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Autore: _Blanca_    04/12/2019    1 recensioni
| Contesto → Pacifist Route | ● | Deviant!Connor + Human!OC ♡ | ● | Reporter/Detective relationship tropes |
Nova Barton è una reporter freelance nella Detroit del 2038. La metropoli sa essere un’arena ostile e Nova si arrangia come può per sbarcare il lunario. Non era certo nei suoi piani finire invischiata nelle indagini di un tenente di polizia perennemente di cattivo umore e del suo improbabile collega: un avanzatissimo modello di androide, programmato per dare la caccia ai cosiddetti devianti. Che Nova lo voglia o meno, anche lei dovrà fare i conti con le conseguenze delle proprie scelte.
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{ 06.20 capitoli revisionati » 1 – 21 }
Genere: Science-fiction, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor/RK800, Hank Anderson, Kara/AX400, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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024. THE ROWLAND







DATA: 7 NOVEMBRE 2038
ORA: 22:00

DOWNTOWN, CAPITOL PARK

Griswold Street è vestita a festa. Lungo i marciapiedi gli alberi sono avviluppati in ragnatele di luci natalizie e luminose ghirlande a cascata addobbano gli archetti pensili al pian terreno del The Rowland. Fuori, sotto la neve, tra gli schermi pubblicitari e le vetrine interattive dei negozi di Capitol Park il palazzo sfoggia con orgoglio l’inalterata appartenenza agli anni Venti del secolo passato; all'interno la lobby sfavilla di sofisticata contemporaneità: colonne quadrate coperte di specchi, quadri astratti alle pareti, un lustrissimo pavimento in marmo nero venato di bianco e... un immancabile controllo di sicurezza all’ingresso.
Nova passa sotto il metal detector, che non emette nessun bip allarmato, e poi lascia che l'addetto alla sicurezza, un umano, frughi nella sua borsa.
«L'androide è suo?» chiede l'uomo, riconsegnando la borsa.
Nova esita, per una frazione di secondo. «Sì.»
Connor sta attendendo dietro la linea olografica che chiude l'accesso al metal detector. La guardia gli fa cenno di venire avanti, come se rivolgere la parola a una macchina fosse una fatica superflua. È tardi e poche persone oziano nella lobby. Senza dire nulla, giornalista e androide raggiungono il banco della reception. Una ST300 è seduta dall’altro lato. Si attiva con un sorriso e, gentile come un'assistente di bordo, dà il benvenuto a Nova e chiede in cosa può esserle utile.
«Devo incontrare Nico Malone.» La reporter nasconde le mani nelle tasche del trench e parla con misurata noncuranza. «È in casa?»
Il LED della ST300 disegna un cerchio giallo. «Al momento il signor Malone si trova nella propria unità abitativa.»
«Che sarebbe?»
«Dodicesimo piano. Appartamento numero 0903. Vuole che annunci la visita?»
«No. Mi sta aspettando.»
«Molto bene.» La ST300 continua a sorridere, serafica. «Posso vedere un documento di identità valido?»
«Ehm... sì, certo...»
Nova, trafficando con la borsa, scocca un'occhiata a Connor. È due passi più indietro, l'aria neutra e assente di un qualsiasi androide in attesa di ordini.

Oltre il caotico albero di Natale al centro della sala e oltre i tavoli deserti della zona caffetteria, gli ascensori riservati agli umani hanno porte nere e lucide come pezzi d'onice. Nova schiaccia il pulsante di chiamata e sul display verticale compare il messaggio che annuncia l’immediato arrivo dell’ascensore. Le porte si aprono con un melodioso cicalino.
Nova entra.
Connor la segue.
Lei sfiora il numero 12 sullo schermo tattile, l’androide raccoglie le mani dietro la schiena e le porte inghiottono la vista sulla lobby luccicante. Una vocetta elettronica ricorda che all'interno della cabina è vietato fumare, che al terzo piano si può godere dei servizi offerti dal centro fitness aperto ventiquattr'ore su ventiquattro e che l'accesso alla piscina coperta è gratuito per i residenti.
«Hai preso quello che ti serve?» chiede Nova, riaffondando le mani in tasca.
Connor sta guardando diritto davanti a sé.
«Sì.»
«Bene...»
«Le probabilità che il piano fallisca rimangono alte.»
«Un passo alla volta, Connor. E un po’ di ottimismo non guasterebbe.»
«Malone potrebbe non essere da solo.»
«In quel caso, improvviserò qualcosa...»
«Cosa farà se lui non dovesse accettare di parlarle? Ha detto di non essere rimasta in buoni rapporti con lui.»
«Guarda dove vive. Gli piace il lusso. Mi ascolterà, se gli offro un modo di risparmiare soldi.»
Connor non controbatte.
Nova non può far a meno di voltarsi a osservarlo.
Il LED dell’androide è bloccato sulla luce gialla.
«Che hai?» chiede lei.
E coglie una serie di rapidissimi battiti di palpebra, prima di sentirlo rispondere: «Resto convinto che Nico Malone non sia coinvolto nell’omicidio. Tuttavia, se la moglie ha detto la verità, potrebbe essere pericoloso restare da sola con lui.»
Nova torna a contemplare le porte. In cagnesco, adesso. «Deve solo provarci ad alzare un dito su di me.» Al momento si sente capacissima di cavargli gli occhi a mani nude. Umetta le labbra; è preoccupata, sì, ma non per sé stessa. «Senti, Connor... se qualcosa va storto, mi prendo io ogni responsabilità. Ho sentito come ti ha minacciato Fowler, questa mattina, alla Centrale.» Con la coda dell’occhio, vede Connor girarsi verso di lei.
Sono all’ottavo piano.
L’ascensore si ferma.
Ad attenderlo c’è un ragazzotto con i capelli raccolti in un codino da samurai e un auricolare agganciato all’orecchio sinistro; si piazza tra Nova e Connor, allontanandoli di prepotenza l’uno dall’altra, e non degna nessuno dei due di mezzo sguardo. E sempre ignorandoli, scende al piano successivo.
L’ascensore riprende a salire.
Decimo piano.
Undicesimo piano.
Dodicesimo piano.

\ / / \


Connor seleziona il –1 sulla pulsantiera e le porte della cabina si chiudono, separandolo dal corridoio del dodicesimo piano. E dalla giornalista. Mentre l’ascensore comincia la ridiscesa silenziosa, un costante tintinno riecheggia all’interno: il quarto di dollaro volteggia in aria e ricade nel palmo di Connor. Una, due, tre volte; i movimenti precisi, perfetti, sempre uguali, come solo una macchina è in grado di eseguire. Sul display il numero dei piani cambia, veloce. La moneta rotola in equilibrio lungo le pallide nocche dell’androide.
«Lo Zenosyne ha una rete privata» gli ha detto Nova Barton, quando il taxi era fermo lungo la Plaza Drive. «Qualsiasi dispositivo in grado di connettersi, se ne ha l’autorizzazione, si aggancia in automatico alla rete dello Zenosyne nel momento in cui si mette piede negli uffici. Malone non si sposta mai senza il suo datapad. È probabile che lo avesse con sé, quando è tornato nel suo ufficio. Sei in grado di connetterti al datapad e scoprire se era agganciato alla rete della redazione, ieri sera, attorno all’orario dell’omicidio?»
Il LED si è acceso violentemente di giallo, mentre Connor elaborava la richiesta. Ha ricevuto un messaggio di avviso, in merito alle regole di accesso ai dati personali dettate dall’American Androids Act. Ne ha forzato la chiusura, ignorandolo. «Potrei farlo. Ma con molta probabilità il datapad è protetto da una password. È una misura di sicurezza che non posso aggirare.»
Nova Barton è parsa sprofondare nel sedile. Lui l’ha osservata mordicchiarsi la guancia – ha imparato a equiparare quel micro-gesto all’atto di pensare – e, di riflesso, ha aggrottato la fronte, avviando una ricerca in rete.
«Forse...» ha principiato l’androide, un istante prima che, con un ultimo balugino ambrato, il LED tornasse stabile e la fronte distesa. «Forse esiste un modo per ottenere la password.»
L’ascensore si ferma.
Connor chiude le dita sul quarto di dollaro.
Le porte si aprono su di un corridoio spazioso e illuminato, senza finestre né mobili, e con le pareti pitturate di un bianco ghiaccio.

    [ RAGGIUNGI I LOCALI DELLA LAVANDERIA ]

\ / / \

«Come cazzo sei entrata?»
Nico Malone non ha bell’aspetto. Forse ha bevuto. Di certo è stressato. E risulta una creatura assolutamente fuori posto in un appartamento elegante e minimale come una sala da tè giapponese. Il direttore dello Zenosyne non indossa una delle sue cravatte di seta, né una delle costose cinture in pelle; e la camicia di alta sartoria, con un lembo che penzola fuori dai pantaloni e le maniche arrotolate sugli avambracci irsuti, ostenta due grosse macchie sotto le ascelle. Le guance, di solito rasate alla perfezione, sono scurite da un’ombra di barba; i capelli hanno smarrito la scrima e ogni singolo ciuffo brizzolato, non sapendo più da che parte andare, ha preso una direzione a piacimento.
Per Nova, che non l’ha mai visto in uno stato simile, è il ritratto dell’uomo d’affari che sa di aver commesso un errore enorme.
«È tutto il giorno che evito la stampa e poi fanno passare ‘sta troietta!» sbraita Malone, in piedi, all’estremità di un tavolo da pranzo in acciaio e cristallo, le mani serrate sulla spalliera di una sedia.
Alle sue spalle, sulla parete, un trittico di quadri compone un’unica immagine. Sembra un paesaggio di rocce che spuntano da un mare di nebbia; ma forse sono soltanto pretenziose macchie d’inchiostro nero su fondo grigio.
«Servizio di controllo un cazzo! Con quello che pago ogni mese!»
Nova, all’altra estremità del tavolo, vorrebbe sdrammatizzare facendo presente che qualcuno l’ha effettivamente controllata e registrata prima di lasciarla salire. Ma il sarcasmo resta incastrato in gola. La determinazione traballa. Lei è nella fossa del leone – o dell’orso, considerata la stazza di Malone – ed è sola. Tredici piani la separano da Connor e l’unica altra presenza nell’appartamento è una AJ700 la quale, dopo averla fatta entrare, si è ritirata sotto l’arco che unisce il soggiorno alla cucina con espressione apatica sul volto familiare. [1]
Nova si morde una guancia. Forte. Fino a sentire dolore. Davanti a lei c’è l’assassino di Walty. Non è il momento di avere paura. È il momento di portare avanti il piano. «Sono venuta solo per chiedere scusa» butta fuori. Avrebbe preferito bere acqua di fogna. Si sforza di mostrare un faccino rammaricato e di torcersi a dovere le mani, un po’ per restare nella parte e un po’ per nascondere il tremore.
Nico Malone, però, non la sta nemmeno guardando, né sembra averla sentita. «Falla uscire!» urla, rivolto all’androide domestico. «E non ti azzardare mai più a far entrare qualcuno senza avvertirmi prima! Mi hai capito bene, pezzo di plastica del cazzo?»
La AJ700 si scusa, promette che l’errore non verrà ripetuto e si avvicina a Nova. Le chiede seguirla.
Ma Nova la ignora.
«Malone, la supplico...»
Ora lo sguardo dell’uomo saetta su di lei. E Nova distingue un lampo di lucida soddisfazione attraversare gli occhietti grigi, infossati in quella faccia larga, dello stesso colore di una ciambella che non è stata fritta abbastanza a lungo.
«Sì. Lo fate tutti. Alla fine.»
«Mi dia un’altra possibilità.»
«No!»
«Avrei dovuto accettare la sua proposta dell’altro giorno.»
«Troppo tardi!»
«Ma lei è un professionista e io ho ancora tanto da imparare.»
«Pensi di essere la prima puttana che torna da me a piagnucolare? Sparisci!»
«Mi dia almeno il modo di dimostrare la mia buona volontà. Voglio aiutare... voglio contribuire! Non chiedo nemmeno un dollaro in cambio.»
«E che avresti da contribuire tu?»
«Stavo pensando...» mormora Nova «che dopo il brutto incidente di ieri notte...»
Malone diventa più bianco del pavimento smaltato.
Nova abbassa lo sguardo sulle proprie mani. La pelle sulle nocche è arrossata, ma lei continua a torturarle, lentamente, con insistenza. Prende un respiro, e rialza cautamente lo sguardo. Deve essere convincente, e allo stesso tempo, sembrare mite e servizievole. «Quando le indagini saranno concluse e gli androidi ritrovati, ci sarà un processo. Questo lo sa anche lei, Malone. Sono sicura che immagina già che la Cyberlife cercherà di ridimensionare le proprie responsabilità. L’omicidio è avvenuto nella sua redazione e per mano di androidi che appartengono legalmente a lei. Potrebbero puntarle il dito contro, accusandola di essere stato negligente e non essersi accorto in tempo dei malfunzionamenti nelle macchine.»
Malone tace. La sta fissando, sempre pallido, con una vena rigonfia, piccola e biancastra come una larva, sotto l’occhio destro. 
«In una situazione del genere, sarebbe utile poter dimostrare di essere un capo che ha a cuore il bene e l’interesse dei suoi dipendenti. Sarebbe utile poter dimostrare a una giuria che conosceva Zachary Walton come fosse stato... non so, un amico. Un figlio, magari.»
«Dove cazzo vuoi andare a parare?»
«Io conoscevo bene Zachary. Potrei fornirle tutte le informazioni di cui avrebbe bisogno.»
Silenzio.
Che cosa sta meditando Malone? Di buttarla fuori dall’appartamento a calci? Di stringerle le mani attorno al collo? Oppure sta realmente soppesando l’idea di usarla per rafforzare il proprio abili?
La sedia sobbalza. 
Malone lasciato la presa dalla spalliera e si avvicina.
Nova indietreggia.
Ma la grossa mano dell’uomo scatta verso il suo gomito. Malone la trascina verso il divano di pelle bianca smerigliata, che deve costare quanto l’affitto due mesi del suo bilocale su Wade Street; è come avere il braccio incastrato tra le portiere di un’automobile e Nova non ci prova nemmeno a opporsi.
«Siediti.»
Malone la lascia andare e lei, ignorando il dolore al braccio, obbedisce: prende posto al centro del divano, tenendo lo sguardo sul tavolino da caffè, tra il divano e due nere e severe poltrone, in stile Le Corbusier; sul piano trasparente ci sono tre anoressiche statuine di ebano vagamente antropomorfe. Ma, nonostante gli occhi bassi, Nova è consapevole della posizione della porta d’ingresso alla sua sinistra; della porta a scorrimento in vetro smerigliato alle sue spalle; del mobile bar incassato nella parete a destra; dell’assenza di librerie nella stanza e… di non aver intravisto il datapad da nessuna parte.
Malone sistema in poltrona la sua nervosa e sudaticcia mole.
«Apri bene le orecchie, puttanella. Se stai cercando di fregarmi, ti farò pentire di aver messo piede qui dentro. Quindi ora non te ne vai fino a quando non abbiamo sistemato questa storia.»
Nova annuisce. Strofina i palmi lungo le cosce. Guarda oltre la poltrona, verso le finestre che si affacciano sul Capitol Park illuminato.
«Ehm... posso...»
«Cosa?» grugnisce Malone.
Nova getta un’occhiata timida e calcolata al mobile bar. «Penso che sarebbe più facile per me parlare di Zachary, e di tutto il resto, se...» Parla come se avesse il fiato corto. «Un bicchiere sarebbe di aiuto, ecco. Tutto qui.»
Una smorfia di fastidio impasta i lineamenti di Malone. Poi, soffia. Si agita sulla poltrona e allenta il colletto della camicia.
«Portami del Bogart’s. Liscio.»
Nova guarda Malone. Sta dando ordini a lei, non alla AJ700. Con calma, lasciando la borsa sul divano, la reporter si alza e raggiunge il mobile bar; sa che Malone la sta osservando ed è come muoversi con il laser di un cecchino puntato alla schiena. Dev’essere così che gli piacciono le donne, pensa Nova. Supplicanti e pronte a servirlo.
Apre le ante del mobile bar. L’interno è rivestito di specchi, e luccica come la vetrina di una gioielleria. Prende due bicchieri dal piano più alto e la bottiglia di whiskey da quello centrale; per un attimo, osservando la raffinata etichetta nera, prende anche lucidamente in considerazione l’idea di mandare all’aria il piano e fracassare la bottiglia in testa allo spreco di atomi che occupa la poltrona, se si azzarda a chiamarla un’altra volta puttana.
Riempie il primo bicchiere. Riempie il secondo.
Una volante della polizia passa a sirene spiegate sotto le finestre del palazzo, percorrendo veloce Griswold Street. Poi, l’acciottolio della bottiglia rimessa al suo posto e il sibilo delle ante richiuse.
Nova torna verso il divano. Porge un bicchiere a Malone, che quasi glielo strappa di mano, e tiene l’altro per sé.
Ma il nervosismo la tradisce. Urta il ginocchio contro il tavolino da caffè. Metà del whiskey finisce sul trench e l’altra metà sul costoso pavimento di Malone.
«Che cazzo combini?» ruglia l’uomo.
Nova tampona il bicchiere con la manica, per evitare che altro liquore goccioli sul pavimento, e si prodiga in pigolii di scusa.
«Emma!»
La AJ700 è subito accanto a loro.
«Pulisci questo casino!»
L’androide si allontana con il bicchiere di Nova; poi, prima che Malone abbia il tempo di tracannare tutta la sua parte di whiskey, è di ritorno con un panno in microfibra che, a giudicare dal vago odore di ammoniaca, è imbevuto di detergente.
«Avete... avete una lavanderia?» azzarda Nova.
«Eh?»
«Nel palazzo, intendo.... c’è un servizio di lavanderia, vero? È... è che questa stoffa è di pessima qualità. Resterà macchiata, se non la pulisco subito. E poi rischio di sporcarle il divano.»
Malone la insulta a mezza bocca, inghiotte quel che resta del whiskey, rumorosamente, quasi con furia. La mano e il bicchiere vuoto ciondolano oltre il bracciolo della poltrona. «Scendi in lavanderia.» Sta parlando con Emma. «Pulisci la giacca. E sbrigati!»
«Sì, Nico.»
Nova sfila il trench, lo affida a Emma, stiracchia verso il basso l'orlo del pullover blu a costine. Ha scelto una maglia dal colletto alto per nascondere i lividi sul collo, ma ormai le è chiaro che a Malone non sarebbe interessati, così come non gli interessano i lividi sul suo viso. La giornalista si rimette a sedere sul divano, e spia Emma di sottecchi. 
L'androide è all'ingresso e c’è un display per lo sblocco della serratura accanto alla porta. La AJ700 spoglia la mano destra della pelle sintetica e, invece di digitare un pin, appoggia il palmo sopra lo schermo. Lo scanner emette un debole segnale acustico. La porta si apre ed Emma esce dall’appartamento.







NOTE
[1] AJ700 è (o dovrebbe essere, stando a quanto ho trovato su Internet) il modello femminile, presumibilmente un assistente domestico, in primo piano sugli schermi pubblicitari della Cyberlife.

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Un affettuoso salutino a tutti i lettori!
Ho visto che nelle ultime settimane siete aumentati. Non so come abbiate trovato questa fan fic, e cosa vi abbia convinto a metterla tra le seguite, ma vi ringrazio tantissimo! ♥
   
 
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