e la depressione che gli aveva impedito per un solo momento in vita di aspirare ad un futuro luminoso, di Narancia e il desiderio di riabbracciare Fugo e riprendere gli studi, di Bucciarati e quell’amore appena nato custodito in silenzio nel petto, di Trish che quello stesso amore lo aveva visto appassire e pianto via con lacrime amare mentre teneva il corpo di Bruno fra le braccia.
A Mista importava, persino di Fugo che non era tornato neppure per seppellire Narancia e gli aveva fatto recapitare una lettera dalla scrittura tremante, bagnata di lacrime, per scusarsi di non esserci stato, di non essergli stato accanto.
Mista pensava a tutti loro. Mista ne sentiva il peso ogni giorno.
Giorno avrebbe voluto strappargli quel masso dal petto, distruggerlo, trasformarlo in qualcosa di vivo e leggerlo; lasciarlo volare via come evanescente era salita in cielo l’anima dei loro compagni di viaggio, amici, e sciogliere infine le catene del destino, liberandolo per sempre.
Nonostante tutto aveva paura di avvicinarsi, rimanere ferito, scottato da emozioni troppo intense, ingestibili, di cui mai avrebbe avuto il controllo.
Allo stesso tempo il pensiero di non averlo accanto lo distruggeva, lo lasciava crogiolare fra carboni ardenti e provare una rabbia cieca e irrazionale. Simile alla furia che lo aveva invaso al vedere le dita di Cioccolata affondare nel collo del suo Guido.
Conficcò le unghie nei palmi, reprimendo la parte possessiva di sé.
Mista non rispose all'affermazione precedente, né gli rivolse altri sguardi; Giorno non aveva intenzione di forzarlo, seppur la tensione si fosse fatta densa e aleggiava fra loro come un'ombra carica di non detti. Ambiva si sfogasse con lui, gli parlasse onestamente e, per una volta, mettesse davanti le sue paure e i suoi dolori invece di ingoiarli in silenzio.
Raggiunsero la stazione di Napoli Centrale senza rivolgersi parola; la testa di Giorno annebbiata, si muoveva meccanico fra i sottoposti e allo stesso modo dava gli ordini, tanto che quando raggiunse il vagone prenotato in prima classe, con Mista intento a parlare al telefono assieme ai dipendenti di Tomini, si sorprese di non essersi reso conto di come ci fossero arrivati.
«Mi dispiace» ammise quando Guido sedette di fianco a lui.
«Di cosa?» il tono era caldo, disteso, sintomo che per l'ennesima volta lo aveva perdonato.
Giorno indugiò, anelò cancellare l'esigua distanza che li divideva, lasciarsi cullare dalle sue braccia e poggiare il viso sul torace spazioso, ma non era possibile in quel frangente, perciò disse a voce bassa, per evitare di farsi sentire dagli uomini della scorta, «Ho mancato di tatto, riportandoti alla mente avvenimenti spiacevoli».
Scosse il capo in segno di diniego, i ricci neri liberi dal cappello sfiorarono la fronte.
«Anch'io ho esagerato a offendermi, però» abbassò il viso, affranto «mi mancano».
Comprese quei sentimenti, desolato poggiò la mano sulla spalla coperta dal solito maglione blu, percependo sotto questo i muscoli tesi.
«Vale lo stesso per me, per questo ne parlo, voglio ricordarli per ciò che erano: i nostri preziosi compagni».
«Io... so meglio di chiunque altro che pur conoscendo l'amarezza di dover calpestare dei cadaveri per avanzare, sei comunque dovuto andare avanti stringendo i denti per realizzare il tuo» si fermò, aggrottò la fronte, le sopracciglia scure quasi si unirono; inumidì le labbra e corresse «Il nostro sogno» afferrò la mano pallida, aggrappandosi a questa mentre confessava con sincerità spiazzante «Giorno, non te ne farò mai una colpa, ma... fa ancora troppo male parlane».
«Dobbiamo andare avanti anche per loro,» serrò la presa, deciso «questo è il modo per espiare le nostre colpe, insieme».
«Erano brave persone...» mormorò sorridendo appena, ancora sofferente.
«Le migliori che abbia mai incontrato».
A quell'affermazione Mista inclinò il collo, in attesa, una luce di curiosità animò gli occhi neri.
Incoraggiato dall'interesse dell'altro Giorno raggiunse la guancia abbronzata e dichiarò, carezzandolo gentile, «Assieme a voi, per la prima volta, ho creduto di aver trovato degli amici, sai? Era raro per me legarmi a qualcuno,» tentennò, invaso da profonda tristezza «ora che siamo rimasti soli ho così paura di perderti, come è successo con loro».
D’improvviso Guido gli circondò la vita e lo attirò in avanti, come se un’onda anomala lo stesse trascinando a largo, senza possibilità di opporsi a quella forza, senza neppure volerlo fare, divenuto unico punto di appiglio prima di perdersi in alto mare.
Una miriade di emozioni sconosciute esplosero dentro di lui e il cuore cominciò a battere talmente veloce che il suono gli rimbombò nelle orecchie; le braccia spesse lo cinsero maggiormente e il respiro gli si spezzò in gola al poter inspirare l’odore naturale della pelle baciata dal Sole mentre percepiva i pettorali gonfiarsi contro i suoi ad ogni boccata d’aria.
Giorno sgranò le palpebre, fissò il finestrino serrato della cabina e si rese conto di aver iniziato a tremare soltanto quando la presa di Guido divenne lenta, distante.
«Scusami, capo, non avrei dovuto...» provò a scusarsi.
Negò velocemente con la testa, pregandolo di non far sparire quel tepore che era diventato come balsamo per le sue ferite: «Abbracciami di nuovo,» la voce frammentata da mille emozioni «e non chiamarmi mai più capo quando siamo soli, voglio essere Giorno insieme a te».
Solo Giorno...
Boccheggiò quando venne accontentato, il viso premuto nella nicchia fra il collo e la spalla, gli occhi turchesi carichi di lacrime mal trattenute; afferrò il maglione blu con dita spasmodiche e morse a sangue le labbra per impedirsi di emettere alcun fiato nel momento in cui Mista cominciò a massaggiargli la schiena tesa.
«Va tutto bene,» la voce era rincuorante, sincera «io sarò sempre con te».
«Giuralo» gli ordinò, dando fondo a tutta la sua autorità.
La risata di Mista giunse al suo orecchio come un canto: «Lo giuro, per sempre».
Ci credette.
Per la prima volta in sedici anni Giorno sentì di potersi fidare completamente di qualcuno diverso da se stesso e fu come se un peso enorme gli scivolasse dalle spalle, sollevato e felice d'essersi arreso alle sue braccia.
L'aria fresca del vagone colpì il viso paonazzo, lo svegliò dal torpore causato da quelle carezze, seppur ritornò prepotente la voglia di sedersi fra le sue gambe e stordirlo di baci adoranti; sognava di provare la sensazione della pelle nuda a contatto, sfregarsi su di lui mentre le mani ruvide vagavano sul corpo immacolato e pallido, lo segnavano, macchiavano con la loro forma. Ovunque. Lo scaldavano, rendevano vivo e desiderato, amato come non era mai stato.
Agognava quegli occhi scuri bruciassero solo per lui, nessun altro.
Inspirò pesante e cercò di riacquistare lucidità, rendendosi conto d'essersi spinto troppo oltre. A malincuore si districò dall'abbraccio e gli sorrise in imbarazzo, incapace di guardarlo in viso.
In piedi dinnanzi a Mista, Giorno si stranì di non poter più sentire il calore e la morbidezza di quel corpo attraente e velenoso al tempo stesso; avesse potuto avrebbe bevuto ancora dall'amaro calice, poiché ormai di morire intossicato non gli importava.
Ma gli era impossibile.
Abbassò di nuovo il viso, la gola arida il ventre caldo; sistemò maldestro la giacca del completo indossato per l'occasione, la fiamma che divampava stava diventando un incendio e lui, meschino e misero, non riusciva più a tenerlo a bada senza scottarsi.
«Siamo quasi arrivati» lo informò Guido, la voce sembrava più profonda del solito «Vado a controllare la situazione, rimani qui».
«Aspetta, Mista, io...» gli afferrò il polso prima potesse allontanarsi.
Il nodo in gola rinchiuse la voce in una morsa, sapeva che se avesse parlato si sarebbe tradito, avrebbe ceduto a ciò che provava e probabilmente perso anche l'amicizia di Mista.
«Lo so,» il sicario lo carezzò delicato, per un attimo indugiò sulla curva del fianco «sei agitato per l'incontro con Tomini, è normale. Non devi trattenerti con me, non quando siamo soli».
La maniera adorabile in cui si preoccupava per lui gli fece di nuovo venir voglia di piangere.
«Alle volte mi sento confuso, ho timore di mostrarmi debole, eppure...».
«Ci sono io» lo bloccò, le mani grandi gli circondarono il viso e Giorno strabuzzò le palpebre, sconcertato da quel gesto e dall'improvvisa vicinanza «Va tutto bene, Gio. Sei forte».
Il sorriso che gli rivolse Mista abbatté in un istante tutte le sue difese.
Le dita di Giorno sfiorarono di nuovo il maglione pesante, rapido e confuso s'aggrappò a questo; sporse il collo in avanti e schiuse le labbra, pregandolo internamente di placare la sua sete mentre ricercava un contatto più intimo.
Mista si spostò, un lieve rossore sulle gote; senza dir nulla si diresse verso la porta della loro angusta cabina e uscì un attimo dopo, veloce come un fulmine.
Tornato solo, Giorno si concesse di lasciare le gambe tremare e il viso accendersi per tutto l'imbarazzo che aveva malamente imbottigliato durante le precedenti effusioni. Le mani gli coprirono la faccia, respirò pesante fra queste e dalla gola gli sfuggì un singhiozzo.
Stava crollando, l'abbraccio aveva portato a galla le sue fragilità, il bisognoso disperato di altro contatto fisico, di un bacio e quel rassicurante calore stringerlo il più a lungo possibile.
Provò ad imporsi calma e sedette composto.
Alle volte aveva la netta impressione di aver subito ferite troppo profonde negli anni per riuscire a rimarginarsi, essere felice o appagato per qualcosa. Altre lui stesso prendeva un taglierino e le incideva di nuovo, brutale, affinché queste riprendessero a sanguinare.
Stava diventando forse masochista, ma nel dolore, nello scacciare chiunque e non affezionarsi mai aveva trovato sollievo, un motivo per vivere e andare avanti; poi era arrivato Mista e, per quanto ci provasse, non riusciva a mandarlo via, né dalla mente, né dal suo cuore in frantumi.
Aggrapparsi a lui gli donava comunque sofferenza, inciampava lo stesso durante il cammino, eppure era uno strazio diverso, avrebbe voluto gettarlo lontano e trasformarlo in completezza, gioia, esattamente come desiderava farlo all'angoscia che gli attanaglia le viscere.
Cocciuto, ogni attimo possibile ripeteva la gestione di Passione doveva essere la sua massima priorità, più importante di qualsiasi sciocca distrazione.
Tutti i sacrifici fatti in quei sei mesi erano serviti a dar vita al sogno che lo aveva fatto sopravvivere, il suo compito era perciò mantenerlo intatto, senza lasciarsi tentare dalla costruzione di fragili legami.
In cima alla vetta era arrivato solo, lasciandosi alle spalle una scia di sangue, e solo sarebbe dovuto rimanere. Eppure, da un tempo che ormai gli appariva indefinito, Giorno aveva cominciato a dipingere l'arazzo della sua esistenza con colori più accesi, accecanti, mentre vedeva la figura di Mista prendere forma accanto a sé nel futuro e così, da uno, presto erano diventati due.
L'amaro in bocca divenne insostenibile, cercò nelle tasche dei pantaloni eleganti qualcosa per scacciarlo, trovando come palliativo una caramella mou. La scartò.
«Non ci provare!».
Prima potesse mangiarla l'esclamazione di Guido lo fermò. Lo vide scompigliarsi i capelli ricci e poi sbuffare: «Meno male che sono arrivato in tempo» allungò la mano «Dammela! Non vorrai presentarti da Tomini con quella cosa in bocca».
Giorno strinse la caramella nel pugno, affilando gli occhi chiari. «Posso ingoiarla intera».
Guido si chinò un poco, le mani sui fianchi larghi e scoperti, sulle labbra carnose una smorfia esasperata. «Ti si appiccicherà ai denti e non abbiamo tempo di passare in albergo».
«Mi stai parlando come se avessi cinque anni».
«Se vuoi dimostrarmi il contrario...».
Indispettito, Giorno non gli fece neppure concludere la frase e, invece di assecondarlo, testardo come al solito si ficcò il dolciume in bocca. Tornò in piedi e sollevò un sopracciglio biondo all'occhiata palesemente irritata di Guido.
«Che c'è?».
«Ti si carieranno i denti».
«Ci pensa Gold Experience a curarli quando necessario».
«Giuro, Giorno, mi farai impazzire» disse fra l'esasperato e il divertito.
Vederlo sorridergli arrestò ancora i battiti di Giorno, l'effetto che sortiva Guido su di lui ormai lo stava logorando, la cosa peggiore era che lui stesso desiderava farsi distruggere.

La prima cosa che pensò Giorno di Torino era che l'aria era diversa, inquinata dallo smog.
Camminava sicuro e dritto con la schiena, le guardie del corpo più fidate lo seguivano a lato, Mista diventato una silenziosa e rassicurante presenza dietro di lui. Un'ombra, e come tale nemmeno venne notato quando, davanti al cancello della residenza Tomini, gli uomini del Don lo salutarono cordialmente e accompagnarono all'entrata.
A Giorno l'idea di ritrovarsi nella tana del lupo non andava a genio, l'espressione seriosa e contratta del volto lo dimostrava anche in quel momento, costretto ad accettare di negoziare proprio lì.
In un luogo più intimo, aveva detto l'altro uomo.
Giorno era cosciente della realtà ben diversa: la famiglia Tomini lo temeva, sicuramente venuti a conoscenza del suo essere portatore di Stand e, seppur improbabile sapessero il reale potenziale di Gold Experience, il loro capo aveva preferito prendere precauzioni non indifferenti all'arrivo del Boss di Passione e le sue guardie del corpo.
Mista aveva sbuffato, ribadendo che il quattro avrebbe portato loro sfortuna, ma Giorno quella volta non poteva accontentare il suo capriccio. Andare solo con due guardie sarebbe stato sconsiderato, aggiungerne un'altra, invece, avrebbe reso ancor più sospettoso Tomini.
Quello era il numero perfetto per dimostrarsi sicuro di sé, seppur nettamente in minoranza.
«Don Giovanna, da questa parte» lo richiamò un giovane dall'aspetto trasandato.
Neanche un cambiamento d'espressione attraversò il viso di Giorno che, silenzioso come al solito, lo aveva seguito senza proferire alcuna parola superflua. Osservandolo con attenzione, l'uomo dalle spalle ricurve che camminava davanti a lui lungo il corridoio, approssimativamente doveva essere di qualche anno poco più grande di Mista; un paio di volte si era passato la mano fra i lisci capelli color cenere che gli arrivavano al collo e, quando si voltò di nuovo, notò profonde occhiaie marcate sotto gli occhi nocciola.
Il viso smagrito si scurì e indicò la porta chiusa: «Il capo la aspetta in ufficio».
Giorno accennò un gesto di comprensione, ma venne di nuovo fermato.
«Vorrebbe incontrarla da solo».
A quell'assurda richiesta udì il respiro di Guido farsi più pesante. Si stava agitando, non era un bene.
Giorno socchiuse le palpebre, impassibile, sapeva il suo vice non avrebbe mosso un muscolo finché non gli fosse stato ordinato; portò le braccia dietro la schiena, guardandosi placido attorno e dietro le spalle.
C'era qualche quadro dal valore di diverse migliaia di euro, per il resto gli apparve come un ambiente freddo e vuoto; la mobilia tirata a nuovo lustro per l'occasione, uomini in giacca e cravatta che provavano a fingersi invisibili appoggiati alle pareti.
«Immagino il signor Tomini non sia solo all'interno».
Non era una domanda.
Lo sguardo di Giorno si concentrò su un vaso greco finemente decorato poggiato all'angolo, decisamente uno spreco vista la raffigurazione di Achille e Patroclo dipinta nei più minuziosi dettagli. Fosse stato di sua proprietà lo avrebbe esposto in un luogo più consono.
Internamente si compiacque all'udire il giovane deglutire rumoroso e rispondere: «Il capo è anziano, vuole evitare spiacevoli disguidi».
Tornò a rivolgersi a lui, un mellifluo sorriso di circostanza disegnato sulle labbra; alla vista arguta non sfuggì il tremore che colpì l'altro alla mano destra, così come il lieve spostamento delle dita verso la fibbia della pistola, e avrebbe giurato quell'impercettibile movimento venne notato anche da Mista, dato che quasi sentiva il suo respiro sul retro del collo per quanto s'era fatto vicino.
«Pistacchio, Crema,» intimò «voi aspettatami qui».
Provò a compiere un altro passo in avanti, ma l'uomo di Tomini tossicchiò a disagio, facendo interamente fremere Giorno di soddisfazione quando, muovendo il collo verso l'alto, indicò la figura scura di Mista dietro di lui; dal rivolo di sudore che dalla tempia gli percorse il collo, Giorno poteva solo immaginare lo sguardo d'onice quanto dovesse essere spaventoso.
«Il mio secondo in comando viene con me».
Non gli diede possibilità di ribattere. Lo guardò indugiare qualche breve secondo sui talloni, dopodiché voltarsi e bussare alla porta, socchiudendola a malapena mentre annunciava il suo arrivo.
Leggermente irritato dall'accoglienza, Giorno varcò la soglia della stanza; i polmoni si chiusero con fastidio al prorompente odore di sigari e menta.
Tomini era seduto, o per meglio dire affondato su una poltrona in pelle, un elegante posacenere in vetro di Murano poggiato al basso tavolino accanto a lui e, mentre dava un'altra boccata al cubano, teneva instabile un bicchiere di whisky.
La mano dell'anziano tremava, non per paura, le macchie e le rughe sulla pelle distrassero per mezzo secondo Giorno che tornò subito dopo ad osservarlo in viso, nell'unico occhio buono e non appannato da una lastra di vetro, dal colore marrone e profondo. C'era un che di opacizzato nell'iride, forse dovuto alla cataratta, o alla perdita di lucidità.
«Il giovane Don di Passione,» la voce bassa e gracchiante gli diede il benvenuto «è un piacere averti come ospite, spero le misure di sicurezza prese da mio figlio non ti abbiano disturbato troppo».
Assottigliò le labbra, scrutando di sottecchi la figura slanciata al fianco del vecchio; dalla postura e la rigidità della mascella doveva riferirsi proprio a lui.
«No, anzi,» si accomodò elegantemente al posto che gli avevano riservato «considero encomiabile tanta premura».
Tomini rise, eccessivamente allegro: «Christian si preoccupa troppo di non farmi morire prima di succedermi» indicò il tavolo con gli alcolici, e poi disse al figlio «Servi il nostro ospite».
Giorno lo vide infilare una mano in tasca con noncurante, probabilmente stringere il pungo, poi annuire e assumere un finto atteggiamento servizievole.
«Cosa le servo Don Giovanna?».
«Cognac, senza ghiaccio».
Il suo essere in verità astemio non era un'informazione essenziale da riferire, né voleva iniziare quella conversazione parlando di sé e le proprie preferenze. La giovane età era già un enorme disagio da affrontare, l'avessero visto rifiutare agli occhi di Tomini e gli uomini armati in quella stanza, figlio maggiore compreso, sarebbe parso solo un ragazzino capriccioso e immaturo.
L'abilità di Gold Experience era utile anche in situazioni del genere.
«Il suo vice non prende nulla?» domandò Christian Tomini, le labbra incurvate in un infido sorriso e lo sguardo interessato rivolto a Mista.
La gola di Giorno bruciò ad intercettare l'occhiata troppo lusinghiera indirizzata al suo secondo.
«No, grazie» rimbeccò lapidario.
Il tono possessivo gelò l'altro sul posto e, forse, mostrò fin troppo di Giorno.
Guido era forte, il sicario perfetto, chiunque avrebbe dato qualsiasi bene per averlo. Portaglielo via.
Disgraziatamente spesso gli era capitato che altri Don avessero messo gli occhi su di lui. Doveva farci i conti, era normale, malgrado ciò non si sarebbe mai abituato a quella sgradevole sensazione.
Accavallò le gambe e rilassò le spalle, fingendo di non notare la luce interessata accendere ancora la pupilla di Christian.
«Tu credi nel destino, Giorno?».
La confidenza improvvisa presa da Francesco Tomini lo lasciò internamente interdetto.
Capitava quasi ogni giorno di aver a che fare con uomini più anziani di lui, nessuno di loro però aveva usato il 'tu' invece del 'lei' come stava facendo il vecchio Don. In più la domanda posta non sembrava di certo ottimo materiale di conversazione per un incontro d'affari.
«Non mi sono mai soffermato a riflettere su qualcosa di così effimero».
«Capisco, sei un uomo concreto. Mi piaci».
La realtà era che Giorno rifletteva in maniera eccessiva sul concetto stesso di destino, cosa gli aveva portato via, cosa gli aveva donato. Se davvero ogni uomo era guidato dal fato, allora quello che aveva tracciato il cammino insanguinato sino alla realizzazione del suo sogno era stato terribilmente spietato con lui.
E con Guido.
Adocchiò il liquore ambrato, scacciando la malinconia.
«Vorrei chiederle il motivo di questo incontro».
«Passi subito al sodo» un colpo di tosse scosse il petto di Tomini, poggiò il bicchiere al tavolo e poi prese un altro tiro dal suo sigaro, aggiungendo «La mia famiglia è sempre stata in ottimi rapporti con Passione e Diavolo, ero curioso di osservare da vicino il nuovo capo».
L'onestà delle sue parole incuriosì Giorno, malgrado ciò ci tenne a specificare: «La pessima gestione di Diavolo ha causato diversi problemi all'interno dell'organizzazione. Mi auguro lei comprenda quanto la mia politica sia ben diversa da quella del precedente capo».
«Mi hanno riferito infatti l'intenzione di ridurre il traffico di droga».
«Ridurlo fin ad estirparlo dal nostro Paese» disse duro.
Tomini rise di nuovo e le rughe attorno alla bocca divennero più profonde.
«Un sognatore non può fare il mafioso, ragazzo mio».
Giorno ingoiò la sensazione di acidità, rimanendo composto.
«In questi primi sei mesi abbiamo portato a termine ottimi risultati» dichiarò, bagnandosi ancora le labbra con il liquore «I Comuni attorno Napoli appoggiano la nuova gestione di Passione e lo sgradevole problema dei rifiuti, venutosi a creare anche a causa dei precedenti accordi di Diavolo, è sulla strada della risoluzione».
«Sei un ottimo oratore» si complimentò, indifferente al suo discorso.
«Sono solito mostrare prove concrete».
Giorno voltò di pochissimo il viso, Mista già sporto in avanti per ascoltare i suoi ordini e allungargli i fascicoli inerenti agli ultimi accordi stipulati giorni addietro. Il richiamo dell'altro uomo però fece ritrovare una posizione composta al sicario e tornare Giorno a guardarlo, spiacevolmente sorpreso da quel modo di comportarsi.
«Ti ho invitato a casa mia per conoscerti, tempo per discutere davanti a carta straccia ci sarà. Negli ultimi anni la mafia si è mischiata talmente con la politica, da precludermi una volta di troppo una chiacchierata con i miei soci».
Giorno intercettò di nuovo l'espressione di Christian Tomini, dalla postura e gli occhi vacui che osservavano con ostentato distacco davanti a sé, avrebbe potuto scommettere non fosse per nulla d'accordo con le parole del padre.
«Per cui ha deciso di mantenere i rapporti con Passione?».
«Perché non dovrei, ragazzo?».
Le labbra di Christian divennero più pallide quando le assottigliò.
«Nessun motivo,» sorrise ammaliante «la reputo la scelta più intelligente da fare».
L'ennesima risata, subito seguita da un violento un colpo di tosse e dalle occhiate seccate a lui rivolte dalle guardie, diedero a Giorno conferma delle sue supposizioni: era dinnanzi ad un fantoccio.
Francesco Tomini aveva perduto ogni autorità probabilmente anni prima, da quando fisico e mente avevano cominciato a cedere alla vecchiaia; colui che tendeva le fila all'interno dell'organizzazione era in verità il figlio maggiore, tutto fuorché intenzionato a riallacciare i rapporti con Passione.
Giorno però non poteva mostrare le sue intuizioni, né andarsene a neanche metà conversazione e lasciare che i suoi uomini si occupassero di quel problema. Aveva il dovere di scacciare ogni ansia e rimanere seduto lì, fare buon viso a cattivo gioco, stringere alla fine la mano rugosa e tremante di Tomini e soltanto poi, tornati in albergo, decidere come muoversi.
Peccato più lui si mostrava calmo, maggiore era l'agitazione di Christian che, accanto all'anziano genitore, lanciava sempre più spesso occhiate a Mista. Alle volte affascinate, altre palesemente intente a studiare ogni particolare il sicario si lasciasse sfuggire.
Tempo dopo, nel momento in cui Giorno poté tornare in piedi, avvertì un peso scivolargli dalle spalle che ritornò subito enorme al sentire Tomini ordinare al figlio di accompagnarli all'ingresso.
Diversi scenari affollarono i pensieri di Giorno mentre percorreva il sentiero lastricato di ghiaia bianca e scorgeva la macchina blindata aspettarli fuori il grande cancello, l'autista già seduto all'interno.
«Quanto si fermerà a Torino, Don Giovanna?» chiese con curiosità Christian.
Lui inclinò il collo, fingendo dispiacere: «Purtroppo soltanto questa notte».
«Un vero peccato, mio padre sarebbe stato felice di portarla nei migliori ristoranti della zona».
«Un invito allettante, lo accetterò la prossima volta con grande piacere».
Christian gli sorrise, lascivo, un'espressione che a Giorno provocò nuovo ribrezzo.
Giunti finalmente all'automobile, trattenne il sospiro di sollievo che stava per sfuggirgli. Nell'istante in cui mosse la mano per stringere quella dell'altro alle orecchie arrivarono i primi colpi d'arma da fuoco, stordendolo nell'immediato.
«Giorno, spostati!» l'esclamazione rauca di Mista lo aiutò a ritrovare concentrazione, ed allentare quindi la stretta di Christian al braccio. Una fitta nebbia però parve inglobare lui e i suoi uomini, rendendolo cieco.
L'informazione ci fossero portatori di Stand all'interno della famiglia Tomini era purtroppo vera.
«Mio padre è sempre stato troppo accondiscendente con porci di Passione. Fumo e Cenere, rendili inoffensivi» sibilò furioso.
La voce era vicina, troppo, eppure faticava a vedere oltre l'alone di quel manto velato che gli ottenebrava i sensi. Giorno digrignò i denti, il corpo formicolò, deciso ad attivare Gold Experience e affrontarlo; inaspettatamente la schiena cozzò con violenza contro il cruscotto della macchina, il viso premuto con forza contro un torace familiare.
«Stai fermo!» urlò infuriato Mista, i Sex Pistols intanto imprecavano mentre venivano sparati alla cieca «Hanno ammazzato Crema e Pistacchio, non osare muoverti da qui e metterti in pericolo!».
«Posso aiutarti, io...».
«No!».
Giorno avrebbe voluto controbattere ma, facendogli scudo con il proprio corpo, Mista lo spinse all'interno della macchina, chiudendolo dentro senza dargli modo di opporsi. La nebbia divenuta talmente fitta da impedirgli di vedere ad un centimetro dal naso, e purtroppo poteva percepire benissimo che all'interno di quell'abitacolo non c'era più vita.
Ingoiò l'acido e la delusione; grida e colpi d'arma da fuoco continuavano attorno a lui che, l'unico contributo a cui poteva aspirare, era spingere il corpo morto dell'autista fuori dall'abitacolo. Tastò il torace trivellato, sui palmi la consistenza vischiosa del sangue, lo allontanò privo di riguardo, sentendo il tonfo sordo contro il terriccio umido.
Evidentemente l'auto non era così sicura come gli era stato riferito.
Giorno trasalì quando un proiettile vagate colpì lo specchietto retrovisore; chiuse rapido la portiera, toccando frenetico il cruscotto per capire dove fossero le chiavi. Fortunatamente erano inserite nel blocchetto d'accensione, così iniziò a scavalcare il sedile per mettersi al posto di guida.
La nebbia ormai aveva inghiottito qualsiasi cosa intorno a lui, sintomo che Mista non era ancora riuscito ad uccidere Christian Tomini. L'istinto gli diceva di scendere, raggiungerlo e combattere al suo fianco come la squadra che erano sempre stati prima di diventare il capo di Passione... eppure non poteva. Mista rischiava la vita ogni giorno per proteggerlo, se si fosse lasciato uccidere non sarebbe valsa a nulla la strada che avevano percorso insieme.
Accese quindi i fari, cercando di illuminare davanti a sé.
La portiera si spalancò, repentino Gold Experience fece la sua apparizione alle spalle di Giorno, pronto a colpire chiunque lo avesse raggiunto.
«Fammi spazio, presto!».
Lo Stand si ritirò alla voce e al tocco di Mista che, letteralmente, lo spostò di peso sul sedile del passeggero e mise in moto; agitato lanciò la pistola sul grembo di Giorno.
«Prendila e spara, ti aiuteranno i Sex Pistols».
«Non l'ho mai fatto».
«Imparerai adesso!».
Giorno aggrottò la fronte con preoccupazione quando N.5, in lacrime, svolazzò vicino alla guancia di Mista, provando a parlare fra i singhiozzi: «Mista, fermati, Mista...».
«Stai zitto e aiuta Giorno come ti ho ordinato».
Era la prima volta che lo sentiva urlare in quel modo contro il suo Stand.
La macchina sbandò prima potesse domandargli spiegazioni, e si ritrovò schiacciato contro il finestrino; serrò i denti al constatare che la visuale stava man mano diventando più nitida, seppur non riuscisse a sentirsi comunque sollevato.
«Credo non ci stia inseguendo nessuno, N.5 tu vedi nulla?» domandò, gli occhi attenti ancora rivolti alla strada. Al silenzio che seguì si voltò nuovamente.
«Allora l'ho ucciso,» disse cupo il sicario «non ero certo di averlo colpito, non riuscivo a vedere bene e gli unici Pistols rimasti attivi erano N.3 e N.5...» dopo una breve pausa continuò «Prendi il telefono nella mia tasca e chiama immediatamente Fagiani, lui e gli altri ci stanno aspettando».
Giorno sorrise tirato, concedendosi una battuta: «Hai cominciato a darmi ordini?».
Non sentì la risposta, poiché quando sfiorò i pantaloni di Mista si sorprese di trovarli bagnati; portò la mano davanti agli occhi, osservando il sangue brillare illuminato dai fari delle altre macchine sulla strada.
«Oh mio Dio, Mista...».
«Siamo quasi arrivati, per favore fai come ti ho detto, sai che non mi fermerò» rimbeccò, prima ancora che Giorno gli proponesse di accostare.
Per qualche secondo gli mancò l'aria, senza rendersene conto aveva sgranato gli occhi e le labbra tremarono impercettibilmente: «Dove sono i Sex Pistols?».
«Prendi il cellulare, Giorno».
«Rispondimi!» gridò, la proverbiale calma perduta. Afferrò la spalla del suo vice, rendendosi conto di come provasse a guidare dritto con una mano sola, mentre l'altra reggeva lo stomaco e premeva con le dita sulla ferita al fianco.
Una delle tante.
Il viso di Mista divenne più pallido e il respiro s'appesantì: «Non abbiamo molto tempo, devo essere sicuro di lasciarti in mani fidate».
«Smettila di dire stronzate!» il terrore di perderlo oscurò ogni ragione «Devo curarti, fermati immediatamente» provò ad utilizzare un tono di comando, non valse a nulla.
«Non posso».
«Finiscila di fare il masochista!».
«Giorno,» ringhiò il suo nome fra la supplica e l'indignazione «non ho la certezza di aver ucciso Tomini, né che sia l'unico portatore di Stand, o di aver seminato i suoi uomini! Siamo soli, fuori Napoli, due delle tue guardie del corpo sono state ammazzate...» tossì, la mano che stringeva il volante sembrò farsi più rigida «capisci che devo portarti al sicuro? Prendi quel cazzo di cellulare e chiama gli uomini della scorta! La tua vita è più importante della mia!».
Non lo era.
Agli occhi di Giorno nulla era più importante di Mista, proprio per questo però, con dita percorse da tremiti e il cuore in tumulto per il panico, fece quello che gli aveva chiesto, nascondendo il tono di voce sofferente dietro una lastra di ghiaccio intanto che parlava con Fagiani e gli riferiva della negoziazione conclusa nel peggior modo possibile.
Per sua enorme fortuna anche al nord Passione poteva contare su persone fidate.
Richiuse la chiamata e abbandonò il cellulare sopra il cruscotto, dopo un attimo di esitazione sfilò la giacca costosa indossata per l'occasione e la piegò.
«Cosa stai... Merda, mi fai male» soffiò fra i denti Mista.
Giorno evitò di parlare, aveva sforzato al massimo la sua maschera di impassibilità durante la conversazione precedente; premette la stoffa contro la ferita allo stomaco il più forte possibile, cercando di bloccare il flusso di sangue.
In quella posizione scomoda era impossibile curarlo, non riusciva però a rimanere al suo posto senza far nulla e vederlo morire dissanguato poiché troppo testardo, troppo fedele...
Affondò i denti nel labbro inferiore, talmente violento che, quando la macchina sterzò e Mista pigiò il freno, rischiò di tagliarsi. I suoi occhi vagarono sulla stradina scarsamente illuminata nell'esatto momento in cui volti conosciuti li raggiunsero rapidamente.
Al rendersi conto di essersi fermati, al sicuro, prese del tutto il controllo della situazione.
Immediatamente tornò a prestare attenzione a Mista, la testa china in avanti e la fronte premuta sul volante. Il panico invase ogni parte di Giorno a quella vista che, ignaro ai richiami, abbassò il sedile e fece stendere il corpo privo di sensi dell'altro.
«Capo, meno male sta bene» giunse ovattato al suo orecchio.
Disinteressato a quel che avveniva attorno a lui, spogliò frenetico il torace del suo vice, Gold Experience già attivo sfiorava ansioso il collo. Cercava il battito cardiaco, faticando a trovarlo.
«Capo deve salire nell'altra auto!».
Lo sportello cigolò e venne strattonato per l'avambraccio.
Giorno non poté vedere l'espressione assunta mentre si voltava di scatto, né rendersi conto del tono usato, ma quando ordinò a quell'uomo di cui non ricordava neppure il nome, o ne aveva riconosciuto le fattezze, di andarsene o l'avrebbe ammazzato all'istante, la cattiveria nel tono di voce e il gelo sceso all'interno dell'abitacolo fecero in modo fosse lasciato completamente solo.
Una parte di sé provò un briciolo di pietà, l'altra era impegnata a trasformare i proiettili dentro il corpo di Guido in tessuto, organi e nuova pelle. Infine cercò un'altra volta il battito, udendolo poco dopo leggero, fiacco, ma presente.
La speranza gli inumidì gli occhi, pizzicavano; abituato a sentire le lamentele di Mista ogni volta che lo curava disprezzò quella quiete che aveva il sapore di morte e tristezza.
I secondi trascorrevano inesorabili e le ciglia s'appesantirono, appannandogli la vista; cacciò indietro un singhiozzo al lieve mugolio infastidito sfuggito dalle labbra di Mista, che aveva risposto alle preghiere silenziose, come se avesse udito il disperato tormento interiore che lo attanagliava.
«V-va tutto bene» mormorò Giorno, carezzandogli la guancia ancora graffiata «Va tutto bene, ti ho sistemato come al solito» sorrise tremulo, Gold Experience ancora sfiorava le membra doloranti, non sapeva nemmeno Giorno se per cercare altre ferite o solo per premurarsi stesse bene.
Respirava. Era vivo.
Mista gli rivolse uno sguardo spossato e una smorfia addolcita.
«Grazie...» gracchiò, la voce talmente fragile da apparire irriconoscibile. Pareva volesse aggiungere qualcos'altro, poiché mosse piano la bocca, ma la stanchezza lo vinse ancora e svenne poco dopo.
Giorno afferrò la mano che aveva cercato di allungare verso di lui e ne baciò il palmo, dopodiché chiamò gli uomini della scorta.
«Aiutatemi a trasportarlo».
Nessuno mosse altre obiezioni.
Giorno, rigido sui sedili posteriori di un'altra auto, aveva fatto poggiare il viso di Mista sulle gambe, le dita ancora macchiate di sangue intrecciate ai capelli ricci e Gold Experience, che non voleva saperne di ritirarsi, serrava il corpo addormentato in un caldo abbraccio.
Durante il tragitto evitò di pensare ai baci che lo Stand lasciava sul viso di Mista, adocchiandolo con un misto d'imbarazzo e irritazione quando gli sfiorò dolce le labbra.
La testa sembrò scoppiare nel momento in cui varcò la soglia della propria stanza d'albergo. Aveva malamente scacciato tutti, ordinando di rimanere di guardia e contattare Polnareff a Napoli, per riferirgli la situazione.
L'esecuzione della famiglia Tomini doveva avvenire il prima possibile, ne era conscio, ma dopo tutto quel che era accaduto riuscire a prendere le redini dell'organizzazione sembrava impossibile, non con Mista ancora privo di sensi e sporco di sangue.
Sarebbe stato meglio se se ne fosse occupato Polnareff per quella volta.
Giorno passò quindi l'ora successiva al telefono con il consigliere, lanciando regolarmente qualche occhiata al corpo disteso e dormiente del suo secondo in comando. Gold Experience non si era mosso di un millimetro dal suo capezzale mentre lo aveva spogliato, ripulito delicatamente e rivestito timoroso potesse prendere freddo; rispettoso aveva evitato di soffermarsi troppo sul corpo nudo, malgrado lo Stand continuasse a stringerlo, carezzargli il torace e i capelli ricci ogni volta che ne aveva l'occasione.
Alla fine della fitta conversazione con Polnareff sedette accanto a Guido, in seguito s'afferrò la fronte fra le mani e tentò di sopprimere il male alle tempie, la paura al ricordo di averlo quasi visto morire fra le sue braccia.
Rischiò di mordersi la lingua quando, minuti dopo, la mano brunita gli strinse la spalla.
«Ehi, sembri uno straccio» mormorò, sollevandosi con fatica.
Giorno stirò le labbra ormai esangue, Gold Experience ritirato all'istante al percepire la furia del portatore; lo scacciò con uno schiaffo sul dorso e parlò ostile: «Che accoglienza pensavi di ricevere, Mista?».
Lui ciondolò la testa, lasciandosi sfuggire un sospiro esasperato: «Mi dispiace di averti fatto preoccupare o causato rogne, ma sono qui, stiamo bene entrambi».
«Per quanto ancora?».
«Giorno...»
«No,» sibilò, premendo il dito contro il maglione «non provare a giustificarti! Hai messo di nuovo in pericolo la tua vita, non ci sarò sempre io a salvarti».
La tremenda prospettiva di Mista in missione da solo, con quelle stesse ferite, gli provocò un conato di vomito; talmente forte che dovette portarsi la mano alle labbra.
Lo sentiva, stava crollando, e odiava l'idea potesse accadere davanti a lui, davanti a chiunque.
«Vattene».
«Calmati, non è successo» gli sfiorò il polso, dispiaciuto.
«Lasciami...».
«Va tutto bene,» mormorò afferrandogli le spalle con delicatezza «sto bene, mi hai salvato».
«Smettila,» scosse la testa, esausto «smettila di provare a lasciarmi, smettila...».
«Sono qui,» ripeté ancora «sono qui con te» gli sfiorò delicato la tempia, al che Giorno si tirò indietro per guardarlo negli occhi: il nero della pupilla confuso con l'onice dell'iride, diventati così caldi e grandi che credette di poter bruciare.
Al percepire le mani grandi scivolare in basso e afferrargli i fianchi, circondò d'istinto il collo del sicario; pregò di non risultare patetico mentre, sedendosi fra le sue gambe, schiudeva le labbra e le premeva contro quelle carnose e scure, incapace di trattenersi.
Il lieve sobbalzo sorpreso dell'altro lo riportò bruscamente alla realtà, la testa bionda scattò all'indietro per allontanarsi e il panico gli invase le viscere, sicuro di aver compiuto un errore imperdonabile. Mani rozze lo bloccarono prima di poter scappare e irruente Mista catturò di nuovo la sua bocca, azzittendolo.
Giorno avvertì una fitta al cuore, braccia forti e premurose lo sollevarono, unicamente per farlo accomodare meglio fra i cuscini, sul letto enorme e accogliente; rischiò di strozzarsi al sentirsi mordere e affondò le unghie nelle spalle grandi.
«Bellissimo,» ansimò Guido, con una scia di baci percorse il torace candido, lì dove la scollatura a forma di cuore scopriva pettorali, iniziando a scaldarli con le labbra «il mio bellissimo Giorno, finalmente posso toccarti» aggiunse tenero «Perdonami per averti spaventato».
Deglutì a fatica a quelle parole, alla disperazione udita nella sua voce.
«Aspetta, vai piano» sussurrò, ricordandosi degli uomini della scorta che, di guardia fuori la stanza, avrebbero potuto udirli in ogni momento.
Non voleva dar loro motivo di spiarli e spettegolare a riguardo, interromperli proprio quando finalmente si era lasciato andare e perso ogni freno; fragile, intossicato dal calore e il profumo di Guido, gli sfuggì un nuovo gemito carico di piacere alla stretta affettuosa.
«Scusami,» gli baciò la fronte e massaggiò premuroso le spalle ricurve «mi sono lasciato trasportare dalla felicità per aver ricevuto quel bacio» confessò con un sospiro adorante.
Nascose il viso nell'incavo del suo collo, negando in imbarazzo: «Ho sbagliato... sono stato avventato».
«Mi piaci avventato» dichiarò.
Giorno mordicchiò l'interno della guancia, immaginò quelle stesse mani che lo carezzavano con riguardo spalancargli le cosce nude, affondare la faccia fra le sue gambe e succhiarlo fino a farlo urlare. Mista era così dolce, eppure non riusciva a scacciare quei pensieri vergognosi.
Serrò i pugni e disse frustrato: «Ho paura... dell'effetto che mi fai».
La risatina che ne scaturì gli infiammò di nuovo il ventre.
«Che effetto ti faccio, Gio?» domandò, due dita gli sollevarono il mento e lo guardò dritto negli occhi, ammiccando furbo.
In quel momento fu come se la gola di Giorno fosse stata pungolata da mille spilli, gli venne quasi da piangere e sconvolgendo Mista più di quanto si aspettava gridò: «Ti prego. Ti prego, stringimi!».
Neanche lui comprese da quanto aveva cominciato a singhiozzare, né in che modo s'era ritrovato schiacciato sopra il materasso dal corpo di Guido, le labbra ovunque e le braccia salde a circondargli il bacino come aveva richiesto.
«Sono qui» ripeteva ad ogni bacio «Non andrò mai via» spergiurava sulla pelle divenuta ipersensibile.
Tirò con rabbia i capelli ricci e gli sfuggì un altro singulto: «Bugiardo» la vista appannata da lacrime che non riusciva più a trattenere «Stavi per morire proprio oggi. Lasciarmi. Tutto sarebbe diventato vano, il nostro sogno, questa vita... Bugiardo».
Il volto di Mista vicino al suo lo fece infuriare ancor di più, soprattutto quando gli baciò la guancia umida e provò a consolarlo: «Non piangere. Perdonami».
«Ti odio» serrò il viso sofferente di Mista «T-ti odio» ripeté con voce rotta dalla disperazione.
Aveva avuto così paura di perderlo che ancora fatica a credere fosse lì, in salvo.
«Mi dispiace così tanto di averti ferito, non a-avrei mai voluto farti del male» il tono rauco, le ciglia umide di lacrime.
Giorno represse la voglia di prenderlo a pugni, bensì gli strattonò il capo e lo baciò, voleva sentirlo vicino e palpitante, divorarlo per tenerlo per sempre accanto a lui.
Le mani di Mista ripresero a vagare ovunque, e la stoffa abbandonò presto la sua pelle mentre perdeva un'altra volta fiato; non gli importò di poter soffocare per la mancanza d'ossigeno, desiderava soltanto passare il resto della vita a mordere e succhiare le labbra carnose, ad assaporarlo e gemere ai suoi tocchi.
Tirò indietro il collo madido di sudore, un ansimo più acuto e gaudente lasciò la gola; la vaga consapevolezza di esser stato spogliato da ogni indumento lo confuse, i palmi febbricitanti che gli stringevano le natiche, i suoi baci sul petto che si alzava e abbassava troppo velocemente, invece cominciarono a fargli provare una sensazione inebriante.
Dita callose percorsero la schiena minuta e nuda, come un violinista esperto fece tendere ogni corda dell'anima di Giorno, che suonò per lui. La mente completamente ovattata, le palpebre pesanti e la testa appoggiata sul cuscino, ansimava respirando ormai dalla bocca. Aveva quasi paura di sapere che aspetto avesse.
Alla fine gli aveva davvero allargato le gambe, e fra queste Mista pompava il bacino facendo incontrare l'inguine ancora vestito con il suo, come se i loro corpi fossero stati travolti da una danza che Giorno neanche credeva di saper ballare.
Ridacchiò all'ennesimo brivido di piacere, poi singhiozzò e s'accumularono altre lacrime agli angoli dei suoi occhi, forse non sarebbe sopravvissuto alla sua prima volta. Eppure ricercare le mani di Mista sul lenzuolo e addosso al suo corpo, stringerle e poi scappare, riafferrale e portarle alle labbra per baciare le dita e il dorso, gli riempivano il petto di una gioia e un amore mai provati prima.
«Dio...» mormorò rauco al suo orecchio «Sei così sensibile al mio tocco...».
Uscito dalla sua bocca pareva il miglior complimento mai udito; si ricredette quando venne a contatto con la pelle bollente di Guido, sentì la trama spessa, toccò i pettorali gonfi e le loro cosce si sfregarono, sino a di nuovo far incontrare i sessi eccitati, facendolo così sprofondare ancora più in basso.
In un abisso di piacere e lussuria da cui non riusciva a sottrarsi.
Le unghie affondante nella coperta sotto di lui, il cuore martellava nel petto, andava così veloce che lo sentiva in gola e faceva quasi male.
Non si accorse che i movimenti ondeggianti s'erano fermati finché non venne baciato con dolcezza infinita. «Guardami» ordinò, carezzandogli la gota paonazza e aiutandolo a voltare un poco il collo.
Il sorriso che gli rivolse lo ammutolì e riportò sull'orlo delle lacrime.
Era lì.
Era vivo.
Erano insieme.
Le braccia magre si mossero da sole, lo attirò a sé.
«Guido...» sussurrò per la prima volta il suo nome «il mio Guido,» disse ancora «non andare via, ti prego».
Il pomo d'Adamo di Mista tremò, ci lasciò un bacio rassicurante, nascondendo poi il viso dietro una mano, ridendo infantile dello sguardo languido e incredulo dell'altro. Bastava così poco per renderlo felice.
Lo amava. Il caldo e morbido, dolce e premuroso suo Guido.
L'idea del suo corpo freddo e senza vita gli fece venir voglia di urlare ancora, vederlo in quello stato così tante volte in quei mesi gli aveva causato un trauma ben più grande di quel che voleva ammettere; perderlo stava diventando il suo incubo peggiore.
E dopo quella notte, dopo quei tocchi, ne sarebbe morto anche lui. Per questo non voleva sprecare più un attimo della loro vita insieme.
«Voglio fare l'amore con te, Guido».
Lui distolse lo sguardo, arrossendo. «Ne sei sicuro? Anche se siamo nudi non è che dobbiamo per forza... Non ti ho neanche chiesto se potevo spogliarti, mi dispiace, io non... non pensavo di andare troppo oltre, volevo solo, beh, sì... non sentirti obbligato a...».
Il cuore di Giorno s'ingrandì per la tenerezza, smorzò poi quel fiume di parole e picchettò il naso contro il suo, amorevole: «Lo voglio, fammi sentire vivo».
L'attimo di smarrimento che colpì Mista lo commosse, poco dopo però gli occhi neri tornarono ad ardere passionali.
«Tutto ciò che desideri, amor mio».
Giorno gli graffiò il petto a quelle parole, le ciglia bionde sfarfallarono e inarcò la schiena, invaso da emozioni che non aveva mai provato in vita sua. Non sapeva come rispondergli, come comportarsi, cosa fare. Forse era presto, forse avrebbero dovuto aspettare come aveva suggerito Mista, ma il suo corpo, la sua anima, il suo cuore desideravano il contrario.
Aveva bisogno di fare l'amore con lui quella notte, per sempre.
Giorno strillò ad un morso più forte sul collo, portò il pugno alla bocca per cercare di non farsi sentire, anche se ormai immaginava c'era ben poco da nascondere.
Il pene gonfio e bollente si sfregò contro il suo stomaco; lo bramò indurirsi e bruciare dentro di sé, fino a farlo impazzire. Seppur pazzo sentiva di esserlo diventato già mentre veniva baciato, morso, succhiato ovunque, sulle spalle, il collo, i capezzoli turgidi e dolenti.
Di nuovo gli tremarono le cosce, le divaricò maggiormente e sollevò il bacino quando le dita di Guido arricciarono giocosamente i peli biondi del pube, carezzandogli poi il ventre contratto; con le ginocchia arrivò quasi a toccare le lenzuola, i polpacci duri, i piedi arricciati e la schiena ricurva in una posizione innaturale. Il torace si gonfiò quando avvolse un capezzolo, stuzzicandolo poi con la punta della lingua.
«G-guido».
«Sshh sei troppo rumoroso» lo ammonì.
Giorno scosse il capo contro il cuscino e boccheggiò incapace di emettere alcun fiato, gridò un'altra volta contro la mano di Guido, opportunamente posata sulla sua bocca, quando i tocchi diventarono più intimi e l'indice sfiorò l'ano che aveva cominciato a contrarsi spasmodico. C'era odore di sudore ed eccitazione attorno a lui, il profumo di Mista gli ottenebrava i sensi; smise di pensare, di opporsi ai suoi sentimenti e le sue voglie.
Baciò il palmo e sorrise adorante, si lasciò andare fra le sue braccia, sottomesso e languido decise di affidarsi completamente alle sue mani, felice come non era mai stato.

A Giorno ci volle qualche secondo per capire che il meraviglioso tepore attorno a lui non erano altro che le braccia di Mista, lo avvolgevano protettive e le gambe erano intrecciate assieme sotto al lenzuolo.
Entrambi sporchi e appiccicaticci di sudore e liquido seminale, a cui preferiva decisamente non pensare; la notte prima non erano riusciti neppure a sistemarsi per la stanchezza: s'erano abbracciati, baciati ancora un poco mentre calmavano il respiro, detto frasi sdolcinate e stupide, di cui Giorno si vergognava, e alla fine erano crollati addormentanti. Stretti e umidi.
Il lieve russare fra i capelli biondi lo rilassava, confortante e piacevole. Non fosse stato a disagio per la tremenda situazione del proprio corpo, parecchio indolenzito, avrebbe potuto anche pensare di rimanere lì per sempre.
Mugugnò al sentire la mano di Guido palpargli una natica durante il sonno, pizzicarla e poi tornare ad accarezzarla delicato; le guance arrossarono un pochino in imbarazzo al ricordare la sera precedente, la bocca bollente di Mista avvolgergli il pene congestionato, le dita spesse che lo preparavano con riguardo ad accoglierlo e poi... Affossò di più il viso sul collo brunito e si mordicchiò il labbro per trattenere una risatina.
Aveva fatto male all'inizio eppure era stato così bello averlo dentro di sé.
Al sesso non aveva mai pensato seriamente prima di allora e avvenuto in maniera non programmata, dopo lo spavento precedente, era stato bizzarro, magari troppo veloce, ma non si pentiva di nulla.
Sfregò il naso contro la pelle abbronzata, la baciò e succhiò dolce; era un poco salata per via del sudore, il sapore gli piaceva... Lo amava.
Amore.
Fu dolce e amaro al tempo stesso rendersi conto di non essere più Giorno Giovanna il capo di Passione, non Giorno l'utente con lo Stand più forte che avesse mai calpestato la terra, né il Giorno abusato dal patrigno e scacciato da chiunque altro. In quell'attimo era solo lui: Giorno, Haruno.
Realizzarlo gli permise di respirare dopo un luogo periodo d'apnea.
Il bacio che Guido gli stampò sulla voglia a forma di stella lo riportò alla realtà; controvoglia si liberò dalle braccia calde, avvolse il lenzuolo attorno alle gambe e alla vita, e sedette con cautela, mentre lo scrutava grattarsi la chioma nera e sbadigliare.
Il corpo muscoloso e nudo di Guido si tese e Giorno concentrò il proprio sguardo sulla peluria nera che, dall'ombelico, scendeva sino all'inguine riccioluto e scoperto. Il sesso addormentato fra le gambe toniche e flesse, la linea dei glutei generosi e i fianchi grandi; la vita un poco più stretta, il petto invece s'allargava enorme e gonfio, come le braccia e le spalle muscolose.
Pareva star bene, le ferite completamente rimarginate.
Talmente preso ad osservarne la bellezza e sincerarsi della sua salute, non si accorse di star sospirando, almeno fin quando l'altro non si sporse per baciarlo: «Buon giorno, raggio di Sole. Interessato a qualcosa in particolare?».
Giorno rialzò lo sguardo, in imbarazzo.
«Stavo solo guardando le tue cicatrici» mentì, seppur anche quelle avessero attirato la sua attenzione. Erano tante, troppe, non c'era un punto di quel corpo che non portasse i segni del loro mestiere.
Mista lo sovrastò, si accomodò come se nulla fosse fra le sue gambe e poggiò le mani alla parete.
«Mi rendono più sexy?» scherzò, un luccichio divertito negli occhi.
«Molto di più» assecondò quel gioco, allungando il collo per richiedere un altro bacio.
«Mmh, micetto» bofonchiò Guido sulle labbra tiepide, le catturò delicato, approfondendo il contatto sino a farlo diventare paonazzo, un po' per il soprannome, un po' per i suoi tocchi.
«Come sei bello anche questa mattina» aggiunse, sfregandosi sulla gota arrossata.
Giorno rise lusingato, sbirciò la sveglia, grattandogli piano la nuca con le unghie.
«In realtà sono quasi le undici».
Guido lo schiacciò con il proprio peso, sbadigliando rumoroso, per nulla intenzionato a rialzarsi: «Quando dobbiamo ripartire?».
«Nel pomeriggio» massaggiò la testa riccia, un formicolio felice gli attraversò il corpo al pensiero di star condividendo il letto e quella quotidianità assieme a lui.
«Guido,» tentennò incerto, un po' goffo a causa della timidezza «Posso chiederti una cosa?» sussurrò, gli spiaceva rovinare il suo riposo, ma voleva ufficializzare quei sentimenti. Renderli reali, più di quanto non fossero nel proprio petto.
«Dimmi» lo incitò, circondandogli meglio la vita stretta.
Giorno si beò di quel tono carico d'affetto e in questo trovò il coraggio per esporsi, proponendo in maniera comica e col tono di voce leggermente più alto del normale: «Vuoi essere il mio ragazzo?».
Calò il silenzio, almeno finché la risata grave di Mista non gli rimbombò alle orecchie; non riuscì però a coinvolgerlo, visto la gola chiusa dal timore di venir rifiutato e, forse, fu il lieve tremore del corpo a smorzare l'ilarità dell'altro.
Guido rimase comodo sul suo petto, lo baciò riverente, il respiro leggero, le mani delicate che gli carezzavano ogni tanto i fianchi.
«Lo vuoi davvero?».
«Che intendi?».
Alzò lo sguardo, stranamente affilato e serio, poi disse: «Rischieresti la tua posizione solo per stare con me? Accetteresti le malelingue? Di doverti dimostrare all'altezza d'essere un capo, ancora di più di quanto già non fai ogni giorno a causa della tua età?».
Giorno allungò la mano per carezzargli dolcemente la mandibola contratta d'ansia, un velo di malinconia nel tono di voce: «Tu rischi la vita ogni giorno per me» i polpastrelli premettero piano sulle labbra carnose, sfiorandole fin quando non si aprirono in un piccolo sorriso più rilassato «Ci saranno momenti in cui dovremo sacrificare molto, il nostro amore, il nostro tempo come coppia, altri in cui i sussurri maligni alle nostre spalle diverranno insostenibili, ma se vorrai io per te, per provare ad essere felici insieme, e per questo amore, sono disposto a farlo ed affrontare qualsiasi ostacolo».
Mista socchiuse le palpebre, afferrò la mano di Giorno per stringerla piano nella sua, ruvida e grande, dopodiché baciò piano le dita e annuì grave: «Farò qualsiasi cosa per starti accanto, l'ho giurato allora, non rimangio la parola data».
Giorno assunse un piccolo broncio, deciso ad alleggerire il discorso, e rimbeccò per nulla d'accordo: «Il giuramento di sei mesi fa non conta, ora sei il mio fidanzato».
«Sei così pretenzioso» si sistemò meglio su di lui, giocando con una ciocca bionda «Da ragazzo a fidanzato in nemmeno un minuto, domani andremo a convivere?» lo prese in giro.
«Conviviamo già, Mista».
«Giusto, le nostre camere sono anche comunicanti» tubò pensieroso «immagino serva un altro giuramento, più intimo, magari quando torniamo a casa» soffiò a pochi centimetri dal suo viso.
Il ventre di Giorno bruciò all'implicazione in quelle frasi.
«Hai tutto il giorno per pensarci, bada non accetto citazioni da Pretty Woman» brontolò, maledicendosi per essersi messo in quella situazione imbarazzante con le sue stesse mani.
«Sei crudele se mi impedisci di utilizzare 'voglio la favola' in qualsiasi discorso, me l'ero preparato da anni» lo accusò scherzoso, poi gli afferrò il mento per voltarlo con delicatezza; gli occhi neri brillarono divertiti e innamorati «Devi concedermi più tempo se ne vuoi uno originale».
«Quanto te ne servirebbe?» inclinò il collo, curioso.
«Mmh,» picchettò le labbra con l'indice «almeno almeno trenta... cinquant'anni».
«Mentre sfrutti tutto questo tempo per pensarci potresti stringermi un poco di più e scaldarmi, comincia a far freddo, sai?» lo incitò, premendo il naso sulla clavicola.
Guido si limitò ad avvolgerlo fra le braccia, non erano necessarie altre parole.
Passo dopo passo, coltellata dopo coltellata, quell'amore si era piantato nel petto di Giorno, come acqua sorgente infilato fra le crepe e abbattuto ogni muro innalzato; misericordioso, reale, lo cullava di speranze e promesse sussurrate a fior di labbra.
Irruente li aveva travolti, li avrebbe portati sull'orlo della follia, distrutti di dolore; amore appena nato destinato presto a finire, stroncato dalla violenza delle loro fragili esistenze.
Ne sarebbe comunque valsa la pena, qualsiasi fosse stato il finale che li attendeva.

Angolo autrice:
Buona GioMis Week! Come si può intuire ho utilizzato i prompt del quarto giorno, poiché l'angst mi è decisamente più congeniale di qualsiasi altro prompt. Il finale si è trasformato con l'andar delle correzioni in qualcosa di dolceamaro, mi piace. È abbastanza realistico, fa male il giusto.
Al solito ringrazio la mia beta, Kyuukai, per le correzioni.
Spero davvero la storia vi piaccia.

   
 
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