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Autore: Moiraine    05/12/2019    0 recensioni
"Sento freddo, troppo freddo considerato anche il caminetto acceso che riempie di luci e ombre la piccola stanza, e non riesco proprio a riscaldarmi. Non so spiegarmi il motivo, ma nelle ultime ore una strana ansia sembra aver preso possesso del mio cuore che non smette di battere forte. Cerco di ignorarla e di provare a calmarmi, ma il mio respiro resta irregolare, appesantito quasi sia diventata improvvisamente asmatica. Ho bisogno dei tuoi abbracci in questo momento, della tua presenza, del tuo sorriso da scemo..."
Salve a tutti! Un grazie anticipato a tutti coloro che spenderanno del tempo per leggere queste righe. Trattandosi di una delle mie prime storie inerenti a questo genere sono aperta a qualunque critica che possa farmi crescere, quindi non limitatevi, ma sbizzarritevi nel dirmi ciò che realmente pensate. Grazie e buona lettura!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella maledetta neve
 
 
Sono le tre di una tempestosa notte di dicembre. Il freddo caratteristico che di solito accompagna questo periodo dell’anno si è già abbattuto sulla città con dolce prepotenza, mentre la neve cadendo frettolosamente e in gran quantità sta cominciando a stonare con l’euforia di solito collegata alle feste natalizie.
Seduta sul divano, impensierita e avvolta in una pesante coperta, guardo distrattamente il paesaggio fuori dalla finestra del mio salotto, cercando di scaldarmi stringendo tra le mani una fumante tazza di tè bollente. Sento freddo, troppo freddo considerato anche il caminetto acceso che riempie di luci e ombre la piccola stanza, e non riesco proprio a riscaldarmi. Non so spiegarmi il motivo, ma nelle ultime ore una strana ansia sembra aver preso possesso del mio cuore che non smette di battere forte. Cerco di ignorarla e di provare a calmarmi, ma il mio respiro resta irregolare, appesantito quasi sia diventata improvvisamente asmatica. Ho bisogno dei tuoi abbracci in questo momento, della tua presenza, del tuo sorriso da scemo. Lo sai bene anche tu, ormai conosci tutti gli effetti che provochi sul mio corpo anche solo con uno sguardo o un semplice tocco. Lo sai di essere l’unico in grado di riempirmi di calore, l’unico con cui riesco a stare davvero tranquilla.
Sono quattro ore che ti aspetto. Quattro ore in cui il tempo fuori ha semplicemente continuato a peggiorare, portando la neve ad accumularsi sul terreno in uno spessore di una trentina di centimetri. E per questo motivo le strade sono diventate impraticabili. Vedo gente costretta a fermare le macchine ai limiti della strada e uscire per affrontare il gelido inverno con la speranza di riuscire a tornare alle proprie case.
E tu ancora non arrivi.
Ti aspetto da quattro ore.
Stanotte lavoravi. Un collega ti ha chiesto il favore di cambiare il tuo turno con il suo per poter festeggiare il compleanno del figlio e tu, gentile e dolce come al tuo solito, hai risposto di sì. Te ne sei andato per le quattro, lasciandomi un frettoloso e appena accennato bacio a fior di labbra perché tu eri in ritardo ed io dovevo andare urgentemente in bagno. Mi hai urlato qualcosa mentre ti chiudevi la porta alle spalle, ma non sono riuscita a distinguere il significato delle tue parole. Non ho capito se fosse qualcosa di importante. O invece una delle solite raccomandazioni che sembriamo ricordarci sempre all’ultimo momento e che poi vengono inevitabilmente dimenticate.  
Poi nel pomeriggio mi hai scritto un messaggio, dicendomi che saresti tornato a casa per le undici, che non ti saresti fermato a bere una birra con Fred come fai di solito, perché il tempo era brutto e volevi soltanto tornare a casa, da me, il prima possibile.
Si sono fatte le undici e tu non sei arrivato. Ti ho chiamato al telefono, almeno una ventina di volte; ma non sembrava esserci campo. La segreteria di Fred dava la stessa risposta. Ho chiamato Titty per sapere se aveva novità, se sapeva qualcosa, ma anche lei era in attesa di una chiamata. Ho pensato che il tuo ritardo fosse connesso alla neve, alle strade impraticabili. Quindi ho cercato di rassicurarmi con la convinzione che presto avrei sentito le chiavi rumoreggiare nella serratura, che saresti entrato stanco e infreddolito, buttando a terra il borsone da lavoro e guardandomi come sei solito fare quando sei esausto e l’unica cosa che vuoi è che io ti abbracci. Mi sono convinta che sarebbe stato necessario avere giusto un po’ di pazienza.
Ma adesso sono le tre, e tu ancora non arrivi. Sento una strana ansia crescermi dentro e non riesco a respirare bene. Ho il fiato corto e mi sembra di riuscire ad assorbire pochissimo ossigeno, come se qualcuno mi stia schiacciando il petto con un’incudine pesante. Ho paura che sia successo qualcosa. Sento che è davvero così. Non è poi così assurdo dato che sei nella guardia forestale e che questa sera eri di guardia in una base in mezzo alle montagne, proprio lì dove il telegiornale ha stimato le coordinate dell’epicentro di quella tempesta aggressiva. C’è la neve lassù e il tempo è pessimo. Magari avete avuto difficoltà nello scendere, o la neve lì ha cominciato a cadere più fitta, vi ha bloccati in mezzo alla strada e vi ha costretti a camminare a piedi. O magari.
Scuoto la testa, assottigliando le labbra, e bevo un lungo sorso di tè per cercare di calmarmi, ustionandomi la lingua. Non riesco neanche a prendere in considerazione la possibilità che sia successo davvero qualcosa di troppo brutto. Non riesco a immaginare un futuro senza di te. Non voglio farlo. Ma il tempo passa e non ho tue notizie e il tempo fuori è sempre più brutto.
Happy è acciambellato accanto a me. Sento il suo pelo morbido sotto le coperte a contatto con una coscia. Lo accarezzo, cercando in qualche modo di consolarmi e lui sembra comprendere immediatamente il mio stato d’animo. Si muove ed esce la testolina pelosa per guardarmi, con quel musino dolce e i baffetti che sembrano vibrare di preoccupazione, come se anche lui sia in pensiero. Esce dal suo nascondiglio e salta velocemente sul davanzale della finestra.
Guardiamo il tempo fuori, impazienti, in attesa.
Sono le tre e mezza. Sento quasi di essere sul punto di avere una crisi di nervi. Non riesco più a starmene lì seduta ad aspettare. Tutto quel ritardo non è normale, e sento dentro di me, nel mio cuore che batte forte e rumoroso, che tu non sei al sicuro. Non so dove sei, non so cosa stia succedendo, ma non posso più starmene con le mani in mano. La mia testa sta per scoppiare per le mille idee che le frullano dentro, ed io mi sento tremare vittima di un nervosismo e di un’ansia che non mi sono mai appartenuti.
Stringo e apro velocemente i pungi, cercando in questo modo di favorire la circolazione sanguigna, nel vano tentativo di riprenderne il controllo; trattengo il respiro per cercare di calmarmi. Ma la mia paura è tanta che non riesco in alcun modo a controllarmi.
Comincio a camminare velocemente per la stanza, con Happy che segue i miei passi silenziosamente con lo sguardo. E poi decido di uscire per venirti a cercare. So che non ho idea di dove tu possa essere, ma non ce la faccio più, sto per esplodere. Magari posso provare a incamminarmi verso l’autostrada e da lì poi cercare l’accesso più facile a quella maledetta montagna. So che non è proprio una grandissima idea, che potrei non trovarti, che potresti aver preso una strada diversa da quella che imboccherei io e che quindi finiremmo soltanto con il perderci di più. Ma non ce la faccio a restare seduta su quel divano anche soltanto per un altro secondo. Qualunque cosa è meglio che restare qui, inutile. Tremo talmente tanto che non riesco neanche ad infilarmi bene gli stivali. Ci ho messo cinque minuti per mettermene uno.
Poi all’improvviso mi squilla il cellulare. Sono talmente in paranoia che per poco non mi è venuto un infarto. Ho il cuore che batte talmente forte e le mani così agitate che non riesco neanche a tenere il telefono fermo per rispondere. Mi ci vogliono una trentina di secondo. E poi finalmente clicco sulla cornetta verde, cercando di prendere fiato, di non sembrare spaventata.
È Titty. Sta piangendo; è disperata e per un paio di minuti buoni non riesce a parlare. Sentirla in questo stato mi fa bloccare il cuore. Dai suoi singhiozzi trapela panico puro, un terrore liquido che sembra scorrere dal metallo del cellulare fin dentro il mio orecchio per poi scendere aggressivamente nel mio cuore. Mi si insinua dentro e mi ritrovo a piangere ancora prima che possa capirne il perché. Ho la gola secca, che mi brucia; comincio a sentire ancora più freddo di prima, e tremo talmente tanto che sono costretta ad accovacciarmi su me stessa per cercare di mantenere il controllo. Non ci riesco. Senza di te non ci riesco proprio a stare tranquilla. Ho bisogno di te proprio ora, di un tuo abbraccio caldo, del tuo sorriso e del tuo sguardo che mi trasmettono tutto il tuo amore. Ma non ci sei, ed io sto impazzendo.
Dopo qualche minuto Titty comincia a mugugnare qualcosa. Dice qualcosa a proposito di una valanga, di ottocento centimetri cubi di neve assassina. Ed io non capisco. Non voglio capire, non voglio ascoltare quella verità che sento di aver sempre saputo. Non ce la faccio, non posso.
Senza che me ne renda conto mi cade il telefono di mano. Sbatte sul pavimento e si va a perdere chissà dove. Ho la vista talmente annebbiata in questo momento che non riesco a vedere nulla.
E ti penso. Penso a quel bacio frettoloso che ci siamo scambiati prima che uscissi; a quelle parole che non ho udito e che adesso sembrano performarmi il cuore come lame affilate. Darei tutto per tornare indietro a quel pomeriggio, per vivere un attimo con più calma, per darti un vero bacio, per non lasciarmi scappare neanche una delle cose dici. Per dirti di non andartene, di restare.
Ho sotto gli occhi soltanto il tuo viso. I tuoi occhi che scintillano come un piccolo insieme di stelle quando scherziamo, o quando vedi qualcosa che ti piace. Gli angoli delle tue labbra che si arricciano quando mi prendi in giro. La tua espressione diffidente, con la fronte aggrottata quando ti siedi a tavola di fronte a qualcosa che ho appena cucinato, come se temessi di non uscire vivo da quel pasto. Il tuo sorriso dolce e gentile, pronto a coccolarmi quando ne ho bisogno, ma provocatorio e malizioso per tutto il resto del tempo. Voglio vederlo adesso. Voglio sentire il tuo profumo addosso, le tue braccia che mi avvolgono e che mi tengono al sicuro. Le tue mani che mi accarezzano dolcemente, con lentezza calcolata, pronte a farmi impazzire. La tua bocca che mi sfiora, che mi morde, lasciando ovunque tracce indelebili del suo passaggio. Ho un bisogno disperato del suono della tua risata, di quella grave e quasi gutturale sequenza di ah-ah-ah che riesce a coinvolgermi anche quando mi fai arrabbiare, facendomi dimenticare il motivo per il quale non dovrei ridere.
Poi all’improvviso nuove immagini prendono il tuo posto. O meglio, il soggetto sei sempre tu, ma con uno sfondo diverso. Ti vedo circondato dalla neve, chissà dove sperduto, con intorno soltanto cumuli bianchi e alberi spezzati. Vedo il tuo corpo rovinosamente buttato a terra come un fantoccio privo di vita, con le braccia contorte. Vedo il tuo viso dagli occhi vitrei e inespressivi, senza quella fiammella calda e scintillante ad accenderli, a renderli unici e speciali. Vedo un rivolo di sangue che scende dalla tua dolcissima bocca, gocciolando sulla mascella dritta, perfetta. Vedo i contorni di una piccola chiesa in un pomeriggio piovoso, con tante persone vestite di nero in attesa nella piazza. Una bara aperta vicino all’altare. E vedo me, in piedi e in lacrime, a sbirciare dentro. E lì c sei tu, vestito in un elegante completo nero, con i capelli che ti ricadono in ciuffi ribelli sulla fronte. E sento dolorosamente una lama affilata penetrare lentamente e con cattiveria nel mio cuore.
Non riesco a respirare. Sto andando in iperventilazione e non riesco ad autocontrollarmi. Sento che i miei polmoni possono collassare da un momento all’altro, ma la mia vista e annebbiata e non posso neanche andare alla ricerca del mio spruzzo di Broncovaleas. Tremo, e vengo colta da un improvviso conato di vomito che rigetto da qualche parte sul pavimento intorno a me.
Sto male. Non respiro. Tremo. Ho il cuore che batte fortissimo, tachicardico. Un rumore assordante che mi riempie le orecchie, ma che so non appartiene a niente. Gli occhi talmente pieni di lacrime da non lasciarmi vedere niente. Non ce la faccio. Cedo.
Poi lo sento. Sento quel rumore metallico che ho sperato di udire per tutta la notte. Deglutisco e per qualche secondo i fiumi che sgorgano dai miei occhi sembrano asciugarsi. Mi alzo barcollante, appoggiandomi pesantemente allo stipite della porta della mia stanza, afferrando il legno con le unghie perché non riesco a tenermi in piedi. Guardo il portone d’entrata, con il cuore che batte sempre più forte. Cerco di controllare il mio respiro. Ed ho paura. Paura di essermelo solo immaginata quel rumore. E il portone resta chiuso. E il silenzio torna a invadermi i timpani.
Vorrei avvicinarmi, aprirlo e vedere con i miei occhi che davvero lì fuori non c’è nessuno. Ma non ho il controllo del mio corpo. Non ho il coraggio di andare a scoprire che non ci sei.
E poi ecco che di botto si spalanca, con un boato assurdo, facendo entrare dentro un’aria gelida e un vento che mi ferisce il viso, che mi entra nelle orecchie, costringendomi a chiudere gli occhi e a tapparmi le orecchie, raggomitolandomi su me stessa. Dura giusto un paio di secondi, poi finisce ed io alzo immediatamente lo sguardo.
E vedo la tua schiena. Vedo le tue spalle larghe e le tue braccia forti che spingono con forza la porta per chiuderla. Sento il tuo respiro affannato risuonare nella stanza, irregolare e rumoroso. Sei tutto bagnato e gocciolante, sporco di neve ovunque. Ma sei qui.
E il mio cuore si ferma. Quasi credo di aver smesso di respirare per lo choc. Percepisco soltanto le lacrime continuare a scendermi lentamente sul viso.
Poi ti giri finalmente e mi guardi con quei tuoi meravigliosi occhi, brillanti di preoccupazione, con la fronte aggrottata e quello sguardo che mi chiede soltanto di stringerti forte. Sembra che tu abbia il viso sporco di qualcosa di scuro, e anche il tuo giubbotto sembra macchiata dalla stessa roba. Forse è sangue, non so. Ma sinceramente non mi importa. Tu sei qui. Stai bene. Sei vivo.
«Sono a casa» mi dici in un sussurro.
E a quelle parole esplodo cominciando a piangere come una pazza. So che dovrei sentirmi sollevata, ma ho talmente tanta paura che non riesco a controllarmi. Non hai idea di quanto io ti abbia aspettato. Non hai idea di quanto abbia desiderato questo momento. Non lo sai.
Ci guardiamo ed entrambi ci muoviamo velocemente l’una verso l’altro, stringendoci finalmente in quella stretta forte e rassicurante di cui ho sempre bisogno. Ti stringo con fame, con necessità, con forza, come per paura che tu possa sparire nel nulla, che tu possa essere soltanto il frutto della mia immaginazione. E tu mi stringi dolorosamente, infischiandotene del fatto che potresti farmi male, nascondendo la testa sulla mia spalla. Sembra che anche tu abbia aspettato questo momento per tutta la giornata.
Restiamo così immobili ad abbracciarci, in silenzio. Lentamente il mio cuore comincia a battere ad un ritmo più normale, quasi in sincrono col tuo che adesso mi rimbomba nelle orecchie. Non lo sai, ma questo tamburellare che ti risuona nel petto è il suono più bello e più importante della mia vita. Lo ascolto e mi sento più tranquilla. Finalmente sembra anche che tu stia riuscendo a scaldarmi, con tuto che sei bagnato fradicio. Inspiro profondamente e sento il tuo profumo, quella forte fragranza che non appartiene a nessuno e che non può essere associata a nulla se non al tuo nome. Ti respiro. Profondamente, cercando di assaporare ogni singola particella della tua essenza.
Mi sei mancato.
Ti muovi lentamente e mi porti due dita sotto il mento per farmi alzare il viso. Mi guardi, con quello sguardo serio, brillante d’amore. Incateni i nostri sguardi ed io mi perdo nel guardarti, sprofondo in quei meravigliosi pozzi di un verde chiarissimo. Mi accarezzi il viso. Poggi la fronte contro la mia, chiudendo gli occhi e inspirando profondamente.
Sei un copione.
I nostri nasi si sfiorano ed io socchiudo gli occhi. Sento il tuo respiro caldo sulle labbra e deglutisco, incapace di resistere alla necessità di incollarmi a te. Poi dolcemente poggi la tua bocca sulla mia, in un contatto semplice e eterno, che mi rianima coma una meravigliosa e inaspettata boccata d’aria fresca. Ed io mi stringo a te, incapace di spezzare quel legame.
Poi ti allontani da me, quel tanto che basta perché possa guardarmi negli occhi, ma continui ad avvolgermi con le tue braccia. Mi tieni stretta, vicina.
«Scusa il ritardo» mi dici con uno sguardo serio.
Ti guardo e assottiglio le labbra, deglutendo. Non ho voglia di parlare di quello che è successo, non adesso almeno. Mi sento più tranquilla è vero. Finisce sempre così quando sei con me. Ma tutte quelle sensazioni che mi hanno attaccata e brutalizzata violentemente qualche minuto prima sono semplicemente state offuscate dalla tua luce. Non sono sparite. Ed io non sono pronta a viverle nuovamente.
«Cosa mi hai detto oggi?» ti chiedo, guardandoti attentamente. Mi guardi confuso, con le chiare sopracciglia sollevate e la fronte aggrottata. Non sembri capire a cosa io stia alludendo. Poi però il tuo sguardo si illumina e la bocca mima un’espressione di stupore.
«Che sei la mia vita» mi dici guardandomi con uno sguardo colmo di tenerezza. Io ti guardo e ti stringo forte, arrossendo di fronte a queste tue parole, nascondendo il viso nel tuo petto. Non è la prima volta che me lo dici, ma oggi, la situazione lo rende più speciale.
Sollevo lo sguardo verso il tuo viso e ti ritrovo a guardarmi con gli occhi luminosi. Ti accorgi del rossore che mi colora le guance, di quel calore che pensavo fosse ormai scomparso per sempre dal mio corpo. E finalmente mi sorridi di quel sorriso speciale e accattivante, dolce e malizioso al tempo stesso, che ho sognato di vedere per tutto il giorno. Ed io inaspettatamente divento ancora più rossa.
Ridi e mi stringi ancora più forte, come se non potessi mai averne abbastanza di sentirmi vicina. Ed io rido, finalmente rincuorata e con il cuore sinceramente libero, assaporando la melodia della tua risata in tutte le sue sfumature.
Ci guardiamo. Vedo il tuo sguardo luminoso, il tuo sorriso raggiante, e il mio cuore comincia nuovamente a battere forte ma stavolta per motivi completamente diversi. Il tuo amore trabocca da ognuna di queste semplici espressioni e mi avvolge, facendomi sentire coccolata.
«Tu sei la mia» ti dico con uno sguardo serio, cercando di imprimerti nel cuore la verità di queste parole. E tu mi guardi, con uno sguardo dolce, scuotendo la testa e continuando a sorridere.
Poggi la fronte contro la mia, chiudendo gli occhi e ispirando profondamente. E quando li riapri sono languidi, specchio di un desiderio che velocemente diventa anche il mio. E famelica di te, dei tuoi baci, di sentirti davvero con me, mi catapulto sulle tue labbra, baciandoti come se da questo semplice bacio dipenda tutta la mia intera esistenza. Tu ridi, approfondendo velocemente il bacio, stringendomi forte e sollevandomi dalle natiche, lasciando sul mio corpo tracce incandescenti.
Ti guardo, ma non te lo dico. E neanche tu lo dici a me. Lo sappiamo. Ti sorrido e tu mi stringi come se io sia una bambina. Mi stringi, mentre le orecchie si riempiono di nuovo della tua risata fragorosa. E rido. Perché è magico l’effetto che hai su di me; perché è bellissimo che mi basti averti qui per sentirmi la persona più felice del mondo. Perché quando siamo insieme, la paura e l’oscurità si ritraggono di fronte alla tua luce calda e luminosa. E spariscono, senza lasciare traccia.
 
 
  
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