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Autore: Giuppy_Juls    04/12/2019    1 recensioni
È una ragazza per metà, pesce per l’altra. Una sirena.
«Certo che è proprio bella»
La sua figura è fissa nella mia mente, i suoi lunghi capelli castano ramati, gli occhi nocciola con qualche pagliuzza verde, i dolci lineamenti del viso e la coda verde smeraldo.
NdA: dopo anni di assenza ho deciso di rientrare in questo sito che ha segnato in modo indelebile la mia adolescenza. Questa è una storia un po' nata da una vicenda personale, ma giusto un po'! Non so quanto l'introduzione possa sembrare interessante, ma ci provo ;p! Se amate il mare e le sirene vi affascinano, questa potrebbe essere la storia per voi!
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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I
 
 
 
La brezza leggera che mi scompiglia i capelli, il rumore delle onde che s’infrangono sugli scogli, la sabbia sotto i piedi… ho sempre provato una forte attrazione verso il mare e tutto ciò che lo riguarda.
Inspiro a pieni polmoni e con un lieve e malinconico sorriso e le mani in tasca mi incammino verso il mio posto segreto: oltre un muro di scogli, sulla destra, riparata da diversi alberi, c’è una piccola spiaggetta lunga non più di una decina di metri. Sin da bambina vengo qui dopo la scuola, nel pomeriggio. È l’unico posto dove mi sento me stessa e posso dedicarmi a ciò che mi piace senza avere timore di venire disturbata: disegnare.
Se c’è una cosa che amo tanto quanto il mare, questa è il disegno. È più forte di me, quando ho una matita in mano il mio cuore freme e sento un’irrefrenabile bisogno di disegnare. Nessuno sembra però capire realmente ciò che provo, nonostante nella mia famiglia ci siano diversi “artisti”, per così dire, per loro disegnare e dipingere è un semplice passatempo. Quando in terza media dovetti scegliere la scuola superiore sapevo già dove andare, quale scuola sarebbe stata più adatta a me, se non l’istituto d’arte? Ovviamente i miei si opposero e fui costretta a scegliere il liceo linguistico. “Non sarà così male”, avevo pensato, dopotutto mi piacevano anche le lingue. E invece era andata male, continua ad andare male e nessuno sembra notarlo: mia madre, mio padre, mio fratello, nemmeno la mia migliore amica.
Sospiro e scuoto la testa, non voglio pensare alla scuola, non qui.
Oggi il mare è più agitato del solito e anche l’aria è più fresca.
«Dopotutto siamo a dicembre, sarebbe strano se facesse ancora caldo…» mormoro aprendo lo zaino e tiro fuori il mio sketch book, una matita e una gomma piuttosto rovinata. Con le labbra incurvate inizio a tracciare lievi linee, abbozzando pian piano l’immagine che avevo in mente: un grazioso chalet ricoperto di neve e circondato da abeti e pini altissimi; sullo sfondo, invece, appaiono diverse cime di montagne innevate. Non so come, ho l’impressione di essere stata in un luogo simile, ma forse mi sbaglio, dopotutto mia madre odia il freddo e la neve.
Un luccichio tra gli scogli mi risveglia dai miei pensieri. Poggio il mio materiale sullo zaino e mi avvicino alle rocce, togliendo le scarpe e arrotolando i jeans per evitare di bagnarli: mia madre pensa che io sia al corso di francese in questo momento, non sa che continuo a venire qui e non deve scoprirlo altrimenti posso dire addio alla mia libertà. Ricordo ancora la mia punizione la volta che scoprì di questo posto: avevo dodici anni e ingenuamente avevo saltato il corso pomeridiano, convinta che le insegnanti non l’avrebbero comunicato a mia madre. Non fu così. Tornata a casa mi strillò contro e mi costrinse a rivelare dov’ero stata. Seguirono alcuni schiaffi, altre urla e frasi che una madre non dovrebbe mai dire alla propria figlia, poi mi furono sequestrati lo sketch book e il cellulare. Il primo non lo rividi più.
Rabbrividisco al contatto con l’acqua gelida, ma continuo ad avanzare e mi arrampico sulla roccia cautamente, attenta a non farmi male. Mi allungo su un’altra pietra per raggiungere l’oggetto incastrato tra le pietre e lo infilo nella tasca della felpa. Ho il respiro affannato. Giro la testa per trovare un appoggio sicuro per scendere.
«Bingo!»
Afferro saldamente con le mani il masso sul quale mi trovo e allungo la gamba verso una roccia poco più in basso, a destra, grazie alla quale riesco a scendere senza un graffio, o quasi. Il mio avambraccio e il polpaccio destro hanno, infatti, due lunghi graffi.
«Cazzo», sibilo a denti stretti.
 Prendo lo zaino e cerco dei fazzoletti con cui tamponare il sangue, fortunatamente i tagli non sono profondi. Decido poi di andare in riva al mare per pulire le ferite.
 Il bruciore che provo al contatto delle ferite con l’acqua è quasi piacevole, ma è talmente fredda che il mio corpo è percosso da brividi e inizio a starnutire ripetutamente. Mi avvicino allo zaino per controllare l’orario e proprio in quel momento mi arriva una chiamata da mia madre. Sbuffo sonoramente e rispondo.
«Pronto ma’?»
«Cla, stai rientrando?»
«Ehm… si, si» balbetto leggendo l’orario. Sono le 17:00, il corso è già finito da qualche minuto. «Perché?» chiedo, sospettosa. Non mi chiama quasi mai per sapere se sto rientrando.
«Sto uscendo. Sbrigati a tornare, sto lasciando il cane dentro casa e se rompe qualcosa paghi tu. Inoltre ho messo a lavare della roba, stendila appena rientri»
Alzo gli occhi al cielo. Da quando ha accettato di tenere il cucciolo che mio padre ha regalato a me e mio fratello non smette un attimo di rinfacciarmi ogni danno che fa.
«OK. C’è altro?»
«No. Forse farò tardi, Matteo è da tuo padre oggi quindi sei sola a cena»
Esulto in silenzio, finalmente un po’ di pace. Non che io abbia qualcosa contro mio fratello, per carità, è solo che è uno scemo. Abbiamo appena tre anni di differenza, lui è in seconda liceo, quindi abbiamo anche vari interessi in comune, ma finisce là. La maggior parte del tempo, ovvero quando non stiamo guardando un film, un anime o giocando ai videogiochi, stiamo sempre a litigare.
«OK ma’» dico. La saluto e chiudo la chiamata, poi sistemo le mie cose e mi dirigo verso casa.
 
 
 
Sento i mugolii del cane mentre giro la chiave del portone di casa. Sorrido. Forse lei è veramente l’unica a cui importa qualcosa di me.
«Ciao bella!» esclamo afferrandola al volo e portandomela al petto.
La sua lingua umida mi lecca le guance, salate per l’acqua di mare. Le accarezzo il lungo pelo bianco e miele, soffermandomi sulla schiena dove le piace particolarmente.
«Dai, su. Lo vuoi un biscottino?»
Le faccio cenno di seguirmi in cucina. Prendo un piccolo osso blu dalla scatola e glielo mostro.
«Pimpa, zampa» le ordino con voce ferma. Lei obbedisce, scodinzolante. Le porgo il biscotto e le faccio un carezza, seguita da alcuni complimenti, per poi dirigermi in camera mia.
Afferro il pigiama leopardato, un paio di slip, le ciabatte e mi avvio in bagno, afferrando di passaggio il kit di primo soccorso. Appena entro nella stanza rabbrividisco.
«Ma chi è che lascia sempre ‘sta finestra aperta?» sibilo a denti stretti per il freddo.
Oltre a scendere la temperatura, si è alzato un forte vento gelido. Accendo la stufa e mi spoglio, osservando la mia figura allo specchio. Con disgusto osservo le cosce leggermente più grosse rispetto alle altre ragazze, il seno troppo piccolo e le spalle larghe. Nonostante io abbia superato la fase di odiare il mio corpo, non posso fare a meno di notare le mie imperfezioni. Lo sguardo scende verso il polpaccio, attraversato da una linea rossa lunga qualche centimetro, e risale verso l’avambraccio, il cui taglio è decisamente più piccolo. Sospiro e inizio a medicare le ferite.
«Argh, che male, merda»
Il bruciore adesso è più forte che mai, sento gli occhi inumidirsi e pizzicare. Mi mordo il labbro inferiore e continuo a tamponare il cotone imbevuto di acqua ossigenata sul polpaccio, rabbiosa.
Dopo aver fatto un bel bagno caldo, facendo attenzione a non bagnare i tagli, vado in camera mia, mi butto sul letto a peso morto e chiudo gli occhi. Mi rilasso giusto cinque minuti… penso, mentre il sonno già mi inghiotte.
 
 
Vengo svegliata dal rumore della porta d’ingresso che viene chiusa. Sobbalzo. Dev’essere mia madre. Afferro il telefono e controllo l’ora: le 21:13. Cazzo, mi sono addormentata, altro che cinque minuti… Poi un pensiero balena nella mia mente. La lavatrice.
«Merda» stavolta impreco sottovoce, alzandomi di scatto e procurandomi così un giramento mal di testa che mi fa perdere l’equilibrio e cadere a terra.
«Claudia? Ma che fai?»
La faccia perplessa di mio fratello fa capolino dall’oscurità del corridoio. Poi scoppia a ridere. Riconosco che la situazione è alquanto comica: sono supina con una gamba distesa a terra, l’altra per aria e una ciabatta mi è finita in testa.
« Che ci fai a casa? Non dovresti essere con papà?» domando allungando il braccio per fargli capire di tirarmi su.
Lui annuisce e si avvicina, ancora sghignazzando.
«Si, ma ho dimenticato il cellulare in camera e sono passato a prenderlo» dice poi, ed esce dalla stanza. Lo seguo con le sopracciglia inarcate e le braccia incrociate.
«Dov’è mamma?» mi chiede poi, dirigendosi in cucina per sgraffignare un biscotto.
«Non ne ho idea», scuoto la testa, «e non m’importa», concludo fredda, gli occhi ridotti a due fessure.
Lui fa spallucce, si rimette il giubbotto e mi fa un cenno di saluto.
«Ciao», rispondo prima di chiudere la porta. Tiro un sospiro di sollievo e vado a prendere la roba da stendere, devo fare tutto molto in fretta, prima che torni e abbia da lamentarsi.
 
 
«Finalmente ho finito» esulto infilandomi tra le coperte, « Ho steso la roba, dato da mangiare al cane e cenato…» mormoro grattando il mento con l’indice.
Prendo il mano il cellulare, abbandonato sotto il cuscino dal mio ritorno, ed entro nell’applicazione per leggere fumetti online. Domani la scuola è chiusa per l’immacolata, quindi posso restare sveglia fino a tardi, penso iniziando a scorrere tra i preferiti per trovare i nuovi aggiornamenti.
Intorno alle 23:15 sono talmente stanca che decido di andare a dormire, mettendo da parte il cellulare. Premo l’interruttore proprio a sinistra del letto e vengo avvolta dall’oscurità. Sto per addormentarmi quando mi ricordo di aver lasciato l’oggetto raccolto in spiaggia nella tasca della felpa. Sbuffo sonoramente, meglio andare a prenderlo ora e buttarlo subito, se è il caso.
Accendo la luce e subito vengo accecata, così richiudo gli occhi con forza e li riapro poco dopo. Mi infilo le ciabatte e vado a prendere la felpa, rimasta sul divano. Fortunatamente il cane non l’ha presa. La porto in camera e frugo nelle tasche mentre canticchio.
«Vediamo un po’… ah, ma è un ciondolo?»
È una piccola sfera, sembrerebbe essere nera ma non ne sono sicura, forse è blu scura. È  traforata e alle estremità c’è una sorta di fiorellino, forse in argento. Che carina, penso. Mi slaccio la collana e metto la perla nera al posto del ciondolo a forma di cuore. Spengo nuovamente la luce e mi addormento, più facilmente del solito.
 
 
«Vieni» sussurra una voce suadente nel mio orecchio.
Un brivido mi percorre la spina dorsale. Ho gli occhi chiusi e sento il suo respiro nel mio orecchio. Mi giro di scatto, gli occhi adesso spalancati, ma non c’è nessuno. Sono nella spiaggetta, il mare è insolitamente troppo calmo. Mi guardo intorno aguzzando la vista alla ricerca di una figura, poi la vedo: in acqua, accanto agli scogli, sta una bellissima sirena.
«Vieni da me» ripete.
Nonostante siamo lontane sento perfettamente la sua voce. Avanzo lentamente, affascinata dalla sua figura più nitida che mai. I capelli rossicci e bagnati le si sono appiccicati ai lati del viso, ma lei sembra non darci peso. Con un colpo di pinna avanza di un paio di metri e mi tende la mano. Il suo sorriso, contornato da due adorabili fossette, è molto dolce e gli occhi gentili sembrano essere in grado di guardare la mia anima.
Continuo a camminare, non mi curo di togliere le scarpe quando incontro l’acqua. Voglio solo raggiungerla. Ora l’acqua mi arriva alla vita e tra noi due ci sono pochi metri di distanza. Lei inizia a intonare una melodia. Non ne capisco le parole, ma il mio cuore piange straziato e con lui anch’io. Sono percossa dai singhiozzi, le lacrime di mescolano con l’acqua quando questa arriva all’altezza del mio mento.
Lei smette di cantare, mi guarda fisso negli occhi e con un balzo s’immerge e io subito sono inghiottita da onde improvvise e gigantesche.
 








NdA:
Questa è la mia prima storia dopo un bel pezzo, sento di non riuscire più ascrivere faclmente come prima, ma ci provo ugualmente. 
Spero che a qualcuno la storia effettivamente piaccia e mi farebbe piacere ricevere qualche recensione, positiva, negativa o neutra! 
Non so quanto questa storia abbia senso, ma l'ispirazione è nata così... un po' per caso, e ho detto " perché non farci una storiella?"
In ogni modo... cercherò di aggiornare appena possibile. Detto questo, alla prossima! xxxx

P.S. probabilmente il rating salirà nei prossimi capitoli.
   
 
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